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la vittoria dell’Osservanza, tra accentramento e riforma

Sotto Alessandro VI (1492-1503) i tentativi papali di dirigere dal centro i movimenti di riforma si fecero più profondi ed incisivi. Nel 1500 vennero varate per l’Ordine francescano le Constitutiones Alexandrinae, che tendevano certo al rafforzamento del rinnovamento religioso, ma soprattutto ad una vera e propria riforma strutturale amministrativa, che vedeva coinvolte anche le autorità locali, e che doveva favorire il controllo da parte della Santa Sede delle famiglie religiose130. Ciò si inseriva

129 Sull’elezione di Bartolomeo Comazio vedi Mortier, op. cit., IV pp. 590-592.

130 Su di esse cfr. Sella, op. cit., pp. 259-264.

perfettamente nella politica di Alessandro VI, tesa a consolidare la monarchia pontificia in maniera ancora più netta che in passato.

Da Niccolò V a Innocenzo VIII è possibile rintracciare una linea comune che vede i pontefici garantire l’autonomia dell’Osservanza lasciando tuttavia sussistere una pluralità di gruppi riformati. Questa tendenza si arrestò invece con il pontificato di Alessandro VI, che con la riforma amministrativa, portata avanti anche dai successori, cercò di uniformare i gruppi riformati.

Sotto il pontificato Borgia si assistette ad un accelerato sviluppo del movimento osservante, sia in ambito francescano che domenicano. Il pontefice appoggiò fortemente l’Osservanza, tanto da dichiarare i frati osservanti francescani passati ai conventuali incapaci di ereditare, contrastando di fatto il passaggio tra i due gruppi in questa direzione. Sotto questo pontificato le concessioni per la fondazione di conventi osservanti francescani o per il passaggio dal governo conventuale a quello osservante sono circa un centinaio131, mentre pochissime sono le licenze per nuove fondazioni conventuali.

La politica di Alessandro VI andava in questo senso di pari passo, per entrambi gli Ordini, con quella portata avanti dai Re Cattolici in Spagna132. Ferdinando ed Isabella, infatti, fin dai primi anni novanta del Quattrocento, intrapresero un ampio progetto di riforma delle istituzioni ecclesiastiche, del clero e degli Ordini religiosi spagnoli. Protagonista delle riforme fu l’austero francescano osservante Francesco Jiménez de Cisneros, confessore di Isabella, che s’impegnò nella finalità di pervenire all’unità dell’Ordine francescano dal punto di vista Osservante, tentando addirittura di eliminare completamente i Conventuali. Nel 1498-99 dunque i Re Cattolici, in accordo con Cisneros e con lo stesso Alessandro VI, promossero la celebrazione di

131 Wadding, Annales XV.

132 Sulla politica religiosa dei re cattolici vedi Tarcisio de Azcona, La elecciòn y reforma del episcopado espaňol en tiempo de los Reyes Catòlicos, Madrid, 1960; Elliot J. H., la Spagna imperiale (1469-1716), Bologna, Il Mulino 1963, pp. 109 ss.

un “capitolo generalissimo” e l’elezione di un Ministro Generale Osservante.

Nonostante l’impegno dei sovrani e del pontefice, il progetto naufragò, non soltanto per l’opposizione conventuale, ma anche per lo stesso rifiuto degli osservanti, che non ritenevano percorribile questa strada, considerando i conventuali irriformabili133. Il pontefice appoggiò fortemente anche l’Osservanza domenicana, tanto che con i decreti del 23 gennaio 1494 annullò pressoché completamente l’autorità del Maestro Generale sui riformati lombardi134. L’atteggiamento di Alessandro VI emerse anche nelle vicende francesi: nel 1497 infatti, grazie all’appoggio del pontefice, del re di Francia Carlo VIII e del cardinal protettore Oliviero Carafa, venne eretta la Congregazione di Francia, sul modello della Congregazione Lombarda. Anche in questo regno, l’Osservanza godeva ormai del diretto appoggio reale, tanto che Carlo VIII prese la Congregazione sotto la sua protezione135. La collaborazione tra il Borgia e il re di Francia in questa occasione si situava nell’ambito del sostanziale, anche se altalenante, accordo tra i due che era seguito alla calata di Carlo VIII nel 1494.

Durante il pontificato di Alessandro VI avvenne l’ultimo atto della vicenda di Savonarola. Il famoso predicatore aveva preso l’abito domenicano nel convento di Bologna, appartenente alla Congregazione Lombarda, nell’aprile del 1475. Nel 1482 era stato assegnato al convento di S. Marco di Firenze, dove egli iniziò la sua opera di riforma, finché dieci anni dopo, nel 1492, elaborò il progetto di separare il convento dalla Congregazione Lombarda. I Lombardi erano contrari, ma Savonarola aveva dalla sua parte il cardinale protettore Carafa, ed il 22 maggio 1493 Alessandro VI acconsentì alle richieste togliendo il convento di S. Marco dalla giurisdizione della Congregazione Lombarda, ed assegnandola alla semplice dipendenza dal Maestro Generale e dal protettore. Il Generale Torriani delegò al Savonarola poteri

133 Merlo, Nel nome di San Francesco, p. 369.

134 Bullarium O. P. IV, 104.

135 Cfr. Mortier, op. cit. V, pp. 17-18

da provinciale, ed il 19 novembre 1493 sottomise i conventi di S. Domenico di Fiesole, di S. Domenico di S. Geminiano e di S. Caterina di Pisa alla giurisdizione del priore di S. Marco, sottraendoli da quella dei Lombardi. Infine, nel 1494, l’unione dei conventi prese forma giuridica con la formazione della Congregazione di S. Marco. Tuttavia, solo un anno più tardi, a causa dell’influenza dei molti nemici di Savonarola nonché dei suoi attacchi contro l’immoralità del papa Borgia, iniziò a profilarsi la soppressione della Congregazione. Nel 1496 si cercò di attuare una soluzione di compromesso: Alessandro VI, con il breve del 7 novembre, tolse alla Congregazione Lombarda i conventi di S. Maria della Quercia di Viterbo, S. Spirito di Siena e S. Sabina di Roma, unì loro altri undici conventi, tra i quali S. Marco e Fiesole, formando una nuova congregazione sotto il nome di Congregazione Toscano-Romana, composta dunque da sedici conventi. La soluzione non fu però accettata dal Savonarola, che vi vide la fine della sua opera, e rifiutò di obbedire al pontefice. Ciò sarà uno dei capi di accusa che porteranno alla sua condanna, conclusasi, dopo alcuni tentativi di riabilitazione, con l’esecuzione del 23 maggio 1498. Con la morte di Savonarola, però, non si chiusero, come ricorderemo in seguito, le vicende del movimento savonaroliano.

Tra i motivi del fallimento della riforma come concepita da Savonarola vi fu certamente il suo carattere “settario”. Nel momento in cui scopo principale era quello di mantenere l’unità dell’Ordine, ed il carattere unitario della riforma, non erano certo visti certo di buon occhio esperimenti “centrifughi”, anche se di alto valore spirituale. Ma soprattutto, Savonarola era portatore di idee per molti versi opposte a quelle delle quali erano partigiani da tempo i domenicani osservanti: mentre questi si facevano fautori dell’assolutismo pontificio e paladini del papato contro il conciliarismo, il frate ferrarese lavorò intensamente per organizzare un Concilio che avrebbe dovuto deporre l’“indegno” pontefice Alessandro VI, in accordo con la Chiesa gallicana.

Anche in ambito domenicano venne comunque portato avanti, in questo periodo, il progetto di unire l’Ordine sotto la direzione dell’Osservanza. In questo caso la volontà di far eleggere un Maestro Generale osservante ebbe successo: nel Capitolo

Generale di Roma del 1501, anche grazie all’intervento del pontefice e del cardinale protettore Oliviero Carafa, venne eletto Vincenzo Bandelli da Castelnuovo (Lombardia), appartenente alla Congregazione Lombarda136.

All’inizio del Cinquecento il problema della riforma degli Ordini si sarebbe posto in un contesto differente, reso più drammatico dalla crisi religiosa che sarebbe nel breve periodo sfociata dello scisma luterano, e dalle guerre d’Italia e dalla lacerazione europea che avrebbe esasperato il clima generale. I pontefici non colsero queste esigenze.

Così Giuliano Della Rovere, che prese il nome di Giulio II (1503-1513)137, e che, entrato nell’Ordine Francescano sotto la protezione dello zio Francesco, e dopo l’elezione pontificia di quest’ultimo, aveva compiuto una rapida carriera ecclesiastica, essendo nominato cardinale il 15 dicembre dello stesso 1471 e poco dopo protettore dell’Ordine francescano, si impegnò soprattutto per il consolidamento dello Stato della Chiesa e la sua risoluta politica in questo ambito non andò di pari passo con ampi tentativi di riforma né con una fine comprensione dei sintomi della grande crisi religiosa che andava maturando in Europa138.

Come suo zio, appoggiò l’Osservanza, ma mantenne tuttavia un atteggiamento ambiguo, dovuto probabilmente ai molti legami che univano la sua famiglia ai Conventuali.

Si proposero di nuovo, inutilmente, sotto questo pontificato, i tentativi per l’elezione di un Ministro Generale osservante, auspicata già sotto Alessandro VI in particolare dai Re Cattolici. Nel capitolo Generalissimo convocato da Giulio II per la Pentecoste

136 Su Bandelli vedi A. Ferrua, Vincenzo Bandelli, in DBI 5 (1963), ad vocem; Mortier, op. cit.

137 Su Giulio II rinvio a: Shaw V. C., Giulio II, SEI 1995; A. Pastore, Giulio II in Enciclopedia dei papi III, pp. 31-41.

138 A. Pastore, op. cit., p. 39.

del 1506, il Maestro Generale Egidio Delfini presentò un piano che prevedeva l’eliminazione dei vicari ed il compimento della riforma sotto la direzione dei Ministri. Il tentativo fallì poiché fu respinto da entrambi i gruppi religiosi, e fu l’ultimo compiuto nella direzione dell’unità, sebbene non a favore degli osservanti ma a quello dei conventuali. Dal Capitolo la posizione dei conventuali uscì addirittura rinforzata, poiché essi non vennero obbligati ad alcuna riforma.

In Spagna, le iniziative contro i conventuali invece continuarono, e nel 1507 Ferdinando addirittura decretò la loro espulsione dal regno aragonese. Il Ministro Generale, per evitare che un simile provvedimento venisse attuato, negoziò con il Re Cattolico, e gli concesse il diritto di designare i provinciali minoritici di Castiglia e di Aragona139. Scopo della politica di Isabella e Ferdinando era quello più generale di rafforzare l’unità politica dei reinos che era solo dinastica attraverso il controllo della Chiesa di Spagna. Essi riuscirono ad ottenere dai pontefici che i benefici spagnoli non venissero più dati a stranieri e che il papa nominasse come vescovi delle diocesi di Spagna persone indicate dai regnanti. Allo stesso tempo, conseguirono così una non insignificante intromissione nella gestione delle ricchezze della Chiesa140. L’acquisizione del diritto di designare i provinciali francescani andava in questa stessa direzione.

Un’altra dimensione “politica” della lotta contro i conventuali, perseguita con tanto impegno in questo periodo dai re cattolici, concerneva il controllo delle comunità. Le municipalità vedevano infatti nei frati conventuali e nei loro istituti, “una sorta di riferimento simbolico, a livello sia religioso sia politico, da sostenere contro l’invadenza del potere regio”141, mentre gli osservanti erano alleati della monarchia

139 Cfr. Merlo, Nel nome di San Francesco, p. 372.

140 Cfr Elliott, op. cit., pp. 109 ss.

141 Merlo, Nel nome di San Francesco, p. 373.

nel progetto di ampliamento delle prerogative reali anche rispetto alle istituzioni locali.

Giulio II proseguì l’opera di Alessandro VI riguardo alla centralizzazione dell’Ordine francescano e al maggior controllo pontificio sulle diverse espressioni religiose che lo formavano; in particolare, il pontefice cercò di stabilire una certa unità nel pluralismo delle congregazioni riformate, imponendo a Clareni, Amadeiti, Colettani ed altri gruppi di scegliere se aderire agli Osservanti o ai Conventuali; nel caso dell’ingresso tra questi ultimi, la riforma doveva comunque essere mantenuta.

Inoltre, il pontefice spianò la strada alla bolla leonina Ite vos rivendicando l’“autenticità francescana” degli osservanti contro gli attacchi dei Collettani e dei Conventuali.

Per quanto riguarda l’Osservanza Lombarda, il 23 gennaio 1504 Giulio II confermò tutti i privilegi accordati alla Congregazione da Alessandro VI142, dato che per la Congregazione restava essenziale salvaguardarsi dalle ingerenze dei Maestri Generali. Tuttavia, soprattutto a partire dai primi anni del Cinquecento i Maestri Generali dell’Ordine domenicano aumentarono notevolmente il loro potere, soprattutto grazie a rapporti molto più stretti con la Santa Sede. A favorire questo rafforzamento del loro ruolo fu certamente anche la levatura spirituale e culturale di due figure quali i Maestri Generali Vincenzo Bandelli e soprattutto il famoso teologo Tommaso de Vio Caetano143, entrambi provenienti dalle file della Congregazione Lombarda, rigorosi riformatori, molto vicini ai pontefici. Quanto era stato tentato senza successo in ambito francescano, ovvero l’elezione alla massima carica di un osservante, riuscì invece più volte nell’Ordine domenicano e ciò influì certamente sulla diversa evoluzione delle vicende dei due ordini. Vincenzo Bandelli (1501-1506), infatti, temendo la disgregazione dell’Ordine a causa della troppa indipendenza della Congregazione Lombarda, ricorse a Giulio II che il 18 marzo

142 Bullarium O. P. IV, n. 218.

143 Per la bibliografia sul Caetano rinvio a Stöve E., Tommaso de Vio, in DBI 39 (1991), ad vocem.

1505 proibì ai Lombardi di annettere nuovi conventi senza il permesso speciale del Maestro Generale. Tre anni più tardi, il 3 agosto 1508, il Caetano ottenne dallo stesso papa Della Rovere la facoltà di accettare sotto la sua giurisdizione tutti i frati che lo domandavano; ciò revocava dunque la disposizione di Alessandro VI che impediva ai frati di abbandonare i conventi osservanti senza il permesso del Vicario della Congregazione.

Sotto il pontificato di Giulio II, nonostante la non particolare sensibilità del pontefice alle questioni inerenti gli ordini, grazie al Generalato di Bandelli e poi di Caetano, l’opera di riforma, già portata in parte avanti sotto i precedenti maestri generali, fu molto potenziata. Vincenzo Bandelli, subito dopo l’elezione, stabilì di visitare tutti i conventi: cominciò dalla Francia, dove si dedicò tra l’altro al rinnovamento del convento di S. Maximin, secondo esplicita richiesta di Luigi XII. Nel capitolo generale del 1505, Bandelli lodò apertamente la Congregazione Lombarda, diede rigorose direttive di riforma e fece stampare mille copie delle Costituzioni dell’Ordine, affinché venissero utilizzate per favorire l’Osservanza.

Alla morte di Bandelli, venne eletto al generalato Giovanni Clerée (1507), confessore di Luigi XII, originario della Normandia, la cui elezione fu fortemente favorita dal fatto che in quel momento Giulio II aveva la necessità dell’aiuto francese nella guerra contro Bologna. Clerée morì tuttavia pochi mesi dopo, e nel capitolo del 1508 venne eletto, anche grazie all’appoggio del pontefice, Tommaso de Vio Caetano (1508-1518). Il Caetano si occupò durante tutto il suo incarico di favorire la riforma, con lo scopo di pervenire ad una restaurazione più completa possibile dell’Osservanza regolare.

Grande esponente del “papalismo domenicano”, illustre teologo, il Caetano ricapitolò, all’apertura del V concilio Lateranense (1512-1517), la dottrina papalista e la confutazione delle posizioni conciliariste. Ciò appariva tanto più essenziale nel momento dello scontro tra Giulio II e Luigi XII, quanto si paventava un nuovo scisma gallicano. Ancora in questo periodo, dunque, l’alleanza tra i pontefici e le Osservanze era essenziale alla stessa rivendicazione del potere papale contro gli

attacchi delle potenze europee. L’impegno del Caetano contro il conciliarismo mostra il protagonismo dell’Ordine domenicano nell’azione a sostegno del papato della restaurazione rinascimentale; come ha scritto Marco Pellegrini, “retrospettivamente, si può ravvisare nell’apologetica domenicana del Rinascimento la forza che spianò la strada alla completa affermazione del papalismo in età tridentina e persino alla definizione, a distanza di più di tre secoli, della dottrina dell’infallibilità pontificia”144. L’enorme prestigio che veniva al Caetano dall’importanza delle sue teorie facilitò certamente il corso delle vicende osservanti così come evolse durante i papati medicei.

Il pontificato di Leone X (1513-1521) segna un importante punto di arrivo nella storia francescana, tanto che Mario Fois ha scritto che la storica decisione presa da questo pontefice nel 1517 “concluse definitivamente la storia del rapporto tra i papi e l’Osservanza minoritica”, risolvendo la questione giuridica dei rapporti tra osservanti e conventuali grazie ad una decisione presa “dall’alto”.

Anche a causa di un’enorme pressione da parte dei regni europei, delle corti italiane, della nobilità, dei consigli cittadini e dei vescovi, l’11 giugno 1516 Leone X convocò il Capitolo Generalissimo che doveva essere il “capitolo dell’Unione”, e risolvere finalmente il problema delle due famiglie francescane. I Conventuali e gli Osservanti rifiutarono invece di fondersi in un solo gruppo, e vennero allora definitivamente divisi: si trattava di una vera e propria separazione, anche se veniva riconosciuta in qualche misura una predominanza osservante, capovolgendo i rapporti giuridici fino ad allora stabiliti, in quanto il Ministro Generale degli osservanti era nominato

“superiore di tutto l’Ordine”. In realtà, egli non poteva compiere alcun atto di giurisdizione nei confronti dei conventuali. Per quanto riguarda gli istituti femminili, contestualmente alle sue decisioni riguardanti l’Ordine nel complesso, Leone X sottopose tutti i monasteri del secondo Ordine al governo degli Osservanti. Come vedremo, vi saranno varie eccezioni, come nel caso di S. Silvestro in Capite a Roma, rimasto sottoposto ai conventuali fino agli anni Sessanta del secolo, ma in generale

144 Pellegrini, op. cit., p. 36.

possiamo affermare che il passaggio all’Osservanza fosse pressoché completo in ambito francescano nei primi decenni del secolo.

L’intervento di Leone X in favore delle Osservanze non sembra essere inserito in una più complessiva politica di riforma rigorosa della Chiesa. Il pontefice ebbe certo il merito di proseguire e terminare il V Concilio Lateranense, che intendeva procedere nella riforma della Chiesa in capite et membris, ma le disposizioni emanate tra il 1513 ed il 1515 rimasero lettera morta, mentre le speranze di rinnovamento evocate dalla sua elezione al pontificato, anche grazie alle sue tendenze pacificatrici, non ottennero grandi risultati. Leone X favorì ampiamente i connazionali fiorentini, non prese le distanze dal clima frivolo della corte e dagli abusi che vi venivano perpetrati, e non intuì minimamente la grande portata e le possibili pericolose conseguenze della dottrina luterana.

Gli importanti provvedimenti che egli prese nei confronti delle famiglie mendicanti appaiono da una parte figli del suo realismo politico, dall’altra diretta conseguenza delle pressioni delle case regnanti europee. Effettivamente, in questa fase, il peso dei reali, in particolare spagnoli e francesi, per la riforma, appare addirittura superiore a quello del pontefice. Nelle insufficienze di Leone X sul piano pastorale è stato visto, d’altra parte, un certo arretramento di posizioni “dinanzi alla crescita tumultuosa delle prerogative delle grandi monarchie e degli stati territoriali europei, anche in campo religioso”. Abbiamo accennato a quanto ottenuto dai sovrani spagnoli sotto Alessandro VI e Giulio II; Leone X confermò alla Spagna i privilegi papali per la Cruzada ed accettò che l’Inquisizione fosse dipendente direttamente dalla Corona.

Allo stesso tempo egli concesse che il clero francese venisse posto alle dipendenze del sovrano, e dispensò ampie concessioni al Portogallo e all’Inghilterra145.

Per quanto riguarda l’Ordine domenicano, sotto Leone X il tentativo, operato dalle alte sfere dell’Ordine in accordo con il papato, di riportare la riforma osservante all’interno delle province, togliendone il monopolio alla Congregazione Lombarda, mostrò un’evidente accelerazione. Leone X infatti, con bolla del 15 giugno 1518,

145 Pellegrini M., Leone X, in DBI 64 (2005), ad vocem.

organizzava la riforma anche all’interno delle province, senza che fosse necessario per i conventi passare alla Congregazione. Il successo che arriderà a questi tentativi permetterà un’evoluzione della storia domenicana assai diversa da quella francescana, in quanto verrà salvaguardata l’unità tra osservanti e conventuali.

Sotto il pontificatodel di Clemente VII (1523-1534) assistiamo poi alla definitiva conclusione delle vicende dell’Osservanza domenicana. L’esito non era scontato:

ancora il 17 aprile 1528 il Vicario Generale della Congregazione Lombarda ottenne poteri pressoché uguali a quelli del Maestro Generale. Vista la somiglianza tra questo modello amministrativo e quello ottenuto dai francescani sotto Leone X, ciò fece paventare una vera e propria scissione.

Il Caetano, ora non più Maestro Generale ma cardinale, convinse tuttavia il pontefice che questo sistema amministrativo non era il più efficace per la riforma dell’Ordine intero. Secondo il cardinale, infatti, in questo modo gli osservanti, pur avendo totale libertà di riforma nei confronti dei conventi loro assegnati, non potevano assistere ai capitoli ed esercitare una salutare influenza sulla riforma del resto dell’Ordine.

Occorreva cambiare completamente il sistema amministrativo. Clemente VII trasformò dunque le congregazioni osservanti in vere e proprie province, che inglobarono totalmente le vecchie province non riformate. Le congregazioni avevano favorito la riforma, permettendo che essa crescesse in ambiti “protetti”, ma adesso esse rischiavano di portare alla scissione dell’Ordine, sul modello francescano. Con il nuovo assetto amministrativo si ovviava a questo pericolo: l’Ordine domenicano risultava perfettamente unito, sotto la dirigenza osservante, che poteva ora più facilmente favorire la riforma dei conventi e dei monasteri che erano rimasti fuori dal rinnovamento.

Clemente VII, con bolla del 27 ottobre 1530, dispose dunque la soppressione della Congregazione di S. Marco, che si ritrovava così unita a quelle della Minerva e di

Clemente VII, con bolla del 27 ottobre 1530, dispose dunque la soppressione della Congregazione di S. Marco, che si ritrovava così unita a quelle della Minerva e di