Un primo paradosso di carattere storico è rappresentato dalla circostanza che l’impiego pubblico sia nato con l’emancipazione dal diritto privato e dallo schema della locatio operarum158. Con il D.lgt. n. 107 del 1918, il
rimasti sullo sfondo”, riferendosi ad esempio alle relazioni contrattuali tra utente e gestori.
158Troverebbe quindi conferma il carattere di ambiguità che ha a lungo caratterizzato la disciplina priva di confini definiti del pubblico impiego già rilevato da GIANNINI voce Impiego
pubblico, Enc.dir., 1970 e che potrebbe ritenersi caratterizzi ancor
oggi tale materia. Una prima fase, successiva alla prima legge sull’impiego statale, segue all’Unità di Italia ed è connotata dall’adozione di numerosi ma specifici interventi normativi che già rendevano particolare la disciplina del rapporto di lavoro pubblico in materia di pensione, di avanzamenti di carriera, congedi, aspettative e selezioni concorsuali. Crescendo l’importanza attribuita all’interesse pubblico, e quindi introducendo strumenti di controllo dell’operato dell’amministrazione ad es. in materia di parità retributiva o limitazione delle assunzioni (distinzione dei dipendenti in gradi, predeterminazione dei ruoli), ma anche
118
D.Lgs. 11 novembre 1923 n. 2395 e 30 dicembre 1923 n. 2960, dedicati all’impiego statale, paradigma di regolamentazione per tutti gli altri enti il legislatore è giunto a disciplinare rigidamente ed unitariamente il rapporto di lavoro pubblico in ogni sua fase: dall’assunzione, all’avanzamento di carriera, alle eventuali modifiche, sino alla sua estinzione.
Sarebbe proprio questa rigidità, secondo Autorevole dottrina, ad aver generato un’anomala coscienza nei pubblici dipendenti di un “diritto al posto”, all’origine delle inefficienze dell’Amministrazione perché di fatto tale da impedire un’effettiva valorizzazione dei meritevoli o, quantomeno, si ritiene, ad aver generato un’ apparente stabilità dell’impiego che ancora oggi, nonostante le numerose modifiche intervenute, pare caratterizzare il lavoro pubblico159.
Per quanto attualmente si possa avere la percezione che il rapporto alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni sia ormai da ritenere non meritevole di una disciplina speciale, non dovendo questa derivare dalla natura pubblica del datore (a fortiori nella sua attuale sempre più frequente veste di mero erogatore di servizi o
dell’interesse del lavoratore stesso ad essere ad esempio sottratto a decisioni discrezionali aumenta anche la consapevolezza che la concezione privatistica non fosse più sufficiente a spiegare la realtà positiva.
159GIANNINI, cit., in Enc. Dir. 1970:“l’opinione che la potestà di
organizzarsi o l’assunzione del servizio di un dipendente sarebbero cura di interesse pubblico perché pubblico è il soggetto da cui promanano è priva di senso perché non considera che ovunque le amministrazioni esercitano poteri organizzativi e addivengono a contratti a finalità organizzative agendo nell’ambito del diritto comune (es. “quando appalta un servizio che non ha un oggetto pubblico es. pulizia dei locali”.
119
di imprenditore, gestore di partecipazioni ed appalti, privo quindi, adottando un lessico aziendalistico, di ogni know how o competenza specifica) rilevanti fattori di originalità non possono esser trascurati. Sia sufficiente pensare al mancato perseguimento di un fine lucrativo, alla natura pubblica delle risorse necessarie al suo funzionamento, all’obbligo di motivazione dei provvedimenti, ivi compresi quelli di gestione del personale.
A tal proposito è bene chiarire che nell’invocare la conservazione di alcune specificità connesse al rapporto di lavoro pubblico, rectius alla natura pubblica dell’attività o del servizio svolto, non si intende per forza auspicare al mantenimento di una disciplina irragionevolmente più vantaggiosa rispetto a quella prevista per il lavoro privato, mostrandosi sotto certi aspetti grezza la convinzione – indubbiamente in parte motivata dalla prassi – che la previsione di un trattamento specifico, avente la sua ragion d’essere nella natura pubblica dell’attività svolta, si possa solo tradurre nella introduzione di ingiustificati privilegi160.
A difesa del riconoscimento delle specificità del rapporto di lavoro alle dipendenze della Amministrazione Pubblica - che si ritiene debbano essere parzialmente estese alle prestazioni lavorative svolte nel settore dei servizi pubblici, indipendentemente dalla natura dell'ente
160Privilegio che, per quanto sempre meno accettato visto il peculiare frangente economico, di fatto si esaurisce oggi nel peculiare regime dei licenziamenti, un tempo del resto considerato contrappeso per un’attività lavorativa inidonea a garantire le medesime prospettive economiche e di carriera. Interessanti a tal riguardo le concise riflessioni di MATTARELLA, Su alcune
(piuttosto ovvie) peculiarità dei dipendenti pubblici, Nel merito, 30
maggio 2012, espresse in occasione della approvazione della c.d. Riforma Fornero, ora L. 3 luglio 2012 n. 92.
120
datore, così superando la categorizzazione pubblico/privato - è doveroso innanzitutto rammentare quali siano le peculiarità strutturali, più o meno evidenti, sopravvissute alla intercorsa contrattualizzazione del rapporto di lavoro, principalmente derivanti dalla circostanza che “ciascun soggetto persona fisica per il fatto stesso di essere inquadrato nell’organizzazione di un ente pubblico, sia esso lo Stato o altro ente pubblico minore, riveste la qualifica di organo dello stesso” 161 e che, si è convinti, non può non incidere sulla disciplina del rapporto di lavoro162.
La privatizzazione del rapporto di lavoro, del resto afferente al rapporto di servizio quindi alla relazione contrattuale comprensiva di diritti ed obblighi costituita tra dipendenti ed Amministrazione, non ha infatti minimamente indebolito i principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa né posto nel nulla la normativa che degli stessi è attuazione, ad esempio sotto il profilo deontologico, che “i dipendenti devono osservare
161CATELANI, Il pubblico impiego, da SANTANIELLO (diretto da) Trattato di diritto amministrativo, CEDAM, Padova 2003. Precisa CATELANI che attraverso il rapporto organico il dipendente è chiamato a manifestare la volontà dell’ente e l’attività da questi svolta è sempre e necessariamente attività compiuta dalla amministrazione. Va distinto quindi dal rapporto di servizio nell’ambito del quale le persone fisiche non sono considerare come organi e quindi un tutt’uno con l’Amministrazione, ma come soggetti distinti ed ulteriori da quest’ultima.
162
Alla immedesimazione di carattere organico, tale da far sì che l’attività del dipendente pubblico, svolta in nome e per conto della amministrazione, sia totalmente riferibile a quest’ultima, si accompagna come è noto un rapporto di servizio in cui quindi il lavoratore non è organo della amministrazione e con essa identificato ma è nei confronti della medesima titolare di diritti e di obbligazioni.
121
in quanto posti a servizio della Amministrazione”163 ed in quanto tali necessariamente e costantemente ispirati al perseguimento dell’interesse pubblico.
È proprio la presenza di detto elemento, terzo rispetto agli interessi dei soggetti coinvolti (Amministrazione datrice e lavoratore), a riverberare i propri effetti non solo nell’ambito c.d. di macro organizzazione164 ma anche sulla
163CATELANI, cit., in SANTANIELLO (a cura di), Trattato di
diritto amministrativo, CEDAM, 2003, p. 128 e ss. L’Autore
sostiene infatti che la riforma del pubblico impiego, pur offrendo dei principi enucleati dall’art. 97 Cost una nuova e più moderna lettura, non ne abbia eliminato né il contenuto pregiuridico – che di fatto garantisce l’assolvimento delle finalità di interesse collettivo - né quello giuridico costituito dalle disposizioni che per l’appunto ne sono espressione (si pensi solo alla selezione pubblica concorsuale). Ha puntualmente sottolineato CATELANI che lo scopo della riforma è quello di conferire alla amministrazione “gli
strumenti idonei a spingere gli impiegati ad agire in maniera consona agli interessi della collettività ad adempiere ai propri doveri conformemente all’interesse collettivo che è quello che all’amministrazione istituzionalmente compete” dovuta al convincimento che “gli schemi privatistici consentissero
all’amministrazione di raggiungere meglio i propri scopi”.
Addirittura, continua CATELANI, i provvedimenti di riforma “vorrebbero anzi rivitalizzare, rendere concretamente operanti ed
effettive queste norme pregiuridiche” venendo così, gli obiettivi
dell’amministrazione e dei dipendenti, al più ammodernati attraverso la privatizzazione del rapporto lavorativo. Le pubbliche
funzioni ed i servizi pubblici dovrebbero giovarsi dell’osservanza reale ed effettiva di tale complesso di norme di settore.
164SGROI, Dalla contrattualizzazione dell’impiego
all’organizzazione privatistica dei pubblici uffici, TORINO, 2006.
L’autore individua nei testi normativi che hanno caratterizzato l’evoluzione del pubblico impiego gli indici di una “ambiguità irrisolta” a causa della quale mentre da un lato tende ad essere enfatizzata la privatizzazione “della potestà gestionale del datore di lavoro pubblico” dall’altro “si tende ad espungere dalla
122
gestione del rapporto di lavoro165, non essendo rinvenibile
privatizzazione taluni aspetti anche significativi di quella potestà risospingendoli in ambito pubblicistico o perlomeno alienandoli dal piano contrattuale”, in particolare p. 68. Ed ancora, “la contrattualizzazione del pubblico impiego” (..) “non giunge a privatizzare compiutamente le capacità dell’amministrazione circa l’organizzazione della propria struttura. Pur collocando nell’ambito del diritto privato la gestione dei rapporti di lavoro, l’ordinamento non è riuscito ad andare oltre una sostanziale dissimulazione – consistente ed efficace, ma comunque tale – della perdurante funzionalizzazione delle capacità organizzative del datore di lavoro pubblico, ancorché rivestite di forme civilistiche”
p. 264 e ss.
165A tal riguardo si ritengono totalmente condivisibili le osservazioni di RUSCIANO, Organizzazione pubblica e
contrattualizzazione del rapporto di lavoro, Dir.Pub. 2008, 59.
Dopo aver affermato che in seguito alla privatizzazione del
rapporto di lavoro alla logica della burocrazia nella
amministrazione abbia fatto seguito la logica dell’organizzazione (ovviamente non nella sua accezione pubblicistica, ma imprenditoriale) che esige non si prescinda mai dal contesto di riferimento, l’Autore rammenta come il contesto delle pubbliche amministrazioni, non sia assimilabile sic et simpliciter a quello dell'impresa industriale: “se non altro perché - ripeto una ovvietà -
il suo criterio regolatore intrinseco non è dato dal mercato e dal profitto, bensì dall'interesse della collettività, nelle più svariate articolazioni di esso: dal corretto esercizio delle potestà pubbliche al buon funzionamento di servizi essenziali, etc.”. Di tal ché “se l'interesse generale pervade l'organizzazione pubblica - e non potrebbe che essere così, anzitutto alla stregua dell'art. 97 Cost. - quel medesimo interesse innerva sia il potere, sia il contratto di lavoro pubblico, connotandone i diversi profili”. L’autore giunge
persino a ritenere che le differenze tra il potere del dirigente pubblico e quello dell’imprenditore sarebbero sì differenti da rendere la previsione di cui all’art. 5 comma 2 del D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 una mera finzione giuridica. Mentre infatti il dirigente pubblico sarebbe espressione di un potere limitato perché legato
123
nell’area rappresentata dall’operato della Amministrazione Pubblica uno spazio che possa dirsi totalmente defunzionalizzato166,anche laddove la stessa agisca
all’interesse generale, sia nell’ambito della macro organizzazione sia in quello della micro organizzazione, il dirigente privato sarebbe espressione di un potere economico all’incremento del profitto, secondo l’autore, di fatto illimitato nella sua struttura essenziale, nonostante vi siano stati posti dei limiti quanto alla sua struttura essenziale.
166SGROI, cit. TORINO 2006 ritiene possa al più distinguersi tra una funzionalizzazione evidente, quella degli atti che ancor’oggi hanno forma provvedimentale, e funzionalizzazione dissimulata, che caratterizza invece quelle capacità che “ancorché tuttora
funzionalizzate si esercitano con le forme del negozio privatistico”.
Parzialmente difforme la tesi di D’ORTA, Il potere organizzativo
delle pubbliche amministrazioni tra pubblico e privato, in
CARINCI ZOPPOLI, Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, TORINO, 2004. Pur ammettendo che entrambe le quote di potere organizzativo (organizzazione alta e organizzazione bassa) siano “vincolate nel fine ossia preordinate e indirizzate a conseguire
scopi di pubblico interesse” non essendo configurabile una
scissione tra quota di potere vincolata e quota di potere libera nel fine, esclude si possa parlare di funzionalizzazione dell’intera attività organizzativa. “Se così fosse cioè se il vincolo di scopo
comportasse la necessaria funzionalizzazione e controllo di tutti i singoli atti di organizzazione” la privatizzazione verrebbe svuotata
di significato. L’osservanza del vincolo di scopo, infatti, è assicurata dall’ordinamento attraverso strumenti giuridici diversi a seconda che si tratti di attività organizzativa delle amministrazioni in regime pubblicistico o in regime privatistico. Solo nel primo caso son necessari funzionalizzazione e controllo analitico della attività, mentre nel secondo caso il controllo può esser configurato come sintetico e riferito al solo risultato della attività complessiva o di singole fasi intermedie.
Contra BATTINI, cit., p. 720 il quale in un’ottica diametralmente
opposta ritiene che, a prescindere da quanto possa concludersi in materia di attività privata in generale, in ordine al rapporto di
124
mediante strumenti formalmente privatistici167. L’adozione di tali “mezzi” attiene, del resto, alle modalità di svolgimento della attività ma non all’obiettivo perseguito, il cui carattere, per sua essenza antieconomico, si è dell’avviso non potrà che continuare a riflettersi sulla disciplina applicabile alle relazioni di lavoro di coloro che
lavoro pubblico non è ipotizzabile alcuna deviazione rispetto alla regolamentazione di diritto comune che non sia prevista per legge. Giunge l’autore ad affermare“in materia di lavoro pubblico infatti
non solo non esiste alcuna norma che possa costituire il fondamento di una eventuale generalizzata influenza dell’interesse pubblico nella fase di esecuzione del rapporto ma esistono invece norme che hanno il preciso scopo di escludere una tale influenza”.
Di tal ché successivamente alla instaurazione del rapporto di lavoro, fatte salve alcune inevitabili peculiarità, non potranno considerarsi applicabili principi generali propri del diritto amministrativo che restano per contro intatti quanto all’esercizio delle funzioni amministrative.
167Considerazioni che, come è ovvio, non si limitano allo specifico settore del diritto del lavoro poiché il “postulato del carattere
funzionale dell’attività dell’amministrazione, qualunque sia la forma nella quale essa si manifesta”, è posto a fondamento dello
stesso diritto amministrativo. La necessità di un adeguamento del modello contrattuale impiegato dalla amministrazione pubblica alle finalità dalla stessa perseguite abbia caratterizzato è riconducibile agli studi intorno alla nascita di un diritto privato della pubblica amministrazione caratterizzato dall’inserimento di alcuni profili pubblicistici anche nell’attività contrattuale “diretti ad assicurare
la corrispondenza dell’oggetto del contratto alla cura degli interessi dell’amministrazione (..) intesa a garantire il rispetto del vincolo finalistico che è immanente all’azione amministrativa”,
ragion per cui la “privatizzazione dell’agire amministrativo
implicherebbe trasformazioni idonee a rendere il contratto utilizzabile per fini che restano pubblici”.TRIMARCHI-BANFI, Il diritto privato dell’amministrazione pubblica, Dir. Amm. 2004, 04,
125
concretamente sono chiamati a svolgere dette attività168. Assume quindi un ruolo essenziale la fase valutativa diretta a verificare che gli strumenti impiegati, abbiano gli stessi natura privata o pubblica, siano potenzialmente ed effettivamente idonei al soddisfacimento del risultato prefigurato169.
168In senso opposto BATTINI, cit., p. 726, che tuttavia pare voler
salvare la funzionalizzazione limitatamente al rapporto
dirigenziale. Afferma, infatti, “pur non reagendo direttamente sulla
disciplina del rapporto di lavoro del personale non dirigenziale il principio di funzionalità dell’attività amministrativa vi influisce indirettamente perché la non congruenza attività di gestione del rapporto di lavoro rispetto al fine pubblico, apprezzata sotto il profilo dei risultati è suscettibile di riflettersi sul piano del rapporto di ufficio e di servizio di chi rappresenta la parte pubblica vale a dire del dirigente”. A completamento di tale
“funzionalizzazione parziale” in seguito l’Autore ribadisce che il dipendente non dirigente “privato del rapporto di ufficio non
assume la cura di un interesse collettivo (..) ma si limita a svolgere una attività che come in ogni contratto di lavoro è resa in vista della controprestazione retributiva e che come ogni prestazione di lavoro subordinato è orientata dal datore di lavoro mediante strumenti di diritto comune verso la realizzazione dei fini dell’organizzazione che se ne avvale”.
169A richiedere tale controllo sarebbe lo stesso art. 97 Cost. che “pur
nella sua equivocità semantica” da un lato, accogliendo la tesi di
ORSI BATTAGLINI, non preclude la privatizzazione del rapporto di lavoro, dall’altro richiede comunque la predisposizione di mezzi di verifica (ossia da “meccanismi di controllo e misure di
responsabilità diretti a valutare l’attività organizzativa nel complesso e a sanzionare gli esiti negativi della gestione e il mancato raggiungimento degli obiettivi” che vanno quindi a
sostituirsi al controllo di legittimità sugli atti affidato ex post al giudice amministrativo) della corrispondenza dell’esercizio del
potere organizzativo al principio di buon andamento
“modernamente inteso”, ossia non solo e non tanto come regola formale rivolta alle modalità organizzative, ma come regola
126
Pur non volendosi affatto negare, come pure ha fatto certa dottrina minoritaria, l’intervenuto mutamento delle fonti regolatrici del rapporto di lavoro e la conseguente parziale sottoposizione alle disposizioni di diritto privato170, si ritiene, piuttosto, che dal perseguimento dell’interesse della collettività, cui gli stessi evocati principi costituzionali sono teleologicamente orientati, discendano corollari in grado di superare e trascendere la qualifica giuridica del datore di lavoro, afferendo piuttosto alla natura pubblica del servizio e dell’attività, in grado quindi di incidere sullo statuto del rapporto di lavoro dei soggetti coinvolti, come emblematicamente rappresentato dalla regolamentazione in materia di esercizio di sciopero nel settore dei servizi pubblici essenziali171.
sostanziale dell’azione amministrativa. GARILLI, La
privatizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni e l’art. 97 cost.: di alcuni problemi e dei possibili rimedi, W.P.C.S.D.L.E.
Massimo D’Antona. It 49/2007.
170Ci si riferisce alla interessante ma estrosa teoria di CALCAGNILE, in Il rapporto di impiego con gli enti pubblici e la
funzione amministrativa, Dir.amm. 2010, 187. L’autore parte dal
condivisibile assunto (già espresso da ROMANO, Pubblico
impiego e contrattazione collettiva: aspetti pubblicistici, in Giur. cost., 1980, p. 868-869) secondo il quale il perseguimento di un
interesse pubblico alla cui soddisfazione è preordinata la prestazione dell'impiegato, “determina il proprium di ciò che si
denomina come pubblico impiego e che lo distingue dal genus dei comuni rapporti di lavoro subordinati tra datori di lavoro e prestatori di lavoro privati”. Non lo stesso giudizio di
condivisione, invece, può formularsi per la conclusione cui l’Autore giunge a negare l’intervenuta privatizzazione, frutto di una valutazione enfatica di una serie di modifiche.
171Nel cui ambito emerge con chiarezza come “le giuste ragioni dei
lavoratori trovano un limite imposto dall’ordinamento giuridico (..) proprio nelle ragioni dei destinatari dell’attività dell’organizzazione cui appartengono: gli amministrati o utenti”.
127 II) La prima privatizzazione
Al fine di meglio comprendere la portata della recente riforma del rapporto di pubblico impiego è opportuno ripercorrere, pur nei suoi aspetti fondamentali, le tappe dell’iter normativo che ha dato origine alla privatizzazione della disciplina del lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e che, secondo i promotori della più recente novella normativa, sarebbe stato debitamente completato solo mediante l’emanazione della legge 4 marzo 2009, n. 15 nonché del decreto delegato 27 ottobre 2009, n. 150.
In dottrina si tende ad individuare l’originaria presa di coscienza della condizione dell’Amministrazione della cosa pubblica e della necessità di un intervento di “bonifica” del settore, vero e proprio punto di non ritorno in subiecta materia, nella diagnosi – di situazione “gravissima” ma non irreversibile – formulata dall’allora Ministro della Pubblica Amministrazione Massimo Severo Giannini all’interno del “Rapporto sui principali problemi della Amministrazione dello Stato” pubblicato il 16 novembre del 1979. Da quel momento in avanti, obiettivo del legislatore sarà quello di porre rimedio alle patologie
In tal senso CAVALLO PERIN, Le ragioni di un diritto ineguale e
le peculiarità del rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, Dir.Amm., 2003, 01, 119 secondo il quale le residue ma
“marcate” differenze, dal divieto di cumulo di impieghi ed incompatibilità, alla disciplina in materia di concorso e promozione di carriera, alle garanzie contro i trasferimenti ingiustificati, determinerebbero la necessità di una “rielaborazione di una
disciplina giuridica che, al di là del titolo (..) ed oltre la comunanza assuma come proprie le peculiarità che la distinguono senz’altro dal contratto di lavoro con l’imprenditore”.
128
riscontrate, optando per l’“alternativa della privatizzazione”, al fine di “riportare la pace tra pubbliche amministrazioni e cittadini”172.
La peculiarità dell’analisi contenuta nel rapporto Giannini, tale da suscitare un rinnovato interesse nei confronti della materia, risiedeva nell’esposizione di “un concetto che ora appare ovvio ed allora era rivoluzionario, quello che lo Stato potesse essere governato come un'industria” ricorrendo ad “un metodo Taylor del governo e dell'amministrazione” (..) “Lo Stato, dunque, posto una volta fuori ed al di sopra dell'economia e della società, veniva riportato sulla terra, posto al