• Non ci sono risultati.

PER LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI IL QUADRO ISTITUZIONALE A CONFRONTO

2.4 Le disposizioni della Cedu e della Convenzione americana sul potere vincolante delle decisioni e sui rimed

2.4.1 Le previsioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

La Convenzione europea dedica ben due disposizioni al tema dell’esecuzione delle sentenze delle Corte che, tuttavia, sono state per lungo tempo sottovalutate. Pur presentando elementi di novità, gli estensori della Carta non hanno certamente inteso attribuire a queste norme un significato che andasse al di là dello schema tipico dei trattati internazionali. Malgrado ciò, per lungo tempo, la Corte e il Comitato dei ministri ne hanno dato un’interpretazione ancora più restrittiva rispetto a quella che comunemente si accorda a livello internazionale.

Le disposizioni di riferimento sono l’art. 41 e l’art. 46 che rispettivamente sanciscono:

art. 41: “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.

art. 46: “1. Le alte Parti Contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti. 2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione”.

Tali norme ricordano chiaramente i principali documenti internazionali; in particolare, l’art. 46 è stato costruito sulla base dell’art. 94 della Carta dell’Onu che al comma 1 stabilisce l’obbligo per ogni Stato membro di conformarsi alle decisioni della

91

Corte di giustizia internazionale, mentre al comma 2 prevede per l’ordinamento offeso la possibilità di ricorrere al Consiglio di sicurezza qualora l’altra Parte della controversia disattenda il contenuto della sentenza internazionale. In tal caso il Consiglio, se lo ritiene opportuno, può formulare delle raccomandazioni oppure decidere le misure da adottare per eseguire il giudizio della Corte250.

È necessario tuttavia rimarcare una differenza sostanziale tra quanto disciplina l’Onu e quanto regola la Cedu relativamente al ruolo degli organi di controllo. Se il Consiglio di sicurezza sorveglia l’esecuzione della decisione della Corte di giustizia a seguito di una richiesta avanzata dallo Stato leso, lo stesso potere di supervisione invece rientra tra i compiti principali del Comitato dei ministri. I poteri del Consiglio di sicurezza si possono pertanto definire politici mentre quelli del Comitato dei ministri europeo hanno una natura giuridica251. Qualora la Corte europea condanni uno Stato per la violazione della Cedu, il Comitato ha il dovere preciso di aprire una procedura attraverso cui controllare l’adempimento alla pronuncia. Si tratta di una novità assoluta nel panorama delle carte internazionali, comprese quelle sui diritti umani. La Convenzione americana, infatti, non affida ad alcun organo in particolare il controllo sull’esecuzione delle sentenze e non fa alcun riferimento al tema252.

Sebbene ciò renda la Cedu uno strumento all’avanguardia, non altrettanto la si può considerare per come il Comitato ha interpretato il ruolo di supervisore in passato. Come si vedrà più diffusamente in seguito, per lungo tempo esso ha ritenuto esaurito il proprio compito non appena gli Stati pagavano i danni quantificati nella sentenza della Corte253. Tale atteggiamento ha eluso persino un’interpretazione restrittiva dell’art. 41,

250

Il testo originale dell’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite prevede che: “1. Ciascun Membro delle Nazioni Unite si impegna a conformarsi alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia in ogni controversia di cui esso sia parte. 2. Se una delle parti di una controversia non adempie agli obblighi che le incombono per effetto di una sentenza resa dalla Corte, l’altra parte può ricorrere al Consiglio di Sicurezza, il quale ha facoltà, ove lo ritenga necessario, di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere perché la sentenza abbia esecuzione”.

251

Così si esprime A. Drzemczewski, Art. 46, Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze, in S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi (a cura di), Commentario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, Cedam, 2001, pag. 688.

252

Come si vedrà in seguito, tale lacuna convenzionale ha permesso alla Corte interamericana di attribuirsi autonomamente il potere di controllare l’esecuzione delle sentenze attraverso l’interpretazione sistematica della Convenzione supportata dalle consuetudini internazionali relative alla responsabilità statale.

253

Sulla prassi del Comitato dei ministri europeo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in ordine all’applicazione degli artt. 41 e 46 Cedu si v. infra cap. 3, §3.2 .

92

il quale formalizzava pienamente quanto consolidato nella giurisprudenza internazionale anticipando lo schema proposto nell’ILC draft articles254.

Prima di entrare nel merito della procedura di esecuzione della sentenza e della relativa disciplina dei rimedi come considerata dal sistema convenzionale, è bene fare alcune precisazioni per chiarire la valenza letterale delle disposizioni in esame. Innanzitutto è pacifico sostenere che, almeno testualmente, l’art. 46 non attribuisce alla Corte il potere di intervenire nella scelta delle misure da adottare per porre fine alla violazione. Questa disposizione si limita a stabilire il carattere vincolante della sentenza e il conseguente obbligo dello Stato a ‘impegnarsi’ per la sua esecuzione, scegliendo esso stesso i mezzi più idonei; se fosse vero il contrario non si spiegherebbe la presenza del comma 2 che assegna esplicitamente al Comitato dei ministri il controllo dell’esecuzione della decisione.

In definitiva, l’art. 46 si limita ad escludere l’ipotesi che gli Stati possano arbitrariamente decidere se conformarsi alle pronunce; per il fatto di aver aderito al sistema Cedu con la ratifica, essi sono obbligati ad accettare di conseguenza la giurisdizione della Corte pur avendo la facoltà di scegliere il modo con cui conformarsi255.

In secondo luogo, anche il tenore letterale dell’art. 41 prova la scarsa forza delle sentenze della Corte di imporsi direttamente nel sistema giuridico interno. Esso, infatti, menziona solo le parti in giudizio e lascia aperta la possibilità agli Stati di come riconoscere una restitutio in integrum alla vittima che, se non pienamente risarcita, ha diritto a un’equa soddisfazione accordata direttamente dalla Corte europea. A differenza dell’art. 63 della Convenzione americana sui diritti dell’uomo, l’art. 41 non fa riferimento ad un eventuale potere della Corte di disporre della riparazione alle conseguenze dell’atto statale lesivo256; è dovere degli Stati rimediare conformemente al proprio diritto interno. Questa interpretazione è confermata dagli stessi lavori

254

Sul punto si rimanda al cap. 1, §1.2.3. 255

Il mancato adeguamento, peraltro raro nella storia della Convenzione, non comporta però alcuna conseguenza sul piano interno ma si limita a creare una responsabilità internazionale statale punibile con l’apertura di una procedura d’infrazione da parte dell’organo politico della Cedu. Il Comitato dei ministri, come si vedrà in seguito, potrebbe infatti decidere di sospendere o espellere il paese inadempiente dal Consiglio.

256

V. infra §2.4.2 dello stesso capitolo. Si anticipa qui che l’art. 63 della Convenzione americana afferma espressamente che la Corte può indicare le misure individuali e generali da adottare affinché venga assicurato il ripristino della situazione precedente (restitutio in integrum).

93

preparatori della Cedu che, dopo un acceso dibattito, hanno portato alla redazione dell’art. 41257 così come è oggi formulato.

All’epoca c’era chi riteneva indispensabile fornire alla Corte adeguati meccanismi sanzionatori che le permettessero di implementare la Convenzione; gli stessi consideravano giusto conferire alla Corte il potere di annullare leggi o altri atti in contrasto con la Cedu. Più nello specifico, essi erano convinti che:

“in the interest of human values and human liberty, the (proposed) Assembly should make proposals for the establishment of a Court of Justice with adequate sanctions for the implementation of his Charter (of Human Rights), and to this end any citizen of the associated countries shall have redress before the Court, at any time and with the least possible delay, of any violation of his rights as formulated in the Charter”258.

Tale proposta era stata tuttavia respinta con una votazione a maggioranza durante la seconda sessione dell’Assemblea consultiva, supportata da un report del Comitato dei ministri contrario ad una posizione così avanzata. Ciò che si temeva era l’istituzione di una Corte sovranazionale che, di fatto, si sarebbe comportata come un giudice di appello, allontanandosi così dal ruolo tipico di organo giurisdizionale internazionale259. La preoccupazione maggiore era legata al rispetto del principio della sovranità statale facilmente erodibile a causa di attribuzioni di competenze così ampie.

È probabilmente per questo stesso motivo che il Comitato dei ministri, nell’assolvere al compito di supervisore delle sentenze, si è limitato per lungo tempo a registrare l’avvenuto pagamento dell’equa soddisfazione accordata dalla Corte o a prendere atto delle misure individuali e generali che lo Stato spontaneamente adottava260.

257

Si ricorda che il testo dell’art. 41 corrispondeva all’art. 50 del vecchio testo convenzionale modificato col Protocollo n. 11, mentre l’attuale comma 1 dell’art. 46 era l’art. 53, e il comma 2 dell’art. 54. 258

V. Report of the control system of the European Convention of Human Rights, H(92) 14, dicembre 1992, pag. 4, cit. in D. Shelton, Remedies in international human rights law, cit., nota n. 73, pag. 190. 259

Per un resoconto dei lavori preparatori all’art. 41 della Cedu cfr. Collected edition of the “Travaux Preparatoires” of the European Convention of human rights, Council of Europe, vol. 1, 1975, pp. 301- 303, cit. in D. Shelton, Remedies in international human rights law, op. cit., nota n. 74, pag. 190.

260

Anche il regolamento del Comitato adottato nel 1976 seguiva tale impostazione, specificando chiaramente che lo Stato responsabile della violazione accertata dalla Corte ha l’obbligo di informare il Comitato le misure adottate per dare attuazione alla sentenza e subordinava espressamente la chiusura della procedura alla verifica del Comitato dell’avvenuto pagamento dell’equo indennizzo stabilito dalla Corte senza fare alcun riferimento alle misure individuali o generali (Rules n. 1-4).

94

Il contenuto dell’art. 41 non restringeva tuttavia così ampiamente il campo d’azione del Comitato. La disposizione in esame nasce infatti sulla falsariga dei principi sui rimedi consolidati a livello internazionale. Questi, come più volte detto, danno la precedenza alla realizzazione della restitutio in integrum e, solo ove non sia possibile assicurarla, prevedono il risarcimento pecuniario dei danni.

L’art. 41, seppur dello stesso tenore, è stato applicato in modo inadeguato a causa all’inerzia del Comitato e della scarsa competenza dichiarata dalla Corte261. Gli Stati hanno così trovato un terreno favorevole per capovolgere l’ordine logico della disposizione a cui si fa riferimento, anteponendo la scelta della compensazione alla restituzione. Il più delle volte, gli ordinamenti nazionali si sono opposti adducendo l’impossibilità di una piena riparazione non solo perchè fisicamente irrealizzabile ma anche a causa del sistema giuridico interno che lo impediva. In tal modo, essi contravvenivano al principio sancito nella Convenzione di Vienna secondo il quale “una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato”262.

Per anni l’art. 41 è stato dunque disatteso nel suo significato reale, eccetto per quegli ordinamenti che hanno recepito la Convenzione come fonte costituzionale o sublegislativa263, ovvero frapposta tra Costituzione e legge ordinaria. Più di recente l’impostazione consueta è stata comunque tralasciata, optando per una via maggiormente persuasiva che condizionasse le decisioni degli Stati. L’allargamento a Est del Consiglio d’Europa, la conseguente crescita dei ricorsi e il tipo di violazioni lamentate hanno spronato gli organi di Strasburgo ad adottare posizioni più incisive; in particolare, a partire dalla fine degli anni ottanta, il Comitato dei ministri ha dato inizio ad una politica dei rimedi più incisiva sulle scelte interne da un punto di vista sostanziale, nonché procedurale.

261

I casi che possono citarsi sono numerosi. Tra questi Marckx c. Belgio del 13 giugno 1979, Campbell c. Regno Unito del 22 marzo 1983, Papamichalopoulus c. Grecia del 31 ottobre 1995, Iatridis c. Grecia del 19 ottobre 2000.

262

Art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. 263

Tra i paesi che hanno recepito la Convenzione a livello costituzionale vi è l’Austria, a livello sublegislativo invece vi sono il Belgio, Cipro, e la Francia. Sulle modalità d’incorporazione della Cedu nei deiversi paesi europei v. infra cap. 5, §5.2.

95

Per quanto riguarda la procedura, il Comitato, assistito dalla Direzione generale dei diritti dell’uomo264, ha consolidato la prassi delle risoluzioni interinali265 che si aggiungono a quella finale con cui il caso si chiude definitivamente. Con le prime, il paese responsabile ancora inadempiente è sollecitato a rimediare seguendo i suggerimenti proposti dal Comitato, il quale estende la propria competenza anche ai contenuti dei rimedi, supportato altresì dalla modifica occorsa al regolamento nel 2001 che prevedeva espressamente la valutazione delle misure individuali e generali adottate dagli Stati266. Oggi il caso si chiude soltanto qualora l’organo politico europeo ritenga che il paese responsabile abbia effettivamente posto fine alla violazione, relegando il pagamento dell’equa soddisfazione a misura secondaria.

Il quadro regolamentare attuale risulta ancora più perfezionato grazie alla particolare attenzione che l’Assemblea parlamentare e il Comitato stesso hanno dedicato al tema specifico dell’esecuzione delle sentenze europee. Nel maggio 2006, il Comitato dei ministri ha adottato un nuovo regolamento che, oltre a confermare il proprio controllo sulle misure individuali e generali, si pone anche il problema delle misure strutturali. Come si dirà successivamente, è ormai prassi della Corte indicare nelle sentenze alcuni rimedi generali da attuare qualora la violazione della Cedu interessa un numero elevato di ricorrenti a causa di una lacuna legislativa267. Sulla base del nuovo regolamento, il Comitato, al fine di condurre a termine il lavoro di supervisore, ha la facoltà di dare precedenza all’esecuzione di tali sentenze senza tuttavia ritardare l’esame di altri casi altrettanto gravi268.

264

La Direzione generale, che fa capo direttamente al Consiglio d’Europa, svolge gran parte del lavoro preliminare alla stesura delle risoluzioni del Comitato. Essa infatti studia le sentenze per individuare le misure individuali e generali più opportune da adottare, mantiene i contatti con lo Stato responsabile, istruisce le pratiche per le riunioni del Comitato e predispone le bozze delle risoluzioni del Comitato. 265

Tali risoluzioni non erano previste nel regolamento del 1976 ma hanno iniziato ad essere utilizzate costantemente negli anni novanta tanto da aver portato il Comitato a codificarli nel nuovo regolamento del 2001.

266

Cfr. l’art. 3 del Regolamento del Comitato del 2001. 267

Nel prossimo capitolo in cui si esaminerà la giurisprudenza della Corte europea in tema di rimedi si porrà l’accento su tali sentenze dette pilota che Strasburgo ormai pronuncia in modo ricorrente grazie all’impulso del Comitato dei ministri dopo la risoluzione Res(2004)3. V. infra cap. 3, §3.2.5.

268

La regola n. 4 dell’attuale Statuto del Comitato specifica infatti che: “1. The Committee of Ministers shall give priority to supervision of the execution of judgments in which the Court has identified what it considers a systemic problem in accordance with Resolution Res(2004)3 of the Committee of Ministers on judgments revealing an underlying systemic problem. 2. The priority given to cases under the first paragraph of this Rule shall not be to the detriment of the priority to be given to other important cases, notably cases where the violation established has caused grave consequences for the injured party”.

96

Nonostante gli importanti cambiamenti ora descritti, fino al 2004 gli organi europei non avevano sentito l’esigenza di modificare l’art. 46 della Cedu che, come detto, nella sua interpretazione letterale non fornisce validi supporti alla Corte per pronunciarsi in merito alle forme di riparazione. Con l’introduzione del Protocollo 14, non ancora entrato in vigore, lo scenario istituzionale potrebbe radicalmente cambiare in futuro. Nel nuovo testo Cedu verranno infatti aggiunti altri tre commi alla disposizione sopraccitata, i quali daranno maggiori poteri alla Corte anche in ordine all’esecuzione dei rimedi.

Il Comitato dei ministri potrà decidere, a maggioranza dei due terzi dei propri componenti, di richiedere alla Corte una sentenza d’interpretazione se ostacolato nello svolgimento delle sue mansioni oppure avrà la facoltà di deferire il caso alla Corte qualora l’Alta Parte contraente si rifiutasse di conformarsi alla sentenza definitiva269. Si tratta di una riforma che, se andrà in porto, legittimerà i giudici europei non solo a condannare lo Stato, bensì a specificare contemporaneamente il tipo di rimedio da adottare. Ben si comprende allora come, nei casi indicati, l’art. 46 potrà trovare una diretta applicazione perchè integrato dal contenuto della decisione.