Figure maschili in Elena Ferrante
70 AGUILAR, 2015 71 SAPEGNO,2018, p 27.
1.2. Mariti e compagn
1.2.1. Violenza plebea e violenza borghese: da Stefano a Pietro
L’esercizio della violenza passa, dopo il matrimonio, dal padre al marito, e anche in questo caso
viene naturalizzato da un’ideologia dell’onore per cui «ti ammazza di botte per il tuo bene»88.
Tuttavia le donne del rione fanno della violenza subita un motivo di vanto, poiché essa conferma
la virilità dei loro uomini: «Le nostre madri, dopo uno schiaffo del marito […] si disperavano,
piangevano, affrontavano il loro uomo a brutto muso, lo criticavano alle spalle, eppure, chi più chi
meno, seguitavano a stimarlo» (SNC 52). Lila è l’unica che si comporta in modo diverso, nega e decostruisce questa normalizzazione esibendo verso il marito «un’acquiescenza senza rispetto»
(SNC 53)89.
Lila si sposa molto giovane, a 16 anni, con Stefano Carracci, figlio di don Achille, usuraio iscritto
al partito fascista e padrone assoluto del rione.
Don Achille era l’orco delle favole, avevo il divieto assoluto di avvicinarlo, parlargli, guardarlo, spiarlo, bisognava fare come se non esistessero né lui né la sua famiglia. C’erano nei suoi confronti, in casa mia ma non solo, un timore e un odio che non sapevo da dove nascessero. Mio padre ne parlava in un modo che me l’ero immaginato grosso, pieno di bolle violacee, furioso malgrado il “don”, che a me suggeriva un’autorità calma. Era un essere fatto di non so quale materiale, ferro, vetro, ortica, ma vivo, vivo col respiro caldissimo che gli usciva dal naso e dalla bocca. Credevo che se solo l’avessi visto da lontano mi avrebbe cacciato negli occhi qualcosa di acuminato e bruciante. Se poi avessi fatto la pazzia di avvicinarmi alla porta di casa sua mi avrebbe uccisa. (AG 24-25)
Stefano non sembra aver niente a che fare con il padre. È un bravo ragazzo e dopo la morte di don
Achille comincia a lavorare duramente nella salumeria di famiglia. Inoltre, sembra essere davvero
innamorato di Lila tanto da violare tutte le regole imposte dalla virilità dominante: la corteggia
quando tutti la credono già fidanzata con Marcello Solara, esponente di una facoltosa e potente
88 DE ROGATIS, 2018, p. 220. 89 Ibidem.
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famiglia del rione, in competizione con la famiglia Carracci («C’era, sì, quel giovane [Stefano]
che, pur sapendo di Marcello Solara, violava le regole virili senza alcuna visibile ansia.» [AG
233]).
Marcello si prodiga in costosi regali per lei e la sua famiglia, che spinge per questo fidanzamento.
Ma il ragazzo non è mai piaciuto a Lila, non solo per il suo carattere altezzoso e prepotente, ma
per ciò che gente come lui rappresenta: i soprusi e la corruzione presenti nel rione.
Quando Lila informa Marcello che non lo sposerà perché gli preferisce Stefano Carracci, non ha
certo paura di rinfacciargli il ribrezzo che prova nei suoi confronti:
Ma appena fuori dalla palazzina lei lo affrontò e scandì, con la gelida cattiveria che le veniva bene fin dai primi anni di vita:
«Non ti ho mai detto che ti volevo». «Lo so. Ma adesso mi vuoi?». «No».
Marcello, che era grande e grosso, un sano, sanguigno ragazzone di ventitré anni, si appoggiò al palo di un lampione col cuore spezzato.
«Proprio no?».
«No. Voglio bene ad un altro». «Chi è?».
«Stefano».
«Lo sapevo già, ma non ci potevo credere». «Ci devi credere, è così».
«Ammazzerò te e lui».
«Con me ci puoi provare subito».
Marcello si staccò dal lampione, di furia, ma con una specie di rantolo si morse a sangue la destra chiusa a pugno.
«Ti voglio troppo bene e non lo posso fare».
«Allora fallo fare a tuo fratello, a tuo padre, a qualche amico vostro, può essere che loro sono capaci. Però chiarisci a tutti che dovete ammazzare prima me. Perché se toccate chiunque altro mentre sono viva, sono io che vi ammazzo, e lo sai che lo faccio, comincio con te».
Marcello continuò a mordersi il dito con accanimento. Poi ebbe una specie di singhiozzo represso che gli scosse il petto, girò le spalle e se ne andò. (AM 248)
Lila sa che persone del genere ottengono spesso ciò che vogliono. La proposta di Stefano le è
sembrata, quindi, una buona occasione per uscire da quella situazione. I suoi modi cortesi e dimessi («un uomo di ventidue anni […] gentile, deciso, coraggioso […] di buon carattere» [AG 250]) le
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Inoltre, Stefano prova in tutti i modi a dimostrare quanto tenga a lei: per esempio, acquista il paio
di scarpe artigianali che lei ha creato insieme al fratello Rino, nonostante siano per lui troppo
piccole.
Da quel momento le scarpe diventano il simbolo del loro fidanzamento. L’’acquisto era infatti la premessa di un patto in base al quale il giovane Carracci avrebbe finanziato l’intera collezione
artigianale e ne avrebbe preservato il marchio di famiglia, Cerullo. Durante i mesi del
fidanzamento le scarpe sono considerate da Stefano una testimonianza preziosissima della loro
relazione, il simbolo di un amore protettivo90:
Ci [nelle scarpe] vedeva […] le sue manine di quasi bambina che avevano lavorato insieme alle manacce del fratello. […] Le prese le dita e gliele baciò a una a una dicendo che non avrebbe mai più permesso che ricominciassero a rovinarsi. (AG 285)
Sono proprio quel padre che non ha voluto che studiasse, quella madre che non ha saputo
proteggerla come avrebbe dovuto, quel fratello che si è dimostrato sempre più violento e bisognoso
di rivalsa a indurre Lila ad accettare il matrimonio. Il labirinto di violenza e sopraffazione in cui
si trova la spinge a rimuovere tutte queste sofferenze e a farle vedere Stefano, e la vita che può
offrirle, come un riscatto per tutto ciò che ha passato91.
Poche ore dopo la celebrazione del matrimonio, mentre Lila e Stefano stanno raggiungendo in
macchina Amalfi, meta del loro viaggio di nozze, tra i due si consuma una definitiva frattura,
dovuta al fatto che Stefano ha tradito la fiducia di Lila vendendo a Marcello Solara le scarpe
artigianali simbolo della loro storia.
Al colpo di scena finale dell’Amica geniale, con Marcello Solara che fa il suo ingresso al
matrimonio con ai piedi le scarpe create da Lila, segue ad apertura di Storia di un nuovo cognome
90DEROGATIS, 2018, p. 131. 91 Ivi, p. 214.
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l’episodio dello schiaffo che, alla fine della discussione su questo tradimento, Stefano dà alla neo-
sposa, svelando la sua vera natura92:
Stefano la lasciò fare e solo quando lei provò ancora ad aprire la portiera per scappare, le disse freddo: calmati. Lila si girò di scatto: calmarsi dopo che lui aveva gettato la colpa su suo padre e suo fratello, calmarsi quando tutt’e tre l’avevano trattata come una pezza per lavare il pavimento, come una mappina? Non mi voglio calmare, gridò, strunz, riportami subito a casa mia, quello che hai detto adesso lo devi ripetere davanti a quegli altri due uomini di merda. E solo quando pronunciò quell’espressione in dialetto,
uommen’e mmerd, si accorse di aver spezzato la barriera dei toni compassati di suo marito. Un attimo dopo
Stefano la colpì in faccia con la mano robusta, uno schiaffo violentissimo che le sembrò un’esplosione di verità. Lei sussultò per la sorpresa e per la sfiammata dolorosa sulla guancia. Lo guardò incredula mentre lui rimetteva in moto e diceva, con una voce che per la prima volta da quando aveva cominciato a farle la corte non era più tranquilla, anzi gli tremava:
«Vedi che mi costringi a fare? Ti rendi conto che esageri?». «Abbiam sbagliato tutto» mormorò lei. (SNC 33)
Le parole che accompagnano lo schiaffo confermano la concezione sessista della moglie considerata come proprietà, qualcuno da educare alla sottomissione.
«Tu non ti chiami più Cerullo. Tu sei la signora Carracci e devi fare quello che ti dico io. Lo so, non sei pratica, non sai cos'è il commercio, ti pensi che i soldi li trovo per terra. Ma non è così. I soldi li devo far crescere. Hai disegnato le scarpe, tuo padre e tuo fratello sanno faticare bene, ma voi tre insieme non siete in grado di far crescere i soldi. I Solara sì, e allora - stammi bene a sentire - non me ne fotte niente se quella gente non ti piace. Marcello fa schifo pure a me, e quando ti guarda anche solo di sguincio, quando penso alle cose che ha detto di te, mi viene voglia di ficcarli un coltello nella pancia. Ma se mi serve per far crescere i soldi, allora diventa il migliore amico che ho. E sai perché? Perché se i soldi non crescono, questa macchina non ce l’abbiamo più, questo vestito non te lo posso più comprare, perdiamo pure la casa con tutto quello che c’è dentro, finisce che non fai più la signora, e i nostri figli cresceranno come figli di pezzenti. Quindi azzardati un’altra volta sola a dirmi le cose che m’hai detto stasera e questa bella faccia te la rovino in un modo che non potrai più uscire di casa. Ci siamo capiti? Rispondi». Lila fece gli occhi a fessura. La guancia le era diventata violacea, ma per il resto era pallidissima. Non gli rispose. (SNC 34)
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Lo schiaffo viene accolto da Lila con incredulità perché, nonostante l’epilogo scioccante della loro
festa di matrimonio, crede ancora alla falsa calma di Stefano, al suo desiderio di cambiamento,
alla fiaba d’amore in cui aveva sperato.
Anche al loro arrivo ad Amalfi, fuori dal perimetro del rione, quando entrambi sentono la goffaggine e l’inadeguatezza di chi non ha mai alloggiato in albergo, Lila coglie nei gesti e nel
viso del marito un senso d’inferiorità mal dissimulato dall’arroganza:
Arrivarono ad Amalfi in serata. Nessuno dei due era stato mai in un albergo, si comportarono in modo molto impacciato. Stefano soprattutto fu intimidito dai toni vagamente ironici dell’addetto alla reception, assunse senza volerlo atteggiamenti subordinati. Quando se ne accorse, coprì gli imbarazzi con modi bruschi, le orecchie gli s’infiammarono alla sola richiesta di mostrare i documenti. Comparve intanto il facchino, un uomo sui cinquanta con baffi sottilissimi, ma lui lo respinse come se fosse un ladro, poi ci ripensò e sprezzante gli diede una lauta mancia pur non usufruendo del servizio. Lila lo seguì carico di valigie su per le scale e – mi raccontò – gradino dietro gradino ebbe per la prima volta l’impressione di aver perso per strada il ragazzo sposato al mattino, di accompagnarsi a uno sconosciuto. Stefano era davvero così largo, le gambe corte e grasse, le braccia lunghe, le nocche bianche? A chi si era legata per sempre? La furia che l’aveva travolta durante il viaggio lasciò il posto all'ansia. (SNC 34-35)
Di pagina in pagina Stefano subisce una vera e propria metamorfosi che annienta ogni illusione di
Lila, intrappolandola in quel labirinto di miseria e violenza da cui ha creduto di essere riuscita a
sottrarsi:
Tutto le era velocemente cambiato nella testa. All'improvviso, della storia delle scarpe non le importava più nulla, anzi non riusciva nemmeno a capire perché se la fosse presa tanto nel vederle ai piedi di Marcello. Ora invece l’atterriva e la faceva soffrire la fede spessa che le luccicava all'anulare. Ripercorse incredula la giornata: la chiesa, la funzione religiosa, la festa. Cosa ho fatto, pensò stordita dal vino, e cos’è questo cerchietto d’oro, questo zero luccicante dentro cui ho infilato il dito. Ne aveva uno anche Stefano, gli brillava tra peli nerissimi, dita villose, si diceva nei libri. Se lo ricordò in costume da bagno come l’aveva visto al mare. Torace largo, rotule grosse come ciotole rovesciate. Non c’era nemmeno il più piccolo dettaglio di lui che, una volta rievocato, le rivelasse un qualche incanto. Era un essere, ormai, con cui sentiva di non poter condividere nulla e che invece era lì in giacca e cravatta e muoveva le labbra gonfie e si grattava un orecchio dal lobo carnoso e spesso attingeva con la forchetta dal piatto di lei tanto per assaggiare. Aveva
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poco o niente a che fare col venditore di salumi che l’aveva attratta, col ragazzo ambizioso molto sicuro di sé ma di buone maniere, con lo sposo di quella mattina in chiesa. Mostrava fauci bianchissime, una lingua rossa nel foro buio della bocca, qualcosa in lui e intorno a lui s’era spezzato. A quel tavolo, nel viavai dei camerieri, tutto ciò che l’aveva portata fin lì ad Amalfi le sembrò privo di qualsiasi coerenza logica e tuttavia insopportabilmente reale. (SNC 36-37)
Finché, durante la prima notte di nozze, il padre riprende possesso del figlio, Stefano si smargina definitivamente e dalle sue crepe emerge don Achille, l’orco delle favole:
Non è mai stato Stefano, le parve all’improvviso di scoprire, è stato sempre il figlio grande di don Achille. E quel pensiero, immediatamente, come un rigurgito, portò sul viso giovane del marito tratti che fino a quel momento si erano tenuti nascosti nel sangue per prudenza, ma che erano lì da sempre, in attesa del loro momento. (SNC 41)
Il segnale più evidente di questa trasformazione è quello della «voce da orco come quella di suo padre» (SNC 80) che altera la parola mite e sentenziosa usata da Stefano sin dall’infanzia per
simulare una saggezza riflessiva e dissimulare l’odio:
Il padre lo terrorizzava con la sua presenza e lui, per reazione s’era addestrato a quel mezzo sorriso, a
movimenti lenti e tranquilli, a una distanza compassata da ogni cosa del mondo intorno, per tenere a bada
sia lo spavento che il desiderio di aprirgli il petto con le mani e divaricarglielo, strappargli il cuore. (SNC
352)
La prima esperienza sessuale di Lila si trasforma in un vero e proprio stupro, rivelando l’impossibile comprensione tra i due riguardo il sesso. Del resto, nel 1961 (anno del matrimonio)
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subalternità della donna, che veniva considerata, essenzialmente come «un meccanismo per dar
prole»93.
«Che fai, ti senti bene?». Non rispose.
Il marito aspettò un poco e bussò ancora. Poiché non accadde nulla, smosse la maniglia nervosamente, disse con tono di finto divertimento:
«Devo sfondare la porta?».
Lila non dubitò che ne sarebbe stato capace, l’estraneo che l’aspettava di fuori era capace di tutto. Anch’io, pensò, sono capace di tutto. Si spogliò, si lavò, mise la camicia da notte disprezzandosi per la cura con cui l’aveva scelta mesi prima. Stefano – un puro nome che non coincideva più con le consuetudini e gli affetti di poche ore prima – era seduto sulla sponda del letto in pigiama e balzò in piedi appena lei comparve. «Ce ne hai messo di tempo».
«Il tempo che ci voleva». «Quanto sei bella».
«Sono stanchissima, voglio dormire». «Dormiremo dopo».
«Adesso. Tu dal lato tuo, io dal mio». «Va bene, vieni».
«Sto parlando seriamente». «Pure io».
Stefano ebbe un risolino, cercò di prenderla per mano. Lei si sottrasse, lui si incupì. «Che hai?».
Lila esitò. Cercò l’espressione giusta, disse piano: «Non ti voglio».
Stefano scosse la testa incerto, come se le tre parole fossero in una lingua straniera. Mormorò che aspettava quel momento da tanto, giorno e notte. Per favore, le disse suadente, ed ebbe un gesto quasi di sconforto, si indicò i calzoni vinaccia del pigiama, mormorò con un sorriso sghembo: guarda cosa mi succede solo a vederti. Lei guardò senza volerlo ed ebbe un moto di disgusto, girò subito lo sguardo. A quel punto Stefano capì che stava di nuovo per chiudersi nel bagno e con un guizzo animale l’afferrò per la vita, la sollevò per aria e la sbatté sul letto. Cosa stava succedendo. Era evidente che lui non voleva capire. Credeva che al ristorante si fossero riappacificati, si stava chiedendo: perché Lina adesso si comporta così, è troppo ragazzina. Infatti le fu addosso ridendo, provò a tranquillizzarla.
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«È una cosa bella» disse, «non devi avere paura. Io ti voglio bene più che a mia madre e a mia sorella». (SNC 39-40)
È normale, quindi, che di fronte al rifiuto di Lila, il marito reagisca con una sorta di smarrimento
«come se le parole fossero in una lingua straniera». La contaminazione, apparentemente incongrua, di due contesti, l’amore coniugale e quello filiale e fraterno, è in realtà associato alla
violenza che incombe sulla scena e all’idea di dipendenza e di rivalsa sul corpo femminile: quello
della madre da cui il neonato esce inerme e da cui dipenderà per gran parte della sua vita, e quello
della moglie in cui il maschio vuole entrare da padrone94.
Al centro di questa dinamica vi è il nesso tra il sesso e il potere. Gli uomini vedono il sesso come
qualcosa di minaccioso e pericoloso per la propria virilità, qualcosa che può portare a «a una morte
ignobile, come effetto della dissipazione che lo slancio erotico porta necessariamente con sé.»95
La violenza, quindi, entra inevitabilmente anche nella sfera sessuale per esorcizzare la carica debilitatrice dell’Eros, inteso come intimità con il femminile, e per neutralizzare la minaccia di
svirilizzazione che l’intimità sessuale presuppone96.
Stefano si sente debole in confronto a Lila, non è in grado di dominarla e spera di riuscirci attraverso il sesso, ma in realtà sarà un dominio solo fisico. Quest’idea di disciplinamento
femminile anche attraverso l’amplesso è trasmessa da un’eredità familiare e rionale, e gli ordini
che gli rimbombano in testa sono quelli che alimentano i suoi97:
«Mo’ mi stai rompendo il cazzo, Lina».
Ripeté quella frase due o tre volte, sempre più forte, come per assimilare bene un ordine che gli veniva da molto molto lontano, forse addirittura da prima di nascere. L’ordine era: devi fare l’uomo, Ste’; o la pieghi adesso o non la piegherai più; bisogna che tua moglie impari subito che lei è femmina e tu maschio e che perciò dev’essere ubbidiente. (SNC 40)
94 DE ROGATIS, 2018, pp. 216-217. 95 BELLASSAI, 2012. p. 54.
96 Ibidem.
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Nella scena centrale dello stupro, Ferrante è innovativa: la focalizzazione si sposta, spesso, su
Stefano, sul suo corpo e sui suoi processi mentali, al contrario di ciò che accade più
frequentemente, per cui lo stupro si evoca in relazione al corpo femminile violato e offeso. La scrittrice sceglie di spostare l’attenzione su un versante di solito poco analizzato, cioè la miseria
di molte forme d’identità sessuale maschile. I pensieri di Stefano gravitano tutti intorno alla
legittimazione della violenza che usa: se dà uno schiaffo a Lila è perché è stato provocato («vedi
che mi costringi a fare? Ti rendi conto che esageri?» [SNC 33]), se la possiede nonostante il rifiuto
è perché lei lo eccita («si indicò i calzoni vinaccia del pigiama, mormorò con un sorriso sghembo:
guarda cosa mi succede solo a vederti» [SNC 39-40]). Per lui il rifiuto della neo-sposa è solo un
capriccio dietro al quale si nasconde tutta la sua disponibilità («quanto è difficile star dietro a
questa ragazza: dice sì ed è no, dice no ed è sì» [SNC 40])98. Non bisogna dimenticare che, solo pochi anni prima, nel contesto dell’estetizzazione della violenza maschile, si parlava di donne che
«amano soltanto i gagliardi capaci di violentarle» e di «maschi fatti per il predominio maschile»99,
e che il no che vuol dire sì ricorre drammaticamente in molti dei processi di stupro.
Lo stesso sintagma «voler bene» ricorrerà spesso come giustificazione per la violenza fisica
brutalmente agita da Stefano sul corpo di Lila e testimonia un nesso ricorrente tra la sopraffazione e l’abuso travestito delle sembianze dell’amore. Questo viene testimoniato da una scena che
avviene due anni e mezzo dopo la prima notte di nozze, quando Lila annuncia a Stefano di volerlo
lasciare100:
«Me ne voglio andare». «Andare dove?».
«Non voglio stare più con te, ti voglio lasciare».
98 Ivi, p. 218.
99 BELLASSAI, 2012, pp. 55-56. 100 DE ROGATIS, 2018, pp. 218-219.
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Stefano non seppe fare altro che mettersi a ridere. Quelle parole gli sembrarono così madornali che per qualche minuto sembrò sollevato. Le diede un pizzicotto su una guancia, le disse col suo solito mezzo