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Come e perchè recuperare la natura sussidiaria delle Corti regionali dei diritt

IL CONFRONTO DIRETTO TRA LE DUE CORTI E IL MUTAMENTO DELLA LORO NATURA GIURIDICA

4.3 Come e perchè recuperare la natura sussidiaria delle Corti regionali dei diritt

Le considerazioni sin qui svolte mostrano chiaramente come gli ordinamenti si trovino oggi a fronteggiare nuove sfide nel costituzionalismo classico. L’idea che Corti non direttamente previste nelle Costituzioni nazionali possano garantire in prima istanza i principi fondamentali destabilizza e induce a riflettere su quali possano essere gli strumenti più adeguati per recuperare terreno. Ciò non per fare un passo indietro ignorando quanto consolidato a livello sovranazionale, ma per raggiungere nuovi equilibri diretti ad un miglioramento della tutela dei diritti.

L’aspetto su cui converrebbe focalizzarsi è il recupero del concetto di sussidiarietà dei sistemi regionali per i diritti umani539. Non è compito della Corte europea e di quella interamericana prendere il posto di quelle nazionali o addirittura dei legislatori; la loro funzione è semmai assicurare una tutela minima dei diritti contemplati nelle Convenzioni540, sia per evitare rischi di destabilizzazioni del potere

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V. L. Wildhaber, A constitutional future for the European Court of human rights?, cit., pag.161. 539

Sull’applicazione del principio di sussidiarietà ai trattati internazionali sui diritti umani cfr. P. G. Carozza, Subsidiarity as a structural principle of international Human Rights Law, in Am. J. Int.’l L., 97, 2003, 38-79. L’articolo si può anche reperire nella versione italiana in Europa e Costituzione, P. G. Grasso (a cura di), Napoli, 2005, 129-215.

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Chi scrive propende per l’idea che il minimo standard a cui si fa riferimento equivale alle condizioni basilari necessarie per il corretto funzionamento di uno stato democratico, ovvero per il rispetto dei principi dello stato di diritto.

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democratico sia per guidare le giovani democrazie a interpretare correttamente il funzionamento di tale sistema politico.

Seppure queste Corti abbiano mostrato da subito di non avere le caratteristiche dei tribunali internazionali classici, esse possono definirsi comunque Corti del ‘caso concreto’, in quanto investite da ricorsi di singoli con tutte le problematiche legate non solo alla specifica situazione ma soprattutto al contesto nazionale di riferimento. Nonostante uno dei principali motivi del successo delle Convenzioni regionali risieda nel fatto di unire paesi con lo stesso tipo di tradizioni socioculturali, tale comunanza si base sulla condivisione di standard minimi, non intaccando caratteristiche che differenziano Stati con storia e cultura comunque diversi.

In rispetto di ciò, Strasburgo ha cercato sempre di interpretare il proprio ruolo in maniera restrittiva e dunque sussidiaria. Ne è la dimostrazione il largo uso che ha fatto, e continua a fare, della dottrina del margine di apprezzamento541 oppure il modo in cui ha interpretato per lungo tempo l’art. 1 della Cedu. Come già osservato, tale disposizione è stata considerata come una norma che limitava l’attività stessa della Corte in quanto faceva ricadere in prima istanza sugli Stati membri l’onere di garantire i diritti fondamentali previsti nella Convenzione. Oggi invece la Corte potrebbe seguire l’esempio americano invocando l’art. 1 come parametro per intervenire direttamente e in modo più risoluto qualora gli Stati, accusati di violazioni ripetitive, dimostrino costante disinteresse o carenze strutturali per attuare autonomamente i principi convenzionali542. I problemi sistemici che da sempre caratterizzano l’America latina, e che da dieci anni a questa parte hanno iniziato a tormentare l’Europa a causa dell’allargamento, costringono le Corti regionali a bypassare il principio di sussidiarietà.

Tale comportamento delle Corti è condivisibile per gravi violazioni compiute da Stati indifferenti al tema dei diritti umani, o perché incapaci a fronteggiare opportunamente la questione, tuttavia non lo è nel caso in cui esse lo adottassero per lesioni di libertà che superano la soglia minima necessaria per garantire i principi dello stato di diritto.

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Sul punto se si vuole cfr. P. Tanzarella, Il margine di apprezzamento, in I diritti in azione, cit., 145- 181.

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Si è visto nel cap. 3 come la Corte ad esempio nel caso Kudla c. Polonia, cit., utilizzi l’art. 1 in combinato con gli artt. 13 e 35 per decidere sulla mancanza di un rimedio effettivo per la durata irragionevole dei porcessi. V. supra, cap. 3, § 3.2.3.

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Generalmente le Corti regionali si sono limitate ad esprimere posizioni di principio, andando al di là della situazione individuale soltanto nei casi ripetitivi o che comunque coinvolgono un alto numero di ricorrenti – come per le sentenze pilota in Europa o la dichiarazione dell’effetto diretto delle decisioni americane sulle leggi di amnistia peruviane in America. Non è escluso tuttavia che esse, in presenza di Stati che tendono a demandare ai giudici quanto invece è di responsabilità propria, perdano di vista il compito assegnato loro dai cittadini nella risoluzione di specifici problemi. Al momento questo pericolo non si avverte anche se, per la Corte europea si può fare riferimento, oltre che alle già discusse sentenze Tysiąk e E.B., a una serie di casi in cui il suo atteggiamento è in controtendenza rispetto a quello solitamente assunto. Attraverso un’interpretazione estensiva dell’art. 8 è riuscita, ad esempio, ad affermare il diritto a vivere in un ambiente sano543. Come è noto il riconoscimento di quello ambientale come ‘nuovo diritto’ è fonte di numerosi dibattiti all’interno degli ordinamenti non trovando quindi una certa e diretta tutela, forse perché più di parlare di diritto all’ambiente sarebbe più conveniente esprimersi in termini di politica dell’ambiente. La Corte europea così introdurrebbe una nuova fattispecie allontanandosi dalla protezione minima di diritti che è chiamata a garantire.

Chi scrive è dell’idea che gli effetti delle decisioni delle Corti sovranazionali hanno sulle legislazioni interne, maturati nel corso del tempo a causa dell’inerzia degli Stati a prevenire in prima battuta le cause di violazioni, debbano preservarsi tali soltanto qualora non è rispettata una soglia individuabile come minimo comune denominatore dei diritti, oltre la quale si entrerebbe nelle competenze degli ordinamenti interni, o meglio nelle competenze che attengono la sfera della politica più che quella giuridica.

Ciò garantirebbe il rispetto delle tradizioni statali e, al tempo stesso, assicurerebbe ai cittadini l’analisi del proprio caso in concreto. È questa una posizione che si vuole sostenere con riguardo alla Corte europea, maggiormente coinvolta in violazioni eccedenti tale livello minimo, ponendola così in condizione di dover decidere su temi in cui gli Stati nazionali non condividono la stessa linea di pensiero. La Corte interamericana, almeno per ora, è più interessata a gravi lesioni che offendono visibilmente la dignità della persona; inoltre essa, anche quando entra nel merito delle

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A questo proposito v. López Ostra c. Spagna del 9 dicembre 1994; Giacomelli c. Italia del 2 novembre 2006; Moreno Gomez del 16 novembre 2004.

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legislazioni statali pretendendo riforme di tipo strutturale, non perde mai di vista la condizione in cui versano i singoli, assicurando loro un congruo rimedio individuale.

Più che sulle Corti regionali, l’impegno per preservare il loro carattere sovranazionale e quindi sussidiario deve ricadere sugli organi statali. Gli ordinamenti nazionali, in modo particolare i Parlamenti, dovrebbero dunque riappropriarsi delle tradizionali competenze. Specificamente per la situazione italiana, è sorprendete la velocità con cui avvengono le discussioni e le approvazioni per l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. La lettura di alcuni atti parlamentari è poi sconcertante; non raramente i deputati e i senatori confondono la Corte europea dei diritti dell’uomo con la Corte di Giustizia delle Comunità europee544; ciò è indice di scarsa conoscenza dei sistemi sovranazionali e delle loro potenzialità giuridiche.

Per quanto riguarda i giudici costituzionali si dovrebbe puntare su un maggiore confronto con Strasburgo; in tal senso possono essere salutate con favore le recenti decisioni della Corte costituzionale italiana che hanno risolto il posizionamento nel sistema delle fonti della Cedu e della sua giurisprudenza. Considerare questi un parametro di legittimità costituzionale costringe Roma a misurarsi con l’Europa sull’interpretazione dei diritti, con la possibilità di non uniformarsi tout court con quanto stabiliscono i giudici europei, ma di preservare concezioni più vicine alle nostre tradizioni.

Ideale sarebbe infine riformare l’intero sistema europeo accogliendo l’impostazione dell’Organizzazione degli Stati americani: allargare a tutti gli organi statali, in primis i Parlamenti, la possibilità di richiedere opinioni consultive alla Corte interamericana545 in modo da anticipare questioni incerte sulla tutela dei diritti. Si deve

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Tra i tanti esempi che si possono riportare si vedano in particolare i resoconti stenografici della discussione dei disegni di legge per la riforma dell’art. 630 c.p.p. che voleva introdurre l’ipotesi della revisione dei processi a seguito di una condanna della Corte europea per violazione dell’art. 6 della Cedu (equo processo). Nello specifico si v. a.c. 1992 relativo al progetto di legge presentato il 20 novembre del 2001 dall’on. Cola, in cui all’art. 1 si parla di Corte di giustizia delle Comunità europee invece che di Corte europea dei diritti dell’uomo.

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Si è detto a proposito dell’organizzazione e le funzione della Corte interamericana che essa ha una competenza molto ampia in tema di pareri consultivi che possono essere richiesti non solo dagli organi convenzionali e dagli Stati aderenti alla Convezione ma anche da quelli che hanno aderito soltanto alla Carta dell’OAS. L’art. 64 della Convenzione americana dei diritti umani stabilisce infatti che: “1. Gli Stati membri dell’Organizzazione possono consultare la Corte circa l’interpretazione della presente Convenzione o di altri trattati concernenti la protezione dei diritti umani negli Stati americani. Nell’ambito delle loro rispettive competenze, anche gli organi di cui al Capitolo X della Carta dell’Organizzazione degli Stati Americani, come emendata dal Protocollo di Buenos Aires, possono allo

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ammettere che nel contesto americano le opinioni consultive hanno riscosso un discreto successo soltanto nel periodo iniziale, quando ancora la gran parte degli Stati non aveva accettato la giurisdizione della Corte. Oggi, il ricorso a questo strumento si fa più raro in particolare riferimento alle opinioni richieste dagli Stati per verificare l’eventuale difformità di una legge con i principi convenzionali. La constatazione del pessimo funzionamento della divisione dei poteri, che rende quello giudiziario servo dei governi, non permette un corretto utilizzo di tale strumento. Se inserito nel contesto europeo, si ha la netta sensazione che possa invece portare buoni frutti tanto da esser stato proposto anche da gruppi esperti vicini al Consiglio d’Europa.

Al contrario della Convenzione americana, la Cedu prevede la possibilità di opinioni consultive alla Corte in termini molto ristretti, lasciando in ombra questa potenziale giurisdizione. Sulla base dell’art. 47 della Cedu, soltanto il Comitato dei ministri può proporre una richiesta del genere e, per di più, su questioni che non attengono al contenuto dei diritti contemplati nel titolo I della Convenzione546. Vi è dunque un limitato ambito di applicazione ratione personae e ratione materiae che impedisce un controllo preventivo su atti statali che invece potrebbero morire sul nascere in quanto ritenuti non conformi a convenzione. È legittimo porre il dubbio su quali possano essere le questioni giuridiche che rientrano nell’ambito di applicazione del §2 dell’art. 47, escludendo quelle che riguardano l’interpretazione di altri trattati che prevedono norme sui diritti umani547.

Ad oggi, nella prassi, non vi è stato un uso opportuno di tale competenza, anche perché non erano evidenti i vantaggi; alcuni paesi come il Belgio e l’Olanda avevano tentato di convincere il Comitato dei ministri a fare istanza alla Corte per valutare

stesso modo consultare la Corte. 2. La Corte, su richiesta di uno Stato dell’Organizzazione, può fornire a tale Stato pareri relativi alla compatibilità di qualunque sua legge nazionale con gli strumenti internazionali citati al paragrafo precedente”. V. supra cap. 2, §2.3.4.

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L’art. 47 della Cedu dispone nello specifico che: “1. La Corte può, su richiesta del Comitato dei Ministri, fornire pareri consultivi su questioni giuridiche relative all'interpretazione della Convenzione e dei suoi protocolli. 2. Tali pareri non devono riguardare questioni inerenti al contenuto o alla portata dei diritti e libertà definiti nel Titolo I della Convenzione e nei protocolli, né su altre questioni che la Corte o il Comitato dei Ministri si troverebbero a dover giudicare in seguito alla presentazione di un ricorso previsto dalla Convenzione. 3. La decisione del Comitato dei Ministri di chiedere un parere alla Corte è adottata con un voto della maggioranza dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio al Comitato”.

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La Convenzione sui diritti umani e biomedicina di Oviedo, adottata il 4 aprile del 1997, contiene ad es. una norma che espressamente prevede la possibilità di ricorrere alla Corte europea per ottenere l’interpretazione del trattato in questione (art. 29).

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l’opportunità di disegni di legge in discussione. Lo stesso Comitato ha tuttavia respinto tali richieste precisando che si eccedeva il limite posto dall’art. 47 in quanto era richiesta l’interpretazione e l’applicazione dei diritti contemplati nella Cedu548.

La ratio di tale norma trovava una chiara giustificazione fino a quando la Corte europea era impegnata su questioni esclusivamente individuali; l’idea di aprire a una giurisdizione consultiva avrebbe avuto, con ogni probabilità, l’effetto di sminuire l’affermazione di quella contenziosa in quanto gli Stati, pur di evitare una condanna, avrebbero richiesto dei pareri alla Corte549.

Oggigiorno, poiché le sentenze contenenti affermazioni di principio stanno diventando frequenti, non si vede motivo alcuno per cui non allargare la competenza della Corte anche alla funzione consultiva550. Ciò è in linea con quanto espresso più di recente dal comitato dei ‘saggi’, un gruppo di dodici esperti riunito per stendere un rapporto al Comitato dei Ministri europeo al fine di trovare possibili soluzioni per migliorare il sistema convenzionale. Il Comitato ritiene utile favorire, accanto al consolidamento del meccanismo delle sentenze pilota, un contatto diretto tra i giudici europei e quelli nazionali attraverso il meccanismo delle advisory opinion su casi legati all’interpretazione della Convenzione e dei suoi protocolli.

Si tratterebbe di richieste facoltative e non vincolanti, ristrette alle sole Corti costituzionali o ai giudici di ultima istanza, che incoraggerebbero il dialogo con la Corte europea su questioni di principio o di interesse generale551. Una versione non sofisticata del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea che potrebbe procurare significativi mutamenti nei rapporti tra i giudici nel sistema multilevel dei diritti.

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Nel 1972 ad es. l’Olanda aveva proposto un’opinione consultiva riguardo alla revisione della legislazione in materia di disciplina militare, tentativo respinto direttamente dal Comitato dei ministri. 549

Sulle discussioni che si sono avute in seno ai lavori preparatori della Convenzione e ai lavori per l’approvazione del Protocollo n. 2 con cui è stato emanato l’attuale testo dell’art. 47 cfr. P. Benvenuti, Art. 47, pareri consultivi, in Commentario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cit., pp. 695- 713.

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A dire il vero una prima versione di opinione consultiva la si è avuta relativamente alla vicenda francese sull’istituzione della Commissione Stasi per l’introduzione, in Francia, della norma antivelo. In quella occasione venne consultato il vice-presidente della Corte di Strasburgo il quale aveva affermato, che la legge in questione appariva convenzionalmente conforme, e che quindi un futuro ricorso alla Corte avente ad oggetto tale legge non sarebbe stato accolto. Sul punto cfr. D. Tega, Stato laico: tollerante o militante? in Quad. cost. n.1/2004, pag. 144.

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Il rapporto steso dal gruppo dei saggi può essere consultato sul sito del Consiglio d’Europa

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L’advisory opinion risulterebbe ancora più significativa se si pensa agli ordinamenti di civil law in cui, mancando il vincolo del precedente, potrebbe risolvere il problema delle difformità interpretative della Convenzione e della giurisprudenza della stessa Corte europea. Se poi questa tecnica fosse allargata anche ai Parlamenti risulterebbe certamente più semplice trovare un giusto compromesso per evitare facili sostituzioni dei sistemi sovranazionali sugli ordinamenti interni, o meglio per non lasciare alle Corti regionali competenze che attengono più strettamente alla sfera politica che giuridica. Un rischio questo tanto più alto quanto più si fa riferimento a quei paesi in cui è visibile una crisi della politica.