Gli uomini in Elena Ferrante vengono descritti in maniera tutt’altro che positiva. Spesso appaiono
superficiali, violenti, bugiardi, impegnati a dimostrare una posizione di dominio in una società che
può sempre di più fare a meno di loro. Il risultato è un uomo disorientato che reagisce alla
mancanza di effettivo potere nella vita della donna attraverso la violenza fisica, come quella di
Stefano che cerca di farsi amare da Lila a suon di botte, o attraverso la violenza verbale, come
quella di Nino fatta di frasi melliflue e parole d’amore pronunciate per continuare a mentire e
amare, in realtà, solo sé stesso.
Anche gli uomini che appaiono parzialmente positivi – Pietro, Enzo, Mario – in realtà incarnano
una figura di uomo mancante. Pietro è un uomo colto, educato, il classico buon partito, ma che si
dimostra, a dispetto di tutte le sue idee progressiste, maschilista: nonostante sia affezionato alle
figlie, si dedica molto più al lavoro che alla famiglia, e ha bisogno di una moglie sufficientemente
intelligente e colta per comprendere i suoi discorsi ma sostanzialmente muta e dipendente dal suo
sapere. Enzo è un uomo integro, devoto alla donna amata e un buon padre di famiglia, ma sembra
privo di personalità, si confonde sullo sfondo e non riesce ad emergere. Mario è stato per
venticinque anni un marito fedele per Olga, ma non esita ad abbandonarla per una donna più
giovane.
Le caratteristiche negative dei personaggi maschili si intravedono anche nei loro corpi, nel volto
quadrato di Enzo, nelle figure pesanti di Stefano e Pietro, nel corpo snello e sfuggente di Nino.
Sono, invece, poche le descrizioni dei corpi femminili, salvo le allusioni alle trasformazioni prima
della pubertà e poi delle maternità142.
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Anche nell’atto sessuale a dominare è la fisicità dell’uomo: «in queste pagine il coito è quasi
sempre un atto di violenza, una penetrazione che diventa figura polemica, scorcio abbreviato dell’incontro fra donna e uomo»143.
Nelle pagine di Ferrante il sesso viene raccontato solo quando è rivoltante e doloroso: se è piacevole viene solo accennato. Per esempio vi è solo un’allusione alla prima notte d’amore tra
Lila e Nino attraverso i quaderni che la ragazza regala a Elena, ma quelle pagine non vengono
riportate nel romanzo.
Piuttosto ritorna il tema della perdita d’identità e della smarginatura che la penetrazione forse non
provoca, ma sicuramente rivela. Già nei Giorni dell’abbandono Olga, poco dopo essere stata lasciata dal marito, trasforma l’amore in un atto animalesco in cui la donna si illude di possedere
un’identità. In realtà l’uomo è solo una «canna che emette suoni di falsità» e «noi donne siamo
occasioni […] Scambiamo per chissà quale cortesia rivolta solo a noi il banale desiderio di fottere»
(IGA 81).
Questo senso di smarrimento dell’identità dovuto all’atto sessuale torna amplificato nell’ Amica
geniale. Elena racconta il rapporto sessuale con Nino, nel bagno della casa in cui vive con Pietro,
come un «frangersi, mescolarsi, non sapere più cos’era mio e cos’era suo» (SFR 354).
«È il corpo dell’uomo, e non della donna, che provoca sgomento»144: infatti, la sensazione di
smarginatura provata da Lila si manifesta per la prima volta mentre osserva i corpi dei maschi
intenti a ballare in una festa di fine anno. Vedendo quelle «figure nere travolte dalla festa, dal cibo, dallo spumante», Lila prova una repulsione cosmica: «Come siamo mal formati, […] come siamo
insufficienti. Le spalle larghe, le braccia, le gambe, le orecchie, i nasi, gli occhi, le erano sembrati
attributi di esseri mostruosi, calati da qualche recesso del cielo nero» (AG, 86).
L’atto sessuale conferma a Lila che i margini non esistono, tanto che teme di svegliarsi e trovare
il marito «sformato nel letto, ridotto a escrescenze che scoppiavano per troppo umore, la carne che
143 Ibidem. 144 Ivi, p. 119.
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colava disciolta, e con essa ogni cosa intorno, i mobili, l’intero appartamento e lei stessa, sua
moglie, spaccata, risucchiata in quel flusso sporco di materia viva» (SNC 355).
Il sesso sembra essere l’unico breve contatto possibile tra uomo e donna e l’unica traccia che ne rimane sono i figli:
questo distratto inseminare dei maschi, storditi dal piacere. Ci fecondano, sopraffatti dal loro orgasmo. Si affacciano dentro di noi e si ritraggono lasciandoci, celato nella carne, il loro fantasma come un oggetto smarrito. (SFR 339-40)
Anche Silvia attesta l’estraneità che prova nei confronti della figura maschile: «Un maschio, a
parte i momenti pazzi in cui lo ami e ti entra dentro, resta sempre fuori. Perciò, dopo, quando non
lo ami più, ti dà fastidio anche solo pensare che una volta l’hai voluto […]. Solo il bambino resta,
è una parte di te; il padre invece era un estraneo e torna un estraneo» (SFR 73).
Il tema dell’amore, nei suoi risvolti negativi, se non tragici, entra in scena nella quadrilogia in
relazione alla figura di Melina, brutalmente definita nell’indice dei personaggi come «la vedova pazza». L’abbandono di Donato Sarratore, il ferroviere-poeta, che era stato l’amante di Melina,
porta la donna alla follia. La metamorfosi della miseria si conclude nella descrizione di due gesti
indimenticabili: mentre per strada (quindi pubblicamente) mangia le scaglie di detersivo
prendendole direttamente dal cartoccio del negozio e quando ingoia acqua sporca dal secchio che
usa per pulire le scale delle palazzine.
Quando Melina, dopo anni di abbandono, riceve da Donato un libro di poesie con dedica,
sottolineato in alcune pagine a lei evidentemente ispirate, il suo personaggio viene riscattato:
Melina non era pazza, […] Donato si era veramente innamorato di lei e l’amava ancora. […] Dunque, sotto i nostri occhi era nato un suo tragico amore, e a ispirarglielo era stata una persona che conoscevamo benissimo, vale a dire Melina. (AG 123-124)
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La donna viene, quindi, paragonata da Lila all’eroina virgiliana Didone, metafora di una parabola
femminile di vulnerabilità145. Lila teme di condividere con Melina il rischio dello sconfinamento dalla ragione alla follia: vede in lei ciò che riconosce come un comune destino: l’essere annullata
dalla cultura patriarcale, deformata da un destino di dolore, sofferenza e miseria146.
Anche Olga e Lila subiranno l’abbandono da parte del marito Mario e di Nino Sarratore, ma la perdita le cambia «senza annientarle» (FR 179). Ferrante sottolinea che l’amore inteso come
perdita è «la tematica più crudamente posta dalle esistenze femminili» (FR 72). In questo senso la perdita sottolinea l’asimmetria sociale ed economica tra i generi e implica per la donna un declino
di immagine, di status, di collocazione nel mondo. Il vuoto che ne consegue provoca uno
«smarrimento sociale che acuisce quello emotivo, e viceversa: la vita quotidiana dopo l’abbandono, è “l’esperienza più vicina al mito della cacciata dal paradiso terrestre” (FR 81)»147.
Sembra che, più che di amore, sia necessario parlare di eros, inteso come pulsione destabilizzante di qualsiasi normativa, ma fondamentale nell’ambito della ricerca della propria identità. In
un’intervista rilasciata a «Repubblica», nel settembre 2012, Ferrante parla dell’amore e dell’eros
come forze che mal riusciamo a governare, ma che piuttosto ci governano:
una storia d'amore è sempre la storia di uno squilibrio. In genere noi pensiamo che lo squilibrio intervenga quando l'amore finisce. In realtà sia le gioie, sia le pene dell'amore (intendo qualsiasi tipo d'amore, da quello materno a quello per il genere umano o per un dio) muovono da uno stato d'eccezione in cui l'essere umano dà il meglio e il peggio di sé proprio perché la norma è sospesa, il punto d'equilibrio è rotto. […] Un secolo di psicoanalisi ci ha mostrato che la gran parte degli istituti umani fondamentali (dalla famiglia alla religione, non esclusa tra l'altro l'arte del racconto) sono tentativi di mettere Eros al lavoro dentro una normativa, di ridurre il suo squilibrio a un equilibrio. Ma sono tentativi costituzionalmente destinati al fallimento. Nei libri che ho scritto, e anche in questo secondo volume dell'Amica geniale, l'amore o è molesto o non è 148.
145 DE ROGATIS, 2018, p. 86. 146 Ivi, p. 91.
147 Ivi, p. 84. 148 MAURI, 2012.
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