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Le consolatorie nelle Familiari: corpus e modell

Il pensiero della morte nelle Familiari: le consolatorie

2.1. Le consolatorie nelle Familiari: corpus e modell

Sebbene di statuto ambiguo, perché non diretto a governare i tempi del lutto, un solamen è additato dunque all’inizio delle Familiari («Unum est solamen»). Nella consolazione risiede del resto la differenza stessa tra i fideles e gli infedeli, giusta Ambrogio: «Cessabunt igitur lacrimae;

10. Si veda il paragrafo dedicato da Peter von Moos agli «Antitetische Motive: praemit-

ti–amitti», all’interno del più ampio capitolo su Absentia praesens–praesentia absens del suo

monumentale Consolatio. Studien zur mittellateinischen Trostliteratur über den Tod und zum Problem

der christlichen Trauer, München, Fink, 1971–72, 4 voll. (I. Darstellungs; II. Anmerkungs; III. Testimonien; IV. Index), vol. III, pp. 320–2.

parendum est enim remediis salutaribus, quia debet aliquid inter fidos et perfidos interesse. Fleant ergo, qui spem resurrectionis habere non possunt» (su Paolo, 1 Thess. 4, 13–14: «Nolumus autem vos ignorare, fratres, de dormientibus, ut non contristemini, sicut et ceteri qui spem non habent»). Una consolazione destinata a indicare un rimedio all’assenza degli amici, assenza che la morte rende più definitiva e irreparabile di quella, perennemente in atto come distanza nello spazio, che cerca di alleviare la stessa pratica epistolare, ovvero il Libro che qui si apre. Lo insegnava Seneca, in un passaggio che Petrarca ben conosce, e che riconosce citato da Eloisa in una lettera ad Abelardo: «Si imagines nobis amicorum absentium iocundae sunt que memoriam

renovant et desiderium absentiae falso atque inani solatio levant, quanto iocundiores sunt litterae quae vera amici absentis vestigia, veras notas afferunt?» (ad Lucilium 40, 1).11

La meditazione sulla morte nelle Familiari non si esaurisce certo nelle consolatorie: nel libro VIII, che ne è intriso fin nel midollo, esso ricorre con forza particolare nella terza parte della grande lettera a Luca Cristiani, come pensiero che dovrà portare quasi di necessità gli amici a prendere la decisione di iniziare una vita comune (Fam. VIII 4). Oltre alla consolatoria, poi, spesseggia il genere del planctus: si pensi alle lettere V 1 e VIII 7 a Barbato da Sulmona, sulla morte del re Roberto e sull’assassino del re Andrea d’Ungheria (entrambe dunque riguardanti le cose del regno di Napoli), cui si aggiungerà il lamento sull’assassinio di Giacomo da Carrara della XI 2;12 una forma

11. Segnalava il passo in questione D. Goldin Folena, Pluristilismo dei «Familiarium rerum

libri», in Motivi e forme delle ‘Familiari’ di Francesco Petrarca, cit., pp. 261–90, a p. 265 («La

dichiarazione è ben assimilata da Petrarca che nel suo epistolario ne propone ripetutamente dei veri e propri calchi, o comunque delle variazioni, fino all’indubbia ripresa», ma rovesciata di senso, giacché iocundior è il dialogo de visu rispetto alla lettera, in Fam. IX 11, 11); per la manicula apposta da Petrarca a margine della citazione affiorante nella prima epistola di Eloisa, letta nel Parigino latino 2923, cfr. ivi, p. 266. Nella catena che lega Seneca a Eloisa, la studiosa ravvisa l’apprendimento da parte di Petrarca degli «argomenti o i principi fondanti dell’epistolografia», prima dell’apprendistato compiuto su Cicerone (p. 267).

12. Sul genere specifico, in poesia, si possono vedere due saggi egualmente intesi a fornire le coordinate strutturali di questo genere di lamento: S.C. Aston, The Provençal Planh: I,

The Lament for a Prince, in Mélanges de Philologie Romane dédiés à la mémoire de Jean Boutière,

édités par I. Cluzel et F. Pirot, Liège, Soledi, 1971, vol. I, pp. 23–30; e R. Russel, Il compianto

per la morte di un personaggio illustre [1977], in Ead., Generi poetici medievali, Napoli, Società

Editrice Napoletana, 1982, pp. 125–45 (su un manipolo di testi poetici italiani trecenteschi e primoquattrocenteschi); per i sermoni, cfr. D.L. D’Avray, The Death and the Prince. Memorial

particolare di planctus, confinante con la deprecatio, sono le lettere VIII 7 e 8 a Ludovico di Beringen sulla peste.

Quelle che indicheremo come consolatorie, del resto, raramente lo sono in forma pura, giacché spesso la sezione più propriamente consolatoria fa seguito a un annuncio di morte e a un compianto funebre. Non essendo presente alle esequie, infatti, Petrarca non se- para i discorsi secondo le necessità liturgiche, ma riunisce nella stessa missiva l’annuncio della morte, il ricordo del morto e la consolazione, che nel caso della morte di amici è rivolta a se stesso. I suoi testi di riferimento potevano del resto fungere da modello: nel De excessu fratris ambrosiano, che funge da sottotesto costante a queste epistole, Petrarca poteva leggere una parte trenodica, corrispondente al primo libro o discorso, e una parte consolatoria (il libro II).13 Ma, che si tratti di epistole consolatorie oppure di temi consolatori inseriti in una lettera di struttura più embricata, in ogni caso è il genere stesso a portare coerenza all’argomentare, a permettere un’analisi protratta nel tempo sulla relazione intrattenuta da Petrarca con i grandi modelli del passato, e a consentire una riflessione sul tema che più ci interessa, ovvero i meccanismi di elaborazione del lutto.14

13. Cfr. L.F. Pizzolato, Ambrogio e la retorica: le finalità del discorso, in Nec timeo mori. Atti

del congresso internazionale di studi ambrosiani, a cura di L.F. Pizzolato e M. Rizzi, Milano, Vita e

Pensiero, 1998, pp. 235–6.

14. Fondamentali per ogni studio sulla consolatoria medievale sono i materiali raccolti e ordinati in Moos, Consolatio, cit.; cfr. inoltre C. Favez, La consolation latine chrétienne, Paris, Vrin, 1937; L.F. Pizzolato, La «consolatio» cristiana per la morte nel sec. IV. Riflessioni metodologiche e

tematiche, «Civiltà classica e cristiana», 6 (1985), pp. 441–74. Non posso indicare la bibliografia di

riferimento per la consolatoria latina: mi limito a rimandare alla panoramica di G. Garbarino,

Temi e forme della «consolatio» nella letteratura latina, Torino, Giappichelli, 1982, con qualche

rapsodica integrazione: ad es. H. Zehnacker, «Officium consolantis». Le devoir de consolation dans

la correspondance de Cicéron de la bataille de Pharsale à la mort de Tullia, «Revue des études latines»,

63 (1985), pp. 69–86; A. Setaioli, La vicenda dell’anima nella ‘Consolatio’ di Cicerone, «Paideia», 54 (1999), pp. 145–74 (insieme ad altri saggi del medesimo autore sull’argomento, come The

fate of the soul in ancient ‘consolations’. Rhetorical Handbooks and Writers, «Prometheus», 31, 2005,

pp. 253–62); J. Doignon, Lactance intermédiaire entre Ambroise de Milan et la ‘Consolation’ de

Cicéron?, «Revue des Etudes Latines», 51 (1973), pp. 208–19 (sul «Non nasci longe optimum»);

M. Wilson, The subjugation of Grief in Seneca’s Epistles, in The Passions in Roman Thought

and Literature, ed. by S. Morton Braund and C. Gill, Cambridge, Cambridge UP, 1997, pp.

48–67; e F. Sicca, Remedia doloris. La parola come terapia nelle «Consolazioni» di Seneca, Napoli, Loffredo, 2001: utile, quest’ultimo, per l’antologia commentata di passi sulla morte e il dolore nell’opera di Seneca. Per la letteratura italiana, e Petrarca, si vedano G.W. McClure, Sorrow

and Consolation in Italian Humanism, Princeton, Princeton University Press, 1991; Chiecchi, La parola del dolore. Primi studi sulla letteratura consolatoria tra Medioevo e Umanesimo, cit., capp. v

e vi; M. Ballarini, Il ‘De excessu fratris sui Satyri’ di Ambrogio e la ‘consolatio ad mortem’ nelle

2.1.1. Il ‘corpus’ consolatorio nelle Familiari

Analizzare le epistole petrarchesche di argomento consolatorio vuol dire isolare entro le due raccolte maggiori — ma qui lo faremo solo per le Familiari — un corpus testuale piuttosto omogeneo, dotato di alcune caratteristiche peculiari (titulus, esordio, testi di riferimento, registri retorici), e caratterizzato già in avvio dal fatto che Petrarca sceglie le lettere da raccogliere in volume, e che trovandosi a dover scrivere alla stessa persona diverse consolatorie, non ripete le cose già dette. Isolare alcuni pezzi nella raccolta implica che si conservi viva la ratio del loro rapporto con le lettere appartenente al medesimo libro. L’architettura dei vari libri non è infatti governata dalla mera cronologia, giacché ogni libro dell’epistolario ha una sua fisionomia e un suo ordo: si pensi ad esempio alla funzione prefatoria delle lettere di esordio, alternativamente dedicate a un tema importante (quelle che aprono i libri I, III, IV, V, VII, XI, XV, XVII, XX, XXIII) o a un destinatario illustre (libri II, VI, VIII, IX, X, XII, XIII, XIV, XVI, XVIII, XIX, XXI, XXII); la lettera iniziale dell’ultimo libro assomma entrambe le caratteristiche, essendo diretta a Philippe de Cabassoles e trattando il tema della fuga temporis.

Il corpus delle consolazioni nelle Familiari è in sostanza definito dalle seguenti lettere:

II 1 A Philippe de Cabassoles, vescovo di Cavaillon, sulla morte dei propri cari

II 2 Consolatoria su un amico insepolto

IV 10 A Pellegrino da Messina, sulla morte immatura del fratello Tommaso IV 11 A Giacomo da Messina, stesso oggetto

IV 12 Al cardinale Giovanni Colonna, consolatoria per la morte del fratello Giacomo

IV 13 A Lelio, non consolazione ma lamento sulla stessa morte

VII 12 A Giovanni dell’Incisa, lamento sulla morte di un amico atteso [Fran- ceschino degli Albizzi]

Restraint of the Grief in the Medieval Italian Communes, cit., cap. 8, The seductive danger of grief, pp.

187–202. Da ultimo, rimando a un mio saggio sull’emergere del pensiero consolatorio nella seconda parte dei Fragmenta, in relazione alla Fam. VIII 1: S. Stroppa, Quel che Dio non può

fare. La consolatoria e il pensiero della morte [‘Rvf’ 270], «Studi Petrarcheschi», n.s., 23 (2010), pp.

VII 13 Al cardinale Giovanni Colonna, consolatoria per la morte di fratelli e nipoti

VIII 1 A Stefano Colonna il Vecchio, consolatoria sui colpi della fortuna VIII 9 Al suo Socrate, sulla morte violenta di un amico [Mainardo Accursio]

IX 2 Al suo Socrate, ricordo degli amici scomparsi e dei superstiti XIII 1 A Gui de Boulogne, vescovo di Porto, consolatoria per la morte della

madre

XIV 3 A don Luca da Piacenza, lamento sulla morte immatura di un giovane XV 14 Al clero di Padova, sulla morte del vescovo Ildebrandino Conti.15

Guardato dunque nel suo complesso, il genere della consolatoria nelle Familiari si apre e si chiude sul capostitipe della consolatoria cristiana, il De excessu fratris sui Satyri ambrosiano: di quell’orazione, la II 1 e la XV 14 riprendono rispettivamente l’occasione (la morte di un fratello) e il tipo di uditorio (una comunità riunita). Scorrendo le altre, emergono alcuni tra i nomi, e i lutti, fondamentali per la vita di Petrarca, che li annovera nei libri IV, VII e VIII con esatta bipartizione, accostando la sfera amicale a quella pubblica, rappresentata quest’ultima dalla famiglia Colonna: troviamo così, pianti nelle lettere del lib. IV, Tommaso Caloiro e Giacomo Colonna; nel lib. VII, Franceschino degli Albizzi e i Colonna morti durante lo scontro con Cola di Rienzo; nel lib. VIII, la famiglia tutta dei Colonna e la coppia di amici Luca Cristiani e Mainardo Accursio. Dopo la ricapitolazione generale degli anni del lutto, indirizzata nella IX 2 al superstite Socrate, le tre consolatorie

15. Si tratta rispettivamente di: II 1 Ad Philippum Cavallicensem epyscopum, suorum mortes

equo animo ferendas; II 2 Consolatoria super casu amici mortui et insepulti, et multa de ritibus sepolture;

IV 10 Ad Peregrinum Messanensem, super mesto casu immature mortis amici, e IV 11 Ad Iacobum

Messanensem, super eodem casu mortis amici; IV 12 Ad Iohannem de Columna cardinalem, consolatoria super morte viri clarissimi Iacobi fratris sui, e IV 13 Ad Lelium, de eadem morte non consolatio sed querela;

VII 12 Ad eundem [Iohannem Anchiseum], de expectati amici morte conquestio; VII 13 Ad Iohannem

de Columna cardinalem, consolatoria super fratrum ac nepotum mortibus; VIII 1 Ad Stephanum de Columna seniorem, mixta lamentis consolatio super gravissimis fortune vulneribus; VIII 9 Ad eundem [Socratem suum], de amici morte violenta; IX 2 Ad Socratem suum, commemoratio premissorum ac superstitum amicorum; XIII 1 Ad Guidonem epyscopum Portuensem cardinalem, consolatoria super matris obitu; XIV 3 Ad Lucam Placentinum sacerdotem, commiseratio immature mortis florentissimi adolescentis; XV 14 Ad clerum Ecclesie paduane, de transitu et laudibus Ildebrandini presulis. Desumo

l’elenco e il commento successivo da un mio studio preliminare, di cui riprendo alcuni passaggi: S. Stroppa, La consolatoria nelle ‘Familiari’: per la definizione di un ‘corpus’, «Petrarchesca», 1 (2013), pp. 121–33 (a cui rimando per dettagli che non tratterò qui, come i titoli in rubrica e la topica dell’esordio).

successive si distanziano un poco dalla sfera amicale più stretta, per completare l’orizzonte del genere con tre missive dedicate a una varia tipologia di defunti: una madre, un giovane nel fiore dell’età, un vescovo. Complessivamente, il corpus appare anche piuttosto limitato nel tempo: lo si può considerare sostanzialmente concentrato tra i libri IV e IX, dunque tra gli anni 1341 e 1350, dalle prime morti traumatiche degli amici al ricordo sconsolato dei lutti del 1348/’49. Le lettere precedenti contengono le prove generali del discorso consolatorio, quelle successive sono funzionali a completare la tastiera dei destinatari. L’intento di formare un corpus in cui l’occasionalità della singola lettera concorra a formare un insieme ampio e variato, a gara con i classici presso i quali uno spettro così ampio non esiste, si rivela soprattutto nella lettera a Gui de Boulogne, nella quale Petrarca prima attesta che l’oggetto — la consolazione rivolta a un figlio per la morte della madre — ancora mancava alla sua penna (Fam. XIII 1, 2: «Hoc unum non dolori meo deerat sed stilo [. . . ]; ea michi [. . . ] usque in presentem diem luctuose materie pars intentata permanserat»), e poi che rarissimi ne sono i modelli, ristretti in sostanza al solo Agostino, contro i molti esempi classici di pianto versato dai genitori sulla morte dei figli (ivi, 12 ss.; e 14: «Flevit Augustinus noster amantissimam genitricem»);16 ma già la chiusura della prima consolatoria, quella a Philippe de Cavaillon, attestava la sostanziale novità dell’esercizio petrarchesco in quanto rivolto alla morte di un fratello — che, di nuovo, può annoverare il solo esempio di Ambrogio come modello —, contro una tradizione classica quasi univocamente intenta a piangere la morte prematura dei figli (cfr. Fam. II 1, 37–38). Unica restrizione rispetto alle consolatorie classiche, Petrarca non ne rivolge a donne; ma, del resto, morta la madre e determinatosi ben presto il carattere ‘amicale’ delle sue epistole, le donne non possono essere annoverate tra i destinatari delle sue lettere, con una sola eccezione tra le Familiari.17

16. Cfr. ancora Bersano, «Hoc unum stilo meo deerat»: la ‘Fam’. XIII 1, cit.; Peter von Moos ricorda, e lungamente commenta, la lettera di Pietro il Venerabile sulla morte della madre (Consolatio cit., I. Darstellungsband, IV, A; Die monastische ‘consolatio’, parr. 586–681: Petrus Venerabilis, eiusdem matris epitaphium, pp. 224–60); il testo si legge in The Letters of Peter

the Venerable, ed. by G. Constable, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1967, vol.

I, pp. 153–73 (è la lettera 53, preceduta da una breve missiva ai confratelli di Cluny in cui annuncia la morte della madre, Ad fratres cluniacenses deprecatoria pro obitu matris suae).

17. L’eccezione è una lettera ufficiale, la XXI 8 all’imperatrice Anna (1339–1373), terza moglie di Carlo IV, in occasione della nascita della prima figlia, Elisabetta, nel marzo del

La varia tipologia di lettere consolatorie, che insieme ad altri ele- menti acquistò a Petrarca il titolo di consolator optimus nel suo primo elogio funebre, come vedremo tra poco, si rivela anche nella duttilità della loro composizione, nella variazione di registro e nella diversa posizione del mittente in funzione del destinatario. Ai due estremi stanno il registro ufficiale, fondato sull’elogium e sull’enumerazione dei più rilevanti loci consolatori, come nella lettera–sermone sulla morte del vescovo Ildebrandino, e quello più schiettamente amicale, in cui la dimensione affettiva prende il sopravvento su quella etica e religiosa. In mezzo sta la vasta area delle lettere consolatorie inviate per dovere d’ufficio, o quelle in cui il destinatario è amico sì, ma di elevata gerar- chia, e richiede quindi un atteggiamento del locutore confidenziale ma meditato, costeggiante il trattato, come nelle lettere a Philippe de Cabassoles o a Gui de Boulogne.

Questo corpus di quattordici lettere è non solo il frutto di una nostra selezione all’interno del Liber delle Familiari, ma a sua volta l’esito di una selezione preventiva operata da Petrarca stesso. Pur potendoci basare, naturalmente, solo sul piccolo numero di quelle disperse cui toccò la ventura di venir poi trasmesse per altra via, si può studiare come sistema la sezione delle Familiari per così dire ‘in morte’ anche a partire dalle lettere non incluse. Si pensi ad esempio all’epistola a Neri Morando sulla morte di Paolo Annibaldeschi (Var. 32 = Disp. 28), che McClure pensa essere stata esclusa dalla raccolta definitiva per via dell’oltranza dell’accusa nei confronti del dolore eccessivo che ha condotto Paolo a morire piangendo la morte del figlio, cosa che induce a sua volta l’autore stesso a cedere a un’oltranza di commozione;18 o alle Disperse 52 e 57 (Var. 16 e 19, da Venezia: la prima del 17 novembre 1362, l’altra di pochi giorni prima), inviate per la morte di Azzo da Correggio ai figli Giberto e Ludovico, e a Moggio da Parma;19nonché

1358. Le Familiari si possono dunque tutte considerare rivolte a una cerchia maschile di corrispondenti, in frizione appunto sia con la consolatoria senecana, sia con l’epistolografia medievale (penso ovviamente allo scambio tra Eloisa e Abelardo).

18. «It is no surprise», scrive George McClure, «that Petrarch left this letter out of his official collection. It is a dark account of the dangers of unrestrained grief, an account ironically itself symptomatic of Petrarch’s own irrepressible, unresolved emotion» (McClure, Sorrow and

Consolation, cit., p. 36).

19. Lettere di cui si sono conservati gli autografi: cfr. F. Petrarca, Epistole autografe, intr., trascr. e ripr. a cura di A. Petrucci, con XX tavole, Padova, Antenore, 1968, risp. n. 6 e 5 delle

la Dispersa 56 (Var. 58) a Gasparo veronese, che narra del modo in cui Stefano Colonna il Vecchio aveva letto la consolatoria a lui diretta, la

Fam. VIII 1: ne parleremo più avanti.

Il fatto che Petrarca dichiari di non voler ripetere le cose già dette, infine (lo fa scrivendo nel 1348 a Giovanni Colonna, per giustificare il grave ritardo con cui gli invia una consolatoria per la morte di fratelli e nipote nello scontro contro le truppe di Cola di Rienzo: «Et pudebat totiens vulgata repetere»),20 se può essere valutato come indizio delle ragioni di esclusione di alcune lettere, ritenute ripetitive e dunque inutili ai fini della costituzione del Liber, è tuttavia anche elemento struttivo delle lettere nel momento in cui vengono composte, perché Petrarca svolge nei confronti di ciascun destinatario, anche a distanza di tempo, un discorso che non torna su punti già esposti. La situazione si presenta dunque diversa rispetto alle raccolte di Seneca e Cicerone a destinatario unico, ma egualmente intesa a creare, per il singolo corrispondente, un discorso morale disteso negli anni, e fondato sul già detto. Questo punto ha delle conseguenze per la consolatoria: sia per il grado di consapevolezza presupposto nel destinatario, sia per le allegazioni d’autorità, che vengono generalmente avanzate una volta sola.

2.1.2. Il rapporto con la tradizione: da Cicerone a Pier della Vigna

Nel panorama delle fonti sul genere, occorre distinguere tra i loci con-

solatori e il sermo o l’epistula consolatoria, confinante con la lettera di

condoglianza: i primi costituendo «il materiale teoretico, elaborato principalmente dai filosofi nei trattati, riguardante il dolore e la morte» (ma per Petrarca si devono aggiungere i poeti: dal «vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam» di Orazio, carm. I 4, 15, al «Nil igitur

del Petrarca nelle biblioteche fiorentine, cit., p. 352. Le lettere erano state raccolte nel prezioso

codice oggi Laurenziano 53, 35 da Ludovico Beccadelli, che le aveva ottenute nel 1561 insieme a quella diretta a Tommasina Gonzaga moglie di Azzo, poi perduta; il Beccadelli cita le lettere ai «giovani» della famiglia dei da Correggio nella prima redazione della sua Vita del Petrarca: cfr. Frasso, Studi su I ‘Rerum vulgarium fragmenta’ e i ‘Triumphi’, vol. I, Francesco Petrarca e Ludovico

Beccadelli, cit., p. 7: «Fu alli signori di Correggio carissimo e dalli giovani loro come padre

amato: di che fanno testimonio le lettere che a loro scritte ho veduto di mano del medesimo Petrarca» (poi ridotta alla sola frase Fu . . . amato nella seconda redazione: cfr. p. 57 per il testo, e pp. 19–20 per l’elenco dei passi espunti dal Beccadelli, e le ipotesi sui motivi di tali espunzioni); cfr. ivi, pp. 7–11, per la trasmissione delle lettere dei Correggio.

mors est ad nos» di Lucrezio, de rer. nat. III 830), i secondi essendo la declinazione pratica, indirizzata a un caso particolare, di quei materia- li.21In Seneca, Petrarca poteva trovarli entrambi sotto forma epistolare, ovvero le lettere a Lucilio, e le consolazioni più propriamente dette (ricordando che proprio sulla Consolatio ad Polybium Petrarca scrive