Questo tema è stato anticipato nel capitolo precedente, quando abbiamo spiegato come la prima
notte di nozze di Lila si trasformi in una vera e propria violenza carnale. In questa sede è, però,
interessante notare come Ferrante lo sviluppi rispetto alla tradizione e le varie declinazioni che ha assunto dall’antichità ai giorni nostri.
Tra le varie forme di violenza lo stupro è la manifestazione più feroce ed evidente del dominio
maschile sulla donna, questo atto, infatti mira a reprimere la libertà, la differenza della donna, a
cancellare la sua identità.
Il tema della violenza fisica agita dall’uomo sulla donna è un tema topico sin dalla letteratura
classica e gli esempi sono molteplici.
Ma se oggi la parola stupro indica un rapporto sessuale imposto con la violenza, nel diritto romano
la parola stuprum non si riferisce tanto a una mancanza di consenso, quanto piuttosto al fatto che
si tratti di un rapporto illecito, ad esempio nei casi di adulterio ed incesto, che vengono puniti dalla legge. Si parla invece di un’unione lecita nei casi di violenza che possono comportare obblighi da
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parte di chi compie l’atto, ma non rappresentano un crimine che può essere perseguito
penalmente118.
Già nel mondo greco, dove non esisteva una parola per definire propriamente l’atto dello stupro, era la seduzione delle mogli a preoccupare più della violenza, poiché l’adulterio veniva considerato
un atto contro una proprietà, contro un bene maschile. La donna è considerata oggetto inanimato
che non incide su quanto sta accadendo, ma che viene circuito, ingannato e manovrato per i propri
interessi119.
Proprio per paura di essere accusata di adulterio Lucrezia, matrona romana moglie di Collatino,
dopo aver subito la brutalità dello stupro decide di togliersi la vita, lavando con il proprio sangue
la macchia della vergogna120.
Un altro episodio mitico particolarmente significativo è quello di Cassandra,anche lei vittima della
violenza di Aiace Oileo durante la guerra di Troia e successivamente costretta a divenire la concubina di Agamennone. Quest’ultima introduce, inoltre, un ulteriore tema legato a quello della
violenza sessuale: il non essere credute dalla comunità, un destino che accompagna molte delle
vittime di violenza, nel mito come nella quotidianità. Cassandra diventa, quindi, l’emblema della
donna a cui nessuno crede.
La stessa cosa accade a Danae, imprigionata dal padre Acrisio e violata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro penetrata dal tetto della stanza in cui si trovava rinchiusa. Da questo rapporto nasce
Perseo, ma Acrisio non crede che sia stato Zeus ad abusare di Danae, la rinchiude quindi in una
cassa e la getta in mare.
Alla morte va incontro anche Leucotoe, figlia di Oriamo. Il dio Apollo per poterla possedere
prende le sembianze della madre della ragazza e riesce ad entrare nella sua stanza per violentarla.
Il padre non crede alla figlia e, ritenendola colpevole, la fa seppellire viva121.
118 LUCREZI – BOTTA – RIZZELLI, 2008, p. 8. 119 CERRATO, 2011, p. 437.
120 Ibidem. 121 Ivi, 440.
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Al rapimento e allo stupro spesso si fanno inoltre risalire le fondazioni di città e le conquiste di
territori. Il corpo delle donne è stato, e continua spesso ad essere considerato, una proprietà e un
dominio maschile. Le violenze e gli stupri che quotidianamente si verificano ai danni delle donne
sono una diretta conseguenza della volontà di possesso degli uomini e della loro necessità di imporre con la forza e la violenza la propria autorità sull’altro sesso.
Proprio in un rapimento e in uno stupro di massa affondano le radici di Roma. Plutarco e Tito
Livio raccontano come Romolo e i suoi concittadini decidono di compiere il ratto delle Sabine. In
questo episodio le donne sono ancora una volta rappresentate come un oggetto, un premio di una
lotta maschile, ma quest’ultime scagionano i loro rapitori romani, e, pur non dimenticando la
violenza subita, la accettano interpretandola come il male minore122.
Il mito si rende portatore della percezione che gli uomini avevano della controparte femminile. La
donna è rappresentata come succube delle dinamiche sociali maschili, non riesce ad uscire dal
ruolo di subordinazione e viene quindi raffigurata come una vittima. Ovviamente la struttura della società greca presuppone che l’uomo che scrive lo fa sempre da una posizione di potere; in una
realtà “tutta al maschile”, dunque, anche la violenza viene rappresentata in una prospettiva
fuorviante, spesso completamente opposta. Per gli antichi le donne non sono succubi, né debbono
dalla loro subordinazione.
Anche il tema tardomedievale della donna perseguitata ha al centro la violenza sessuale, per cui
una giovane donna dotata di straordinaria bellezza è insidiata da vari uomini, ma grazie alla sua purezza d’animo e alla sua forte fede in Dio riuscirà a salvarsi123.
Fino al Settecento e per gran parte dell’Ottocento i romanzi che trattavano temi relativi alle donne,
compreso quello della violenza sessuale, erano scritti da uomini, e spesso erano narrati in prima
persona da un punto di vista femminile. Ne è un esempio Pamela di Samuel Richardson: il
romanzo epistolare di straordinaria fortuna editoriale ha come protagonista inedita non solo una
122 Ivi, pp. 441-442. 123 AVALLE, 1990, p. 186.
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donna, ma una giovanissima cameriera, dotata però di formidabili capacità scrittorie. Pamela
racconta la vicenda dal suo punto di vista, in una serie di lettere indirizzate alla sua famiglia di
origine: è la storia del fallito tentativo di stupro e quindi della negoziazione e lenta rieducazione dell’aristocratico padrone, fino al lieto fine, il matrimonio tra i due124.
Verga, invece, in Tentazione!, una delle sue novelle meno conosciute, presenta il tema dello stupro
e del femminicidio da un punto di vista maschile. I protagonisti sono tre ragazzi, che si recano a
una festa serale a Vaprio, nei pressi di Milano. Lo stupro avviene ai danni di una contadina, in una
strada buia e silenziosa, che i tre prendono come scorciatoia per tornare a casa. La novella è un
racconto-confessione del trauma subito da chi compie il femminicidio: il narratore diventa interno
e il suo punto di vista coincide con quello di uno dei tre ragazzi protagonisti. L’autore del misfatto non riesce a capire come sia successo e gli pare d’impazzire. È cosciente del fatto che non esista
una causa evidente. In tal modo si esplicita la concezione della violenza come eccesso di passione istintiva, una sterzata improvvisa che riporta l’individuo a comportamenti primitivi. Verga
sottolinea il carattere inconsapevole dell’abuso e lo stupro diventa la forza demoniaca che rompe
l’equilibrio della ragione125.
Nel corso del Settecento le donne, in tutta Europa, sono sempre più interessate agli studi e attive
nei circuiti culturali a loro accessibili, frequentano i teatri e le accademie, e soprattutto cominciano a far sentire la loro voce attraverso la scrittura. Ma l’alto numero di donne che in effetti ebbero
accesso alla pubblicazione dei romanzi non comporta necessariamente e immediatamente un cambiamento dell’ordine patriarcale. Anzi sono molti i casi in cui le scritture delle donne furono
perfettamente funzionali al rafforzamento della dominazione maschile126.
Il rapporto conflittuale con la società patriarcale e lo stato di subordinazione femminile saranno
temi trattati dal movimento femminista.
124 SAPEGNO, 2018, p. 25. 125 LO CASTRO, 2011, p. 22. 126 Ivi, p. 27.
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Adrienne Rich pone al centro del pamphlet Women and honor: some notes on lying la necessità di
«iniziare ad assumerci il peso delle nostre esistenze», ovvero rivisitare tutte le espressioni della
cultura umana per colmare lacune, omissioni e silenzi che hanno estromesso le donne nella loro
corporeità, compreso il controllo della maternità. L’appropriazione maschile di essa diventa la
forma di istituto fondante dei sistemi politici e sociali, da cui la saggista fa discendere il
«pericoloso scisma tra vita pubblica e privata»127. Femministe come Rich e Irigaray pongono il
problema della rottura del silenzio e la conseguente irruzione della parola diretta delle donne sulle
donne e per le donne.
In Italia, in tempi relativamente recenti, la scrittura delle donne è sempre più motivata dall’emergenza sociale, che ha la sua manifestazione estrema nel femminicidio. La coscienza delle
donne entra nel linguaggio, che si fa carico della rappresentazione della violenza sul corpo
femminile128.
Sibilla Aleramo è stata una delle prime donne ad affrontare nel suo libro, Una donna, il tema della
violenza sessuale. Il romanzo, che possiamo considerare autobiografico, ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica italiana. Ebbe varie riedizioni durante la vita dell’autrice, fu tradotto in sei
lingue e conobbe poi una nuova stagione di grande popolarità internazionale negli anni settanta
del Novecento in connessione con il neo-femminismo. Il testo si presenta infatti programmaticamente come un’“opera-verità” destinata a parlare soprattutto alle donne, e contiene
le motivazioni e le circostanze della sua scrittura:
un libro d'amore e di dolore, che fosse straziante e insieme fecondo, inesorabile e pietoso, che mostrasse al mondo intero l'anima femminile moderna, per la prima volta, e per la prima volta facesse palpitare di rimorso e desiderio l'anima dell'uomo. (UD 92)
127 RICH, 1996, pp. 390-391. 128 CALTAGIRONE, 2019, p. 17.
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Nella storia della protagonista, infatti, la fanciullezza felice si chiude per lasciare il posto a una
giovinezza segnata dal dolore per la scoperta del tradimento paterno e la propria esperienza di
stupro. Ne consegue un matrimonio riparatore, senza alcuna traccia d’amore, ma fortemente voluto
dalla protagonista per non mettersi nella condizione di vittima e replicare il dominio maschile
subito dalla madre. Alla felice scoperta della maternità e della sua vocazione di scrittrice farà
seguito un lungo periodo di crisi dolorosa e disperata, culminato in un tentato suicidio e in una rinascita. È eccezionale come Aleramo viva la maternità come un’apertura verso il mondo e
addirittura come una scoperta della sua vocazione letteraria, rompendo così l’alternativa
maternità/autoaffermazione.129 Tale percorso di morte, rinascita e rielaborazione della coscienza avverrà nel duplice segno della fedeltà a sé stessa, con il ritrovamento dentro di sé dell’eredità
paterna, e dell’incontro con il movimento delle donne, con l’urgenza crescente della scrittura.
La fedeltà a sé stessa significa però la necessità di abbandonare il marito per cominciare una nuova
vita, con la conseguenza drammatica di non poter ottenere, a motivo della legislazione allora
vigente, di continuare ad avere un rapporto con il figlio, su cui l’autorità paterna era assoluta130.
Altra opera novecentesca che presenta il tema dello stupro è Artemisia di Anna Banti, uscito nel
1947. La storia della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi è intrecciata al presente e alla scrittura dell’autrice. Vengono narrate infatti anche le drammatiche vicende che il manoscritto di
Banti aveva subito a causa della guerra: il bombardamento che distrugge il testo quasi ultimato, la disperazione dell’autrice, l’ostinazione nel riprendere i fili e ricominciare.
L’episodio che segna la vita della protagonista è lo stupro subito, ancora adolescente, da parte di
un amico del padre, il pittore Agostino Bassi, che avrebbe dovuto insegnarle la prospettiva. Il
processo pubblico tenuto, su denuncia del padre e di cui sono rimasti gli atti, fece grande scalpore
129 DONNARUMMA, 2019. 130 SAPEGNO, 2018, p. 56.
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e si concluse con la condanna di Bassi, ma anche con l’umiliazione pubblica di Artemisia, poi
maritata per convenienza131.
Oggi le opere che affrontano questo tema hanno più che altro un intento di denuncia sociale e
cercano di dare visibilità alla violenza stessa, per far sì che venga riconosciuta come violazione
dei diritti umani, difatti, fino al 1996 in Italia la violenza sessuale non era considerato un reato
contro la persona, ma contro la morale pubblica. La conferma è nella recente produzione letteraria
che rimanda una tipologia piuttosto stabile: la maggior parte delle opere raccolgono storie
collettive, dunque di più soggetti femminili, spesso muti e passivi, che ricevono voce dalla
mediazione di altre donne (scrittrici, psicoanaliste, intellettuali). Queste donne denunciano e si
ribellano, costruendo un repertorio di analisi e di narrazione volto a mostrare il generalizzato
occultamento della vittima operato a molti livelli: dagli organi istituzionali ai media, al tessuto
sociale nel suo complesso, fino, naturalmente, alle vittime stesse.
Ne è un esempio il libro Amori assassini, una raccolta di cronache, mese per mese, di un anno
efferato. I racconti di queste vicende sono commentati attraverso alcuni saggi di note scrittrici,
giornaliste e saggiste che pongono al centro delle loro analisi la condizione delle donne vittime e
la ricerca delle spiegazioni connesse ai fatti violenti. Fra le commentatrici vi è Dacia Maraini che
nel saggio E la Chiesa non sa, denuncia la prassi della stampa di far scomparire la voce delle
vittime, per rappresentare il carnefice come protagonista. Specificamente, la scrittrice riattraversa
la vicenda di una suora e di altre vittime che avevano denunciato per abusi sessuali un frate, figura popolare e benevolmente nota nei media locali, constatandone l’assenza sui giornali132.
È difficile dire quanto di autobiografico ci sia nei libri di Elena Ferrante non conoscendone l’identità, ma possiamo affermare che il tema dell’abuso è una costante della sua narrativa. Nei
suoi libri si contano ben quattro casi di violenza sessuale: la prima notte di nozze di Lila, lo stupro
131 Ivi, p. 66.
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di Silvia da parte di un gruppo di fascisti, e le molestie subite da Elena (nell’Amica geniale) e da
Delia (nell’Amore molesto) da parte di uomini adulti.
La violenza sessuale subita da Silvia è un vero e proprio stupro politico.
Il fatto era accaduto cinque giorni prima. Franco aveva parlato a una manifestazione di Avanguardia
Operaia, in un teatrino stracolmo. Alla fine si era allontanato a piedi con Silvia, che ora viveva con un
redattore del Giorno in una bella casa a quattro passi dal teatro: lui doveva dormire lì e partire il giorno
dopo per Piacenza. Erano quasi al portone, Silvia aveva appena tirato fuori le chiavi dalla borsa, quando
s’era accostato un furgone bianco, erano saltati giù i fascisti. Lui era stato massacrato di botte, Silvia era stata picchiata e violentata. (SCF 262).
Gli abusi sessuali facevano parte della strategia della tensione che agitava l’Italia dopo il
Sessantotto, in questo modo si voleva calpestare nella maniera più abietta la dignità di una persona
impegnata in battaglie politiche: basti ricordare il caso di Franca Rame, punita in quanto donna
comunista.
Il 9 marzo 1973, Franca Rame, all’epoca molto impegnata insieme al marito, Dario Fo, nell’attività
di Soccorso Rosso in favore dei carcerati e in particolare dei detenuti di estrema sinistra, fu
aggredita da alcuni sconosciuti a Milano, fatta salire con la forza su un furgone e sottoposta a
violenza carnale. Probabilmente Ferrante si è ispirata direttamente a questo caso, sul quale Franca Rame ha scritto un monologo intitolato per l’appunto Lo stupro.
Se Franco reagisce alla violenza subita con un silenzio depressivo, Silvia esorcizza il dolore in
maniera del tutto opposta:
Silvia dormiva ma aveva lasciato detto che voleva essere svegliata al nostro arrivo. Aspettammo parecchio prima che comparisse. Si era truccata pesantemente, s’era messa un bel vestito verde lungo. Non mi colpirono tanto i lividi, i tagli il passo incerto […], ma lo sguardo inespressivo. Aveva occhi vuoti, del tutto incongrui col parlottio frenetico, rotto da risatelle, con cui attaccò a raccontare a me, solo a me che ancora non sapevo, ciò che i fascisti le avevano fatto. Si espresse come recitasse una filastrocca atroce che era il modo secondo cui, per ora, s’era sedimentato l’orrore a forza di ripeterlo a chiunque venisse a farle visita.
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La madre cercò più volte di interromperla, ma lei la respinse sempre con un gesto infastidito, alzando la voce, scandendo oscenità e prefigurandosi un tempo vicino, vicinissimo, di vendette feroci. Quando scoppia a piangere smise bruscamente. Ma intanto arrivò altra gente, soprattutto amiche di famiglia e sue compagne. Silvia allora ricominciò […]. (SCF 263-264)
Elena non può che collegare lo stupro di Silvia a quello di Lila:
Intanto mi tornavano in mente i dettagli di ciò che Stefano aveva fatto a Lila, i dettagli che mi ero immaginata mentre Silvia raccontava, e mi sembrò che le parole di tutt’e due i racconti fossero strida animali di terrore. (SCF 264)
La differenza è che lo stupro di Lila non è percepito come tale e quando torna dal viaggio di nozze
con il viso completamente tumefatto incontra la totale indifferenza da parte dei suoi familiari,
anche della madre che ha sempre cercato di difenderla.
Ciò che accade a Elena e a Delia è molto simile: entrambe subiscono molestie quando non sono
ancora maggiorenni e nessuna delle due denuncerà questo fatto.
La molestia subita porterà Elena a scoprire la vera personalità di Donato Sarratore. L’uomo che
stimava per aver scritto un libro di poesie e perché pubblicava articoli sul «Roma» si rivela un
essere vile, proprio come lo aveva descritto Nino.
Il silenzio di Elena, dovuto alla vergogna e al senso di colpa tipico di molte delle vittime di
molestie («Nino aveva voluto avvisarmi, sapeva che sarebbe successo?») evidenzia che questo
episodio è percepito come un vero e proprio trauma.
Il trauma è, infatti, per definizione qualcosa di indicibile, qualcosa che ferisce a tal punto l’identità
e la coscienza da essere sprofondato nell’inconscio.
Le molestie subite da Donato finiranno per compromettere anche il rapporto di Elena con Nino:
Tuttavia, per quanto la passione mi divorasse, per quanto vedessi con chiarezza tutto il prestigio che avrei acquistato agli occhi di Lila legandomi a lui, per la seconda volta da quando l’avevo visto e me n’ero innamorata non me la sentii di stabilire un rapporto. La motivazione mi sembrò ben più robusta di quella dei tempi dell’infanzia. Vederlo mi faceva venire in mente subito Donato Sarratore, anche se non si
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assomigliavano affatto. E il ribrezzo, la rabbia che mi suscitava il ricordo di ciò che mi aveva fatto suo padre senza che io fossi stata capace di respingerlo si allungavano fino a lui. Certo, lo amavo. Desideravo parlargli, passeggiare con lui, e a volte pensavo, arrovellandomi: perché ti comporti così, il padre non è il figlio, il figlio non è il padre, fa’ come ha fatto Stefano coi Peluso. Ma non ci riuscivo. Appena mi immaginavo di baciarlo, sentivo la bocca di Donato, e un’onda di piacere e ribrezzo confondeva padre e figlio in un’unica persona. (AG 250-251)
Ciò che colpisce è che Elena riporti spesso alla mente, non le molestie, ma l’esperienza sessuale
che ha più o meno liberamente scelto di compiere con Donato. Anche in questo caso il padre di
Nino approfitterà evidentemente della debolezza e della confusione sentimentale che Elena prova
in quel momento, dovuta al fatto che Nino, di cui è innamorata fin da bambina, sta passando la
notte con la sua migliore amica Lila.
Anche se Elena non è propriamente una vittima, poiché cerca lei stessa un’esperienza sessuale
(non potendo avere Nino cede a suo padre), è chiaro che anche questo episodio è un abuso, poiché
stiamo parlando di un uomo adulto che sfrutta le incertezze di una ragazzina. Ma se il trauma è ciò
che sfugge alla coscienza, per il solo fatto che questo episodio venga raccontato non può essere
identificato come tale. Ovviamente Elena è ferita, ma ha in sé delle risorse psichiche che le
permettono di rielaborare quello che è accaduto. Ma da chi le derivano queste risorse per
rielaborare eventi potenzialmente traumatici? Sicuramente dallo studio e dalle sue letture, ma
soprattutto da Lila, colei che per eccellenza subisce la violenza (dai suoi familiari, dal marito e dai Solara) e che racconta all’amica la sua prima notte di nozze senza usare filtri.
Per questo motivo nel suo primo romanzo Elena racconterà il ribrezzo per la sua prima vera
esperienza sessuale, mentre tacerà completamente gli abusi subiti. Con questa scelta sembra che
Ferrante voglia sottolineare che le donne, anche quando sono vittime, si sentano colpevoli, anche
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Nell’Amore molesto nemmeno Delia parlerà delle molestie subite dal nonno del suo amico
Antonio, ma in questo caso il suo silenzio ha una ragione più complessa. Quello che la protagonista