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Da terziarie a monache: il caso delle terziarie domenicane e francescane a Roma

All’inizio dell’età moderna esistevano a Roma varie case di terziarie domenicane, il cui elenco preciso è difficile rintracciare449. Dai registri del Maestro Generale Gaetano sappiamo che ai primi del Cinquecento almeno due di esse vennero sottoposte al governo delle congregazioni osservanti: la casa di terziarie di Magnanapoli e quella di S. Caterina posta vicino alla Minerva.

Il 10 marzo 1509 il Caetano istituì fra Antonio da Caramanico vicario cum plenitudine auctoritatis sopra l’istituto definito S. Caterina De Urbe, un collegio di terziarie posto nelle vicinanze della chiesa della Minerva, dove le religiose non professavano i voti solenni e non vivevano in clausura, fin dalle origini. Secondo Vincenzo Maria Fontana, che nel 1658 scrive la storia del monastero di S. Caterina450, e secondo la Cronaca scritta negli stessi anni, si trattava del collegio più antico delle suore della Penitenza di S.

Domenico, formatosi subito dopo la morte di Caterina da Siena (1380), nel luogo dove la santa aveva vissuto gli ultimi anni, ovvero nella casa vicino alla Minerva, grazie all’unione di alcune nobili romane con le ultime compagne di Caterina451. Caramanico dal 1507 era reggente del convento della Minerva, ed il collegio di terziarie venne così sottoposto al convento, che nel 1498 era entrato nella nuova Provincia Romana formata

449 Sugli antichi collegi di suore a Roma, vedi Alberto Zucchi, Roma domenicana, vol. I, Firenze, Memorie Domenicane 1938, pp. 11-33.

dall’ampliamento della congregazione di S. Marco fondata da Savonarola452 e in questo periodo ospitava molti religiosi di tendenze savonaroliane. Anche in seguito la Minerva custodirà nel contesto romano l’eredità del frate ferrarese e si distinguerà per una rigida osservanza453.

I registri del Caetano attestano che il 4 marzo del 1511 il priore del convento di S.

Silvestro a Roma fu istituito direttore delle suore della penitenza del beato Domenico, di Montemagnanapoli, con la facoltà di amministrare i sacramenti e di ascoltare le confessioni delle religiose imponendo “salutari penitenze”. La disposizione venne poi ribadita nel 1513454. Il convento di S. Silvestro, come la Minerva appartenente in questo periodo alla nuova Provincia Romana, era allora il principale luogo di incontro dei savonaroliani a Roma455.

Il giorno dopo, 5 marzo, il Gaetano istituì un altro direttore spirituale, quello del monastero romano di S. Sisto, nella persona del priore di S. Sabina, convento entrato a far parte della Congregazione Lombarda nel 1483.

451 Mosse alcune signore romane dalla devozione della santa abbandonando il mondo con le sue pompe, si ritirarono a vivere nel medesimo luogo colle compagne d’essa, che erano rimaste come orfane senza la loro cara madre, apprendendo ancor esse l’habito di terziarie servirono a Dio, servendo tutte in carità, et osservanza regolare, conforme al tenore delle nostre Costituzioni, indirizzate nella via della perfezzione dalli padri nostri della Minerva. AGOP, XII 9200/EU1, Libro delle vestizioni di S. Caterina da Siena a Magnanapoli, pp. 2-3.

452 Creytens, Les actes capitulaires de la congregation dominicaine de Lombardie, p. 149.

453 Cfr. Simoncelli P., Momenti e figure del savonarolismo romano, in “Critica storica”, XI (1974), pp. 47-82.

454 De Meyer, Registrum litterarum fr. Thomae de Vio Caetani, pp. 305 ss.

A differenziare nettamente tra loro gli istituti domenicani romani fino agli ultimi decenni del Cinquecento è soprattutto il loro rapporto con la clausura: S. Sisto è monastero di clausura fin dalla fondazione, ed il distacco dall’esterno viene ribadito e rafforzato con il passaggio alla Congregazione Lombarda; al contrario i due istituti romani posti sotto la cura della Provincia Romana sono monasteri aperti e lo rimarranno fino al 1568, anno nel quale Pio V ordinerà di unire la comunità della Minerva e quella di Magnanapoli.

Secondo un censimento del 1527, vivevano in quest’ultimo monastero 30 monache, mentre in quello della Minerva 26; si trattava quindi di comunità abbastanza numerose456. Come abbiamo ricordato, dopo la promulgazione ufficiale degli Atti Conciliari (30 giugno 1564) nacquero problemi di interpretazione riguardo a quanto stabilito sulla clausura delle monache. Tra i difensori dei monasteri aperti nelle sedute della Congregazione del Concilio nel 1564, ritroviamo alcuni rappresentanti degli ordini religiosi ed in particolare il priore di S. Maria sopra Minerva, che come abbiamo visto aveva fin dall’inizio del secolo sotto il suo governo le terziarie di S. Caterina e di Magnanapoli. Il priore della Minerva si pose in questo contesto sulla linea di coloro che non ritenevano corretto obbligare le monache ad abbracciare un regime di vita più stretto di quello che avevano promesso di osservare al tempo della loro professione. Affermò che le monache potevano essere esortate e consigliate a serrarsi in clausura, ma non potevano esservi costrette, se non volevano; era consigliabile soprattutto che il papa le aiutasse assegnando loro buoni confessori.

Come abbiamo detto, il convento della Minerva era in questi anni molto vicino alla tradizione savonaroliana, ed in effetti l’opinione del priore era probabilmente molto diffusa in questo ambiente almeno fino alla metà del Cinquecento. In ambito osservante savonaroliano, come ha evidenziato nei suoi studi Gabriella Zarri, esistevano molti prestigiosi istituti di terziarie, nei quali alcune donne raggiungevano fama di virtù e di santità ed erano molto stimate ed esaltate anche dai religiosi del ramo maschile; pensiamo ad esempio, ancora nella seconda metà del secolo, a Caterina de Ricci nel monastero di S.

Vincenzo di Prato457. Queste religiose consideravano la clausura contraria alla loro professione di terziarie regolari di S. Domenico, e si batterono duramente contro la sua imposizione, portando avanti un’idea di osservanza slegata dalla clausura, negata da Pio V appunto nel 1566.

Gli Atti del Capitolo del 1569 mostrano come vennero recepite dagli organi di governo dell’Ordine domenicano sia le disposizioni tridentine che le nuove decisioni di Pio V.

Questo Capitolo Generale segnò l’inizio della svolta che attraverso un lungo e contrastato processo porterà – almeno nelle intenzioni dei riformatori – a far coincidere l’istituto della clausura con l’osservanza monastica femminile. Come abbiamo accennato a proposito del priore della Minerva, erano presenti in ambito domenicano alcune opinioni discordi riguardo a una radicale imposizione della clausura e probabilmente anche allo scopo di mettere a tacere tali voci dissonanti Pio V partecipò in prima persona a questo Capitolo Generale e fece direttamente approvare una serie di norme.

Nella volontà riformatrice di Pio V, i primi a doversi adeguare alle nuove disposizioni erano chiaramente i monasteri domenicani, controllati con particolare attenzione dal pontefice, tanto più a Roma.

Nel 1568 dunque Pio V soppresse la comunità di Magnanapoli unendola a quella della Minerva. Il pontefice diede licenza alle religiose di vendere la casa di Magnanapoli alle monache di S. Sisto, accioché vi possino ivi fabricare un nuovo monastero, come vedremo meglio in seguito458. L’idea iniziale era quella di riformare e di trasformare in monastero di clausura la casa presso la Minerva, ma presto il progetto risultò inattuabile poiché il luogo era troppo angusto. Si decise quindi di trasferire il monastero in un sito posto nella salita di Montemagnanapoli, comprandolo dal Signor Giovanni Battista

457 Sulle terziarie domenicane vedi Zarri, Le sante vive.

458 Nell’aprile del 1568 dunque sor Elena la priora e le monache di S. Caterina congregate (…) con

Conti, donandoli a quest’effetto il Pontefice Gregorio XIII scudi seimila459. A operare la riforma doveva essere suor Maria Vittoria Massimo, fatta venire appositamente da Firenze: Ridotto questo nuovo luogo a perfezzione l’anno del Signore 1574 a dì 12 del mese d’ottobre, tutte le monache colla benedizione del Pontefice, accompagnate dai superiori nostri processionalmente andorno ad abitarvi, e la Madre Sor Maria Vittoria fu la prima Priora del nuovo monastero (…). Vestivano allora le monache l’abbito della Religione, senza però esser velate, e seguitorno così sino all’anno seguente che fu l’anno santo del 1575, nel quale si risolvettero di velarsi, e dai nostri Superiori li fu dato il velo nero460.

Porzia Massimo era figlia di Luca e di Virginia Colonna; i motivi che spinsero a scegliere l’altura di Magnanapoli dovettero quindi essere non solo legati all’antica presenza delle terziarie domenicane in quella zona, ma anche a motivi di ordine familiare: da tempo la famiglia Colonna estendeva le proprie proprietà e la propria influenza dai SS. Apostoli a Magnanapoli, ed inoltre la famiglia dei Conti era imparentata con Porzia tramite la madre del cardinale Antonio Maria Salviati.

Porzia aveva infatti sposato ad appena quattordici anni Giovanni Battista Salviati461, restando vedova pochi anni dopo, nel 1563. Dai documenti del Processo per S. Filippo Neri, sappiamo che la Massimo era devota del santo e che aveva spinto a questa devozione anche il marito. Molti testimoni parlano della conversione del Salviati, mostrando lo scalpore che questa conversione, attribuita al Neri, provocò nell’ambiente aristocratico romano. Egli era persona dissoluta et mondana quanto pole essere un giovane, ch’io l’ho conosciuto; et, con la pratica del padre maestro Filippo, diventò, lui

459 Estendevasi detto sito sino alla strada, che va a Montecavallo incontro a Signori Annibali della Molara, nel luogo, che communemente si dice le tre Cannelle, entro cui avevano un gran spazzo, o cortilo, che dir vogliamo con giardino acque, et alcune sale grandi. Libro delle vestizioni di S. Caterina, p. 6.

460 Ivi, p. 6-7.

et la moglie, humile et di vita esemplare: andava a l’hospitale, ad accattare, per le prediche, per i poveri, et durò circa otto anni…462; andava alli hospedali, rifaceva li letti delli infermi, et faceva ogni sorte di mortificazione463; voleva poi vestire positivamente et andare senza servitori464; essendo ammalato, et in estremo della vita (…) essendoli detto che quella era l’ultima volta, che si communicava, et che presto gli conveniva uscire di questa vita, non solo non si sbigottì, ma cominciò a cantare: “Laetatus sum in his, quae dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus”, et poco dopo, rese il suo purgatissimo spirito in mano del Creatore, aiutato dalla presenza et preghiere del nostro padre465.

Dopo la morte del Salviati466, nel 1563, Porzia Massimo si recò nel monastero di S. Lucia di Firenze, dove prese l’abito il 25 marzo dello stesso anno e fece la professione l’anno seguente, donando 15.000 scudi. Restò quindi nell’istituto per nove anni, fino al trasferimento a Roma467.

Il monastero di S. Lucia a Firenze è tra quelli riformati dal Savonarola; quando il domenicano intraprende la riforma dei monasteri femminili, stringe particolari rapporti con quattro monasteri, tra cui S. Lucia468. Su questo monastero egli fa la nota profezia:

Vedete voi – disse – questo monasterio di Santa Lucia? Qui si ha a edificare un magno monasterio e verranno molte persone di tutta la nobiltà di Firenze e verrannosi in grande

462 Della Rocchetta – Vian, Il primo processo I, p. 25.

463 Della Rocchetta – Vian, Il primo processo II, p. 43.

464 Ivi, p. 337.

465 Della Rocchetta – Vian, Il primo processo III, 391.

466 Riguardo il “secolare rapporto che unisce la famiglia dei Salviati, nei suoi rami fiorentino e romano, ai conventi domenicani”, vedi Fragnito, Gli ordini religiosi, in Rosa, op. cit, p. 185.

spirito e devozione469. L’istituto continuò ad essere savonaroliano e a vivere nella riforma per tutto il Cinquecento.

Possiamo certamente considerare la formazione religiosa della Massimo come influenzata dalla sua permanenza a S. Lucia; tuttavia, secondo Agresti, con la nuova fondazione di S. Caterina a Magnanapoli, siamo “ai margini del movimento femminile savonaroliano” 470. Effettivamente, nei documenti che riguardano questo monastero non sono presenti tracce della spiritualità savonaroliana. Tuttavia di certo dovette influire, per lo meno nei primi periodi, la religiosità della priora, che per lungo tempo aveva avuto come direttore spirituale il savonaroliano Vincenzo Ercolani; allo stesso tempo, ebbe un certo influsso sul monastero la spiritualità dei padri della Minerva, molti dei quali erano in questo periodo savonaroliani. Poco tempo dopo la rifondazione di S. Caterina, sarà istituito, come vedremo, un altro monastero legato al movimento savonaroliano, quello di S. Maria Maddalena al Quirinale.

Per quanto riguarda invece le terziarie francescane, sappiamo che ancora nella seconda metà del XVI secolo esistevano vari istituti.

Secondo quanto emerge dai documenti citati da Lucas Wadding, le terziarie romane godettero di un certo favore da parte dei pontefici in particolare tra Martino V e Sisto IV.

Il papa Colonna approva la fondazione dell’istituto di S. Croce a Montecitorio e convalida alcune donazioni in suo favore471. Eugenio IV permette alle terziarie romane di vivere secondo i regolamenti approvati per le religiose osservanti di Perugia472.

468 San Vincenzo, detto di Annalena, che però ruppe i legami con l’Ordine alla sua morte, con San Jacomo di Ripoli, con Santa Lucia e Santa Caterina. L’incidenza sul primo dovette essere molto superficiale, ben più profonda invece risultò sugli altri tre. Agresti, op. cit., pp. 19-20.

469 Agresti, op. cit., p. 21.

470 Agresti, op. cit., pp. 14, 23.

Sotto Niccolò V le terziarie di S. Margherita vengono sottoposte agli osservanti ed emettono i tre voti solenni: In Urbe trans Tyberim cohabitabant ab aliquot annis Tertiariae, assentientibus Eugenio et Nicolao Pontificibus. Hoc anno Palotia de Perlionibus et consociae petierunt licentiam tria vota solemnia emittendi, Praesidem sibi eligendi, in congregatione habitandi, et a Fratribus regularis Observantiae necessaria sacramenta recipiendi473. Le religiose ottengono quindi gli stessi privilegi delle suore terziarie fiorentine, perugine e viterbesi. Le questioni relative alla clausura delle terziarie dibattute in ambito Osservante ci inducono a pensare che queste religiose fossero sottoposte in qualche modo alla clausura, anche se in maniera assai blanda. L’istituto di S.

Margherita ha probabilmente un certo prestigio dato che nel 1452 lo stesso Niccolò V sancisce che le terziarie di S. Agnese di Viterbo siano sottoposte alla stessa “norma di vita” di S. Margherita474.

Sisto IV si mostra piuttosto favorevole al Terzo ordine, tanto che con la bolla Sacrosanta Romana Ecclesia del 1473, dichiara che i terziari e le terziarie devono godere delle libertà, dei privilegi e delle immunità delle persone ecclesiastiche475. Nel 1480, concede alle terziarie di S. Croce di Montecitorio e di S. Cecilia una casa che spettava ad una confraternita di Arezzo. La confraternita lo accetta con la condizione che le donne aretine siano ammesse volentieri nel monastero delle terziarie476.

La situazione delle terziarie francescane romane è ancora piuttosto fluida sotto Leone X:

nel 1520 il pontefice interviene per sedare alcune discordie sorte tra alcune religiose che

472 Wadding, op. cit., XI p. 284.

473 Wadding, op. cit., XII, pp. 135, 218.

474 Wadding, op. cit., XII, p. 1452.

475 Wadding, op. cit., XIV, p. 97. Sulle disposizioni relative ai terziari e alle terziarie vedi Andreozzi, Il terzo ordine regolare di S. Francesco nella sua storia e nelle sue leggi, Roma 1993.