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Figure maschili in Elena Ferrante

70 AGUILAR, 2015 71 SAPEGNO,2018, p 27.

1.3. Altri personaggi maschil

1.3.2. Rino e la smarginatura

Nella quadrilogia uno dei primi personaggi maschili che incontriamo è Rino Cerullo, il fratello di Lila, che, per usare le parole della Morante, è uno di quei meridionali «severi, d’onore, sempre

attenti alle loro sorelle» (SA 18).

Rino aveva quasi sei anni più di Lila, era un ragazzo coraggioso che brillava in tutti i giochi del cortile e della strada, soprattutto nel lancio dello strùmmolo. Ma leggere, scrivere, fare i conti, imparare le poesie a memoria, non erano cose per lui. A meno di dieci anni il padre, Fernando, per insegnargli il mestiere di risuolatore di scarpe aveva cominciato a portarselo ogni giorno nel suo bugigattolo di calzolaio in una viuzza oltre lo stradone. Noi bambine, quando lo incontravamo, gli sentivamo addosso l’odore dei piedi sporchi, della tomaia vecchia, del mastice, e lo prendevamo in giro, lo chiamavamo solapianelle. Forse per questo lui si vantava di essere all’origine della bravura di sua sorella. Ma in realtà non ce l’aveva mai avuto, il sillabario, e non era stato seduto nemmeno un minuto, mai, a fare i compiti. Impossibile dunque che Lila avesse imparato dalle sue fatiche scolastiche. (AG 39)

All’inizio è rappresentato come un personaggio positivo: è molto protettivo verso la sorella. Per

esempio durante una competizione scolastica Lila risulta essere più brava di Alfonso Carracci, il

figlio minore di don Achille, per questo sgarbo, il fratello maggiore di Alfonso, Stefano, al tempo

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Suo fratello Stefano, di quattordici anni, apprendista salumiere nella salumeria (l’ex bottega del falegname Peluso) di cui era proprietario suo padre, che però non ci metteva mai piede, il giorno dopo venne sotto scuola e disse a Lila bruttissime cose, arrivando a minacciarla. A un certo punto lei gli gridò un insulto molto osceno, lui la spinse contro un muro e cercò di afferrarle la lingua, gridando che gliela voleva pungere con uno spillo. Lila tornò a casa e raccontò tutto a suo fratello Rino, che più lei parlava, più diventava rosso e con gli occhi lucidi. […] Rino, al mattino, andò a cercare Stefano e fecero a botte, dandosele di santa ragione in modo più o meno paritario. (AG 49)

Rino crede molto nelle capacità della sorella e prova in tutti i modi a convincere il padre a farla

studiare, arriva a chiedergli di essere stipendiato per il suo lavoro nel calzaturificio così da

poterle pagare lui gli studi.

Rino invece la proteggeva. Quando ci fu la questione dell’esame di ammissione, tra lui e il padre esplosero litigi di continuo. Rino a quell’epoca aveva all’incirca sedici anni, era un ragazzo molto nervoso e aveva cominciato una sua battaglia per essere pagato per il lavoro che faceva. Il suo ragionamento era: mi alzo alle sei; vengo al negozio e lavoro fino alle otto di sera; voglio un salario. Ma quelle parole scandalizzavano sia il padre che la madre. Rino aveva un letto dove dormire, aveva di che mangiare, perché voleva soldi? Il suo compito era aiutare la famiglia, non impoverirla. Ma il ragazzo insisteva, trovava ingiusto sgobbare quanto il padre e non ricevere un centesimo. A quel punto Fernando Cerullo gli rispondeva con apparente pazienza: «Io ti pago già, Rino, ti pago profumatamente insegnandoti il mestiere completo: tu presto non saprai solo rifare i tacchi o l’orlo o rimettere la mezza piantella; tuo padre tutto quello che sa te lo sta passando e presto arriverai a fare, a regola d’arte, una scarpa intera». Ma quel pagamento a base d’istruzione a Rino non bastava e quindi battibeccavano, specialmente a cena. Si cominciava parlando di soldi e si finiva a litigare per Lila.

«Se tu mi paghi ci penso io a farla studiare» diceva Rino. «Studiare? Perché, io ho studiato?».

«No».

«E tu hai studiato?». «No».

«Allora perché deve studiare tua sorella che è femmina?».

La cosa finiva quasi sempre con uno schiaffo in faccia a Rino, che in un modo o in un altro, anche senza volerlo, aveva mancato di rispetto al padre. Il ragazzo, senza piangere, chiedeva scusa con voce cattiva. (AG 65)

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Anche Lila adora il fratello e da bambina ripete spesso a Elena che «dopo aver studiato, voleva

guadagnare molti soldi al solo scopo di rendere suo fratello la persona più ricca del rione» (AG

70).

Rino, come molti altri personaggi maschili esaminati, rivelerà lentamente la sua natura tutt’altro

che benevola. Quando Marcello Solara comincia a fare la corte a Lila, sfrutta l’amicizia con il

fratello. Il loro rapporto non piace a Lila e lo fa presente a Rino che però non reagisce bene:

Ma appena faceva qualche accenno critico Rino la zittiva, la minacciava, a volte la picchiava.

[…] Rino non si arrese, nei giorni seguenti continuò ad aggredire la sorella a parole e con le mani. Ogni volta che io e Lila ci incontravamo le vedevo un livido nuovo. (AG 196)

Una volta sposato con la sorella di Stefano Carracci, Pinuccia, si comporta ancora peggio del

padre, è sempre nervoso e picchia di continuo la moglie. Per questo motivo, durante l’estate passata

ad Ischia, Pinuccia si avvicinerà a Bruno Soccavo, un ragazzo educato e dai modi gentili, questo

la porterà a provare ribrezzo anche per il figlio neonato, nel quale vede i tratti del marito Rino.

Quando Lila lascia Stefano e quest’ultimo cade in rovina, crollerà anche il sogno di Rino di

diventare ricco e la possibilità di fare il signore a spese della famiglia Carracci. Questo lo porterà

sulla strada della droga, su cui condurrà, per un periodo, anche Gennaro, il figlio di Lila, motivo

per cui si incrineranno i rapporti tra i due fratelli.

Sarà proprio il nipote a rinvenire il corpo dello zio, morto a causa di un’overdose, in un vagone

abbandonato della ferrovia (Attraversarono il piazzale dello smistamento e s’incamminarono

lungo vecchi binari dove c’erano carrozze in disuso. In una di quelle trovarono Rino. Era seduto,

aveva gli occhi aperti. Il naso sembrava enorme, la barba lunga e ancora nera gli saliva per la

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Alla notizia della morte i familiari reagiscono in maniera diversa. I genitori furono gli unici ad

avvertire la perdita di Rino. La moglie Pinuccia, dopo un breve periodo di lutto, sembra rinascere:

comincia a lavorare come colf presso Elena, alla quale chiede in regalo vestiti e accessori che non

utilizza più e alla fine arriva anche a parlare male del marito e di tutta la sua famiglia.

Una mattina mi confidò che Rino era stato un vero marito solo per pochi anni, per il resto s’era comportato come un ragazzino: anche a letto, un minuto e via, in qualche caso nemmeno il minuto. Ah sì, non aveva nessuna maturità, era fanfarone, bugiardo, ma anche presuntuoso, presuntuoso come Lina. È una caratteristica della razza dei Cerullo – si arrabbiò –, sono sbruffoni e senza sentimento. Quindi cominciò a parlar male di Lila, disse che si era appropriata di tutto ciò che era frutto dell’intelligenza e del lavoro di suo fratello. Replicai: non è vero, Lina ha voluto molto bene a Rino, è stato lui che l’ha sfruttata in ogni modo. (SBP 347)

La reazione di Lila alla morte del fratello, in realtà, avvalora le maldicenze di Pinuccia,

attribuendogli tutti i meriti della vicenda delle scarpe, ne lodò la fantasia e la competenza e afferma

che «se non si fossero intromessi i Solara sarebbe potuto diventare meglio di Ferragamo» (SBP

348).

Lila cerca di mantenere vivi solo i ricordi positivi del fratello, rievocando solo la figura del ragazzo che l’aveva difesa contro il padre manesco, che l’aveva assecondata nelle sue smanie da ragazzina

e che aveva sempre cercato sbocchi per la sua intelligenza.

Proprio attraverso il fratello Lila, prova, per la prima volta, la sensazione di smarginatura che

segnerà poi tutta la sua esistenza e che è uno dei temi fondanti di tutta la quadrilogia.

All’improvviso, durante la notte di Capodanno del 1958, nel corso della rumorosa guerra simbolica tra maschi sui fuochi d’artificio, Lila si sente invadere da una strana sensazione:

Malgrado il freddo aveva cominciato a coprirsi di sudore. Le era sembrato che tutti gridassero troppo e che si muovessero troppo velocemente. Questa sensazione si era accompagnata a una nausea e lei aveva avuto

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l’impressione che qualcosa di assolutamente materiale, presente intorno a lei e intorno a tutti e a tutto da sempre, ma senza che si riuscisse a percepirlo, stesse spezzando i contorni di persone e cose rivelandosi. cuore le si era messo a battere in modo incontrollato. Aveva cominciato a provare orrore per le urla che uscivano dalle gole di tutti quelli che si muovevano per il terrazzo tra i fumi, tra gli scoppi, come se la loro sonorità obbedisse a leggi nuove e sconosciute. Le era montata la nausea, il dialetto aveva perso ogni consuetudine, le era diventato insopportabile il modo secondo cui le nostre gole umide bagnavano le parole nel liquido della saliva. Un senso di repulsione aveva investito tutti i corpi in movimento, la loro struttura ossea, la frenesia che li scuoteva. Come siamo mal formati, aveva pensato, come siamo insufficienti. Le spalle larghe, le braccia, le gambe, le orecchie, i nasi, gli occhi, le erano sembrati attributi di esseri mostruosi, calati da qualche recesso del cielo nero. (AG 85)

Quest’impressione si era concentrata soprattutto sull’amato fratello Rino:

Il ribrezzo, chissà perché, si era concentrato soprattutto sul corpo di suo fratello Rino, la persona che pure le era più familiare, la persona che amava di più. Le era sembrato di vederlo per la prima volta come realmente era: una forma animale tozza, tarchiata, la più urlante, la più feroce, la più avida, la più meschina. Il tumulto del cuore l’aveva sopraffatta, si era sentita soffocare. Troppo fumo, troppo malodore, troppo lampeggiare di fuochi nel gelo. (AG 86)

Rino si smargina, la sua forma corporea si rompe, come se i razzi dei fuochi d’artificio gli

spaccassero la carne e facessero «sgocciolare da lui un altro fratello disgustoso» (SBP 163), che

Lila deve subito far rientrare nella sua forma per evitare che gli si rivolti contro per farle male. Alla base di questa fenomenologia c’è la logica dell’irrazionale - inteso in senso matematico - e

degli insiemi infiniti, in cui una parte può stare per il tutto, come accade ad esempio nella

metonimia, una logica che rovescia quindi il rapporto tra la parte e l'intero, compromettendo i

confini che contengono quest'ultimo. L'irrazionale matematico spiega anche la fenomenologia

degli spiragli che si aprono «tra una cosa normale e l'altra» (SBP 167), attraverso i quali il mondo

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scompaiono misteriosamente. Lila stessa diventa l’incarnazione di questa percezione metaforica

che avverte di continuo la logica confusiva e caotica dell’inconscio115.

Il crollo delle false sicurezze provocato dalla smarginatura genera nelle protagoniste «una

folgorante resurrezione dei morti» (FR 356). Questo senso di perdita e destabilizzazione è

fondamentale per ricominciare e creare un nuovo equilibrio che, però, «non è necessariamente più

avanzato del precedente e nemmeno più stabile» (FR 215).