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La seconda e la terza privatizzazione

Fu con la seconda fase di privatizzazione che, secondo le parole del suo più autorevole artefice, obiettivo del legislatore divenne il superamento dell’ancora persistente concezione del pubblico impiego come ordinamento speciale, nel tentativo di avvicinare l’Amministrazione verso il modello di ente pubblico economico, espressione di “come la fonte primaria possa provvedere direttamente o mediante rinvio ad una fonte pubblicistica sub primaria alla configurazione dell’ente, e lasciare alla capacità di diritto privato dell’ente l’organizzazione dei mezzi e del personale necessari al funzionamento”190.

In nessuna analisi della c.d. seconda privatizzazione si prescinde da una prima considerazione connessa alla differente provenienza della sollecitazione alla modifica

fine (interesse) e il giudizio di conformità ad esso dell’esercizio del potere sono regolati dalla legge, ovvero sottratti alla disponibilità del titolare. Il potere ha invece natura privatistica quando questi elementi sono rimessi all’autonomo giudizio del titolare, quindi sono irrilevanti. Sviluppando l’imprescindibile rilettura dell’art. 97 Cost. operata da ORSI BATTAGLINI - D’ANTONA, cit. 1997, al fine di contestare la tesi avanzata dal Consiglio di Stato, osservava “ se è vero che gli enti e gli apparati mediante i quali si

perseguono gli interessi pubblici devono essere creati e finalizzati dalla legge o in base alla legge non è vero che quegli enti e apparati una volta creati e finalizzati dalla legge devono agire come poteri mediante provvedimenti amministrativi anche per organizzare il proprio funzionamento”.

190D’ANTONA, Lavoro pubblico e diritto del lavoro: la seconda

privatizzazione del pubblico impiego nelle leggi Bassanini, tratto

da CARINCI D’ANTONA (a cura di), Il lavoro alle dipendenze

delle pubbliche amministrazioni. Commentario, tomo I, MILANO,

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normativa. Se, infatti, nel 1993 ad orientare l’azione legislativa era stato il fattore esterno costituito dalla crescente crisi finanziaria e dalla conseguente necessità di controllo della spesa pubblica, la successiva legge delega 15 marzo 1997 n. 59, “per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, era stata approvata nel più ampio contesto, interno, di decentramento “federalista” dell’intera Amministrazione Pubblica.

La legge delega ed i successivi decreti delegati possono, infatti, considerarsi strumenti di attuazione e completamento, a livello regionale e locale, della riforma avviata con la prima legge 421/1992.

Mentre la prima privatizzazione aveva assunto obiettivi interni alla Amministrazione come la razionalizzazione organizzativa in base a criteri uniformi ed il controllo centrale della spesa per il personale, sviluppando solo debolmente il principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, il legislatore del 1997, ha reso più netta tale distinzione, estendendo la privatizzazione agli atti di micro organizzazione che, unitamente alla gestione del personale, divengono definitivamente espressione dei poteri e delle capacità del dirigente, paragonabili a quelle del datore privato191. A

191Non vi è peraltro chi non veda come la netta distinzione tra i due livelli di macro e micro organizzazione possa risultare di difficile attuazione. Se, infatti, “l’interesse cui una determinata

organizzazione è finalizzata ne pervade diffusamente i diversi elementi e se il contratto di lavoro assieme al potere di organizzazione è uno di questi elementi ne consegue che la natura dell’interesse innerva tanto il potere organizzativo quanto il contratto di lavoro”. Ciò vale anche per il lavoro pubblico, laddove

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questi si contrappone ancora la c.d. macro organizzazione, area che resta riservata alla fonte unilaterale e prerogativa del potere politico amministrativo, che si esprime mediante la manifestazione di programmi ed obiettivi, indiscutibilmente funzionalizzati al perseguimento dell’interesse pubblico.

La contrattazione collettiva diventa quindi lo strumento privilegiato di regolazione del rapporto di lavoro e delle relazioni sindacali, ed il suo ambito di applicazione viene ulteriormente esteso anche alle materie precedentemente disciplinate da atti di diritto pubblico. Tale importante trasformazione non elimina le specificità derivanti dalla natura pubblica del datore, escluso dalla privatizzazione, prima tra queste l’esistenza di una differenza ontologica, evocata nel sopra menzionato parere del Consiglio di Stato, tra datori, in ragione della quale mentre i datori privati “provvedono al funzionamento dell’azienda organizzando il lavoro esclusivamente mediante la capacità di diritto privato”, i datori pubblici devono invece agire mediante atti alternativamente amministrativi e negoziali, soggetti dunque a due sindacati giudiziali differenti.

Il completamento della privatizzazione non avviene solo mediante l’estensione della disciplina normativa del lavoro nell’impresa alla Pubblica Amministrazione ma attraverso ulteriori modifiche, quali l’introduzione di un’articolazione tra titolarità (temporanea) dell’incarico ed il rapporto di lavoro (a tempo indeterminato) del dirigente;

legge in quanto espressione del potere pubblico” non può non

influenzare anche la micro organizzazione degli uffici stessi e le misure inerenti ai rapporti di lavoro RUSCIANO, Organizzazione

pubblica e contrattualizzazione del rapporto di lavoro, Dir.Pub.

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la previsione della necessaria concertazione del processo di negoziazione tra ARAN ed istanze di rappresentanza delle amministrazioni di comparto, dunque l’attenuazione della marcata vocazione governativa e accentratrice dell’organo di rappresentanza assunta nella precedente fase di riforma; l’introduzione di specifici criteri di misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali a vari fini.

Determinante per il raggiungimento dello scopo dell’intera riforma - visto il ruolo esercitato dai giudici amministrativi nella battaglia per la difesa della loro giurisdizione, se non addirittura nella creazione, di fatto, dell’ordinamento speciale del pubblico impiego - è stata, tuttavia la definitiva attribuzione alla giurisdizione ordinaria delle controversie relative al pubblico impiego, comprese quelle specificamente elencate, con la possibilità di adottare nei confronti della pubblica amministrazione tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi e di condanna richiesti dalla natura dei diritti tutelati.

Principio acquisito in seguito all’approvazione di tale seconda fase della riforma è la distinzione tra le materie ancora oggetto di riserva normativa, comprese nell’ampia nozione di c.d. macro organizzazione, e quelle invece definitivamente attribuite alla fonte contrattuale pur nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di c.d. micro organizzazione, ovvero afferenti al rapporto di lavoro.

Accanto a tale fondamentale modifica viene inoltre introdotto un unico ruolo della dirigenza diviso in due fasce, nonché la successivamente abusata possibilità, per l’Amministrazione, di attingere a forme di lavoro cd flessibile. Per quanto riguarda la materia sindacale invece di grandissimo rilievo è l’introduzione, attraverso il D.Lgs. 4 novembre 1997 n. 396 di un sistema di misurazione delle

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percentuali di rappresentatività delle organizzazioni sindacali a vari livelli ed a differenti scopi più volte invocato quale modello da esportare nel settore privato e recentemente utilizzato dalle organizzazioni sindacali in sede di redazione dell’Accordo sulla rappresentanza (31 maggio 2013).

L’iter sin qui brevemente delineato nei suoi tratti fondamentali si sarebbe dovuto concludere con l’approvazione di un testo unico che ne razionalizzasse i contenuti. Venne, invece, emanato il noto D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, rivelatosi per la maggior parte dei commentatori, un testo compilativo, di mero recepimento delle disposizioni del D.Lgs 29/1993 come negli anni modificate.

Prima di procedere alla disamina del “sistema” Brunetta, non può non darsi atto che ad anni di distanza dall’avvio della privatizzazione la sensazione diffusasi tra gli studiosi, chiamati a formulare riflessioni sulla sua effettività e portata nel lungo periodo, sia di non celata disillusione.