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I servizi pubblici all’europea

di Giustizia III) Servizi pubblici e lavoro nella costruzione del modello sociale europeo IV) I servizi pubblici in Italia. Quel che resta di una nozione.

I) I servizi pubblici all’europea

Più ragioni inducono ad avviare la presente ricerca dall’esame del quadro normativo europeo.

In primo luogo la recente giurisprudenza della Consulta, sulla base della quale l’ordinamento italiano, lungi dal contrapporsi a quello europeo, ne costituisce una parte integrante21, di tal ché le norme europee devono considerarsi cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie nazionali per il tramite degli artt. 11 e 117 Cost.

In secondo luogo il determinante ruolo svolto dalle fonti europee nella disciplina dei servizi pubblici. Va detto che

21In particolare ci si riferisce alle due pronunce della Corte costituzionale, ordinanza 15 aprile 2008 n. 103 e sent. N. 28 del 2010. Con la prima la Consulta per la prima volta adisce direttamente la Corte di Giustizia ex art. 234 ora 267 TFUE ritenendo che nei ricorsi di costituzionalità promossi in via principale la Corte sia legittimata a proporre questione pregiudiziale davanti alla corte dato che diversamente risulterebbe leso il generale interesse alla applicazione uniforme del diritto comunitario. Quanto alla sentenza 28/2010 la Corte ha affermato che la verifica della conformità delle norme legislative interne rispetto a quelle comunitarie è funzionale a al riconoscimento del carattere auto applicativo delle norme UE da ritenersi quindi cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie nell’ordinamento italiano per il tramite degli artt. 11 e 117 primo comma cost.

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non ci si riferisce solo all’impatto che le politiche liberalizzatrici avviate in sede europea hanno avuto in un settore a lungo ritenuto prerogativa impermeabile dei singoli Paesi membri, vista la stretta connessione tra la regolamentazione dei servizi pubblici e la stessa struttura od addirittura concezione di Stato22 , ma anche alla circostanza, del tutto peculiare e dovuta alla rapida successione di fonti normative di segno opposto (art. 23 bis l. 112/2008; referendum giugno 2011; art.4 l. 138/2011; sent. 199/2012) che la principale fonte normativa in materia sia attualmente costituita dalle disposizioni del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea23.

22Immediato è il richiamo all'ordinamento francese che si rammenta ha conosciuto la più completa delle teorie sul servizio pubblico fondata, come si vedrà meglio nel cap. quarto su una combinazione tra la concezione di servizio pubblico elaborata da Gastone Jèze, come criterio di diritto amministrativo e quella formulata da Duguit, che vede nel medesimo concetto una nuova teoria di Stato. Più precisamente secondo Jèze “doivent etre considerés comme

“agents publics” les personnes employées dans le service public, comme “demaine public” les biens affectés au service public, comme “travaux publics” le travaux effectués en vue d'un service public”. Nei primi del Novecento Duguit eleva il servizio pubblico

viene elevato a principio di limitazione oggettiva del potere dei governanti a strumento di legittimazione e consolidamento di una nuova teoria giuridica di Stato che secondo il famoso giurista non è che una società in cui gli individui chiamati governanti dispongono del potere materiale di una forza coercitiva che è legittima nel limite in cui sia fondata sul diritto oggettivo. “Au coeur de ce droit

objectif il y a l'idée de service public: le role des governants est de travailler à la réalisation et au développement de la solidarité sociale, notamment en prenant en charge les activités d'interet général indispensables à la vie collecive; les prérogatives qu'ils détiennent ne sont que la contrepartie de cette obligation”. v.

CHEVALLIER, Le service public, ed. Puf, PARIS, 2012.

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Si ritiene che tale sforzo ricostruttivo, peraltro ostacolato dalle lacune del testo delle disposizioni normative nonché dalla elasticità semantica connaturata alle categorie evocate, sia essenziale al fine di meglio circoscrivere l’ambito della riflessione che, si anticipa, è volta ad evidenziare quali siano sotto la prospettiva del diritto del lavoro gli aspetti di maggior interesse connessi all’importante movimento trasformatore che negli ultimi vent’anni ha coinvolto il settore dei servizi pubblici locali (SPL). Si spiega in tal modo la ragione per la quale si è privilegiata ad una rassegna delle, poche, disposizioni in materia di servizi locali e lavoro, una riflessione più ampia, che esordisca dalla contestualizzazione del concetto di servizi pubblici nel più ampio spazio giuridico europeo.

A tal proposito è bene innanzitutto precisare come non sia rinvenibile nel diritto positivo europeo alcuna organica definizione di servizio di interesse generale (SIG) né di servizio di interesse economico generale (SIEG), locuzioni che rispondono solo parzialmente alla più classica espressione di servizio pubblico, tipica dei paesi c.d. di diritto amministrativo tra i quali vi sono l’Italia e la Francia, Paese quest’ultimo in cui lo Stato sarebbe addirittura concepito come federazione di servizi pubblici.

Nessun supporto interpretativo è ricavabile, invero, dalla disposizione del TFUE dedicata alla più ampia categoria dei SIG, astrattamente comprensiva sia dei servizi

dell’art. 23 bis della legge 133/2008 (che a sua volta espungeva dal nostro ordinamento l’art. 113 del D.lgs. 267/2000) e dell‘abrogazione dell’art. 4 del d.l. 138/2011 (che di fatto reintroduceva la disposizione oggetto di referendum) ad opera della sentenza 199/2012 della Corte costituzionale, la disciplina della gestione dei servizi pubblici poggi di fatto sulle fonti di diritto europeo.

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economicamente rilevanti sia da quelli che non lo siano24. L’art. 14 TFUE (ex art. 16 TCE) dal contenuto propositivo, si limita invero ad individuare in capo all’Unione Europea una nuova competenza consistente nella elaborazione di principi e condizioni che regolino la fornitura, l’ esercizio ed il finanziamento dei SIEG, visto il loro importante “ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale”25. Viene, invece, preservata la competenza dei singoli Stati di fornire, far eseguire e

24Per comprendere la scelta del legislatore europeo, osserva CAMMELLI in VANDELLI-BOTTARI Diritto Amministrativo

Comunitario, Maggioli, RIMINI, 1996 è opportuno rammentare

che parte integrante dell’Unione fossero non solo paesi come Francia ed Italia in cui la nozione di servizio pubblico, pur differente, aveva radici storiche e la presenza delle imprese pubbliche era massiva, ma anche paesi come Germania e Danimarca, privi di questa esperienza. L’impossibilità di definire ricorrendo a tratti comuni un istituto che comune non era ha indotto il legislatore a sottrarsi dalla introduzione di una specifica descrizione nella consapevolezza di poter intervenire in un secondo momento, mediante l’attività di controllo e vigilanza della Commissione in materia di concorrenza, che resta materia di competenza esclusiva dell’Unione.

25Più precisamente fatti salvi l’art. 4 del TUE egli art. 93 106 e 107 del TFUE, “in considerazione dell’importanza dei servizi di

interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale l’Unione e gli stati membri secondo le rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione del presente trattato procedono affinché tali servizi funzionino in base ai principi e condizioni in particolare economiche e finanziarie che consentono loro di assolvere i loro compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni fatta salva la competenza degli stati membri nel rispetto dei trattati di fornire fare eseguire e finanziare tali servizi”.

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finanziare tali servizi, nel rispetto dei trattati. Pur dovendosi apprezzare il riconoscimento nei servizi pubblici di uno strumento in grado di garantire benessere sociale nel territorio europeo, non può non constatarsi che la disposizione introduca una nuova regola di distribuzione delle funzioni trascurando peraltro di specificare la materia entro la quale essa dovrà operare.

Il successivo art. 106 TFUE (ex art. 86 TCE) benché espressamente limitato ai soli SIEG ed in particolare all’impresa titolare della gestione dei medesimi servizi, introduce l'elemento che si è dell'idea sintetizzi le peculiarità del servizio pubblico europeo, sia esso privo o dotato di rilevanza economica. Più precisamente l’articolo richiamato, al secondo paragrafo, se da un lato ribadisce che le imprese pubbliche o private che gestiscono tali servizi sono sottoposte ai trattati ed alle regole di concorrenza, confermando quindi la primazia dell'ordine del mercato, precisa che da ciò non possa discendere un pregiudizio in ordine all’adempimento della missione di interesse generale loro affidata26. Emerge così il primo e più rilevante connotato del servizio di interesse generale, ossia il perseguimento di una missione di rilievo sociale, generalmente ricondotta all’assolvimento di un c.d. obbligo di servizio pubblico, a sua volta assorbito dall’ulteriore concetto di servizio universale27.

26Il primo paragrafo sancisce invece un principio di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private. È fatto invero divieto agli Stati di emanare e mantenere nei confronti di imprese pubbliche e imprese titolari di diritti speciali o esclusivi alcuna misura contraria alle norme dei trattati specie a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi.

27CERULLI IRELLI, Impresa Pubblica in PINELLI - TREU (a cura di), La Costituzione economica: Italia, Europa, Il Mulino, BOLOGNA, 2010.

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La preordinazione al soddisfacimento di una missione sociale di interesse generale28 distingue, pertanto, dette attività dalle attività economiche genericamente intese e rende legittimi, entro limiti di proporzionalità di matrice europea predeterminati, compensazioni ed esoneri diversamente qualificabili come inammissibili aiuti di stato29.

Più precisamente l’obbligo di servizio pubblico (OSP) costituisce la sintesi delle prestazioni la cui erogazione trova il suo fondamento non in stimoli di carattere meramente redditizio ma nel perseguimento di quella che è

28Espressione impiegata dalla Corte di Giustizia nel qualificare un fondo pensione istituito dalla contrattazione collettiva e la cui iscrizione in un secondo momento è stata prevista come obbligatoria dalla legge, come servizio di interesse generale, in particolare si veda sent. Albany C-67/96 “il diritto esclusivo di un

fondo pensione di categoria di gestire le pensioni integrative in un settore determinato e la conseguente restrizione della concorrenza possono essere giustificati ai sensi dell’art. 90 num. 2 del Trattato configurando essi una misura necessaria all’adempimento di una specifica missione sociale d’interesse generale della quale tale fondo è incaricato”.

29Il riferimento al perseguimento della missione di interesse generale, ereditato dall’art. 86 TCE ha introdotto, come ricordato nella ricostruzione giurisprudenziale descritta dall’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colober del 20 ottobre 2009 nella causa C 265/2008 Federutility ha determinato l’introduzione ad opera della Corte di Giustizia del c.d. test di proporzionalità, così definito espressamente per la prima volta con la sentenza Corbeau, su cui meglio infra. Ad avviso dell’A.G. dall’orientamento dei giudici di Lussemburgo deve dedursi che “è possibile derogare solamente le

regole della concorrenza ex art. 86 CE, quando ciò sia indispensabile per lo svolgimento del compito di interesse generale di cui si tratti, spettando la valutazione di tali circostanze agli Stati membri, a seconda della rispettiva politica nazionale e nell’osservanza del Trattato”.

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stata definita una missione solidaristica, che si esprime nella garanzia di un livello di servizi minimo, accettabile sotto il profilo dell’estensione territoriale, dell’accessibilità dei prezzi, della qualità; prestazioni che per l’appunto rispondono ad una esigenza indispensabile “di garanzia e di salvaguardia del gruppo sociale nel suo insieme”30 e che, seguendo una stretta logica imprenditoriale, non verrebbero erogate.

Nella breve ricostruzione degli odierni confini normativi dei servizi di interesse generale, portata quasi simbolica ha assunto il Protocollo n. 26 allegato al TFUE, con il quale gli Stati membri hanno inteso riconoscere e condividere i valori comuni che dovrebbero ispirare le discipline nazionali in subiecta materia. Si tratta di una scelta accolta con favore dalla dottrina poiché, se specificamente riferita ai SIEG, è indice manifesto della valorizzazione del principio di sussidiarietà, della discrezionalità delle autorità nazionali, nonché dei principi che tipicamente caratterizzano i servizi pubblici, ossia eguaglianza ed universalità dell’accesso31. Cionondimeno è stato

30CINTIOLI, Servizi pubblici e concorrenza. Servizi di interesse

economico generale, promozione e tutela della concorrenza, Dir. Un.Eur. 3/2006, 461

31Più precisamente i valori comuni sono rappresentati dal “ruolo

essenziale e l’ampio potere discrezionale delle autorità nazionali regionali e locali di fornire commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti; la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche sociali e culturali diverse; un alto livello di qualità sicurezza e accessibilità economica la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente”. Un commento più preciso al

Protocollo è rinvenibile nella Comunicazione della Commissione COM(2007)725. Quanto alla discrezionalità delle autorità nazionali

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ribadisce la Commissione che i servizi di interesse economico

generale devono essere reattivi e forniti il più vicino possibile ai cittadini e alle imprese. L'azione dell'UE deve rispettare i principi di sussidiarietà e proporzionalità. Le autorità competenti degli Stati membri sono libere di definire quali servizi considerano di interesse economico generale e dispongono di ampio potere discrezionale in materia di organizzazione, regolamentazione e finanziamento di tali servizi, conformemente alla normativa UE ed entro i limiti dell'errore manifesto. In particolare, le norme in materia di concorrenza e di mercato interno non si applicano alle attività a carattere non economico. In ordine alla valorizzazione

della diversità di servizi, esigenze e preferenze, “occorre rispettare

le differenze tra i vari servizi di interesse economico generale e le diverse esigenze e preferenze dei cittadini, degli utenti e dei consumatori derivanti dalla diversità delle situazioni economiche, sociali, geografiche, culturali e materiali. Va tenuto debito conto della diversità che caratterizza tali servizi, delle condizioni in cui vengono forniti, delle caratteristiche dei prestatori e dell'esigenza di flessibilità per adattare i servizi ad esigenze diverse: ciò è particolarmente rilevante nel caso dei servizi sociali. La pertinente disciplina dovrà essere aggiornata periodicamente per tener conto dei progressi, ad esempio per quanto riguarda l'innovazione tecnologica”. Il fine di promuovere lo sviluppo di servizi di

interesse economico generale di elevata qualità, sicuri e a prezzi abbordabili costituisce poi un “obiettivo essenziale dell'azione

dell'UE”. Vi rientrano l'accesso ai servizi, compresi quelli transfrontalieri; il rapporto qualità/prezzo e l'accessibilità dei prezzi dei servizi, compresi i regimi speciali per persone a basso reddito e con esigenze specifiche, che rivestono particolare importanza nel caso dei servizi sociali; la sicurezza materiale, l'affidabilità e la continuità; l'elevata qualità e possibilità di scelta; la trasparenza e l'accesso alle informazioni presso i prestatori e le autorità di regolamentazione. Ove è opportuno l'intervento dell'UE, strumenti UE specifici devono stabilire norme a garanzia della qualità e della sicurezza dei prodotti e dei servizi per i consumatori e gli utenti in generale, nonché per tutti i soggetti che partecipano al processo di produzione. Ricorda la Commissione

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garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Vi rientra la garanzia della parità di trattamento tra donne e uomini e la lotta a tutte le forme di discriminazione nell'accesso ai servizi di interesse economico generale. Ove una norma europea settoriale si fondi sul concetto di servizio universale, essa deve stabilire il diritto di tutti ad accedere a determinati servizi considerati essenziali e imporre ai prestatori l'obbligo di offrire precisi servizi alle condizioni specificate, tra cui la totale copertura territoriale e il prezzo abbordabile. Il servizio universale stabilisce un insieme minimo di diritti e obblighi, che di norma può essere elaborato ulteriormente a livello nazionale. (..) Come già accennato per i servizi sociali, promuovere l'accesso su tutto il territorio dell'Unione è fondamentale per la promozione della coesione territoriale nell'UE. I territori svantaggiati dal punto di vista geografico o naturale quali le regioni ultraperiferiche, insulari, montane, a bassa densità di popolazione e alle frontiere esterne, devono spesso affrontare difficoltà in termini di accesso ai servizi di interesse generale, data la lontananza dai principali mercati o dai maggiori costi dei collegamenti. Si tratta di esigenze specifiche di cui occorre tener conto. Quanto all’utenza “occorre specificare,

promuovere e difendere i diritti dei cittadini, dei consumatori e degli utenti”. La capacità dei consumatori e degli utenti, comprese

le persone vulnerabili o portatrici di disabilità, di esercitare i propri diritti, in particolare il diritto di accesso, presuppone spesso l'esistenza di autorità indipendenti di regolamentazione dotate di idoneo personale nonché di poteri e doveri chiaramente definiti. Tra questi figura il potere sanzionatorio, in particolare la capacità di controllare il recepimento e l'applicazione delle disposizioni in materia di servizio universale. Presuppone inoltre l'esistenza di disposizioni per la rappresentanza e la partecipazione attiva di consumatori e utenti alla definizione e valutazione dei servizi, la disponibilità di idonei meccanismi di ricorso e di risarcimento e l'esistenza di una clausola di riesame che consenta l'adeguamento dei requisiti nel tempo in funzione degli sviluppi in campo sociale, tecnologico ed economico. Le autorità di regolamentazione dovrebbero inoltre controllare gli sviluppi del mercato e fornire i dati necessari per la valutazione. In relazione ai servizi non economici si limita a sottolineare che non sono oggetto di

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opportunamente sottolineato che l’individuazione di un elenco di principi orientatori, diretta ad ispirare, nel contempo confermandone quindi la matrice statale, la scelta dei singoli Paesi circa la qualificazione “pubblica” dei servizi nonché la loro collocazione territoriale, non ha comunque inciso sulla “decisione politica di fondo di definitivamente attrarre nella disciplina europea gli aspetti relativi alle modalità di scelta dei soggetti chiamati a prestare il servizio nel rispetto delle regole di concorrenza”32; decisione, quella di estendere la concorrenza a nuovi mercati rilevanti, da fonte autorevole considerata un “ulteriore modo per realizzare l'Unione europea, una procedura per scardinare dal basso le resistenze degli Stati”33.

Quanto ai servizi privi di rilevanza economica (SIG), invece, il Protocollo riconosce la totale discrezionalità degli Stati sottraendosi anche alla introduzione di criteri orientatori. Si legge infatti all’art. 2 del Protocollo che“le disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse generale non economico”, comprensivi anche della sfera dei servizi sociali.

Dalle poche indicazioni di diritto positivo rinvenute sembra di potersi evincere l’intenzione del legislatore europeo di voler limitare il proprio intervento alle ipotesi in cui il rilievo (economico) dei servizi sia tale per cui

disposizioni specifiche né alle norme in materia di concorrenza e mercato interno del trattato.

32CARANTA, Il diritto dell’UE sui servizi di interesse economico

generale e il riparto di competenze tra Stato e Regioni, in Le Regioni, 2011, 1176.

33MERUSI, Lo schema della regolazione dei servizi di interesse

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un’eventuale azione dei soli Paesi membri, svincolata da un controllo ex ante ed ex post dell’Unione, rischi di incidere sulla completa espressione e rispetto delle regole di concorrenza34.

Tale affermazione, che ha infatti suscitato più di una perplessità, non deve tuttavia far dimenticare che il perseguimento di una missione sociale è tale da giustificare solo una deroga a quello che è e rimane il principio regolatore di ogni attività economica, ossia il principio del libero mercato che “investe tutto il sistema della costituzione economica europea e comporta l’applicazione in via di principio, e salve deroghe consentite dallo stesso diritto europeo, a tutte le imprese a prescindere dal settore e dal tipo di attività espletata nonché dalla loro appartenenza di una serie di regole c.d. regole del mercato”35.

34Va quindi condivisa l’osservazione di quanti hanno individuato nell’art. 106 TFUE la base giuridica dei processi di privatizzazione delle imprese pubbliche e liberalizzazione di importanti settori dell’economica. Nonostante l’apparente neutralità consacrata all’interno dell’art. 345 TFUE, è, infatti, indiscutibile che la Comunità abbia condotto una politica volta alla riduzione della presenza pubblica nel mercato economico. Cfr GALLO, I servizi di

interesse economico generale. Stato, mercato e welfare nel diritto dell’Unione europea, Giuffré, MILANO 2011.

35CERULLI IRELLI, Impresa pubblica, fini sociali, servizi di

interesse generale, Riv.It.dir.pubb.com. 2006, 747; IRTI, L’ordine giuridico del mercato, LATERZA, 1998. La progressiva

liberalizzazione e privatizzazione costituisce del resto “uno

strumento indispensabile” per l’apertura all’ingresso di soggetti

privati in settori strategici dell’economia nazionale essenziale al