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prima della novella prevedeva che “per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse, si dovesse tener conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, anche in relazione ai risultati conseguiti in precedenza, applicando di norma il criterio della rotazione degli incarichi”. A seguito della riscrittura della norma 72, scompare il criterio della rotazione e si stabilisce una nuova formulazione che privilegia gli elementi di ordine soggettivo, i quali, ovviamente, sono più difficilmente riscontrabili e verificabili, ciò comportando ancora una volta maggiori possibilità di manovra da parte del soggetto politico73. A tal proposito tuttavia si soggiunge che lo strumento dell’investitura fiduciaria dell’incarico dirigenziale, da parte del mondo politico, deve essere letto anche in connessione alle indicazioni riferite ai criteri di valutazione dell’operato dirigenziale. Infatti, l’indicazione, ai fini del conferimento dell’incarico, anche del criterio relativo ai
“risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministero”, denuncia il richiamo all’esperimento di procedure di valutazione e anche la necessità conseguente di comparare i risultati raggiunti pertanto quale che sia il valore assegnato al criterio della valutazione dei risultati, certo è che esso ridimensiona il profilo soggettivo “delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente”.
Altro aspetto fondamentale della novella legislativa riguarda la ripubblicizzazione dell’atto di conferimento dell’incarico. La nuova normativa (art. 3 comma 1 lett.
b) sancisce la formale distinzione di contenuti tra il provvedimento
72 Secondo l’art. 3 della legge 45/2002, all'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dal seguente: "1. Per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, valutate anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro”.
73R., D’ALESSIO, La legge di riordino della dirigenza: nostalgie, antilogie e amnesie...,in LPA. 2002, p. 218. In senso contrario, MENGHINI afferma che “bisogna considerare le attitudini e le capacità soggettive, emergenti anche dai risultati ottenuti negli incarichi precedenti e poi rapportarle alla natura ed alle caratteristiche del nuovo incarico”. Così, secondo questo autore, “la novella sembra semmai voler oggettivare meglio la valutazione delle capacità soggettive, laddove precisa che queste vanno esaminate non più con riguardo a generici risultati conseguiti in precedenza, ma rispetto a più specifici risultati conseguiti in attuazioni degli obiettivi e degli indirizzi ministeriali”. Vid., L., MENGHINI, La disciplina degli incarichi dirigenziali, in LPA, 2002, p. 1020.
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amministrativo di conferimento dell'incarico74 ed il successivo contratto individuale tra dirigente ed amministrazione: il contratto accede al provvedimento di conferimento e definisce esclusivamente il trattamento economico, mentre il provvedimento di conferimento dell’incarico (atto di natura pubblicistica) prevede il contenuto dei compiti affidati al dirigente, in relazione agli scopi fissati negli atti di indirizzo politico-amministrativo (più precisamente, oggetto dell'incarico, durata dello stesso, obiettivi da raggiungere e durata dell’incarico).
Da qui ne consegue che il margine di contrattazione sulla durata dell’incarico (oltre che sull’oggetto e sugli obiettivi) risulta sostanzialmente azzerato. Al momento di ricevere un incarico, pertanto, il dirigente è assoggettato agli effetti di una decisione unilaterale dell’organo politico (o del dirigente generale, nel caso di incarico di seconda fascia), che investe una serie di profili in precedenza negoziabili.
Insieme alle modifiche in tema di incarichi dirigenziali, un’altra novità di rilievo è stata la soppressione del “ruolo unico” della dirigenza statale (istituito nel 1993 e regolato dal D.P.R. n. 150/1999) e il ripristino in ogni amministrazione dei singoli ruoli dirigenziali75ciò per porre fine alle criticità generate da predetto sistema. L’istituzione del ruolo unico, secondo molti commentatori, avrebbe dovuto consentire il recupero di margini di flessibilità nel conferimento degli incarichi dirigenziali76, tuttavia tale istituto insieme alla funzione principale di favorire la circolazione dei dirigenti fra le amministrazioni statali, ha permesso a queste ultime “di liberarsi di propri dirigenti, non attribuendo loro incarichi di alcun genere (nella fase di prima applicazione della nuova disciplina o alla
74D'Auria G., La “privatizzazione” della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore, in FI, 2002, p. 2970. L'atto di conferimento dell'incarico si configura quale provvedimento conclusivo di un apposito procedimento amministrativo.
75L’art. 23 d.lgs. n. 165 del 2001 (come sostituito dal comma 4 dell’art. 3 della legge n. 145 del 2002) prescrive che “in ogni amministrazione dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è istituito il ruolo dei dirigenti, che si articola nella prima e nella seconda fascia, nel cui ambito sono definite apposite sezioni in modo da garantire la eventuale specificità tecnica (comma 1)”. Su questo punto, vid., il d.P.R. n. 108, 23 aprile 2004 (“Regolamento recante disciplina per l’istituzione, l’organizzazione ed il funzionamento del ruolo dei ririgenti presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo”)
76C. D’ORTA, La seconda fase di riforma della dirigenza pubblica: verso la fine del guado, cercando di evitare gli scogli, in Il lav. nelle p.a., 1998, p. 4
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scadenza naturale degli incarichi) collocandoli presso il r.u.d. senza attivare il procedimento di valutazione delle loro prestazioni (ex art. 5 d.lgs. n. 286/1999) o avviare procedimenti sanzionatori nei loro confronti”77. In dottrina è stato evidenziato che tra le diverse soluzioni possibili, per risolvere il problema segnalato, l’abolizione del ruolo unico in realtà non sarebbe stata la migliore ma
“avrebbe moltiplicato il problema per il numero dei ministeri, poiché ciascun ministro resta libero di non motivare, alla scadenza di ciascun incarico, la mancata assegnazione del dirigente allo stesso o ad altro incarico; con l’unica differenza che il dirigente sarà messo a disposizione, non più del r.u.d., ma del ruolo esistente presso il proprio ministero (salva la «mobilità» verso altre amministrazioni, in base a «provvedimento» discrezionale del ministro della funzione pubblica, su domanda dell'interessato, sentite l'amministrazione di provenienza e quella di destinazione)”78, Quindi anche questa norma ha finito con l’essere indirizzata alla precarizzazione della figura del dirigente così come le altre fin qui trattate. A quanto sinora detto, si aggiunga l’importante ridefinizione della dimensione temporale degli incarichi, con riferimento alla quale si era sviluppato all’epoca dell’elaborazione del d.lgs. 80/1998 un forte dibattito che aveva portato a concludere che due anni erano il minimo per consentire al dirigente di svolgere i suoi compiti con serenità, dar prova delle sue attitudini ed essere valutato sui risultati conseguiti; e che il limite massimo di sette anni era opportuno per differenziarlo dalla cadenza fisiologica (quinquennale) del mutamento degli organi politici. Tali considerazioni sono state ignorate unitamente alle voci che avevano invitato a riflettere criticamente sul carattere di temporaneità degli incarichi79, così la legge Frattini dispone che la durata non può eccedere il termine di tre anni per i dirigenti generali o di 5 anni per gli altri dirigenti, ma soprattutto
77G., D’AURIA, Ancora una riforma sulla dirigenza pubblica, op. cit., p. 5
78G., D’AURIA, Ancora una riforma sulla dirigenza pubblica, op. cit., p. 5
79R., D’ALESSIO, La legge di riordino della dirigenza: nostalgie, antilogie e amnesie..., op. cit., pp. 219-220
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non fa alcun riferimento alla durata minima80. L’incidenza delle disposizioni citate (come l’abolizione del criterio di rotazione, il più ampio ricorso al personale interno, la modifica della durata degli incarichi, le innovazioni nel regime della responsabilità dirigenziale) induce a stigmatizzare il D.Lgs. n. 145 del 2001 come
“ripubblicizzazione” della disciplina del rapporto dirigenziale voluto a ricondurre le vicende del rapporto di lavoro dei dirigenti sotto il controllo degli organi politici. L’intento politico trova poi ulteriore conferma nella disposizione che ha reso le norme in tema di conferimento degli incarichi (art. 3, comma 1, lett. n, L.
n. 145 del 2002, che ha aggiunto il comma 12-bis all’art. 19, del D. Lgs. n. 165 del 2001) “non derogabili dai contratti collettivi”.
L’aver sottratto la materia del conferimento dell’incarico alla sede contrattuale vale come riconferma di quel giudizio, che si sia voluto cambiare completamente l’assetto delineatosi dopo le innovazioni introdotte dal legislatore del ’93. Trattasi di un’operazione molto delicata, in quanto la disciplina della dirigenza e la relativa responsabilità erano stati i punti cardine della riforma, nel solco della fondamentale distinzione tra responsabilità di indirizzo politico e responsabilità di direzione amministrativa, espressamente finalizzata al recupero dell’efficienza della pubblica amministrazione. Una dirigenza ripubblicizzata che debba gestire dipendenti “privatizzati” può creare seri problemi alla macchina amministrativa.
È sufficiente ricordare che l’equivalenza delle mansioni, ai sensi dell’art. 2103 c.c., è materia affidata alla contrattazione collettiva81.
Infine, non meno importante, la legge di riforma del 2002 ha accentuato il sistema dello spoils system, in particolare prevedendo la revocabilità degli incarichi
80Il successivo D.L. 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per la funzionalità di settori della pubblica amministrazione) ha poi ulteriormente modificato tale previsione per prevedere, per tutti gli incarichi di funzione dirigenziale, gli stessi limiti di durata minimi (tre anni) e massimi (cinque anni).
81 Il comma 4 dell’art. 13 del Contratto collettivo dell’Area dei Ministeri 1998 – 2001 prevede, in caso di mancata conferma, l’attribuzione per il dirigente, che non sia incorso nella valutazione negativa dell’attività svolta, di un incarico almeno equivalente a quello non confermato. Tale disposizione sembra ormai decisamente cancellata dalla L. n. 145/2002. Per gli altri dipendenti pubblici l’art. 2103 c.c trova parziale attuazione, anche se in misura diversa rispetto alla disciplina vigente per il lavoro privato. La legittimità dell’esercizio da parte del datore di lavoro dello ius variandi deve rispettare i criteri di equivalenza tra le mansioni fissati “nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelli corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” (art. 52. D. Lgs. n. 165/2001).
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dirigenziali di vertice da parte di ogni nuovo governo: più precisamente, gli incarichi dirigenziali apicali cessano decorsi novanta giorni dal voto di fiducia al governo (art. 3, comma 1, lett. i). Si è introdotta, peraltro, una disciplina transitoria per cui gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale decadono automaticamente a decorrere dal sessantesimo giorno dall'entrata in vigore della legge stessa, mentre quelli di funzione dirigenziale di livello non generale possono essere soggetti ad una nuova attribuzione entro il termine di 90 giorni dall'entrata in vigore della legge, decorso il quale gli incarichi si intendono confermati ove nessun provvedimento sia stato adottato82. I numeri indicati dal Dipartimento della Funzione Pubblica, dopo l’introduzione dei citati meccanismi e della nuova disciplina della dirigenza, dicono che è stato operato un imponente ricambio dei dirigenti, anche se di entità differente tra i diversi ministeri. Gli effetti non sono stati indolori visto che molti dirigenti non hanno potuto portare a termine l’incarico che prevedeva il raggiungimento degli obiettivi entro un certo numero di anni e la gran parte ha dovuto accettare contratti per un periodo assai breve come un anno o sei mesi. I giovani dirigenti si sono visti chiudere la possibilità di passare alla fascia superiore perché il mutamento di incarico ha fatto sfumare l’acquisizione della permanenza dell’incarico, altri ancora si sono visti attribuire fittizi incarichi di studio, altri, infine, sono rimasti senza incarico.
In conclusione, emerge una dirigenza pubblica fortemente condizionata dal potere politico nei contenuti della propria prestazione, costantemente oppressa dal timore di perdere l’ufficio dirigenziale. Pertanto, in un sistema così delineato, la valutazione dei risultati (per cui la contrattazione collettiva ha una sua autonoma indipendenza di cruciale importanza perché può contribuire alla individuazione di criteri e delle procedure per la selezione ai fini del conferimento dell’incarico e può determinare la retribuzione accessoria connessa ai risultati) potrebbe
82 Per i dirigenti generali, il trattamento di risultato trova la base nelle determinazioni accettate in sede di contratto individuale di incarico in relazione alle responsabilità e ai compiti ivi individuati; per la dirigenza di seconda fascia occorre anche fare riferimento alle specifiche clausole sulla retribuzione contenute nei contratti collettivi di categoria.
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assurgere a limite alla discrezionalità degli organi politici in quanto criterio incidente non solo sulla tematica della responsabilità dirigenziale e delle relative sanzioni, ma anche su quella della selezione per l’accesso agli uffici dirigenziali.
E, tuttavia, il sistema di valutazione dei risultati è stato riconfermato dall’art. 3, comma 2, della L. n. 145 del 2002, che ha parzialmente modificato in comma 1 dell’art. 21, D. Lgs. n. 165 del 2001, disponendo, in caso di “mancato raggiungimento degli obiettivi”, l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico e, nei casi più gravi, la revoca dell’incarico o il recesso dal rapporto di lavoro.
La valutazione del mancato raggiungimento degli obiettivi o dell’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente resta affidata ai sistemi e alle garanzie di cui all’art 5 del D. Lgs. n. 286 del 1999 che dispone: “per i dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni [….] la valutazione è effettuata dal Ministro, sulla base degli elementi forniti dall’organo di valutazione e controllo strategico” e, le misure sanzionatorie si applicano allorché i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento degli obiettivi “emergano dalle ordinarie e annuali procedure di valutazione”.
Tuttavia, le lentezze, in gran parte giustificate, hanno comportato inoltre la mancata definizione e applicazione da parte dei ministeri del sistema di controllo (criteri, procedure, garanzie, ecc.) per la verifica e valutazione dei risultati dei dirigenti e quand’anche il sistema di valutazione dei risultati dovesse funzionare perfettamente, il suo collegamento “agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro”, che sono per volontà politica o per la loro natura generici e mutevoli, difficilmente potrà produrre esiti selettivi ed oggettivi del merito, ai fini dell’accertamento della responsabilità o conferimento dell’incarico.
In definitiva, si può affermare che il quadro normativo sulla dirigenza che si è andato delineando ha condotto ad una condizione istituzionale di debolezza per l’alta funzione pubblica non garantendo né la stabilità né l'autonomia dei dirigenti.
Il risultato cui si perviene, a seguito dei diversi aspetti fin qui analizzati, è che la
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legge 145/2002 di riordino della dirigenza costituisce un’autentica controriforma della dirigenza pubblica, fatta in chiave di ritorno alla vecchia realtà del pubblico impiego83, e che si contraddistingue, a carattere generale, per il rafforzamento della posizione degli organi politici a scapito dell’autonomia dirigenziale, dando luogo ad una dirigenza più precarizzata, debole e dipendente dal potere politico.
Tanto è vero che la stessa Corte costituzionale è intervenuta in maniera critica su alcuni aspetti della legge Frattini, in particolare sulla durata degli incarichi nella sentenza 23 marzo 2007, n. 103, che dichiarerà costituzionalmente illegittima tale norma e di cui si dirà in seguito.
La Legge 145/02 è stata l’ultima riforma corposa della dirigenza. Nonostante ciò, vi sono state alcune ulteriori modifiche che meritano di essere citate. Per quanto qui ci interessa, basti segnalare l’approvazione della legge 17 agosto 2005, n. 168, con la quale è stato convertito il decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione). Al riguardo, va detto che tale norma modifica la legge Frattini, prevedendo per tutti gli incarichi di funzione dirigenziale gli stessi limiti di durata minimi (tre anni) e massimi (cinque anni). Con questo intervento, viene ripristinata almeno una garanzia di stabilità minima dell’incarico, “ritenuta idonea ad assicurare al dirigente una maggiore forza di resistenza rispetto all’organo politico”84 .
83C., COLAPIETRO, Governo e Amministrazione. I La dirigenza pubblica tra imparzialità ed indirizzo politico, op. cit., p. 82.
84 U. Carabelli, M.T. Carinci (a cura di), Il lavoro pubblico in Italia, Cacucci, 2010., p. 48.
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