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Quale disciplina per le norme di applicazione necessaria

nell’ambito di un codice europeo

di diritto internazionale privato?

ZENO CRESPI REGHIZZI (*)

1. Una disciplina unitaria della “parte generale” del sistema di diritto internazionale privato dell’Unione europea dovrebbe regolare, tra le altre questioni, le norme di applicazione neces- saria, ossia quelle disposizioni imperative che, per la loro parti- colare intensità valutativa, devono trovare applicazione nono- stante il richiamo di una legge straniera (cfr. SONNENBERGER,

“Eingriffsnormen”, in Brauchen wir eine Rom 0-Verordnung?, a cura di Leible e Unberath, Jena, 2013, p. 429 ss.; BARIATTI e

PATAUT, “Codification et théorie générale du droit internatio-

nal privé”, in Quelle architecture pour un code européen de droit

international privé?, a cura di Fallon, Lagarde e Poillot-

Peruzzetto, Bruxelles, 2011, p. 337 ss.).

Il progetto di articoli predisposto dal professor Lagarde (riprodotto nel volume succitato) dà al problema una soluzione tradizionale, prevedendo, all’art. 136, che «Les dispositions de la présente loi ne pourront porter atteinte à l’application des

dispositions de la loi du for qui, en raison de leur but particu- lier, entendent régir impérativement la situation, quel que soit le droit désigné par les règles de conflit».

All’apparente semplicità di questa proposta si contrappone l’eterogeneità delle soluzioni sinora accolte nei diversi regola- menti di diritto internazionale privato attualmente in vigore. In primo luogo, soltanto i regolamenti n. 593/2008 (“Roma I”) e

n. 864/2007 (“Roma II”) sulla legge applicabile alle obbligazio- ni rispettivamente contrattuali e non contrattuali fanno espres- samente salva la possibilità di dare effetto alle norme di appli- cazione necessaria. Al contrario, né il regolamento n. 4/2009 sulle obbligazioni alimentari (in combinato disposto con il pro- tocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, richiamato dal regolamento mede- simo), né il regolamento n. 1259/2010 sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, né infine il regolamento

n. 650/2012 sulle successioni contengono alcuna disposizione generale al riguardo. Questa diversità di trattamento contrasta con le soluzioni finora seguite dai sistemi nazionali di diritto in- ternazionale privato (ad esempio, in Italia con l’art. 17 della legge 31 maggio 1995, n. 218), in cui l’operatività delle norme di applicazione necessaria (quantomeno di quelle appartenenti alla lex fori) è ammessa in via generale, senza distinzione di ma- terie.

In secondo luogo, anche tra i regolamenti Roma I e Roma II – che, come ricordato, autorizzano il ricorso alle lois de police – sussistono importanti differenze.

Infatti, il regolamento Roma II si limita a prevedere, all’art. 16, che esso non pregiudica l’applicazione «delle disposizioni della legge del foro che siano di applicazione necessaria alla si- tuazione, quale che sia la legge applicabile all’obbligazione ex- tracontrattuale». L’art. 16, quindi, da un lato, non offre alcuna definizione delle norme di applicazione necessaria, dall’altro la- to, riferendosi unicamente alle disposizioni della lex fori, non

contempla la possibilità di dare effetto a lois de police straniere. Queste ultime potranno eventualmente venire in rilievo, «quale dato di fatto e ove opportuno» (ai sensi dell’art. 17), come «norme di sicurezza e di condotta» ove siano in vigore «nel momento e nel luogo in cui si verifica il fatto che determina la responsabilità».

Diverso è il regime delle norme di applicazione necessaria nel regolamento Roma I. L’art. 9, par. 1, riprendendo la formu- la utilizzata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza Arblade del 23 settembre 1999, le definisce come «di- sposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizza- zione politica, sociale ed economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo di applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contrat- to». Inoltre, l’art. 9, par. 3, del regolamento Roma I consente di «dare efficacia» anche alle norme di applicazione necessaria di un ordinamento diverso dalla lex fori, e segnatamente del paese di esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto, nella misu- ra in cui tali disposizioni rendano illecito il suo adempimento.

2. Nella prospettiva di una codificazione della parte genera- le di diritto internazionale privato dell’Unione europea, occor- rerà verificare se una disciplina così frammentata quale quella attuale sia effettivamente necessaria o se non sia invece possibi- le elaborare un regime comune per le lois de police, salvo poi eventualmente mantenere, per ciascuna materia, quegli adatta- menti puntuali che fossero specificamente richiesti.

Pare ad esempio che la definizione delle norme di applica- zione necessaria contenuta nel citato art. 9, par. 1, del regola- mento Roma I possa essere utilmente richiamata anche al di fuori della materia contrattuale: risultato, questo, cui la dottrina perviene già oggi, estendendola al regolamento Roma II, sulla base di un principio di interpretazione sistematica.

L’introduzione di un regime tendenzialmente unitario per le

lois de police avrebbe poi per naturale conseguenza la sua

estensione alla materia familiare (alimenti, divorzio e successio- ni), rispetto alla quale, come ricordato, manca attualmente una previsione generale che consenta il ricorso alle norme di appli- cazione necessaria.

Naturalmente, anche in presenza di una definizione uni- forme, gli Stati membri restano competenti a individuare auto- nomamente le proprie norme di applicazione necessaria (e con soluzioni diverse in funzione delle rispettive tradizioni giuridi- che: si pensi alla nozione restrittiva di Eingriffsnormen accolta in Germania, che comprende soltanto le norme che tutelano in- teressi pubblicistici e non quelle volte semplicemente a preser- vare l’equilibrio delle parti contrattuali).

Fermo restando dunque che spetta agli Stati membri indi- viduare le proprie norme internazionalmente imperative, l’estensione all’intero sistema di diritto internazionale privato dell’Unione europea di un concetto uniforme di loi de police of- frirebbe uno strumento per bilanciare efficacemente la certezza e prevedibilità del diritto applicabile con l’esigenza degli Stati di garantire l’applicazione di quelle norme imperative funziona- li al perseguimento di obiettivi ritenuti essenziali. Tale strumen- to dovrà poi essere utilizzato dai giudici nazionali per verifica- re, se del caso sulla scorta delle indicazioni della Corte di giu- stizia, che una determinata norma nazionale imperativa rispon- da alla nozione autonoma di loi de police.

Ciò è avvenuto, ad esempio, nel caso deciso con la sentenza

Unamar del 17 ottobre 2013, in cui il giudice nazionale belga interrogava la Corte sulla possibilità di applicare, a titolo di norme di applicazione necessaria e in deroga alla lex contractus bulgara scelta dalle parti, la legge belga sul contratto di agenzia commerciale. Nel rispondere al quesito, la Corte di giustizia ha sottolineato la necessità, per il giudice nazionale, di accertare in modo circostanziato (e cioè alla luce «dei termini precisi»,

«dell’impianto sistematico» e «dell’insieme delle circostanze in cui è stata adottata la legge in parola») che essa «rivesta caratte- re imperativo» (e cioè sia una loi de police), il che presuppone che sia stata emanata «al fine di tutelare un interesse ritenuto essenziale dallo Stato membro interessato».

Nel caso deciso era applicabile ratione temporis la Conven- zione di Roma del 1980, il cui art. 7, come noto, non contiene la definizione uniforme di «norma di applicazione necessaria» oggi espressa nell’art. 9, par. 1, del regolamento Roma I. Non- dimeno, la Corte ha ritenuto che – anche nel regime della con- venzione – l’esigenza di conferire piena efficacia (effet utile) al principio di autonomia della volontà delle parti del contratto postulasse una interpretazione restrittiva dell’art. 7, par. 2. L’interpretazione restrittiva della nozione di loi de police appa- re dunque strettamente legata, nella motivazione della Corte, al principio della libertà delle parti di scegliere il diritto applicabi- le, espressamente qualificato dalla Corte come «pietra angola- re» del diritto internazionale privato dei contratti. Ove la sopra citata definizione venisse generalizzata ad altri settori – nei qua- li il ruolo dell’autonomia della volontà è meno intenso –, il con- cetto di “norma di applicazione necessaria” andrebbe comun- que interpretato restrittivamente per garantire la certezza del diritto.

3. Anche le norme materiali di diritto dell’Unione europea – e le leggi nazionali che le attuano – possono entrare in gioco quali norme di applicazione necessaria ed eventualmente condurre a di- sapplicare la legge di un paese terzo scelta dalle parti, ove la loro osservanza sia necessaria per la realizzazione degli obiettivi del Trattato. Questa soluzione, affermata nella sentenza Ingmar del 9 novembre 2000, pare conforme alla definizione oggi contenuta nell’art. 9, par. 1, del regolamento Roma I.

Più delicato è il problema sottoposto alla Corte nel sopra citato caso Unamar, e cioè stabilire se una norma nazionale che

abbia trasposto una direttiva di armonizzazione minima – in- nalzando il livello di tutela previsto dalla direttiva – possa esse- re qualificata “loi de police” e consentire di disapplicare la legge di un altro Stato membro (scelta dalle parti), ove quest’ultima legge abbia anch’essa correttamente trasposto la direttiva. Co- me chiarito nelle conclusioni dell’Avvocato generale Wahl, a ta- le quesito si può rispondere affermativamente in caso di diretti- va di armonizzazione minima, salva la necessità di verificare in modo circostanziato che la norma nazionale effettivamente per- segua un interesse ritenuto essenziale per lo Stato in questione. Al contrario, in caso di direttiva di armonizzazione completa, non vi è spazio per l’applicazione di una norma della lex fori quale loi de police (ove la lex contractus sia quella di uno Stato membro), essendo la finalità di tutela della norma imperativa già soddisfatta dalla armonizzazione completa derivante dalla direttiva.

Fermo quanto precede, l’applicazione di una loi de police na- zionale incontra poi un ulteriore limite, derivante questa volta non dalla definizione contenuta nelle norme di diritto internazionale privato applicabili, bensì dal primato del diritto materiale dell’Unione sul diritto nazionale (cfr. BONOMI, “Le norme di ap-

plicazione necessaria nel regolamento «Roma I»”, in La nuova di-

sciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti (Roma I), a

cura di Boschiero, Torino, 2009, p. 173 ss.). Anche le norme di ap- plicazione necessaria, infatti, in quanto norme nazionali, devono ri- spettare le libertà stabilite dai Trattati. La proposta del Gruppo eu- ropeo di diritto internazionale privato di codificare tale principio in sede di conversione della convenzione di Roma in regolamento non ha poi avuto seguito: ma una espressa previsione in tal senso non sembra necessaria, giacché – come ricordato – la regola espressa si fonda direttamente sulla preminenza del diritto europeo.

4. Meno sicura, infine, è la possibilità di estendere al rego- lamento Roma II (ed eventualmente ai regolamenti in materia

familiare) il principio sotteso all’art. 9, par. 3, del regolamento Roma I sulle norme di applicazione necessaria di uno Stato ter- zo. Infatti, ancorché nelle legislazioni nazionali non manchino esempi che assegnano rilievo a norme straniere di applicazione necessaria per tutte le materie (cfr., ad es., l’art. 20 del codice belga di diritto internazionale privato; al di fuori dell’Unione europea, cfr. l’art. 19 della legge federale svizzera sul diritto in- ternazionale privato), storicamente la soluzione codificata nell’art. 9, par. 3 si è sviluppata con riferimento specifico alla materia contrattuale, come dimostra la giurisprudenza inglese sviluppatasi a partire dal noto caso Ralli Brothers.

Del resto, per la responsabilità extracontrattuale, come ri- cordato, l’attuale disciplina consente già di tenere conto delle norme di sicurezza e di condotta del locus commissi delicti. Eventualmente, quindi, la soluzione di cui all’art. 9, par. 3, po- trebbe essere mantenuta per la sola materia contrattuale.

Il futuro regolamento «Roma 0»