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Le regole organizzative: adeguatezza patrimoniale e conflitt

Nel documento La consulenza in materia di investimenti (pagine 150-153)

5. La disciplina della consulenza prestata da soggetti abilitati

5.1. Le regole organizzative: adeguatezza patrimoniale e conflitt

Ai fini della disciplina della consulenza, le regole organizzative che principalmente rilevano sono quelle di adeguatezza patrimoniale e quelle relative ai conflitti di interesse.

I requisiti di adeguatezza patrimoniale, innanzitutto, assumono una rilevanza essenzialmente negativa. L’art. 67 della MiFID L1 modifica la direttiva 96/3/CEE, in modo tale che le imprese che svolgono la sola attività di consulenza non siano più considerate imprese di investimento ai fini della direttiva sull’adeguatezza patrimoniale667, coerentemente e parallelamente

                                                                                                               

664 Come si è visto nel capitolo I.

665 Nella quale la decisione d’investimento è direttamente assunta e messa in opera dal

gestore: si veda ancora quanto detto nel capitolo I.

666 Cfr. paragrafo 2.1.

667 Detta disposizione modifica l’art. 2, paragrafo 2 della Direttiva 93/6/CEE del Consiglio,

relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi, in

con quanto previsto dalle esenzioni generali di cui all’ art. 3 MiFID L1. Questa modifica riflette non solamente la forte pressione esercitata in fase di discussione della MiFID da parte delle imprese che esercitavano consulenza in maniera esclusiva o principale668, ma soprattutto la dichiarata volontà del

legislatore europeo di diffondere il servizio di consulenza, aumentando la competitività dell’offerta, al fine di facilitare l’investimento del risparmio.

Si deve segnalare che la maggiore concentrazione sulla condotta dell’intermediario ha portato alla necessità di migliorare la disciplina del conflitto di interesse669, e si è scelto di farlo non già tramite la tradizionale

regola disclose or abstain, precedentemente in vigore670, ma piuttosto

tramite la combinazione di più penetranti regole organizzative e obbligazioni relative al comportamento da tenere con il cliente.

Dall’analisi dell’art. 21, comma 1-bis t.u.f., emerge una prescrizione, appunto, organizzativa: i soggetti abilitati adottano ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse (lett. a)), e l’art. 13 della MiFID L1 prevedeva proprio il “mantenimento” e l’“applicazione” di disposizioni organizzative e amministrative “efficaci al fine di adottare tutte le misure

ragionevoli destinate ad evitare che i conflitti di interesse […] incidano

negativamente sugli interessi dei loro clienti”. Non si chiede dunque al soggetto abilitato l’irragionevole671, ma lo si obbliga a prestare attenzione ai

                                                                                                                                                                                                                                                                                         

fini dell’applicazione dei requisiti prudenziali “le imprese che sono esclusivamente autorizzate a prestare i servizi di consulenza in materia di investimenti e/o a ricevere e trasmettere ordini di investitori, in entrambi i casi senza detenere fondi o titoli appartenenti ai loro clienti e che, per questo motivo, non possono mai trovarsi in situazione di debito con i loro clienti”. Ciò è giustificato, sul piano sostanziale, dal ragionamento in tema di rischi formulato supra, nt. 505 e testo corrispondente. E si veda oggi il Regolamento Banca d’Italia in materia di vigilanza prudenziale per le sim, in vigore dal 31 marzo 2011, che, al paragrafo 4, esclude le sim che prestano il solo servizio di consulenza in materia di investimenti dai relativi requisiti.

668 Cfr. paragrafo 2.1.

669 In particolare si veda A. PERRONE, I conflitti di interesse e le regole di organizzazione,

in Banche, servizi di investimento e conflitti di interesse, a cura di M. Anolli, A. Banfi, G.Presti, M. Rescigno, Bologna, Il Mulino, 2008; A.COLLETTI, Il conflitto di interessi nella

disciplina dei servizi d’investimento, in La tutela del consumatore dei servizi finanziari. Applicazioni giurisprudenziali e attuazione delle direttive MiFID, a cura di L. Di Nella,

Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 97 ss; rimarcando il ruolo degli errori cognitivi, già esplorato nel capitolo I, anche N. LINCIANO, La consulenza finanziaria tra errori di

comportamento e conflitti di interesse, in AGE, 2012, 135 ss. Sulla “chiusura” della

disciplina del conflitto d’interesse nell’ambito delle scelte organizzative dell’impresa anche A. ANTONUCCI, Regole di condotta e conflitti di interesse, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, 9 ss.

670 Cfr. capitolo II, paragrafo 5.

671 E da qui, una prima traccia dell’ampio uso che il legislatore europeo fa delle clausole

generali, in base alla già menzionata “principle based regulation”: cfr. nt. 516 e testo corrispondente.

conflitti prima che questi sorgano e si manifestino, e tale attenzione deve essere riflessa nella struttura organizzativa stessa del soggetto.

Il mutamento di prospettiva 672 , ossia quello della maggiore

concentrazione dei doveri di protezione dell’intermediario nei confronti del cliente, ha reso necessario il transito di parte della disciplina dei conflitti di interesse nelle regole organizzative673, affidando la parte restante ai principi

generali di comportamento ed agli obblighi di trasparenza.

L’enfasi sull’organizzazione nella gestione dei conflitti, emerge poi non solo dal regolamento congiunto della Banca d’Italia e della Consob674

all’uopo emanato (Regolamento Congiunto), ma già, nelle sue linee generali, dal considerando 27 della MiFID L2, che prevede che, per l’intermediario polifunzionale, l’attività organizzativa di prevenzione dei conflitti debba essere “globale”, e che, quanto di più significativo, “non è consentito un eccessivo affidamento sulla comunicazione [al cliente del conflitto] senza un’adeguata considerazione di come tali conflitti possano essere adeguatamente gestiti”. Da questo inciso rileva, definitivamente, come la gestione preventiva dei conflitti di interesse abbia nettamente sopravanzato la tecnica della trasparenza che, come già visto altrove675, gli

intermediari nella pratica preferiscono: in altre parole, la filosofia della “vendita” sopra quella del “mandato”676.

Interessante è infine osservare come l’art. 25 del Regolamento Congiunto, nell’obbligare le imprese alla redazione del documento sulla politica di gestione dei conflitti e ad attuare le politiche necessarie per gestirli, prevede che esse esercitino le loro attività con un “grado di indipendenza appropriato, tenuto conto delle dimensioni e dell’attività                                                                                                                

672 La disciplina previgente, invece, richiedeva di “organizzarsi per ridurre al minimo i

conflitti” ed “in situazione di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”: come si vedrà, dunque, non solo si è spostata fortemente la concentrazione sul requisito organizzativo, ma si sono anche meglio specificati i criteri di condotta in caso di conflitto, modificando il vago riferimento all’ “equo trattamento” in un più pregnante riscontro con l’interesse del cliente: cfr. paragrafo 5.1.

673 La regola di protezione del cliente di cui all’art. 21, comma 1-bis t.u.f. prosegue con il

richiedere agli intermediari di informare i clienti prma di agire per loro conto della natura e delle fonti dei coflitti se non sono certi che il rischio di nuocere ai loro interessi sia evitato: e si veda, per questo, il paragrafo 5.4.

674 Regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano

servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio, adottato dalla Banca d'Italia e dalla Consob con provvedimento del 29 ottobre 2007. In materia organizzazione e conflitti di interessi, in generale, si vedano G.SCOGNAMIGLIO, Recenti tendenze in tema di assetti

organizzativi degli intermediari finanziari (e non solo), in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I,

137 ss., oltre a S.SCOTTI CAMUZZI, La normativa sul conflitto di interessi fra intermediari

e clienti nella prestazione di servizi di investimento (prima e dopo il decreto Eurosim e prima e dopo la ricezione della MiFID), in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, 287 ss.

675 Cfr. nt. 555 e testo corrispondente. 676 Cfr. nt. 476 e testo corrispondente.

dell’intermediario e del suo gruppo nonché della rilevanza del rischio che gli interessi dei clienti siano danneggiati”: si tratta di un timido richiamo ad un’idea di indipendenza che viene contraddetto non solo dall’idea stessa di fisiologicità del conflitto di interesse, che costituisce il presupposto stesso del Regolamento Congiunto medesimo, ma soprattutto dalla struttura operativa tipica dei soggetti abilitati.

L’impatto dell’organizzazione in merito ai conflitti di interesse si estende inoltre ai servizi accessori correlati alla consulenza, ed in particolare a quelli che abbiamo ricompreso nella categoria di “raccomandazione generale”677, in ossequio a quanto previsto dal considerando 26 della MiFID

L2, quando questi siano prestati congiuntamente a servizi di investimento quale la negoziazione per conto proprio e la gestione di portafogli, anche da parte di soggetti diversi, quali imprese controllate o collegate: questa impostazione estensiva è coerente con quella adottata nel delineare la fattispecie di consulenza in materia di investimenti678.

Questa nuova disciplina del conflitto di interessi costituisce un sostanzioso passo avanti verso il superamento della strategia della trasparenza 679 , specialmente se si considera l’obbligatorietà del

mantenimento di detti requisiti di organizzazione680.

Nel documento La consulenza in materia di investimenti (pagine 150-153)