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Sin dall’avvio del quarto Governo Berlusconi il legislatore ha manifestato la volontà di dar corso ad un’ingente riforma del lavoro pubblico benché al di fuori di una più ampia “azione legislativa sul versante organizzativo e funzionale delle amministrazioni italiane”, con l’obiettivo di superare un precedente modello che non conosceva un soddisfacente sistema di valutazione del personale come delle stesse Amministrazioni192.

192MAINARDI, Fonti, poteri e responsabilità nella valutazione del

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In realtà, pur non potendo condividere le considerazioni espresse in numerose sedi dal Ministro da cui la riforma ha preso il nome, circa la necessità di estirpare l’ignavia dilagante tra il personale dipendente della Pubblica Amministrazione, quasi a volerlo semplicisticamente identificare come il solo responsabile del mal funzionamento dell’attività amministrativa a fronte di un progressivo incremento della spesa pubblica, vero è che – come è stato dai più osservato – le grandi riforme sopradescritte, Bassanini - D’Antona avevano sul lungo periodo mostrato segni di inadeguatezza non, come evidenziato in dottrina, in ragione di intrinseci vizi della riforma bensì per l’inadeguatezza degli operatori incaricati dell’attuazione della stessa193.

La riforma voluta dal legislatore del 2009 non si è esaurita tuttavia nella legge delega e successivo decreto legislativo n. 150, ma al contrario si potrebbe affermare sia stata avviata con la legge 6 agosto 2008, n. 133, per continuare attraverso la stipulazione dell’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009 e della successiva Intesa attuativa per il settore pubblico del 30 aprile 2009, e concludersi infine con l’emanazione della legge finanziaria per il 2010 (l. 23 dicembre 2009 n. 191). Secondo un’opinione assai diffusa, infatti, gli interventi normativi ora citati sarebbero tutti animati da un’omogenea volontà neo centralizzatrice194.

È infatti indubbio, perché immediatamente evincibile dalla lettera dell’Intesa, come della legge 15/2009 e del decreto 150/2009, che l’intero apparato sia fondato su un

193CARINCI La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del

terzo Governo Berlusconi, WP C.S.D.L.E. Massimo D’Antona,

88/2009.

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repentino accentramento statalista e normativista della disciplina del pubblico impiego, quasi a voler significare che il degrado dell’Amministrazione sia causalmente collegato alla priorità attribuita alla fonte collettiva in materia di pubblico impiego, su cui oltretutto la riforma degli anni Novanta si incentrava; da qui la scelta di limitarne lo spazio operativo, a beneficio della fonte normativa.

Da ciò deriva che diversamente da quanto pubblicamente dichiarato ed a fortiori in palese contraddizione con quanto previsto espressamente nel testo della legge delega, nessun nesso di continuità può esser individuato tra tale scelta centralizzatrice e le precedenti fasi di privatizzazione. Nonostante non tutti siano concordi nel definire la novella normativa un vero e proprio intervento di ripubblicizzazione della disciplina, agendo il datore pubblico sempre nell’ambito di atti di gestione di diritto privato, nessun dubbio può esser avanzato sul notevole allontanamento dalla disciplina del rapporto di lavoro privato.

Per quanto più specificamente attiene all’apparato normativo recante la riforma del pubblico impiego questo si compone di una legge delega e del suo successivo decreto delegato, che, per chiarezza espositiva e con riferimento agli elementi che maggiormente rilevano ai fini della presente ricerca, potrebbero dirsi incentrati su: a) nuova definizione del rapporto tra fonti di regolazione; b) introduzione di un nuovo sistema di valutazione del personale e delle unità amministrative;c) nuova disciplina della dirigenza.

L’analisi del primo dei profili enucleati costituisce la conferma all’assunto summenzionato e condiviso dalla maggior parte degli studiosi nonché degli operatori del settore, secondo il quale, ratio ispiratrice del riformatore

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sarebbe stata la volontà di attrarre a livello centrale la disciplina del lavoro pubblico.

A tal riguardo la disposizione che più ha suscitato l’interesse della dottrina è indiscutibilmente l’articolo, immediatamente applicabile, con il quale si apre la stessa legge delega, 15/2009, in grado ex se di mutare il rapporto tra fonti in misura assai più incisiva rispetto a quanto conseguibile mediante la neo ripartizione delle materie di cui si tratterà nel prosieguo. Ci si riferisce all’art. 1 della legge che, elevabile a manifesto della riforma, chiarisce che “eventuali disposizioni di legge regolamento o statuto che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche o a categorie di essi possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge”.

È evidente che in tal modo il rapporto tra legge e contrattazione subisca un vero e proprio ribaltamento, posto che mentre precedentemente alla riforma la contrattazione poteva introdurre deroghe alla legge, salvo espresso divieto, attualmente, in modo speculare, il contratto collettivo potrà modificare la fonte unilaterale solo se e nei limiti in cui ciò sia consentito dalla fonte stessa, vigendo in generale una presunzione di inderogabilità normativa195. È stato puntualmente osservato come, in attuazione di tale disposto normativo,

195Interessante è il paradosso evidenziato da Caruso secondo il quale mediante tale disposizione sarebbe stato introdotto un uso della inderogabilità tradizionalmente finalizzata nel diritto del lavoro a tutela dei diritti dei lavoratori, ed in questo caso invece volta a cristallizzare un particolare assetto tra fonti come voluto dal legislatore.

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gli eventuali successivi provvedimenti di legge potrebbero anche ricondurre intere aree da tempo privatizzate alla sfera del diritto pubblico, con conseguente aumento delle difformità tra i due regimi di lavoro. Senza trascurare che aver preteso che la derogabilità sia espressamente dichiarata costituisce “cosa un po’ contro la logica comune perché toccherebbe allo stesso autore della legge ammettere che sia tanto provvisoria da potere essere messa in non cale dalla contrattazione collettiva del giorno dopo”196.

Tale inversione dell’equilibrio tra fonti, dovuta secondo certa dottrina alla fiducia nutrita nei confronti dell’idoneità della legge a perseguire gli interessi pubblici coinvolti nella gestione del personale, ed elevata a simbolo della ideologia centralista sottesa all’intera riforma legislativa197, non è estesa al trattamento economico. È infatti fatta salva la possibilità per il contrato collettivo successivo di intervenire in materia di “incrementi retributivi”, anche qualora questi siano stati oggetto di regolazione da parte di disposizioni di legge, regolamenti, atti amministrativi. Il rischio, si è osservato, è che in tal modo la contrattazione collettiva sia limitata ad una “funzione meramente tariffaria”198.

196CARINCI, cit., WP C.S.D.L.E. Massimo D’Antona, 88/2009.

197BELLAVISTA GARILLI, Riregolazone legale e de

contrattualizzazione: la neoibridazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Lav. pubb. amm., 2010, 1.

198senza dimenticare tutte le difficoltà discendenti

dall’individuazione dei trattamenti riconducibili nella locuzione “incrementi retributivi”. Osserva infatti ZOPPOLI, in GENTILE (a cura di) Lavoro Pubblico: il passato ritorna, ROMA 2010, che tale qualificazione corrisponda al trattamento aggiuntivo. Quindi oltre ad esser limitata, la funzione assorbente del ccnl, al solo trattamento aggiuntivo, essa appare anche complicata dalla

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La competenza residuale del contratto collettivo non può non ritenersi inoltre indebolita dall’ulteriore previsione, per alcuni commentatori al limite della compatibilità costituzionale, contenuta al successivo art. 59, di modifica dell’art. 47 bis del dlgs 165/2001, che attualmente così dispone “decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria che dispone in materia di rinnovi dei contratti collettivi per il periodo di riferimento gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale possono essere erogati in via provvisoria previa deliberazione dei rispettivi comitati di settore sentite le organizzazioni sindacali rappresentative salvo conguaglio all’atto di stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro”. E ancora, “in ogni caso a decorrere dal mese di aprile dell’anno successivo” alla scadenza del contratto collettivo “qualora lo stesso non sia ancora stato rinnovato” e non sia stato erogato il trattamento di cui al comma precedente è riconosciuta ai dipendenti “una copertura economica che costituisce una anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all’atto del rinnovo contrattuale”.

Il rilievo della previsione di un intervento unilaterale del datore, in sostituzione del sindacato e della sua attività negoziale, benché temporaneo, non può comunque esser sottovalutato, né riducibile ad eccezione. Come si vedrà infatti costituisce un’extrema ratio cui il legislatore non esita a ricorrere laddove i tempi negoziali si estendano oltre un limite, sempre dal legislatore, ritenuto patologico199.

individuazione dello stesso trattamento.

199Di tal ché, secondo D’AURIA, La riforma Brunetta del lavoro

pubblico, Giorn. Dir. Amm., 2010, 1, 5, se effettivamente il

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Ulteriore sintomo dell’opzione centralizzatrice, come si accennava sopra, è indiscutibilmente costituito dalla restrizione del numero di materie riservate alla contrattazione collettiva e, per contro, dall’ ampliamento dell’area di intervento normativo, per alcuni in reazione all’estensione pan contrattualistica della disciplina del pubblico impiego200.

un potere eccezionale e derogatorio da utilizzare nei confronti delle organizzazioni sindacali per indurle a concludere accordi la cui mancata stipula si tradurrebbe per la parte pubblica in un evidente vantaggio politico”, tale comportamento (posto in essere dai

governi, nazionali o locali) dovrebbe esser considerato perseguibile ex art. 28 Sl. Al contrario secondo l’Autore “è più probabile che si

tratti in realtà di norme inutili dal momento che l’anticipazione di incrementi contrattuali altro non è che una facoltà che ogni datore di lavoro e perciò ogni amministrazione quando opera come privato datore di lavoro”. Secondo ALAIMO La contrattazione collettiva nel settore pubblico tra vincoli, controlli e blocchi dalla riforma Brunetta alla manovra finanziaria 2010, Lav.Pubb.Amm.

2/2010, 287 si tratterebbe invece di attuazione di uno dei criteri della delega volto al “miglioramento dell’efficienza ed efficacia delle procedure della contrattazione collettiva”, in attuazione del quale sono state introdotte anche scansioni temporali per la presentazione delle proposte sindacali e per l’apertura delle trattative.

200Si veda CARINCI, La privatizzazione del pubblico impiego alla

prova del terzo Governo Berlusconi, in WP. C.S.D.L.E. Massimo

D’Antona, 88/2009, secondo il quale sin dal documento preparatorio della riforma del 4 giugno 2008 fosse evidente l’intento di restringere l’oggetto di regolazione della contrattazione collettiva. Rammenta TALAMO, La riforma Brunetta del lavoro

pubblico, Giorn.Dir.amm. 2010, 5 che la restrizione dell’area

regolabile contrattualmente sia avvenuta in via diretta ed in via mediata. Quanto alla prima riduzione questa è inserita è evincibile dall’art. 40 del dlgs 165/2001 così come riscritto in seguito alla riforma, che in realtà ha ad oggetto materie che già dovevano considerarsi non contrattabili e la cui negoziazione doveva essere

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Più specificamente l’art. 54 del dlgs 150/2009, modificando il testo dell’art. 40 del D.Lgs 165/2001, ha previsto che “la contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sindacali”. Le prime perplessità discendono, come è agevole intuire, dalla qualificazione indiretta dell’ambito di operatività della contrattazione, connessa per l’appunto al vincolo di pertinenza al rapporto di lavoro che, in realtà, connota la totalità della disciplina lavoristica. A tal riguardo nessun supporto interpretativo può ricavarsi dall’impiego dell’espressione “determina” che, lungi dal circoscrivere la portata della fonte contrattuale alla mera quantificazione ergo alla sola misurazione dei trattamenti economici già previsti ex lege, non può che considerarsi un sinonimo di “regola”.

Viene inoltre previsto che “sono in particolare escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici quelle oggetto di partecipazione sindacali ai sensi dell’art. 9 quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5

considerata extra ordinem. Quanto invece alla sottrazione mediata attraverso l’intervento della legge in “istituti esterni al rapporto di

lavoro ed allo stesso sistema contrattuale (valutazione delle prestazioni ai fini del trattamento accessorio) ovvero fortemente incisi dalla giurisprudenza (sanzioni disciplinari), o collegati in modo prevalente all'esercizio di poteri organizzativi (mobilità) o, ancora, rispetto ai quali è apparsa più evidente l'esigenza di definizione dei principi di regolazione tramite norma primaria, per scongiurare le prassi distorsive del passato (progressioni economiche)”.

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comma 2 16 e 17 la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali nonché quelle di cui all’articolo 2 comma 1 lettera c) della legge 23 ottobre 1992 n. 421”. Accanto a tali materie ne esistono altre connotate da una sorta di negoziabilità limitata. Prevede, infatti, la seconda parte dell’art. 54 che “nelle materie relative alle sanzioni disciplinari alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”.

Anche con riguardo a tale ultimo settore l’intenzione del legislatore supera la lettera della norma manifestandosi con evidenza sin da una prima analisi della disposizione. L’intero impianto si fonda, come noto, su una ritrovata austerity, a sua volta articolata in un rigido sistema di valutazione e parallelo impianto sanzionatorio, che, evidentemente, il legislatore, ottimisticamente convinto sia sufficiente di per sé solo a sanare la situazione economica della Pubblica Amministrazione, ritiene possa rivelarsi inefficace se in toto affidato nella sua applicazione alla contrattazione collettiva. Da qui la necessità di conservare il comando di una Amministrazione che non esageratamente è stata da autorevole dottrina definita non più un’azienda ma una caserma201.

Dando attuazione all’Accordo Quadro 22 gennaio 2009 e successiva Intesa per il settore pubblico, viene altresì statuito, all’art. 54 comma 3, che la contrattazione collettiva “disciplina in coerenza con il settore privato la struttura contrattuale i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi. La

201ZOPPOLI, La contrattazione collettiva dopo la delega, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 87/2009.

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durata viene stabilita in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e di quella economica”. Nuovamente, tuttavia, dopo aver descritto quale sia la funzione del secondo livello contrattuale, che, si rammenta “si svolge sulle materie con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono”, al successivo comma 3 ter viene introdotto un temperamento. È previsto infatti un intervento autoritativo del datore, che “al fine di assicurare continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica”, laddove non sia raggiunto l’accordo per la stipulazione di un contratto integrativo, potrà “provvedere in via provvisoria sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione”.

Come è previsto l’intervento ex autoritate dell’Amministrazione in caso di mancato raggiungimento di un accordo a livello nazionale, parimenti in sede di contrattazione integrativa è contemplata la possibilità di seguire un “percorso alternativo” che in realtà si traduce in uno scavalcamento della contrattazione e delle pur ridotte competenze assegnate a quest’ultima202.

202Per quanto mosso dalla volontà di superare lo stallo in cui spesso le trattative contrattuali si arenavano, dunque di accelerare il processo negoziale la maggior parte della dottrina si è mostrata alquanto critica nei confronti di tali disposizioni. Dalla definizione di MAINARDI, cit., Lav.Pubb.Amm., 2009, di “evidente strumento

di minaccia” nei confronti della controparte sindacale alla quella di

D’AURIA, cit., Lav. Pubb. Amm. 2009, di “norme ad alto tasso di

provocatori età”, alla considerazione di ZOPPOLI, cit., 2009

secondo il quale “non c’è più materia riservata alla contrattazione

collettiva se a un certo punto l’amministrazione si può riappropriare del percorso regolativo”. Certo è che “I poteri unilaterali riconosciuti alla parte pubblica appaiono nondimeno in grado di squilibrare gli equilibri in campo, attribuendo ad una

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Disposizione altrettanto rilevante, in materia di contrattazione integrativa, è rinvenibile all’art. 54 comma 3 quinquies, a norma del quale “nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419 secondo comma del codice civile”. È stato osservato che in realtà non ci troverebbe innanzi ad alcuna innovazione, essendo la sostituzione automatica di clausole nulle già contemplata dal precedente regime ante riforma203.

Ma vi è di più. La sostituzione automatica della clausola contrattuale nulla, nelle ipotesi in cui viene espressamente prevista, determina il rinvio a disposizioni normative e contrattuali in realtà di per sé generiche ed a loro volta necessitanti di un intervento specificatore, perdendo così la sostituzione automatica la sua ragion d’essere e la sua utilità ed al contrario richiedendo una continua actio finum regundorum204.

delle parti del negoziato una prerogativa ulteriore che si traduce in uno strumento di pressione molto incisivo sulla controparte”,

TALAMO, La riforma Brunetta del lavoro pubblico, Giorn.

Dir.Amm. 2010, 5.

203“l’esplicitazione della regola ha dunque un significato se non

proprio pleonastico di rafforzamento di uno dei punti più qualificanti della riforma: la ristabilita preminenza della fonte legale su quella contrattuale”, ALAIMO cit., 2/2010.

204Di tale opinione è D’AURIA cit., ma anche ALAIMO cit., che a sua volta constata “per quanto riguarda la contrattazione

nazionale un’ipotesi potrebbe essere quella degli sconfinamenti dei contratti di comparto nelle aree riservate ex art. 40 comma 1 dlgs 165/2001 – alla legge o ai poteri unilaterali; con la prima conseguenza che soltanto le clausole produttive di tali sconfinamenti e non l’intero contratto sarebbero nulle. In tali ipotesi, tuttavia a fronte della nullità della clausola collettiva non

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Il secondo ambito di intervento del D.lgs. 150/2009, avente ad oggetto l’introduzione di un sistema di valutazione del personale e delle singole Amministrazioni, è indubbiamente stato impiegato quale strumento di raccolta di consenso intorno all’intera riforma. Forzando i più consacrati, talvolta grossolani, luoghi comuni sulla scarsa produttività dei dipendenti pubblici, è stato introdotto un intricato apparato di valutazione e controllo del personale, fondato sul concetto di performance, ossia sul rendimento posto quale parametro di individuazione del grado di merito di ogni singolo lavoratore e, per conseguenza, contemporaneamente utilizzato quale criterio per la quantificazione dei premi.

Specificamente è l’intero titolo II del D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 ad essere dedicato alla “misurazione, valutazione e trasparenza delle performance” testualmente volta, con riferimento alle Amministrazioni, al perseguimento di un miglioramento della qualità dei servizi e per quanto riguarda i singoli dipendenti, addirittura, alla crescita delle loro competenze professionali.

Il sistema, definito dallo stesso legislatore “ciclo delle performance”, viene apparentemente normato in ogni sua fase, presupponendo in primis la determinazione di una serie di obiettivi, ovviamente dotati di requisiti che ne consentano una valutazione quanto più precisa (art. 5), da parte dell’organo di indirizzo politico amministrativo, nonché il “monitoraggio” (art.6) sulla conformità dell’attività svolta nelle singole unità amministrative agli

sarebbe spesso agevole individuare una disciplina legale sostituibile” (..) “più facile è immaginare ipotesi applicative relativamente alla contrattazione integrativa”.

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obiettivi prefissati, ad esito del quale si procederà all’attribuzione delle singole valutazioni.

A rendere più complesso l’intero impianto, benché con lo scopo di assicurarne l’effettività, è l’introduzione di una serie di organismi e di obblighi a carico delle singole Amministrazioni. Tra questi ultimi di primaria importanza è l’adozione di un documento di programmazione triennale c.d. Piano della performance, nonché di un ulteriore atto di Relazione sulla performance, questo con cadenza annuale, contenente i risultati organizzativi e individuali raggiunti nel corso dell’anno precedente con riferimento agli obiettivi programmati e alle risorse, evidenziando gli eventuali discostamenti.

Il processo di misurazione e valutazione delle performance individuali viene poi affidato alla Commissione nazionale per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (c.d. CIVIT, art. 13 del dlgs) nonché agli Organismi indipendenti di valutazione della performance (art. 14 del dlgs) costituiti invece presso le singole Amministrazioni anche in forma associata tra loro, peraltro nominati dagli organi di indirizzo politico amministrativo sentita la Commissione e dai dirigenti.

In coerenza con il, sicuramente non nuovo, meccanismo “del bastone e della carota”, al sistema ora descritto segue il titolo III recante la disciplina del merito e della premialità. Il legislatore, senza alcun aggravio per la spesa pubblica, ha inteso porre un limite alle c.d. erogazioni a pioggia di trattamenti economici accessori, che avevano caratterizzato la deriva patologica della contrattazione integrativa degli anni precedenti205, vincolandoli al

205Non può infatti essere omesso che un sistema di valutazione fosse