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Le sentenze della Corte costituzionale nel periodo 1996-2006

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 62-66)

2.4 Lo spoils system al vaglio della giurisprudenza

2.4.1 Le sentenze della Corte costituzionale nel periodo 1996-2006

Con riferimento alla prima fase, la sentenza 313 del 1996 affronta la questione posta in evidenza dal T.a.r. Lazio relativa alla riforma del 1993 che ha introdotto la privatizzazione dello status per tutti i dirigenti, meno i dirigenti generali, e al conseguente venir meno della fiducia tra vertice politico e dirigenza. In particolare, secondo il T.a.r. sarebbero stati violati gli artt. 97 e 3 della Costituzione attraverso la previsione d'un “regime di recesso dal rapporto di lavoro, incentrato nell'area contrattualistica privata basato sul venir meno del rapporto di fiducia nei confronti del dirigente”. Il rimettente esprime il dubbio che “il novero di attribuzioni, ampie e significative, assegnate ai dirigenti..., possa essere condizionato” da una tale scelta legislativa, “non correlata esclusivamente all'imparziale ed efficiente svolgimento delle attribuzioni stesse e non limitata da una forte stabilità del rapporto d'impiego pubblico”. Per quanto concerne la lesione dell'art. 3 Cost., essa viene prospettata sotto il profilo dell'irragionevolezza della differenziazione del regime giuridico afferente al rapporto di lavoro relativo ai dirigenti e ai dirigenti generali che dovrebbero essere considerate quali articolazioni interne di una unitaria figura. La Corte prende atto della scelta del legislatore del 1993 di introdurre la contrattazione per i dirigenti (fatta eccezione per i dirigenti generali) e con sentenza 313 rigetta la questione perché la riforma del 1993 integra imparzialità ed efficienza e non incorre in profili di manifesta irrazionalità, aggiunge inoltre che l’imparzialità non è garantita necessariamente nelle forme dello statuto pubblicistico del dipendente, ben potendo trovare attuazione in un equilibrato dosaggio di fonti regolatrici. Infine, sottolinea che la contrattualizzazione non implica che l’amministrazione possa recedere liberamente dal rapporto; la valutazione dell’idoneità professionale del dirigente deve essere affidata a criteri e a procedure di carattere oggettivo assistite da un’ampia pubblicità e dalla garanzia del contraddittorio a conclusione delle quali può essere esercitato il recesso97. Anche la sentenza n. 275 del 2001, che aveva giudicato legittima la giurisdizione del giudice ordinario proprio con riferimento ai dirigenti generali sul presupposto dell’intervenuta

97 M.MIDIRI “La Corte, i politici e lo Spoils System”, op. cit. 927 ss.

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privatizzazione del loro rapporto di impiego, ribadiva che tale privatizzazione non rappresentava di per sé un pregiudizio per l’imparzialità del dipendente pubblico in quanto per questi (dirigente o no) non vi è la garanzia costituzionale di autonomia che è posta per i soli magistrati. Rientra nella discrezionalità del legislatore disegnare l’estensione di tale privatizzazione, con il limite del rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento e della non irragionevolezza della disciplina differenziata e l’estensione della privatizzazione anche ai dirigenti generali rientra in detta discrezionalità.

Questi concetti sono ripresi da una lapidaria pronuncia del 2002, l’ordinanza n.

11/2002, a seguito della remissione del Tar Lazio che aveva prospettato dubbi di legittimità costituzionale in riferimento alla modifica introdotta nella disciplina degli incarichi dirigenziali.

La pronuncia dichiara legittima la previsione, evidenziando che la disciplina del rapporto dirigenziale, nei suoi aspetti qualificanti, è comunque “connotata da specifiche garanzie, mirate a presidiare il rapporto di impiego dei dirigenti generali, la cui stabilità non implica necessariamente anche stabilità dell’incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione pubblica, può essere soggetto alla verifica dell’azione svolta e dei risultati perseguiti. Da tutto ciò deriva che i dirigenti generali sono posti in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto del principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione” anche in presenza di un sistema che preveda la temporaneità dell’incarico (cioè dell’esercizio effettivo della funzione), purché tale temporaneità risulti assistita da specifiche garanzie”.

Quindi con ordinanza di rigetto la Corte ha ritenuto perfettamente legittima la privatizzazione del regime giuridico della dirigenza, in quanto, secondo i giudici, la Costituzione non imporrebbe uno status pubblicistico dell’alta dirigenza.

In vero, la sentenza emblematica dell’orientamento assunto dalla Corte costituzionale nella prima fase è la n. 233/2006 del 16 giugno 2006 a seguito dell’impugnazione del Governo dei commi da 1 ad 8 dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 (Norme in materia di nomine e di personale della Regione Calabria), gli artt.14, comma 3, e 24, della medesima legge, nonché gli artt. 1 e 2 della legge della

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Regione Abruzzo 12 agosto 2005, n. 27 (Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo).

Il dato fondamentale di questo decisum costituzionale, risiede nella legittimazione del meccanismo dello spoils system in ambito regionale, ritenuto necessario per assicurare la coesione fra l’autorità politica e i dirigenti di vertice, corollario al principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione.

In particolare, la sentenza n. 233/06 prende in considerazione la questione della compatibilità rispetto agli artt. 3 e 97 Cost. di un sistema di attribuzione fiduciario degli incarichi dirigenziali regionali implicante la decadenza automatica di una larga fascia di dirigenti al mutare degli organi di indirizzo politico. In questa discussa pronuncia, la Consulta esaminando le leggi delle Regioni Abruzzo e Calabria sulle nomine dei dirigenti apicali, osserva che si tratta di nomine intuitu personae, perché fondate su valutazioni personali coerenti con l’indirizzo politico regionale e quindi atte a preservare il rapporto diretto fra organo politico e direttore generale e quindi la

«coesione tra l’organo politico regionale e gli organi di vertice dell’apparato burocratico». Ma le norme non avevano di mira solo i dirigenti generali, secondo il ricorrente la norma regionale, in violazione dei principi di ragionevolezza, di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, avrebbe esteso la decadenza anche ai dirigenti con funzioni meramente gestionali od esecutive, quindi non caratterizzati da particolare contiguità con gli organi politici, mentre la legislazione statale, art. 3, co. 7, legge n. 145 del 2002, limiterebbe lo spoils system agli incarichi apicali segretari generali e capi dipartimento. La Corte, allora, interviene in via interpretativa (dichiarazione di non fondatezza nei sensi di cui in motivazione) per introdurre un limite all’estensione della norma regionale impugnata, assicurando una più intensa tutela per gli incarichi dei dirigenti di livello non generale. Richiamato lo Statuto regionale Calabria, art. 50, co. 6 (“Tutti gli incarichi dirigenziali devono essere formalmente conferiti entro 60 giorni dall’insediamento dei nuovi organi regionali”), la Corte osserva che le disposizioni impugnate devono essere lette in via coordinata, e interpretate nel senso che esse si riferiscono ai soli incarichi dirigenziali di livello generale (apicali) e non anche a quelli di livello non generale (intermedi).

L’interpretazione sistematica dei commi in esame porta quindi ad escludere che essi si

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riferiscano anche agli incarichi dirigenziali di livello non generale e che si determini una estensione dello spoil system tanto rilevante da risolversi in lesione dei principi di ragionevolezza e di imparzialità e buon andamento.

Questa pronuncia era stata accolta con forti critiche e agli occhi di parte della dottrina mostrava una Corte rassegnata al dilagare dello spoils system con inevitabile mortificazione del principio di distinzione tra politica ed amministrazione.

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