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Differenziale di crescita disoccupazione riferito al periodo 2009-

Grafico 2.3 Variazioni medie della quota del reddito da lavoro sul reddito nazionale riferite al periodo 2000-2007 dei paesi OCSE che aderiscono all’Unione Europea

2.5 Le soluzioni all’impasse italiana: il Jobs Act

Il Jobs Act messo a punto dal Governo Renzi nel Gennaio del 2014 rappresenta lo strumento con il quale l’Italia intende far fronte alle diverse questioni inerenti il lavoro compresa lo stimolo all’occupazione e la lotta alla disoccupazione.

Il suddetto provvedimento normativo è caratterizzato da quattro pilastri che consistono nella riduzione del cuneo fiscale, in una politica industriale relativa al settore manifatturiero italiano ed al Made in Italy, nella riforma del mercato del lavoro attraverso l’introduzione del contratto a tutele crescenti nonché nella semplificazione legislativa in materia di lavoro.271

Tale riforma è nata con l’intento di migliorare la disciplina del lavoro al fine di operare una inversione di tendenza e contrastare la dilagante disoccupazione in Italia.

A distanza di quasi un anno e mezzo dal varo di tale provvedimento, si è avuta una sostanziale stabilizzazione del bonus degli ottanta euro che tuttavia non riguarda l’intera platea dei lavoratori ma solo di quelli dipendenti e che percepiscono una retribuzione che va al di sotto di un determinato livello di reddito.272

Con riferimento al secondo pilastro, che riguarda l’attuazione di una politica industriale per lo sviluppo del Paese, a parte l’opera delle privatizzazioni si è fatto ben poco nella direzione dell’innovazione tecnologica e produttiva dei settori economici, che rappresentano strumenti importanti per fronteggiare la stagnazione della produttività che rappresenta un ostacolo sia per la competitività delle imprese che per le retribuzioni dei lavoratori.

La politica industriale dovrebbe, invece, fornire un piano strategico di lungo periodo recante le modalità di posizionamento della nostra manifattura a livello globale considerando non solo la dinamica di domanda ed offerta ma anche l’innovazione tecnologica.273

Ciò poteva essere realizzato attraverso una drastica riduzione del cuneo fiscale spostando l’imposizione dai redditi da lavoro e d’impresa alle rendite

271 PINI P., Austerità espansiva, precarietà espansiva ed il Jobs Act, op. cit.

272 ACT, Renzi stabilizza la precarietà: analisi del decreto Poletti, in http://www.act-agire.it/.

273 DENISI F., Jobs Act, più precari meno produttivi, il commento dell’economista Emiliano

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finanziarie. Tale dinamica sarebbe andata a vantaggio delle fasce di reddito più basse, ai lavoratori precari ed infine ai disoccupati.

In merito poi al terzo pilastro relativo alla riforma del mercato del lavoro, il contratto a tutele crescenti doveva essere uno strumento per combattere la precarietà sostituendo la galassia dei contratti di lavoro a termine. Invece esso si è rilevato una tipologia contrattuale più stabile ed a tutele crescenti che di fatto non ha sostituito le altre fattispecie di rapporto andando a rendere ancora più complesso il già intricato sistema dei contratti di lavoro.274

Inoltre l’idea di semplificare la disciplina del lavoro rimane al momento sulla carta del provvedimento in quanto il progetto di realizzazione di un testo unico sul lavoro è stato posticipato. A ciò si aggiunge il fatto che alcuni importanti interventi presenti nel Jobs Act, come la rappresentanza e i diritti, l’assegno universale, il salario minimo, la scuola e la formazione professionale, sono stati quasi del tutto accantonati.275

Alla luce di tali considerazioni si può rilevare come la logica che emerge dalla struttura e dalla natura del provvedimento sia quella di una rosa di interventi sperimentali anziché azioni strutturali coordinate in un quadro organico e sistematico.

In merito alle tutele crescenti, Confindustria ha sottolineato che il mercato del lavoro non ha bisogno di una nuova tipologia di contratto ma di una vera e propria deregulation del contratto di lavoro subordinato già esistente, ossia di una effettiva semplificazione che lo renda più attrattivo alle imprese consentendole una maggiore flessibilità nel modo di organizzare la produzione ed eliminando gli elementi deterrenti alle assunzioni.276

Infine il quarto pilastro, che riguarda la semplificazione normativa, ha portato il governo ad operare una semplificazione dei contratti a tempo determinato e dell’apprendistato.

274 BRANCACCIO E., Il Jobs Act? Peggio della riforma Fornero, in www.emilianobrancaccio.it. 275 PINI P., Austerità espansiva, precarietà espansiva ed il Jobs Act, op. cit.

276 CONFINDUSTRIA, Proposte per il mercato del lavoro e per la contrattazione, Confindustria,

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Anche tale misura non è esente da criticità, infatti, la semplificazione mirava ad una maggiore flessibilità del lavoro che tuttavia non porta effettivamente ad una riduzione della disoccupazione.277

Ciò trova conferma negli studi empirici realizzati ad opera dell’Oecd e nella posizione di Blanchard il quale afferma che un elevato livello di tutele sociali è compatibile con un basso livello di disoccupazione a condizione che esse vengano erogate in modo efficiente.

Infatti il binomio ridotte tutele-aumento dell’occupazione si dimostra un falso mito, dal momento che più che generare nuova occupazione la sua applicazione determina una sostituzione dell’occupazione stabile con maggiore occupazione instabile aumentando il grado di precarietà del sistema. Inoltre aumentare la flessibilità dei contratti a termine implica una maggiore ripetitività dei medesimi piuttosto che una loro stabilizzazione.278

Infine non si rileva una correlazione positiva tra flessibilità del lavoro e produttività nonché crescita dell’occupazione. Anzi si assiste ad una dinamica esattamente contraria dove la maggior flessibilità, intesa come riduzione delle tutele del lavoro, porta ad una riduzione della produttività anziché ad un aumento.

Ciò è rinvenibile nel fatto che i contratti flessibili se da un lato agevolano il passaggio di forza lavoro da imprese scarsamente dinamiche a quelle più dinamiche, dall’altro disincentivano gli operatori economici ad investire sulla qualità del lavoro in quanto interessati a trarre vantaggio dai minori costi anziché incrementarne la produttività.279

Nonostante tali problematiche il Jobs Act varato nel Gennaio del 2014 presentava importanti potenzialità per lo sviluppo del paese che poi hanno preso un verso tale da non poter essere espresse in modo adeguato per favorire il tanto auspicato sviluppo della nostra economia associato ad un equilibrio di occupazione in senso keynesiano.280

277 DENISI F., Jobs Act, op. cit.

278 BLANCHARD O. European Unemployment, op. cit.; Oecd , Employment Outlook, Parigi 2014. 279 BRANCACCIO E., Il Jobs Act? Peggio della riforma Fornero, op. cit.

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Pertanto occorre ripartire dal valorizzare le potenzialità iniziali di tale provvedimento per costruire e realizzare un percorso che consenta una effettiva crescita economica del nostro Paese.

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CAPITOLO III

L’EUORZONA COME AREA VALUTARIA NON OTTIMALE: