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Il Regno Unito e l’elezione di Leone XII (1823)

Umberto Castagnino Berlinghieri

Quando si parla di rapporti tra Santa Sede e Inghilterra1, occor-re innanzitutto consideraoccor-re che dopo il secondo Atto di Supoccor-remazia emanato da Elisabetta I nel 1559 le relazioni diplomatiche della cor-te di Saint James’s con la Sede Apostolica erano divenucor-te compiuta-mente illegali2. Quella dei rapporti anglo-pontifici si può dunque de-finire come una «una curiosa storia di sotterfugi e scappatoie»3, con lo scopo di mantenere un pur necessario canale di comunicazione tra Londra e l’organo di governo centrale della Chiesa universale. Per da-re la misura di quanto lungo e complesso sia stato il processo di nor-malizzazione dei rapporti, è sufficiente dire che per vedere ristabilite formalmente le relazioni diplomatiche bilaterali nella loro pienezza si sarebbe dovuto attendere il 1982, quando un ambasciatore britan-nico fu accreditato presso la Santa Sede e un pro-nunzio apostolico venne insediato a Londra4.

Tuttavia, il XIX è un secolo assai significativo e denso di relazioni tra Londra e Roma. A partire dal 1832, infatti, un addetto della lega-zione britannica presso il granducato di Toscana avrebbe risieduto a Roma in qualità di agente britannico ufficioso. Questo evento era

sta-1 Dal sta-1707 regno di Gran Bretagna e dal sta-180sta-1 Regno Unito di Gran Bretagna e Ir-landa. Tuttavia, nell’archivio storico della Segreteria di Stato della Santa Sede si è continuato a catalogare i documenti sotto la voce Inghilterra.

2 L’ultimo ambasciatore britannico a Roma era stato sir Edward Carne, inviato dal-la regina Maria dal-la Cattolica; mentre ultimo legato pontificio in Inghilterra era stato il cardinale Reginald Pole, poi ultimo arcivescovo cattolico di Canterbury fino al 1558.

3 H. A. Smith, Diplomatic Relations with the Holy See 1915-1930, “The Law Quar-terly Review”, XLVIII, 1932, p. 365.

4 Cfr. M. De Leonardis, Appunti per una storia delle relazioni anglo-vaticane, “Nova Historica”, I , 2002, 3, pp. 27-45.

to preceduto dal Roman Catholic Relief Act del 1829, che aveva eman-cipato i cattolici del Regno Unito e, successivamente, era stata anche sentenziata dai legali della Corona la non illegalità delle relazioni con la corte di Roma, quindi, non esattamente con la Santa Sede. Da quella data in poi, se non vi era ancora a Roma una vera legazione britannica da poter essere annoverata nel corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, tuttavia la presenza continuativa di un agente britan-nico a Roma confermava la necessità per Londra di relazionarsi con il sovrano dello Stato pontificio, in pratica con il papa.

Questo essenziale prospetto su alcune date di svolta nelle relazio-ni anglo-vaticane del XIX secolo ci permette di collocare il conclave del 1823 in un momento storico che, precedendo appunto l’emanci-pazione dei cattolici di Gran Bretagna e non essendo ancora i rappor-ti tra le due corrappor-ti nemmeno ufficiosi, implicava quesrappor-tioni, in primo luogo protocollari, a volte assai delicate. Ad ogni modo, si può dire che gli ultimi tempi dell’Ancien Régime5 e poi soprattutto la temperie rivoluzionaria e napoleonica avevano contribuito a preparare le con-dizioni perché tra Santa Sede e Londra si stabilisse un progressivo, costante e sempre più cordiale avvicinamento6.

5 Cfr. G. Costa, Documenti per una storia dei rapporti anglo-romani nel Settecento, in Saggi e ricerche sul Settecento, Istituto Italiano di Studi Storici, Napoli 1968, pp.

371-452.

6 A parte la breve parentesi del regno del cattolico Giacomo II Stuart, che nel 1687 aveva inviato Roger Palmer (lord Castlemaine) come suo rappresentante presso papa Innocenzo XI, segnaliamo alcuni significativi contatti tra le due Corti nel secolo successivo. Sotto il pontificato di Clemente XIV, il duca di Gloucester ed Edimburgo, fratello di re Giorgio III, in visita a Roma nel marzo 1772 fu caloro-samente ricevuto dal papa; nel luglio dello stesso anno il nunzio a Colonia, mons.

Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, riportò una buona impressione da una sua visita a Londra, durante la quale egli fu anche presentato al re dall’ambascia-tore imperiale, Antonio Barbiano di Belgioioso; due anni dopo, un altro fratello di Giorgio III, il duca di Cumberland e Strathearn, rese visita al pontefice duran-te il suo tour in Italia. Negli anni 1779-1780 sir John Cox Hippisley svolse a Ro-ma un ruolo d’inforRo-male referente del governo britannico e, sotto il ministero di William Pitt il Giovane, lo stesso Hippisley avrebbe ancora agito come unofficial agent tra il 1792 e il 1796. Da parte della Santa Sede, dal 1793 al 1801 lo scoto-romano monsignor Carlo Erskine (poi cardinale) svolse una missione a Londra come inviato di Pio VI e quindi di Pio VII.

Trattando, in relazione alla Gran Bretagna, del conclave che ele-vò al soglio pontificio il cardinale Annibale della Genga7, non si può non tener conto della grande considerazione nella quale il Regno Uni-to era staUni-to tenuUni-to dal segretario di StaUni-to del predecessore di Leone XII, il cardinale Ercole Consalvi; il quale aveva, tra l’altro, iniziato la propria carriera ecclesiastica sotto la protezione del cardinale Enri-co Benedetto duca di York, ultimo degli Stuart e, dal 1788, preten-dente giacobita ai troni britannici. E dal cardinale Stuart discendeva immediatamente anche la successione apostolica del cardinale della Genga8.

7 Al tempo di Leone XII la Chiesa cattolica in Gran Bretagna era amministrata da vicari apostolici (quattro per Inghilterra e Galles, e due, in seguito tre, per la Sco-zia), dipendenti pertanto dalla Congregazione di Propaganda Fide. Vicario apo-stolico di Londra tra il 1812 e il 1827 fu il vescovo William Poynter. La gerarchia cattolica sarebbe stata restaurata nel 1850 in Inghilterra e Galles e nel 1878 in Scozia. Il delegato apostolico, che stricto sensu rappresenta la Santa Sede soltan-to presso la Chiesa particolare e non anche presso il governo dello Stasoltan-to, sarebbe stato ricevuto a Londra soltanto nel 1938.

8 La questione del riconoscimento degli Hannover come casa regnante in Gran Bretagna e Irlanda da parte della Santa Sede meriterebbe una trattazione a par-te. Qui ci basti notare che dai tempi in cui papa Benedetto XIV nel 1747 faceva sparare a salve da Castel Sant’Angelo per rispettare la prassi di omaggiare un figlio di re che riceveva la berretta cardinalizia (ovvero lo stesso Enrico Benedetto Stuart, figlio di Giacomo III d’Inghilterra, VIII di Scozia, detto il Vecchio Pre-tendente), adesso la Santa Sede sembrava dar atto della situazione di fatto; e questo forse già dalla morte del Vecchio Pretendente nel 1766 e ben prima della morte dei suoi due figli: Carlo, detto il Giovane Pretendente, morto nel 1788 e il cardinale Enrico morto nel 1807. Del resto Consalvi, quando nel 1817 scrisse a lord Castlereagh in occasione della consegna, da parte della Santa Sede, del-le carte Stuart appartenute al cardinadel-le Enrico, si riferì – o preferì riferirsi – a quest’ultimo come al cardinale «nommé duc de York»; e anche in italiano usò spes-so l’espressione «denominato duca di York, ultimo superstite della Casa Stuar-da», prendendo dunque le distanze da un riconoscimento dei pariaggi giacobiti (si veda questa corrispondenza in The National Archives, Londra (d’ora in poi TNA), Foreign Office (d’ora in poi FO) 43/16). In effetti, il secondo figlio di Gior-gio III, principe Frederick, morto nel 1827, portava dal 1784 il titolo di duca di York e Albany. Ad ogni modo, la consegna delle Stuart Papers da parte di Pio VII fu un segno di grande attenzione e cordialità tra la corte pontificia e la Corona britannica, e il principe reggente ne avrebbe dato atto ringraziando Pio VII con una lettera (sempre in TNA, FO 43/16).

Proprio durante i suoi ultimi mesi di vita Consalvi, in occasione di una visita a Roma di un amico inglese di Nicholas Wiseman (il futuro cardinale primo arcivescovo di Westminster, allora studente al Col-legio Inglese a Roma), fu ansioso di conoscere le reazioni inglesi alla morte di Pio VII. L’amico di Wiseman, che era appena tornato dalla madrepatria ai primi di novembre del 1823, annotò nel suo diario di aver risposto al cardinale che in Gran Bretagna si era da parte di tutti elogiato e compianto il defunto pontefice, persino nella stampa lon-dinese9. Non ci sarebbe da stupirsi di una simile reazione da parte in-glese. Del resto, era stato sotto quel pontificato che nella capitale del-la cattolicità era stato permesso di aprire, suldel-la via Fdel-laminia, una cap-pella anglicana inaugurata nel 1822 dallo stesso segretario di Stato10. Il pontificato di Pio VII aveva davvero segnato nei riguardi del gover-no britannico un momento di particolare collaborazione, che sareb-be stata portata avanti se Consalvi non fosse rimasto fondamental-mente isolato nella Curia in questo suo innovativo approccio verso la Gran Bretagna11; e questo anche a prescindere dall’opposizione dei

9 J. T. Ellis, Consalvi and Anglo-Papal Relations 1814-1824, Washington 1942, pp.

174-5 (citando a sua volta Nicholas Wiseman, Recollections of the Last Four Popes, New York 1875, p. 122).

10 R. Regoli, Ercole Consalvi: le scelte per la Chiesa, Roma 2006, p. 178. Nel 1819 si era già consentita l’apertura di una cappella protestante nella legazione del re-gno di Prussia (ibidem). A Londra il culto cattolico nelle sedi diplomatiche dei Pa-esi cattolici era aperto al pubblico.

11 Consalvi tra il 9 giugno e il 7 luglio 1814, in preparazione al Congresso di Vienna, era stato a Londra, primo cardinale a mettere piede in Inghilterra dai tempi di Reginald Pole. Nella capitale inglese, tra le altre cose, egli aveva trattato con il se-gretario agli esteri lord Castlereagh la questione dell’emancipazione dei cattolici e addirittura quella di un concordato con la Santa Sede; in questa faccenda l’in-viato di Pio VII aveva mostrato grande flessibilità e un approccio pragmatico. La questione cattolica in Gran Bretagna fu poi ripresa al Congresso dai due statisti, ma alla fine il tentativo di concordato fu lasciato cadere anche per le resistenze del prosegretario di Stato cardinale Bartolomeo Pacca, attraverso la neo-istituita congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, del prefetto di Propaganda Fide cardinale Lorenzo Litta, oltre che dello stesso Pio VII, che rifiutò un concor-dato con un paese acattolico, che oltretutto sarebbe stato senza precedenti nella storia della Chiesa. Cfr. Regoli, Ercole Consalvi cit., pp. 372-384; R. Ilario, La S.

Sede e l’Inghilterra nell’anno 1814, “Civiltà Cattolica”, LIII, 1902, serie XVIII, vol.

cattolici irlandesi, spesso scontenti dell’atteggiamento ritenuto trop-po conciliante della Santa Sede nei riguardi del governo britannico12. La morte di Pio VII fu formalmente comunicata dal collegio dei cardinali a George Canning, segretario di Stato agli esteri, e attraver-so di lui, «in segno del suo ossequio verattraver-so Sua Maestà Britannica», a re Giorgio IV con una lettera in latino13. Queste lettere da parte della Sede Apostolica posero subito dei problemi protocollari al Foreign Of-fice, se non altro perché si trattava di comunicazioni ufficiali. Canning prese tempo prima di rispondere a questa lettera e a quella successiva che avrebbe comunicato l’elezione del nuovo pontefice, temendo d’in-correre in una violazione di quel complesso di norme noto sotto il no-me di Praemunire, che, tra l’altro, negava la giurisdizione del papa in Gran Bretagna e proibiva ogni diretta comunicazione ufficiale con la Santa Sede14. Egli pose dunque la questione, per sé e per il re, ai con-siglieri legali della Corona e, in ultima analisi, al Lord High Chancellor di Gran Bretagna, ossia il guardasigilli15.

VI, pp. 541-563, vol. VII, pp. 157-179 e 398-413; E. O. de Richemont, Un es-sai de Concordat entre l’Angleterre et le Saint-Siège, “Le Correspondant”, CLXXXIV, 1905, pp. 1114-1133, e CLXXXV, 1905, pp. 60-78.

12 Si veda il saggio di R. A. Noakes, Cardinal Consalvi and England, conservato in TNA, FO 370/588. Il saggio sarebbe stato poi pubblicato in “The Month”, agosto 1939.

13 Lettera in italiano di Mons. Raffaele Mazio (segretario del Sacro Collegio) a Ge-orge Canning, Roma, 21 agosto 1823, che acclude la lettera in latino per il re (TNA, FO 43/17).

14 Un’indagine storica chiesta all’uopo dal Foreign Office allo State Paper Office assi-curò – per la verità piuttosto tardivamente – che perlomeno fino al 1775 incluso

«cannot discover the least trace of any direct official communication between the Bri-tish and Papal Governments», a parte l’anno 1687 quando Giacomo II inviò lord Castlemaine come suo ambasciatore a Roma (Robert Lemon [Deputy Keeper of State Papers] a Joseph Planta, [Permanent Under-Secretary of State for Foreign Af-fairs], 26 novembre 1823, TNA, FO 43/17).

15 «[…] I am not disposed to incur the Penalties of Praemunire. Does your Lordship con-cur with the Attorney and Solicitor General that I should do so, by answering the Pa-pal Secretary of State’s letter myself and by advising His Majesty to answer that of the Pope?» (lettera di George Canning a John Scott lord Eldon, 20 novembre 1823, TNA, FO 95/670). Cfr. anche Ellis, Consalvi and England cit., p. 131, nota n. 75.

Nel frattempo, il ministro britannico presso il granducato di To-scana, lord Burghersh16, era stato incaricato da Canning di trasmet-tere a Londra ogni notizia riguardante Roma e il prossimo concla-ve17. Burghersh, attraverso suoi informatori, comunicò solertemen-te a Londra ogni movimento e la progressiva composizione del con-clave. Quando informa che Consalvi era stato rimosso dall’ufficio di segretario di Stato18, sembrerebbe compiere un’ingenuità, in quanto prassi del tutto normale durante la sede vacante; ma, anche alla luce di ciò che lo stesso Canning – come vedremo – avrebbe scritto a Con-salvi, si potrebbe leggere questa informazione quasi come l’espressio-ne di un rammarico. Il segretario di Stato di Pio VII infatti era stato massimamente apprezzato dagli uomini di governo inglesi non solo per l’abilità diplomatica ma anche per il moderato riformismo: «C’est notre maître à tous» aveva detto di lui durante il Congresso di Vienna lord Castlereagh19, morto l’anno precedente al conclave del 1823. Ad ogni modo, il ministro britannico a Firenze riportava la forte opinio-ne che vedeva un candidato papabile opinio-nel cardinale Giulio Della Soma-glia20, che invece sarebbe stato poi nominato segretario di Stato dal neo-eletto pontefice.

Ma la notizia più interessante proviene dall’ambasciata britannica a Vienna. Dall’ambasciatore nella capitale asburgica, sir Henry Wel-lesley21, veniamo a sapere che era stata fatta «an offer of the influence

16 John Fane lord Burghersh (in seguito 11° lord Westmorland) fu ministro pleni-potenziario britannico a Firenze dal 1814 al 1830.

17 Ciò si desume dalla corrispondenza interna della legazione a Firenze con il Fo-reign Office e dal ringraziamento finale dello stesso Burghersh per la «gracious ap-provation of my conduct» nella questione dell’ultimo conclave (lord Burghersh a George Canning, Firenze 16 dicembre 1823, TNA, FO 170/14, n. 55).

18 Lettera di lord Burghersh a George Canning, Livorno 5 settembre 1823 (attra-verso il console britannico a Livorno John Falconar), TNA, FO 170/14, n. 35.

19 J. Leflon, La crise révolutionnaire 1789-1846, in Histoire de l’Eglise depuis les ori-gines jusqu’à nos jours, a cura di A. Fliche e V. Martin, Paris 1949, XX, p. 305.

20 Lettera di lord Burghersh a George Canning, settembre 1823 (s.d. e s.l.), TNA, FO 170/14, n. 40.

21 Henry Wellesley (in seguito 1° barone Cowley), era fratello del duca di Welling-ton. Fu ambasciatore a Vienna dal 1823 al 1831.

of His [britannica] Majesty’s Government to be used in such manner as might be agreable to His Imperial Majesty [l’imperatore d’Austria], with a view to the election of a new Pope»22. Il Regno Unito, potenza acat-tolica ma con un considerevole numero di sudditi cattolici nel suo impero, tentava dunque d’inserirsi nel gioco politico delle potenze tradizionali cattoliche da sempre coinvolte nei conclavi. Ovviamente l’Austria aveva a disposizione uno strumento potente per influire nel conclave: lo ius exclusivae, ovvero il potere, informale ma consolidato e operante da secoli e condiviso anche da Francia e Spagna, di porre in seno al conclave il veto su un candidato. È noto che proprio in oc-casione di questo conclave il cardinale Giuseppe Albani pronunciò a nome dell’imperatore Francesco I l’esclusiva contro il cardinale Anto-nio Gabriele Severoli, ritenuto troppo intransigente23.

Dunque l’offerta di collaborare nella questione dell’elezione del papa appare come il tentativo da parte del Regno Unito di ricercare una previa intesa con l’impero asburgico. Ma è lo stesso principe di Metternich a chiarire a Wellesley i termini della questione. Dopo aver ringraziato il governo britannico a nome del suo sovrano per questo segno di amicizia e di considerazione e aver detto che «se necessario»

l’Austria si sarebbe valsa dell’offerta di Sua Maestà britannica, il mi-nistro austriaco si espresse in termini che escludevano segnali di di-saccordo tra le potenze interessate, volendo forse chiudere la stessa faccenda con l’ambasciatore britannico. Infatti, il re di Sardegna – a detta di Metternich – aveva già espresso l’intenzione di unire i pro-pri interessi a quelli dell’Austria, né sembrava probabile che la

Fran-22 Lettera di Henry Wellesley a George Canning, Vienna, 13 settembre 1823, TNA, FO 519/38, n. 23. Questa offerta britannica non fu portata a conoscenza dell’Au-stria direttamente dall’ambasciatore a Vienna, ma dal ministro britannico a Na-poli, William Richard Hamilton. Metternich ne era stato informato dal conte Karl Ludwig de Ficquelmont, ambasciatore austriaco a Napoli, e ne aveva poi di-scusso con Wellesley a Vienna (ibidem).

23 Cfr. A. J. Reinerman, Austria and the Papal Election of 1823, “Central European History”, III, 1970, pp. 229-255; R. Colapietra, Il diario Brunelli del conclave del 1823, “Archivio Storico Italiano”, CXX, 1962, pp. 76-146; Leflon, Le pontificat de Léon XII, in La crise révolutionnaire 1789-1846 cit., pp. 379-408; Ch. Terlinden, Le conclave de Léon XII (2-28 septembre 1823) d’après des documents inédits, “Revue d’Histoire ecclésiastique”, XIV, 1913, pp. 272-303.

cia volesse esercitare la propria influenza in una maniera eccepibile da parte degli altri sovrani. In ogni caso, la preoccupazione princi-pale dell’Austria era quella che l’elezione ricadesse su un «individuo di principi moderati», la cui indole fosse sufficientemente conosciu-ta perché facesse «un uso prudente dell’autorità papale»24. Infine, di fronte a certe voci secondo cui il cardinale arciduca Rodolfo d’Asbur-go-Lorena sarebbe stato un candidato al trono pontificio, Metternich rassicurò l’ambasciatore britannico che si trattava di voci infondate25. In effetti il cardinale d’Asburgo non avrebbe nemmeno partecipato al conclave.

Da Parigi invece l’ambasciatore britannico, sir Charles Stuart26, riportava che l’influenza del governo francese non sembrava esse-re sufficientemente forte da permetteesse-re ai cardinali francesi di aveesse-re gran peso nell’elezione27. Per questo motivo i francesi – che avrebbe-ro seguito le istruzioni del duca di Laval, ambasciatore di Luigi XVIII presso la Santa Sede e depositario del secret de la cour28 – avrebbero fatto la loro scelta tra i possibili candidati italiani. Era certo comun-que – continuava l’ambasciatore britannico – che i francesi temessero l’elezione del cardinal Pacca «by the known intolerance of the opinions of that Prelate»; mentre, andando vicino alle reali dinamiche del concla-ve, tra i favoriti faceva, tra gli altri – qui la fonte di Charles Stuart era il nunzio apostolico a Parigi, monsignor Vincenzo Macchi – il nome del cardinale Francesco Castiglioni, considerato un riformista consal-viano e che – com’è noto – sarebbe invece stato il successore di Leone XII nel 1829 con il nome di Pio VIII.

24 «[…] the election should fall upon an individual of moderate principles and whose cha-racter would be sufficiently known to insure his making a discreet use of the Papal authority» (lettera di Henry Wellesley a George Canning, Vienna 13 settembre 1823, TNA, FO 519/38, n. 23).

25 Ibidem.

26 Charles Stuart (in seguito 1° barone Stuart de Rothesay), ambasciatore britanni-co a Parigi dal 1815 al 1824.

27 Lettera di Charles Stuart a George Canning, Parigi, 11 settembre 1823, TNA, FO 120/59, n. 445.

28 Anne-Adrien-Pierre de Montmorency, 3° duca di Laval, ambasciatore a Roma dal 1823 al 1828.

Quando, grazie al peso degli zelanti, l’elezione ricadde sul cardina-le della Genga, il nuovo papa comunicò ai sovrani la propria esaltazio-ne al soglio pontificio. In merito alla prassi di partecipare l’elezioesaltazio-ne del nuovo papa ai sovrani, giova qui dare un cenno alla tradizione e ai precedenti, che nella diplomazia hanno quasi sempre un valore fon-dante. In effetti, Leone XII non fece che proseguire una prassi inizia-ta dal predecessore nel 1800, quando Pio VII – in considerazione di un conclave tenutosi in circostanze straordinarie a Venezia e a parte l’uso inveterato di comunicare la propria elezione direttamente e in

Quando, grazie al peso degli zelanti, l’elezione ricadde sul cardina-le della Genga, il nuovo papa comunicò ai sovrani la propria esaltazio-ne al soglio pontificio. In merito alla prassi di partecipare l’elezioesaltazio-ne del nuovo papa ai sovrani, giova qui dare un cenno alla tradizione e ai precedenti, che nella diplomazia hanno quasi sempre un valore fon-dante. In effetti, Leone XII non fece che proseguire una prassi inizia-ta dal predecessore nel 1800, quando Pio VII – in considerazione di un conclave tenutosi in circostanze straordinarie a Venezia e a parte l’uso inveterato di comunicare la propria elezione direttamente e in