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legami familiari all’ombra del conclave del 1823

Pierangelo Gentile

Io che sempre ebbi l’istinto di studiare gli uomini, le loro passioni, i loro vizi come le loro virtù, e di vedere cose nuove, ero venuto a Ro-ma alla morte di Pio VII, per osservare da vicino quel gran movimen-to romano. Un’altra cagione mi muoveva. Il mio prozio, fratello di mio nonno, il cardinal Morozzo, vescovo di Novara, s’era condotto a Roma per assistere al Conclave, ed era naturale che venissi a fargli riverenza.

È l’esordio del capitolo nono dei Ricordi di Massimo d’Azeglio. Il venticinquenne cadetto aristocratico piemontese, futuro primo mi-nistro del costituzionale re di Sardegna Vittorio Emanuele II, non aveva resistito alla tentazione di tornare a Roma. Massimo era le-gatissimo alla Città eterna: lì aveva deciso, in uno scatto di libertà, di andare contro le inveterate consuetudini e le convenzioni sabau-de, di abbandonare la carriera militare, di seguire le proprie passio-ni «imbracciando il pennello» anziché il fucile, mettendosi a bottega dal valente fiammingo Martin Verstappen. Il conclave, evento cardi-ne del cattolicesimo e del papato, era un richiamo irresistibile, occa-sione unica per chi avesse voluto essere testimone di eventi e uomini.

Così come occasione per recarsi, lui giovane artista bohémien, a ren-dere omaggio a quel parente del ramo materno: niente meno che il principe della Chiesa, Giuseppe Morozzo della Rocca, dei marchesi di Bianzé, cardinale di Novara, nato a Torino nel 1758. Quando Azeglio arrivò a Roma tra la fine di agosto e i primi di settembre del 1823, trovò il prozio alloggiato in casa del cardinale Emanuele De Gregorio.

E Massimo sprecava le lodi per l’illustre piemontese purosangue, fra-tello a sua volta di quel Carlo Lodovico, uno dei maggiori scienziati

del tempo, presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino: Moroz-zo, «uomo d’una fermezza incrollabile»; MorozMoroz-zo, vescovo «che ave-va accettate le prigioni di Napoleone, ma non mai le sue lusinghe, e molto meno tremato ai suoi sdegni»; Morozzo, cardinale le cui opi-nioni politiche «avrebbero fatto sembrar giacobino» monsignor De Merode. Per Azeglio - che evidentemente non condivideva le idee di chi lo aveva tenuto a battesimo («se quell’ottimo vecchio avesse po-tuto sapere che alla sua tavola sedeva l’autore futuro degli Ultimi ca-si di Romagna!...») - la natura del parente era comunque ascrivibile a quella del perfetto gentiluomo: di chi si era formato all’Università di Torino, laureandosi in teologia nel 1777; di chi si era trasferito giova-ne a Roma per frequentare l’Accademia dei nobili ecclesiastici aven-do a compagno Ercole Consalvi; di chi aveva goduto i favori di Pio VI, prima come vice delegato pontificio a Bologna, poi come governato-re di Civitavecchia, e infine di Perugia. Un personaggio dalla carriera inarrestabile, che aveva saputo mettersi in evidenza come segretario del conclave di Venezia del 1799, quello che portò all’elezione di Pio VII. E anche papa Chiaromonti ebbe stima di Morozzo, preconizzan-dolo arcivescovo di Tebe in partibus, e nominanpreconizzan-dolo nunzio alla corte di Lodovico di Borbone, re d’Etruria, nel 1802. Come osservato dal-lo stesso nipote, gli anni napoleonici furono però tutt’altro che rose e fiori per l’alto prelato, presto accusato di cospirare ai danni dell’Im-peratore. Fu costretto a tornare a Roma, ma poco poterono, di fron-te alla forza degli eventi, le sue cariche di segretario della Congrega-zione dei vescovi e consultore dell’InquisiCongrega-zione: occupata l’Urbe dalle truppe di Bonaparte, Morozzo fu deportato in Francia. Concessogli di ritirarsi a Torino, fino al 1814 furono anni di silenzio. Poi ebbe l’o-nore e l’onere di riaccompagnare il papa nei suoi Stati. Ma la sua per-manenza a Roma non si protrasse a lungo: creato cardinale nel 1816, venne nominato vescovo di Novara il 1° ottobre 1817, città dove sa-rebbe rimasto fino alla morte avvenuta nel 1842.

Per Azeglio, dunque, Morozzo era un personaggio che, nonostan-te lo scarto generazionale e la diversità di vedunonostan-te, meritava rispetto e soprattutto gratitudine, quest’ultima mai questione di politica: grati-tudine sì, per tutte le «amorevolezze» di zio profusegli, le quali «nella sua natura poco dimostrativa erano tanto più da valutarsi»;

gratitudi-ne, non solo per l’ospitalità offertagli una volta alla settimana «a Ca-sal de’ Pazzi, infelice sua creazione a poche miglia fuori di Porta Pia»;

ma anche per la promessa di «ristorargli» le finanze nel caso fossero state in «posizione spinosa». Azeglio, in posizione «spinosissima» in fatto di quattrini, rifiutò il soccorso: e così, se di fronte alla propria coscienza guadagnava «il piacere di far buona figura», di fronte agli amici otteneva la patente di «imbecille».

Il denso ritratto azegliano, dà colore alla figura di questo cardinale che, assieme a un altro piemontese, Francesco Guidobono Cavalchini Garofoli (1755-1828), partecipò all’elezione di papa della Genga. La succinta cronaca del conclave compilata dal Morozzo e oggi conser-vata nell’archivio di famiglia depositato presso l’Archivio di Stato di Torino, non aggiunge in realtà molto di nuovo a ciò che gli storici già conoscono su un conclave, svoltosi in piena Restaurazione, dove non mancarono le pressioni delle potenze europee: la pronuncia dello ius exclusivae da parte del cardinal Albani a scapito del cardinal Severo-li su indicazione dell’imperatore d’Austria; le manovre per arginare i consalviani; le combinazioni segrete di una parte del Sacro Collegio per dirottare i voti sul cardinale della Genga, pur sapendo «che non era quello che volevano i gabinetti» e il «partito delle corti»; l’esigen-za di eleggere «un papa ecclesiastico, ed esemplare»; l’esistenl’esigen-za di una

«cabala» che neutralizzasse il partito dei cosiddetti «zelanti» per fa-re un papa che continuasse l’«antico sistema». Il documento non è sufficiente a delineare la complessa personalità del cardinale. Di cer-to trova in qualche modo conferma l’immagine offerta dalla scer-torio- storio-grafia, quella cioè di un uomo che apprezzava tanto la moderazione e la prudenza politica quanto il riformismo zelante, pur non condivi-dendo gli estremi rigoristici. Insomma, rimaneva il lui quel bagaglio

“gerdiliano” tipico della tradizione settecentesca da “terzo partito”;

una posizione intermedia, in linea con l’indirizzo politico sabaudo del tempo.

Nulla di tutto ciò trapela dalle pagine di Azeglio. Molto più diver-tente semmai per l’autore dei Ricordi riferire l’aneddoto della racco-mandazione offerta a una signora per un parente che ambiva ricopri-re la carica di dapifero, ovvero colui che era incaricato di serviricopri-re i pasti al cardinale durante il conclave:

“Voi Azeglio, che avete qui vostro zio, dovreste interessarvi per vede-re se fosse possibile che Francesco gli facesse da piffero!”. Io le detti una guardata , e le risposi ridendo: “Oh, che volete che ne faccia?” –

“Come? Tutti i cardinali ne hanno uno per portare il pranzo in Con-clave”. – “Questa davvero è nuova! E glielo portano col piffero?” –

“Ma no… che vi viene in mente?... so assai come li chiamano in lati-no… insomma mi pare d’aver capito dapifero…”. E qui, chiamato in soccorso uno degli astanti che ne sapeva più di noi, si venne in chia-ro di tutto.

La morale azegliana non poteva mancare:

Io ottenni il sospirato onore per l’abbatino; ed è questa una delle po-chissime volte, dacché vivo, nelle quali la mia protezione non fece fiasco1.

1 Per i Ricordi di Massimo d’Azeglio l’edizione di riferimento è M. d’Azeglio, I miei ricordi, a cura di A. M. Ghisalberti, Einaudi, Torino 1949; sulla figura di Morozzo, oltre al ritratto encomiastico di G. Avogadro di Valdengo, Notizie biografiche di Sua Eminenza il cardinale Giuseppe Morozzo arcivescovo di Novara, Tipografia Ca-pitolare P.A. Ibertis, Novara 1842, si rinvia al profilo e alla bibliografia di E. Co-lombo, Morozzo della Rocca, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, Istitu-to della Enciclopedia Italiana, Roma 2012, ad vocem; per le impressioni a Torino sui risultati del conclave, cfr. P. Gentile, Questioni d’etichetta. I rapporti tra i Sa-voia e Leone XII, in La corte papale nell’età di Leone XII, a cura di I. Fiumi Sermat-tei, R. Regoli, “Quaderni del consiglio regionale delle Marche”, XX, 186, Ancona 2015, pp. 83-92.

Archivio di Stato di Torino, Corte, Archivio Morozzo, II versamento, 69, cc. 239-246

Sebbene la sera del 2 settembre sia incominciato il conclave, e la mat-tina dei 3 lo scrutinio e accesso che costantemente hanno avuto luo-go due volte al giorno, ciò nonostante ossia che si avesse in mira di aspettare i cardinali forestieri, e separatamente i due francesi, ossia com’è da credere che non si sapesse dove fissare le viste, si può asse-rire, che sino all’arrivo del cardinale Caselli che fu l’ultimo ad entrare nel conclave (il giorno 18) non vi era una preponderanza di voti per alcun cardinale fra i vari che ne avevano. In seguito si sono veduti a sensibilmente e giornalmente crescere i voti pel cardinale Severoli a segno che nella mattinata del 21 settembre ne ebbe 21 allo scrutinio e 6 all’accesso, lo che formò voti numero 27. Terminato lo scrutinio, e usciti i cardinali dalla cappella, temendo il cardinale Albani che nel dopo pranzo si potesse fare l’elezione del papa nella persona del det-to cardinale Severoli, ed avendo le istruzioni della corte imperiale per l’esclusiva di esso, radunò nella camera dell’eminentissimo cardinale de la Fare, dove pure vi era l’altro cardinale francese Clermont Ton-nere, il cardinale Haeffelin, Solaro, e Fabrizio Ruffo, e come si vide dal fatto, conclusero che il detto cardinale Albani avrebbe manifesta-to l’esclusiva, onde immediatamente scrisse al cardinale decano un biglietto confidenziale in cui ha accluso un biglietto pel Sacro Colle-gio del seguente tenore … Il cardinale decano nel venire alla cappella il dopo pranzo, palesò ai cardinali mentre passavano la detta esclu-siva e ad alcuni fece leggere il biglietto del cardinale Albani: ma que-sto essendosi fatto dal decano quasi in pubblico, in pochi momenti la cosa divenne palese alli stessi conclavisti, e cerimonieri e adunati i cardinali nella cappella dopo recitato il Veni Creator venne eccitato il cardinale decano a pubblicare, ossia a leggere il biglietto a tutto il Sa-cro Collegio e medesimamente dallo stesso cardinale Severoli, il quale andò a ringraziare il cardinale Albani perché lo aveva così liberato dal peso del pontificato: questo passo non è stato però da tutti approva-to. Il dispiacere per una tale esclusiva divenne quasi universale, e sic-come vari dei cardinali avevano di già preparata la schedola con il

no-me di Severoli non credettero di riformarla, onde ebbe parecchi voti, e alcuni continuò ad averne si nello scrutinio che nell’accesso. I car-dinali del partito di Severoli fecero vari congressi per vedere se vi era qualche passo da tentare presso il ministro di Vienna o la reale corte ma ben compresero che il passo era irretrattabile, onde nulla si con-cluse; se ne scrisse però al nunzio di Vienna per la posta ordinaria;

intanto i voti del partito si sono andati dividendo. I ministeriali, pur chiamati così, si sono rivolti al cardinale Castiglioni, ma più di dodi-ci o tredidodi-ci voti nello scrutinio, e dodi-cinque o sei all’accesso non si sono potuti combinare: e il partito antiministeriale vi ripugnava su dub-bio della continuazione dell’influenza del partito consalviano. Nella mattina poi del giorno 25 è giunto al cardinale decano un biglietto del ministro imperiale Appony nel quale si dice, che essendosi sparse nella città delle voci a danno del signor cardinale Albani, come se esso avesse arbitrariamente data l’esclusiva al cardinale Severoli, fa sapere al Sacro Collegio che non ha il porporato operato se non per ordine spiegato dalla corte, e coerente alle sue istruzioni.

Intanto si andava proseguendo il partito di fare papa il cardinale del-la Genga, al che giovava assai del-la propensione del cardinale Severoli, che non era potuto riuscire per l’esclusione dell’Austria: ma siccome si sapeva che non era quello che volevano i gabinetti bisognava operare e in segreto e combinare le cose in guisa che la scelta fosse come im-provvisa. Così appunto si fece, e nel sabato 27 settembre si andarono unendo dei voti, ossia la sicurezza di averli per la domenica mattina, giorno in cui cadeva la festa della Vergine Addolorata; i cardinali Se-veroli, De Gregorio, Morozzo, Galeffi, Falzacappa, etc. etc. credette-ro la sera del sabato di avere il pieno, ed anche due di più. S’accorsecredette-ro gli altri cardinali del partito delle corti dentro il sabato della mano-vra, ma per quanto facessero non poterono combinare 17 voti quanto richiedeva l’esclusiva sperarono però che qualcuno mancasse dei 33 necessari. Si venne infatti allo scrutinio del 28 e con 34 voti fu elet-to papa il cardinale della Genga, e quindici restarono contrari, men-tre gli elettori erano 49. Se avesse avuto luogo l’accesso sarebbe stato eletto a pieni voti, ma fatto papa nello scrutinio non si diede luogo al medesimo.

Una tale elezione nel modo che è seguita, ha fatto grande onore al Sacro Collegio, ossia alla più sana parte di esso, che voleva assoluta-mente un papa ecclesiastico, ed esemplare, onde non potendo avere Severoli scelse della Genga.

Pretesero alcuni che se la cosa si fosse scoperta in tempo, la Francia avrebbe data l’esclusiva più per aderire ai napoletani e imperiali che per proprio desiderio; ma non vi fu tempo per darvi corso se mai se ne fosse avuta idea. La cabala in ogni evento pareva diretta ad esclu-dere tutti quelli che si facevano passare per zelanti per poi fare un pa-pa che continuasse l’antico sistema, e non riuscendo quello, o quelli che si bramavano, propendevano i ministeriali, e consalviani alla no-mina di un papa vecchio e si erano posti gli occhi sopra Rusconi e So-maglia ottuagenari.

Scrutinio, nel quale fu eletto papa Leone XII prima cardinale della Genga la mattina del 28 settembre 1823.

Sebbene non si possa precisare con certezza di chi sono stati i voti contrari in numero di 14, mentre l’eletto ha dato il proprio voto al cardinale Pacca, pure all’incirca si considereranno i seguenti: Soma-glia, Arezzo, Spina, Castiglioni, Firrao, Gravina, Naro, Haeffelin, Tu-riozzi, de la Fare, Fabrizio Ruffo, Consalvi, Albani, Cacciapiatti. XIV.