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Il lavoro nelle piattaforme digitali: nuove e vecchie sfide per la contrattazione

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E in effetti questo è un periodo di riflessioni e cambiamenti an- che dentro al sindacato. Grandi progetti e piccole sperimentazioni, profonde elaborazioni e processi emergenti stanno caratterizzando la pratica sindacale di questi anni. Non possiamo certo dire di esse- re giunti ad un approdo sicuro e accogliente per ognuno di noi, ma indubbiamente abbiamo intrapreso un viaggio.

E vorrei condividere con voi alcuni ragionamenti, che ci portano alle questioni odierne partendo però da un altro punto di vista: la contrattazione collettiva per il lavoro subordinato. E in particolare l’evoluzione della contrattazione collettiva per i quadri e le alte pro- fessionalità.

Oltre un decennio fa i quadri aziendali, quelli tradizionali, co- minciarono a segnalare due fenomeni, due linee di trasformazione del loro lavoro: alcuni diventavano lavoratori autonomi, continuan- do a fare più o meno le stesse cose che facevano prima, ma da con- sulenti; altri avevano una parte molto consistente delle condizioni di lavoro contrattate individualmente, fuori dagli accordi collettivi, an- che su istituti contrattuali tipici e fondamentali come l’orario e il salario. Anche per i quadri subordinati, dunque, la dinamica nego- ziale con il datore di lavoro tendeva ad assomigliare per alcuni versi a quella del consulente, sfuggendo alla dimensione contrattuale collettiva. È evidente che la domanda che ci siamo posti è stata: co- me li riportiamo dentro la contrattazione collettiva?

Modificando la contrattazione collettiva. Tema non facile, ovvia- mente, ma secondo noi non rinviabile.

Quello che emerge, partendo dal punto di vista dei lavoratori che rappresentiamo, è la diffusione di una rivendicazione di autonomia, sia come forma di rapporto di lavoro sia all’interno del rapporto di lavoro subordinato, quindi come riconoscimento di autonomia pro- fessionale, nell’utilizzo delle competenze possedute e delle risorse e responsabilità assegnate. Il riconoscimento di questa autonomia difficilmente trova una capacità o un’efficacia di regolazione dentro la contrattazione collettiva e, di conseguenza, alimenta la diffusione di negoziazioni individuali e di una visione per cui la contrattazione individuale viene proposta come più efficace della contrattazione collettiva.

Il nostro compito di rappresentanti non può mai essere quello di negare processi reali, quindi il tema che ci siamo posti è come ri- portare questi fenomeni all’interno di una dimensione collettiva, di

rappresentanza e di regolazione. Noi riteniamo che la via da perse- guire sia quella di un nuovo modello di contrattazione collettiva, dove il collettivo non è la negazione della dimensione individuale ma la sua valorizzazione e tutela. Collettivo è il modo in cui rappre- sentiamo gli interessi e il modo in cui si scrivono le regole, in un nuovo schema in cui l’accordo collettivo serva a consentire e tutela- re, ad inquadrare all’interno di un framework, le libertà individuali, ovvero la capacità di ogni lavoratore di agire la propria individuali- tà, anche sul piano negoziale, ma stabilendo collettivamente quali sono i margini, i confini entro i quali questa individualità si può e- sprimere.

Esiste su questo una proposta organica, formalizzata e presentata nel giugno del 2011, la si può trovare sul sito agenquadri.it, che ri- mane il nostro punto di partenza anche per affrontare le evoluzioni che sono intervenute nel frattempo e che ci portano a dire, oggi, che alla base di un nuovo approccio alla contrattazione collettiva ci deve essere una modificazione della rappresentazione simbolica che noi facciamo del lavoro: dal lavoro come luogo al lavoro come con- nessione.

Non è più la presenza fisica, il momento in cui entriamo/usciamo dal luogo di lavoro, a determinare l’orario di lavoro e quindi l’ap- plicazione degli istituti regolativi. Ma è il fatto di essere connessi che ci fa essere o meno al lavoro.

E se questo vale nel senso del diritto alla disconnessione, perché in assenza di tale diritto il tempo di lavoro tende a infinito e il tem- po di riposo rischia di diventare inesigibile, il tema della connessio- ne vale in senso opposto nel mondo delle piattaforme web e della gig economy, dove la possibilità di lavorare dipende dall’esistenza e dalla praticabilità della connessione.

Quindi la connessione diventa la chiave di lettura per rappresen- tare il rapporto di lavoro, per lo meno dal punto di vista di chi guarda principalmente ai processi e solo dopo alle formalizzazioni.

Ma proprio a partire dai processi noi pensiamo che una nuova regolazione del lavoro, per i quadri che ho descritto prima come per i lavoratori delle piattaforme digitali, debba avere come focus la regolazione dei flussi dentro un ambiente dinamico e che vive di dinamicità, piuttosto che la costruzione progressiva di scatoline sem- pre più specifiche dentro cui ingabbiare il cambiamento.

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rebbe inventare la terza, e poi la quarta, e dopo forse la quinta for- ma di rapporto di lavoro.

Potrebbe ad alcuni sembrare paradossale, ma alle complessità poste dalla digitalizzazione del lavoro non bisogna necessariamente dare risposte digitali, produrre ulteriori riduzioni di complessità e quindi ulteriori scatoline. È la via più semplice, è evidente, e le solu- zioni più facili emanano sempre un certo fascino. Ma noi pensiamo che ci si debba sforzare di elaborare schemi interpretativi e produr- re risposte capaci di accettare la complessità. E questo significa ac- cogliere nella cultura e nelle pratiche di regolazione del lavoro an- che gli elementi di autonomia, di responsabilità e di rischio, che in alcuni casi rappresentano una novità, ma che sono coerenti con i pro- cessi reali, con quello che succede alle persone che vogliamo rap- presentare e a cui vogliamo dare risposte.

Se orario e luogo non sono più i due elementi capaci di identifi- care in modo univoco il lavoro e chi lo svolge, ma noi abbiamo an- cora un sistema di regolazione costruito su orario e luogo, allora è evidente che non basta aggiungere una scatolina per il lavoro delle piattaforme digitali: dobbiamo trovare un’altra base, analitica e simbolica, su cui (ri)costruire il sistema di regolazione, legislativo e negoziale.

È evidente come ci sia una domanda preliminare, estremamente rilevante, da cui non possiamo sfuggire: qual è il perimetro entro cui poniamo questi ragionamenti? Per quanto ci riguarda, noi rite- niamo la questione risolta nella formulazione dell’art. 1 della Carta dei diritti universali del lavoro elaborata dalla CGIL. L’ipotesi del lavoro economicamente dipendente non ci ha mai convinti. Noi ri- teniamo che il punto sia dare rappresentanza e tutela a tutti quelli che ne hanno bisogno, ovvero a chi svolge un’attività lavorativa in- dividuale, per una controparte economicamente organizzata, in un rapporto asimmetrico tra un soggetto forte e uno debole.

Ho raccontato queste cose perché penso ci sia un nesso forte e in- scindibile tra questi ragionamenti e il modo in cui possiamo ap- procciare la regolazione, legislativa e negoziale, del lavoro nelle piattaforme web, e più in generale del lavoro nell’era digitale.

Certo anche i temi di carattere generale posti nelle relazioni hanno la loro rilevanza e il loro fascino. E ci consegnano dei di- lemmi di non sempre facile soluzione, o dove la soluzione più facile non sempre è la migliore, o dove si corre il rischio di scambiare la

tecnologia con il processo decisionale. Invece non esistono scenari predeterminati. E questo vale anche per il dilemma più discusso: quello della sostituzione tecnologica. Lo sintetizzo così: l’introdu- zione di nuove tecnologie aumenta la produttività tecnica e riduce la necessità di lavoro umano; a fronte di questo preferite avere me- no reddito o meno occupazione?

Una delle risposte che provano ad imporsi è quella suggerita da diversi imprenditori della Silicon Valley. Una sorta di modello califor- niano che possiamo sintetizzare così: «siamo consapevoli di fare enormi profitti con pochissimi addetti e che non sempre il sistema fiscale è adeguato alle nostre attività economiche. Siamo disponibili a trovare una soluzione: proponiamo una fiscalità negoziale e pen- siamo che il modo migliore per utilizzare le tasse che pagheremo sia dare a tutti un reddito minimo». Lasciando intendere chiaramente che questo è una sorta di nuovo patto sociale per cui le imprese pa- gano un prezzo concordato in cambio della pace sociale. Mi sembra evidente che questo non è uno scambio praticabile, dal nostro punto di vista.

Continuiamo a pensare che la strada da seguire sia un’altra. Cer- tamente più complessa, ma questa è una fase di riflessione e speri- mentazione per tutti. Bisogna studiare, applicarsi, non arrendersi alla soluzione più semplice, non cedere al determinismo né ai rime- di miracolosi.

Tra le sollecitazioni che ci arrivano c’è quella di riprendere una riflessione sui tempi di lavoro. Non si tratta di riproporre la sempli- cistica riduzione di orario, ma di ragionare su nuove dimensioni. Ad esempio su come si misura e si valuta il tempo di lavoro, nel mo- mento in cui questo non è più organizzato nella forma lineare del- l’orario, su come una parte degli aumenti di produttività ottenuti con le nuove tecnologie possano essere utilizzati per ridurre il tem- po di lavoro individuale. Questa e altre suggestioni sono sul tavolo. Abbiamo molto lavoro da fare.

1.La necessità di un’interpretazione in chiave evolutiva della subordinazione

Il lavoro reso nei diversificati contesti imprenditoriali dell’econo- mia digitale parrebbe difficilmente riconducibile sia nel novero della subordinazione sia nel novero dell’autonomia1. Nonostante

ciò, conformare il quadro normativo ai mutamenti in corso potreb- be rappresentare una soluzione non soddisfacente, non foss’altro per l’accentuata eterogeneità delle modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative espletate nell’ambito di tali scenari organizza- tivi2. Oltretutto, a prescindere dal più o meno elevato pregio delle

novelle legislative che si dovessero susseguire, il rischio della loro desuetudine, prima ancora della loro entrata in vigore, si celerebbe dietro l’angolo, in quanto l’evolversi, strutturale e funzionale, del- l’impresa non presenta margini di rallentamento, così come non presenta cenni di arresto la conseguente continua metamorfosi delle modalità di esercizio dei poteri datoriali nei confronti della forza la- voro ivi impiegata.

* Avvocato, dottorando di ricerca in Impresa, lavoro e istituzioni, profilo in Diritto

del lavoro e delle relazioni industriali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

1 Nel noto caso Cotter et al. vs. Lyft, si legge che «a prima vista, gli autisti di Lyft

non assomigliano molto ai dipendenti [...] ma gli autisti di Lyft non assomigliano molto neppure ai lavoratori autonomi». Tra i commentatori, cfr. Dagnino, 2015, p. 101; nonché, più recentemente, Prassl, Risak, 2017, p. 220. Lyft è il principale con- corrente di Uber negli Stati Uniti.

2 De Stefano, 2016, pp. 1 ss., ha posto l’accento sulla diversità di tale modello rispetto

al cosiddetto crowdwork, per la cui definizione si veda, altresì, Birgillito, 2016, p. 63.

Simone Auriemma

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