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Il lavoro su piattaforma digitale: il curioso caso del settore dei trasport

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dagli interventi che mi hanno preceduto, che le differenze formali e sostanziali che separano le diverse figure di lavoratori che operano nell’ambito dell’economia digitale sono talmente grandi da impedi- re anche solo di provare a effettuare un inquadramento sistematico comune. A prescindere dal dibattito sulla necessità di regolare o no per via legislativa queste figure, però, tutti i fenomeni a cui si sta fa- cendo riferimento devono necessariamente fare i conti con le regole e i principi di diritto del lavoro esistenti e, in particolare, con il po- tere del giudice di riconoscere un lavoro come subordinato, anche se qualificato diversamente, oppure quello di stabilire l’esistenza di un rapporto di lavoro con il datore di lavoro «sostanziale» invece che con quello formale: due questioni controverse piuttosto fre- quenti in questi rapporti.

Partendo da queste premesse, può risultare interessante appro- fondire uno dei modelli che si sono sviluppati nel settore del traspor- to passeggeri tramite autobus: il modello in questione riguarda un’a- zienda apparsa qualche anno fa in questo mercato in molti Paesi eu- ropei, FlixBus, e che in poco tempo è diventata egemone nel settore, approfittando anche della liberalizzazione delle regole riguardanti il trasporto passeggeri via autobus a medio e lungo raggio. Il segreto di questo successo passa proprio per il collegamento tra il mondo di- gitale e quello degli autobus e l’elemento più sorprendente, che dif- ferenzia FlixBus da ogni altra impresa del settore, è che essa non è proprietaria neppure di un solo autobus, scegliendo di appoggiarsi su imprese di trasporto locale già esistenti e creando una rete di im- prese, della quale essa si pone a capo, occupandosi della logistica, delle prenotazioni e della commercializzazione: in particolare, essa richiede le autorizzazioni amministrative per svolgere il servizio, or- ganizza gli orari, sceglie i percorsi (potendo poi anche modificarli unilateralmente) e decide i prezzi dei biglietti.

Questa separazione di compiti, che viene replicata in ogni Paese in base a un contratto standard, attribuisce a FlixBus il diritto di e- sercitare un duplice potere di controllo: uno sulle imprese che for- mano parte della rete e un altro, meno giustificabile dal punto di vi- sta giuridico e sistematico, sui lavoratori di queste imprese. Infatti risulta pienamente legittima l’imposizione di standard di qualità per i mezzi di trasporto e il controllo sulla programmazione degli orari; crea invece già qualche dubbio il diritto alla supervisione su tempi, pause e turni degli autisti; altre clausole contrattuali, addirittura,

mostrano la presenza di elementi che sembrano incidere sulle scelte in merito alle politiche sulle assunzioni da parte delle imprese della rete; infine, altre ancora impongono chiaramente mansioni ulteriori agli autisti.

Da un lato, infatti, si richiede che essi abbiano un «aspetto acco- gliente e ben curato», il che implica l’obbligo di utilizzare i vestiti offerti da FlixBus e il divieto di fumare davanti ai passeggeri nonché la necessità di parlare fluentemente l’italiano (sic!). Dall’altro, ven- gono imposti agli autisti degli ulteriori compiti quali il carico e sca- rico dei bagagli, la vendita di snack e bibite, l’implementazione sul mezzo delle campagne pubblicitarie dell’impresa e l’obbligo di esse- re gentili con i clienti. Infine, il diritto di controllare il rispetto degli orari indicati nella programmazione comporta un controllo diretto anche sugli autisti, a quel punto soggetti a un duplice potere di con- trollo, quello dell’impresa per la quale lavorano e quello dell’impre- sa a capo della rete.

Si tratta, con tutta evidenza, di caratteristiche tipiche imprendito- riali nel rapporto di lavoro che fanno almeno dubitare che l’impresa madre mantenga relazioni contrattuali esclusivamente con le altre imprese e non anche con i loro lavoratori. Tuttavia, ancor più chia- ramente ne risulta messa in discussione la qualificazione giuridica come impresa digitale e non come società di trasporti, anche perché essa impone alle imprese partner delle clausole di esclusività che impediscono alle altre società della rete di partecipare attivamente al mercato dei trasporti al di fuori della loro «collaborazione» con FlixBus.

Quest’ultimo elemento, ovvero la sostanziale impossibilità di ave- re rapporti con altri committenti, viene sottolineato a più riprese anche nella recente sentenza di appello dell’Employment Appeal Tri- bunal di Londra del 10 novembre 2017 (https://assets.publishing. service.gov.uk/media/5a046b06e5274a0ee5a1f171/Uber_B.V._and_ Others_v_Mr_Y_Aslam_and_Others_UKEAT_0056_17_DA.pdf) che ha confermato la pronuncia di primo grado sul caso Uber, di cui si dirà a breve. Non sono poche infatti le similitudini tra i modelli delle due imprese e qualche elemento giuridico che si può già rica- vare dalla vicenda Uber può certamente essere utile per interpretare quella di FlixBus. Si tratta infatti di due imprese leader nel settore del trasporto dei passeggeri, ma entrambe operano formalmente in un altro settore produttivo, del quale applicano le regole, con evi-

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denti effetti di dumping sociale nei confronti delle altre imprese e dei lavoratori.

È noto a tutti infatti che Uber opera nel mercato dei trasporti e che i suoi autisti non possono essere definiti dei piccoli imprendito- ri, visto che essi possono vedere aumentare i propri guadagni sola- mente passando più tempo al volante. Proprio il citato caso londi- nese Aslam and Farrar v. Uber (28/10/2016, https://www.judiciary.gov. uk/wp-content/uploads/2016/10/aslam-and-farrar-v-uber-reasons-201 61028.pdf, confermato in appello con sentenza del 10 novembre 2017) ha riconosciuto che gli autisti ricorrenti erano da considerare workers dell’impresa americana nel Regno Unito. Le ragioni di fon- do che sostengono tale decisione sono riassumibili nel fatto che Uber decide le tariffe (e l’autista non può cambiarle), impone molteplici condizioni (compreso il percorso da seguire) e stabilisce un sistema di rating della prestazione degli autisti che si può paragonare all’e- sercizio dei poteri imprenditoriali. La sentenza d’appello, poi, ha confermato la pronuncia di primo grado sottolineando soprattutto l’obbligo per gli autisti di accettare almeno l’80% dei tragitti propo- sti, che determina di fatto un’esclusività perché risulta impossibile, fino a prova contraria, avere rapporti contrattuali con altre imprese di trasporti.

Questi elementi in comune rendono particolarmente interessante anche la Causa C434-15 pendente davanti alla Corte di Giustizia europea, che vede ancora una volta come protagonista l’attività di Uber. Nel frattempo, sono già estremamente interessanti le Conclu- sioni dell’avvocato generale Szpunar dell’11 maggio 2017, secondo il quale Uber non è una società che opera nel settore digitale ma in quello dei trasporti, perché la sua attività non sarebbe concepibile senza macchine e autisti e perché i suoi clienti comprano viaggi in macchina e non software (http://curia.europa.eu/juris/document/docu ment_print.jsf?doclang=IT&text=&pageIndex=0&part=1&mode= lst&docid=190593&occ=first&dir=&cid=543152); pur affermando una cosa evidente a tutti, questa «banalità» giuridica potrebbe cam- biare profondamente le regole applicabili all’impresa.

Queste riflessioni si potrebbero facilmente estendere a FlixBus, pur tenendo presente la differenza, non di poco conto, che quest’ul- tima mantiene relazioni contrattuali solo con le imprese mentre Uber ha rapporti giuridici diretti con gli autisti, per quanto qualifi- cati come autonomi.

Le difficoltà ad affrontare questi casi, tuttavia, non sono solo giu- ridiche ma anche politiche, come dimostra chiaramente la recente vicenda che in Italia ha riguardato proprio FlixBus. Infatti, un e- mendamento al decreto milleproroghe (l. 19/2017) avrebbe imposto a FlixBus di modificare completamente il proprio modello organiz- zativo: si imponeva cioè che, nei raggruppamenti verticali di impre- se che effettuano trasporti interregionali, la società a capo del rag- gruppamento svolgesse come attività principale quella di trasporto passeggeri, attività per la quale c’è ovviamente bisogno di possedere degli autobus. La norma ha determinato una levata di scudi dall’in- tero arco parlamentare che si è unito nella difesa di un’impresa che garantisce prezzi bassi per i consumatori e, dopo una strenua lotta, l’emendamento è stato modificato. La vicenda è sembrata una sorta di psicodramma italiano perché ha occupato le prime pagine dei giornali per diverse settimane con commenti profondamente critici nei confronti dei politici italiani che, se non avessero modificato la regola, avrebbero dimostrato nuovamente di non preoccuparsi dei propri cittadini. Evidentemente l’opinione pubblica e la cultura che ne è espressione in questo periodo storico mostra di curarsi molto di quanto possono spendere i consumatori per un viaggio, ma di- mentica, o si preoccupa molto meno del fatto che in diverse occa- sioni questi prezzi stracciati sono frutto di una notevole riduzione delle tutele dei lavoratori che offrono questi servizi, non ultime di quelle riguardanti le retribuzioni.

Bibliografia

De Stefano V. (2016), The Rise of the Just in Time Workforce: On Demand Work,

Crowdwork, and Labor Protection in the Gig Economy, in Comparative Labor

Law and Policy Journal, pp. 477 ss.

Voza R. (2017), Il lavoro e le piattaforme digitali: the same old story?, in WP

L’iniziativa è molto ricca e intensa, così come lo è l’interessante numero della Rivista giuridica del lavoro che oggi si presenta. Io con- centrerò il mio intervento solo su alcuni dei temi proposti, aggiun- gendo alcune riflessioni a partire da un punto di vista specifico: quello di Agenquadri CGIL, un’organizzazione sindacale che rap- presenta storicamente i quadri e le alte professionalità e che da qua- si dieci anni si è posta il tema della rappresentanza dei professional & managerial staff con rapporti di lavoro non dipendente.

Mi sembra che dalla discussione di oggi sia emerso, seppure con diverse sfumature, che ci troviamo in una fase di cambiamento che non è né breve né esclusivamente tecnologica. Sono d’accordo e pen- so che ciò che abbiamo chiamato terza e quarta rivoluzione indu- striale sia in realtà un’unica transizione lunga e paradigmatica, che ci porta fuori dell’era industriale (e da quella postindustriale). E se le fasi di cambiamento sono tipicamente momenti di incertezza, in cui pullulano oracoli e profeti, esse sono il momento delle scelte. Comprendere la fase, decidere il proprio comportamento e, soprat- tutto, non confondere l’analisi con la strategia.

Industry 4.0, ad esempio, è il nome con cui molti governi e im- prese stanno denominando le proprie strategie di fronteggiamento del cambiamento. Il diffondersi delle piattaforme digitali, la gig eco- nomy sono alcuni altri elementi che caratterizzano questa fase e che hanno a che fare con il comportamento dei diversi attori. La do- manda che ci spetta, come sindacato, è: come caratterizziamo la no- stra analisi e la nostra strategia, nella transizione?

* Presidente di Agenquadri CGIL.

Paolo Terranova

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Il lavoro nelle piattaforme digitali: