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FRANCESCO SALERNO (*)

Lo sviluppo normativo imponente – ma per lo più fram- mentato – del diritto internazionale privato (DIP) europeo ha indotto a porsi la questione se sia utile – ed al limite necessario – formalizzare un complesso di regole generali in materia. Pare tuttavia difficilmente percorribile, sul piano politico prima an- cora che giuridico, un regolamento comprensivo dei profili in- ternazionalprivatistici che emergono da tutte le fonti di diritto dell’UE rilevanti in materia. Infatti, oltre alla nota base giuridi- ca quale ora costituita dall’art. 81 TFUE per l’adozione di atti sulla cooperazione giudiziaria in materia civile, bisogna anno- verare norme derivate “speciali” aventi una diversa base giuri- dica nel TFUE, convenzioni internazionali dell’UE (sia con Sta- ti non membri che con uno Stato membro come la Danimarca) e i “corollari” internazionalprivatistici discendenti dal TFUE e dal TUE, il cui art. 6 incorpora a sua volta sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE sia la Convenzione europea dei diritti umani. Sarebbe quindi opportuno concentrare l’ipotizzato re- golamento generale solo con riguardo a materie disciplinate da

atti normativi aventi base giuridica nell’art. 81 TFUE perché maggiormente consoni ad una logica di “integrazione sistemi- ca”, senza peraltro nascondersi le difficoltà sulla procedura che andrebbe seguita in considerazione dell’elevato grado di “geo- metria variabile” presente in materia tanto che, come è noto, alcuni regolamenti in vigore non vincolano tutti gli Stati mem- bri.

L’attenzione maggiore va dedicata ai profili di diritto appli- cabile costituenti il noto progetto «Roma 0», dal momento che nel campo del diritto processuale civile internazionale l’attuale

regolamento n. 1215/2012 («Bruxelles I-bis») funge da disci- plina generale, ancorché non esaustiva, della materia civile e commerciale, dando altresì indicazioni strutturali di funziona- mento per norme affini di regolamenti settoriali. Peraltro l’esperienza applicativa di questa disciplina nell’arco di quasi quaranta anni dimostra che l’impianto normativo del “sistema Bruxelles I” si è via via consolidato nella “coscienza pubblica europea” grazie all’interpretazione uniforme della Corte di giu- stizia e alle modifiche apportate dal legislatore europeo nel cor- so di successive revisioni del testo originario del 1968. L’attuale versione del 2012 mantiene la continuità con quell’ormai lonta- no testo, anche se è certamente migliorata la profondità regola- toria della disciplina in vista del coordinamento tra sistemi pro- cessuali nazionali all’interno dello spazio giudiziario europeo. L’impatto è visibile anche sugli stessi sistemi processuali nazio- nali, omologando modelli concettuali e istituti che erano in pas- sato assai diversi tra gli Stati membri e comunque non in linea con il “sistema Bruxelles I”.

È quindi legittimo domandarsi se nell’attuale fase storica meriti avviare una formalizzazione delle regole generali sul di- ritto applicabile senza che i regolamenti recanti una disciplina uniforme europea sulla legge applicabile abbiano potuto sag- giare la coerenza sistemica delle proprie soluzioni e l’impatto sulle tradizioni giuridiche nazionali. Il carattere finora settoriale

del DIP uniforme europeo esprime nei singoli atti un compro- messo politico-giuridico che risente del tipo di interessi oggetto dello specifico regolamento. Così, ad esempio, il diritto uni- forme europeo richiama sovente in caso di legge applicabile il «collegamento più stretto», ma tale percorso che combina la tradizione anglosassone con il criterio di prossimità ha natura del tutto eccezionale rispetto al criterio obiettivamente preco- stituito ed incentrato su una circostanza astrattamente prevedi- bile che ricalca la tradizione continentale risalente a Savigny e Mancini. Nello stesso solco di prevedibilità si pone il ricorso sempre più diffuso all’autonomia della volontà nella determina- zione della legge applicabile, sia pure con il supporto talora ri- chiesto da legami significativi con l’ordinamento indicato.

In tale quadro articolato si collocano anche le soluzioni dif- ferenziate sulle regole generali applicabili. Il regolamento n. 650/2012 in materia di successioni è l’unico ad impiegare la tecnica del rinvio. La formula del diritto internazionale privato materiale si ritrova nel regolamento n. 1259/2010 sulla legge applicabile alla fase patologica del rapporto matrimoniale. I due regolamenti menzionati sono inoltre gli unici in cui, pur in diversa misura, si fa rinvio alle norme interne di riparto della competenza legislativa operanti nell’ordinamento la cui legge sia stata richiamata.

La varietà delle soluzioni che il diritto uniforme europeo manifesta su profili generali di DIP riflette differenze che emergono dal panorama comparatistico, sulle quali oltretutto già da tempo si confrontano le diverse scuole di DIP e talora anche singoli esponenti di una medesima “tradizione” naziona- le. Nell’attuale fase storica, un ipotetico negoziato sul regola- mento «Roma 0» difficilmente potrebbe eludere questa condi- zione assai articolata del dato normativo come della scienza giuridica internazionalprivatistica, specie considerando l’attenzione che l’art. 67, par. 1, TFUE pone alle tradizioni giu- ridiche degli Stati membri. L’obiettivo di pervenire a regole

uniformi dovrebbe del resto inserirsi nel consueto percorso: la Commissione pubblica il “Libro verde”, quindi raccoglie le os- servazioni e definisce una proposta normativa. Come mostrano gli ultimi atti adottati di DIP europeo, i punti sensibili vengono affrontati e risolti in seno al Consiglio dell’UE secondo tecniche di compromesso proprie del negoziato intergovernativo sia pu- re ad elevato contenuto tecnico. Esemplare è l’atteggiamento frequente del Regno Unito, che “piega” il negoziato a propri fini senza poi neppure aderire al testo sfruttando l’opportunità di opting out.

Il testo uniforme su regole generali di DIP deve peraltro confrontarsi con la difficoltà di formalizzare tecniche di coor- dinamento tra ordinamenti quali sperimentate nella dimensione nazionale ma non facilmente trasponibili in una disciplina uni- forme che coordina “dall’alto” i singoli sistemi giuridici dei paesi membri. Valgano, ad esempio, i casi in cui il DIP richieda la coincidenza tra forum e ius a favore di uno Stato membro: in tal caso non si tratta della tecnica pura del c.d. jurisdictional

approach ovvero di applicazione generalizzata della lex fori,

poiché nel DIP uniforme europeo la determinazione “a monte” del foro competente di uno Stato membro – cui è poi correlata l’applicabilità del suo diritto – dipende sempre da criteri nor- mativi oggettivi e predeterminati, operanti per tutti gli Stati che ne sono destinatari su basi astrattamente paritarie.

Un ulteriore ordine di perplessità afferisce alla stessa neces- sità di giungere alla formulazione “codificata” di determinate regole generali di DIP. Ne costituisce un caso emblematico il tema delle qualificazioni, atteso che le espressioni contenute in norme di diritto dell’UE vanno comunque intese in modo uni- voco all’interno dello spazio giudiziario europeo. La tecnica di interpretazione uniforme utilizzata dalla Corte di giustizia combina – a seconda delle circostanze – diritto materiale inter- no dell’UE, principi generali di diritto condivisi dagli Stati membri e tradizione internazionalistica degli stessi. Pur con

questa varietà d’impulsi che rispondono a logiche funzionali (BARIATTI e PATAUT, “Codification et théorie générale du droit

international privé”, in Quelle architecture pour un code euro-

péen de droit international privé?, a cura di Fallon, Lagarde e

Poillot-Peruzzetto, Bruxelles, 2011, p. 340), il significato auto- nomo non è indefinito ed è sulla sua base che deve avvenire il raffronto con il diritto straniero, senza che al riguardo sia ne- cessaria l’espressa enunciazione di un vincolo ermeneutico per l’operatore giuridico.

L’opportunità di un intervento normativo sulle regole gene- rali di DIP uniforme europeo deve comunque valorizzare due caratteristiche di fondo dell’attuale disciplina. Per un verso, questa esperienza eredita e radicalizza la tradizione del diritto convenzionale uniforme accentuando la condizione di equiva- lenza tra sistemi giuridici anche in relazione a Stati non mem- bri. Per un altro, il DIP uniforme europeo non è avulso dal processo di integrazione dell’UE; anzi è divenuto uno dei suoi strumenti.

Un punto fermo, difficilmente contestabile, è il carattere obbligatorio delle norme di diritto uniforme europeo e il loro primato, che ne esclude comunque la natura “facoltativa” a prescindere dalla diversa tradizione giuridica di singoli Stati membri. Perciò, anche in assenza di disposizioni espresse nei singoli regolamenti, è inevitabile l’applicazione del principio iu-

ra novit curia per assicurare l’effetto utile del diritto uniforme

riguardo la legge applicabile da quello indicata (Corte di giusti- zia dell’Unione europea, causa C-184/12, Unamar, sentenza 17 ottobre 2013, punti 46 ss.). I due profili sono strettamente col- legati e non vi sarebbe alcuna forzatura asserendo l’ineludibile corollario che discende dal carattere obbligatorio del regola- mento di DIP uniforme nel senso di sancire il vincolo del giu- dice nazionale a conoscere il diritto straniero se del caso appli- cabile, senza che al riguardo rilevi né la sua afferenza ad un or- dinamento di uno Stato membro, né tanto meno se la legge sia

designata da un criterio oggettivo o dalla volontà precostituita dei soggetti privati. Logica conseguenza dovrebbe essere quindi il legittimo ricorso in cassazione per errata applicazione del di- ritto straniero.

Nell’ambito di una disciplina generale si potrebbe colmare la lacuna degli attuali regolamenti sul diritto applicabile in caso di mancato accertamento del diritto straniero ovvero di sua contrarietà con il limite dell’ordine pubblico. L’esigenza di evi- tare un approccio drasticamente legeforistico suggerirebbe di seguire la formula già sperimentata nella legge italiana di rifor- ma del DIP, ricercando il diritto applicabile attraverso criteri di collegamento alternativi o sussidiari.

L’integrazione tra DIP e ordinamento dell’UE contamina l’impiego delle clausole di salvaguardia del DIP, quale il limite dell’ordine pubblico e finanche le norme di applicazione neces- saria. La circostanza che sia nell’uno che nell’altro caso rilevi la componente materiale di diritto dell’UE potrebbe suggerire di affrontare la questione della frode alla legge, stabilendo se que- sta rilevi rispetto a comportamenti individuali che “abusano” della concorrenza tra ordinamenti sovrani per eludere norme imperative del diritto dell’UE. Ma non potrebbe ovviamente lo stesso limite essere evocato quando la norma di DIP uniforme europeo, configurando – ai fini sia della giurisdizione che della legge applicabile – un dato legame personale costituito dalla re- sidenza abituale o dalla cittadinanza, lascia la persona libera di scegliere una nuova residenza abituale come anche di mantene- re una pregressa cittadinanza non più effettiva.

Some Thoughts on a EU Code