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La riforma delle monache domenicane negli atti della Congregazione Lombarda

Come abbiamo visto, l’Osservanza Lombarda venne favorita dai pontefici fin dalla sua nascita. I frati della Congregazione erano vicini alla Corte romana ed inoltre strinsero già dalla seconda metà del Quattrocento stretti rapporti con le Corti italiane, proseguendo su questa linea nel secolo successivo176.

La cura dei monasteri femminili restava tuttavia, ancora negli ultimi decenni del Quattrocento, prerogativa dei Maestri Generali e delle province conventuali. Il

175 Bartolomei Romagnoli A., Il francescanesimo femminile dalle origini al Concilio di Trento, in Horowski A. (a cura di), All’ombra della chiara luce, Roma, Istituto Storico dei cappuccini 2005.

176 Vedi Zarri, Le sante vive.

passaggio degli istituti delle religiose all’Osservanza fu processo più lungo tra i domenicani che tra i francescani, a causa probabilmente di un contesto che vedeva le differenze tra conventuali e osservanti meno nette che nel mondo minoritico, oltre che un numero molto minore di monasteri.

Per il pontificato di Innocenzo VIII, tuttavia, la documentazione del Bullario domenicano prova un’influenza molto maggiore dei Lombardi sui monasteri femminili. Non a caso, proprio a partire dal 1485 la Congregazione Lombarda emanò molte disposizioni di riforma nei confronti di questi istituti. Negli Atti della Congregazione Lombarda tra il 1485 ed il 1529, la maggior parte delle disposizioni risalgono ad un periodo compreso tra il 1485 ed il 1490, mentre le disposizioni successive serviranno soltanto a ribadire quanto già disposto in questa fase.

Ovviamente, uno degli argomenti che più stavano a cuore ai frati era quello dei rapporti tra loro stessi ed i monasteri femminili e in questo senso varie disposizioni riguardano i confessori: secondo un’ordinazione del 1485, essi per confessare devono ottenere licenza dai propri superiori, non devono essere di giovane età e devono ruotare ogni anno177. Quest’ultima disposizione, riguardante la durata dell’incarico, evidentemente di difficile attuazione, viene eliminata nel 1488, ma nel 1510 si stabilisce che i confessori non devono restare in carica per più di due anni, norma che verrà ribadita anche nel 1524.

Il nucleo più numeroso di regole viene disposto nel capitolo del 1490. Molte di esse intendono affermare un netto distacco dei monasteri dall’ambiente circostante, e viene sottolineata in particolare modo la necessità della distanza delle monache dai religiosi dell’altro sesso. Viene stabilito che nessuno entri nei monasteri soggetti al Vicario generale della Congregazione Lombarda, nessuno mandi o riceva lettere o piccoli doni alle monache, né vada o mandi qualcuno ad ascoltare confessioni di monache non affidate alla Congregazione, senza averne ottenuto preventiva licenza.

Tali ordinazioni verranno poi ripetute nel 1510 e nel 1524. Nello stesso 1490 si

177 Creytens R. (a cura di), Les actes capitulaires de la congregation dominicaine de Lombardie (1482-1531), p. 255.

ordina che le monache non mandino cibo, se non assai raramente, ai confessori, mai carne, né possano inviare pietanze in un convento se ciò non è espressamente richiesto dal prelato. Nessuno, neanche il confessore, può mangiare con le monache senza licenza del prelato, e mai carne.

Alcune disposizioni riguardano il controllo del priorato. Già nel 1488 il capitolo aveva ribadito che il Vicario Generale aveva il potere di rimuovere le priore. Nel 1490 viene inoltre stabilito che per evitare le difficoltà e le molteplici molestie che spesso capitano riguardo al governo dei monasteri le priore non dovranno restare in carica per più di due anni, tranne se diversamente stabilito dal Vicario generale178. Ciò verrà ribadito nel 1501.

Nel 1490 viene anche regolarizzato il numero delle monache, mostrando come alla riforma religiosa si affiancava un certo controllo amministrativo: viene stabilito dal Vicario Generale un numero massimo di monache che possono essere accettate nei vari monasteri appartenenti alla Congregazione179. Inoltre si stabilisce che le giovani non possano prendere l’abito di terziarie prima di tredici anni, e se non sono di buona vita e di onesta fama. Tali disposizioni verranno poi ripetute nel 1501, nel 1510 e nel 1524.

Notiamo dunque come già negli ultimi decenni del Quattrocento, in ambito osservante Lombardo, si intenda affermare un netto distacco dei monasteri dall’esterno e disciplinare i contatti con gli stessi religiosi addetti al governo spirituale degli istituti. Come vedremo dallo studio dei Bollari, una delle accuse più infamanti che potevano venir rivolte in particolar modo ai conventuali che governavano gli istituti femminili era quella di comportarsi licenziosamente con le monache. Questo era uno dei motivi per i quali le comunità ricorrevano al pontefice contro i frati, per ottenere la riforma dei monasteri, che, come noto, avevano

178 Ivi, p. 266.

179 Ivi, p. 266.

l’essenziale compito di proteggere con la loro santa vita e con la loro preghiera il benessere spirituale ma anche materiale della comunità cittadina. I comportamenti licenziosi potevano creare una profonda frattura tra i frati e la cittadinanza, mentre al contrario la rinnovata alleanza tra i religiosi, in particolare gli osservanti, e le comunità, passava necessariamente attraverso una rigorosa attività di governo e di riforma delle monache.

Come emerge dalle disposizioni relative allo scambio dei doni e alla durata dell’incarico delle priore, i riformatori intendevano anche limitare le pratiche clientelari, tipiche della società esterna al chiostro, nell’ambito dei monasteri, ed allo stesso tempo evitare che si formassero rigidi gruppi di potere all’interno dei monasteri.

Poche aggiunte a queste disposizioni vengono date nel capitolo del 1510 e poi in quello nel 1529. Nel 1510 si precisa che i confessori non governino le monache né convochino i capitoli, ma ascoltino le confessioni e ammoniscano con carità, il resto lo lascino al prelato. Nel 1529 vengono aggiunte alcune disposizioni molto particolareggiate riguardo alle lettere: viene confermato l’antico precetto di non mandare lettere né di persona né tramite terzi a monache domenicane o di altri ordini senza licenza speciale ed espressa, e di non leggere lettere se prima non mostrate al superiore. Si proibisce anche di mangiare doni commestibili senza licenza. Sempre nel 1529 si ribadisce che quando i frati entrano secondo la licenza non possono parlare se non lo stretto necessario senza espressa autorizzazione del superiore.

Questa normativa che abbiamo ripercorso riguarda direttamente il monastero domenicano romano di S. Sisto. Sappiamo, infatti, dai registri del generale Tommaso de Vio Caetano, che nel 1511 questo istituto viene sottoposto al priore di S. Sabina ed entra a far parte della Congregazione Lombarda.

La riforma delle monache francescane nei registri del Ministro