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La legge di Stabilità (Art 11/196)

LEGGE DI CONTABILITA' E FINANZA PUBBLICA legge del 31 dicembre 2009, n.196 pubblicata in G.U n.

3.6 La legge di Stabilità (Art 11/196)

La legge di stabilità dunque ha lo scopo di disporre ogni anno, nell'ambito di un quadro di riferimento finanziario relativo al triennio, così come definito nella legge di bilancio, la regolazione annuale e triennale del livello delle entrate e delle spese, allo scopo di far sì che i relativi effetti siano coerenti con gli obiettivi finanza pubblica.

Gli obiettivi risultano quelli consacrati nella decisione di finanza pubblica (art. 10). Poiché la funzione della legge di stabilità risulta circoscritta con chiarezza dall'art. 11 della legge, ne deriva che ad essa non è affidato il compito di riformare l'intero settore dell'entrata o della spesa, ma, più semplicemente, di operare le variazioni indispensabili per consentire al bilancio di perseguire gli obiettivi prefissati.

In sostanza, la legge di stabilità da strumento legislativo autonomo, quale era nel precedente sistema, diviene una fonte giuridica funzionale alla manovra realizzata attraverso il bilancio. Ne consegue che non solo l'asse del rilievo finanziario, ma anche quello dell'interesse di parlamento e opinione pubblica sono destinati a spostarsi da questa legge al bilancio.

Se la conseguenza più visibile è quella della minor latitudine degli interventi disposti nella legge di stabilità, l'effetto non secondario non potrà che essere quello del naturale restringimento dell'area dell'emendabilità desiderata alla legge stessa. In una parola, il nuovo strumento contiene in sé anche il presupposto del contenimento interventi, governativi e parlamentari tendenti a modificarne il contenuto, dato che le sue caratteristiche di subalternità rispetto al

bilancio non possono che portare alla concertazione dell'attenzione, e quindi delle eventuali proposte di modifica, nei confronti del bilancio stesso più che della legge di stabilità.

La circostanza poi che l'area di emendabilità al bilancio risulti circoscritta dalle caratteristiche della spesa contabilizzata dovrebbe portare al sostanziale abbandono della pratica della presentazione di emendamenti in quantità eccessiva, il cosiddetto «assalto alla diligenza», che tanti danni ha provocato alle nostre finanze pubbliche.17 Infine, ove poi fosse necessario intervenire per riformare

più ampi comparti dell'amministrazione, sarà possibile farlo utilizzando i provvedimenti collegati, che costituiscono autonomi strumenti legislativi atti a perseguire il programma di governo, da attuarsi secondo una ragionevole connessione cronologica con la manovra di finanza pubblica.

Affinché sia più chiaro e facilmente individuabile il perseguimento dei fini in questione, la legge di contabilità prevede che la legge di stabilità non possa avere, come accade negli altri casi di normazione un contenuto ed un oggetto libero, ma si debba muovere entro un ambito contenutistico vincolato.

L'art. 11 è molto dettagliato in materia: esso prevede un contenuto obbligatorio, uno facoltativo e uno vietato.

Innanzitutto, si deve ricordare che la legge di stabilità può contenere esclusivamente norme atte a realizzare effetti finanziari che si esauriscono o inizino a decorrere nel triennio oggetto del bilancio. Ciò significa che essa non può comprendere norme che non provochino effetti finanziari, né che sviluppino effetti, ancorché rilevanti, in un esercizio successivo al triennio. Il motivo è semplice: se la legge di stabilità serve ad adeguare il bilancio agli obiettivi della

manovra, le misure che essa dispone devono riflettersi sul bilancio stesso. Ma, dato che il bilancio è formulato attraverso postazioni finanziarie, le misure in questione debbono essere quantificabili nell'ambito di tali postazioni, e quindi devono essere misurabili e iscrivibili in un bilancio esistente, che è quello del triennio.

Quanto al suo contenuto obbligatorio, la legge di stabilità deve contenere l'indicazione del livello, massimo del ricorso al mercato e del saldo netto da finanziare in termini di competenza per ciascuno degli anni del triennio, comprendendo la quantificazione delle eventuali regolazioni contabili e debitorie pregresse. Si tratta dell'indicazione dei saldi, che costituisce il principale oggetto della manovra. Tale indicazione è corredata, ai sensi del comma 4, da un prospetto riepilogativo degli effetti derivanti dalla manovra sui i tre saldi. È quest'ultima una novità importante poiché consente di conoscere non solo qual è l'obiettivo in termini di saldo netto che il governo si pone, ma anche come è costruita la manovra nella sua interezza e quali sono i sui effetti – relativi ad ogni anno del triennio - oltre che sul saldo netto, anche sull'indebitamento netto e sul fabbisogno, in coerenza con l'esigenza di valutare gli effetti della manovra stessa rispetto agli obiettivi generali di finanza pubblica e del Patto di stabilità europeo.

La legge di stabilità, inoltre, è la sede per quantificare l'importo complessivo massimo destinato al rinnovo dei contratti del pubblico impiego e alle modifiche del trattamento economico e normativo del personale dipendente dalle amministrazioni statali in regime di diritto pubblico. Tale disposizione deriva dal modello contrattualistico adottato per la determinazione degli stipendi dei pubblici dipendenti. Il sistema prevede che il trattamento economico dei dipendenti pubblici contrattualizzati (statali e degli altri enti pubblici) sia definito

ad opera di una contrattazione tra le parti rappresentanze sindacali del pubblico impiego e un apposito organismo pubblico a ciò delegato, l'Aran – che deve avvenire entro i limiti finanziari previsti dalla legge di stabilità. Si tratta, in realtà, di un meccanismo solo nominalisticamente contrattuale, dato che la parte pubblica non è un vero controinteressato rispetto a quella sindacale e che il quantum non solo è prefissato, ma risulta conoscibile ex ante alla controparte, diversamente da quanto avviene per la contrattazione nell'impiego privato. Con la conseguenza che il contenzioso non si scarica sulla sottoscrizione dei contratti, ma sulla determinazione dell'entità delle risorse definite nella legge di stabilita (costante oggetto di lamentele da parte sindacale).

La legge di stabilità, infine, deve contenere le altre regolazioni meramente quantitative rinviate ad essa dalle leggi vigenti. Può accadere, infatti, che alcune leggi, dopo aver trovato copertura per il primo triennio di esercizio, rinviino per la copertura finanziaria degli oneri recati negli anni successivi alle determinazioni che saranno assunte in sede di legge di stabilità, la quale si farà carico di determinare l'entità dei relativi stanziamenti, che potrebbero non solo variare, ma anche essere annullati. Quanto descritto riguarda la parte dispositiva della legge redatta sotto forma di articoli. Tuttavia, la legge di stabilità, dovendo disciplinare grandezze finanziarie, non può che essere formata, per una parte anche importante, da tabelle. Esse hanno carattere di contenuto obbligatorio e sono le seguenti:

• due tabelle (tabb. A e B), una per la parte corrente e l'altra per il conto capitale, che quantificano gli stanziamenti dei fondi speciali. I fondi speciali, disciplinati dall'art. 18, sono specifici accantonamenti destinati alla copertura della nuova legislazione

di spesa che verrà approvata nel corso del periodo di esercizio considerato dalla legge di stabilità;

• una tabella (tab. C), recante gli stanziamenti destinati a finanziare le leggi di spesa permanente, con effetti sia sulla parte corrente sia su quella in conto capitale, la cui quantificazione è rinviata alla legge di stabilità. Rispetto alla precedente omologa tabella contenuta nelle leggi finanziarie, la nuova tabella C reca due novità:

1. gli stanziamenti non sono più riferiti solo alle singole leggi da cui originano, ma anche ai programmi e alle missioni di spesa. In tal modo si dà corpo alla capacità di spesa, e alla possibilità di una sua razionalizzazione ad opera dei soggetti che gestiscono i relativi programmi e missioni.

2. La seconda novità è che la parte degli stanziamenti in questione destinata a finanziare spese obbligatorie viene espunta per essere trasferita direttamente nel bilancio. Trattandosi di spese di carattere permanente e non rimodulabile e la cui entità deriva da una scelta legislativa originaria che ha conferito alle medesime carattere di obbligatorietà - basti pensare alla spesa per stipendi del personale universitario o degli enti di ricerca - il loro finanziamento non riveste caratteristiche di discrezionalità, dato che non può essere variata, né in aumento né in riduzione, senza una corrispondente modifica della legislazione sostanziale che la ha originata.

profilo finanziario, rispetto al passato, poiché si limita a contenere la parte rimodulabile dell'originaria tabella. Il confronto tra le due dimostra quanto sia scarso il margine di manovrabilità della spesa pubblica;

• una tabella (tab. D), che descrive gli stanziamenti annuali destinati al finanziamento delle leggi che dispongono spese in conto capitale a carattere pluriennale. Anche in questo caso, le aggregazioni sono riferite ai programmi e alle missioni e vengono evidenziati i casi di finanziamento, di riduzione degli stanziamenti e di una eventuale loro rimodulazione. La nuova tabella D riassume il contenuto delle precedenti tabelle D, E ed F3, offrendo un panorama completo di tutti gli interventi di investimento e consentendo di valutare l'incidenza della spesa e di calibrarne l'onere in funzione delle risorse annualmente disponibili e delle reali esigenze di finanziamento in relazione all'avanzamento tecnico delle opere finanziate. Si definisce in tal modo una nuova tecnica di contabilizzazione, indispensabile per utilizzare con razionalità la leva finanziaria pubblica destinata alla copertura degli oneri degli investimenti per grandi infrastrutture. Le modifiche normative adottate in materia consentono, più opportunamente, il finanziamento di tali opere per lotti funzionali. Il che significa che non sarà necessario disporre anticipatamente dell'intera somma destinata alla realizzazione dell'opera, con il conseguente immobilizzo di capitale, ma che sarà sufficiente garantire l'affidabilità dei relativi stanziamenti nel tempo, contabilizzandoli anche in modo aggregato tra le singole opere;

autorizzazioni legislative di spesa corrente che si ritengano superflue. Si tratta di una tabella analoga a quella già prevista per le leggi finanziarie (che, come già detto, riportava le riduzioni delle autorizzazioni di spesa sia corrente che in conto capitale), ma che ha avuto, negli anni, un costante scarso successo, dovuto, da una parte, alla generalizzata limitata propensione ad operare contrazioni di spesa e,dall'altra, alla difficoltà di ridurre spese semplicemente definanziandole e non modificando la legislazione sostanziale che ne definisce i meccanismi di attivazione.

La legge di stabilità ha poi un contenuto facoltativo: essa riguarda la possibilità di variare le aliquote, le detrazioni e gli scaglioni e di intervenire sulle altre misure che incidono sulla determinazione del livello di ogni imposta, tassa,canone, tariffa e contributo. Ciò significa che, in campo fiscale, a condizione di non istituire nuove imposte o tasse, la legge di stabilità dispone di un margine di manovra amplissimo, che le consente di intervenire su ogni aspetto dell'imposizione, ivi compreso quello della correzione delle imposte al fine di tenere conto dell'andamento dell'inflazione, riducendone cioè le aliquote per non peggiorarne la situazione dei contribuenti come semplice effetto dell'erosione monetaria. La ratio dell'esistenza di un margine di manovra così vasto in campo fiscale rispetto a quello molto più limitato in materia di spesa deriva dal fatto che, mentre le modifiche, in diminuzione o in accrescimento della spesa, difficilmente possono essere attuate mediante una semplice variazione dei relativi stanziamenti, ma necessitano di una revisione della normativa sostanziale che ne definisce i meccanismi, quelle nel campo dell'imposizione sono più facilmente realizzabili con semplici variazioni di aliquote o altri tipi di misure. Ma non vi è solo una

ragione formale. La motivazione ha carattere sostanziale. Infatti, nel caso in cui occorra intervenire con tempestività per perseguire l'obiettivo relativo ai saldi e sia difficile modificare l'andamento della spesa, la leva fiscale deve poter essere attivata con la necessaria rapidità ed elasticità, in modo da salvaguardare il raggiungimento dell'obiettivo in questione.

Sotto questo profilo, la possibilità di operare variazioni in ambito fiscale si collega all'altra possibilità, sempre contenuta nell'art. 11, di inserire nella legge di stabilità ulteriori norme destinate alla salvaguardia dei saldi. Esse concernono in primo luogo le norme che comportano aumenti di entrata o riduzioni di spesa. La previsione di tale possibilità è finalizzata ad agevolare la realizzazione di una eventuale manovra finanziaria mediante lo strumento della legge di stabilità. Se occorre infatti riformare un settore della spesa pubblica, è inopportuno procedere con la legge di stabilità, dovendosi utilizzare lo strumento dei provvedimenti collegati, ma se invece e indispensabile correre rapidamente ai ripari, è la legge di stabilità lo strumento giusto. Non a caso la lettera 2) del comma 3 dell'art. 11 prevede espressamente questa possibilità e la sua finalizzazione. Infatti, la legge di stabilità non può contenere norme di spesa se non sono caratterizzate da un contenuto teleologico, che è appunto quello di realizzare una manovra di finanza pubblica. Motivo per il quale la norma citata consente solo incrementi delle entrate o riduzioni delle spese, congiuntamente o disgiuntamente, ma non diminuzioni di entrate o aumenti di spesa. Si deve inoltre trattare di norme che, per svolgere adeguatamente il loro compito, devono realizzare effetti finanziari visibili: risultano pertanto vietate quelle di carattere ordinamentale e organizzatorio. Ciò significa che la semplice riforma di parte dell'amministrazione, senza impatti diretti sulla spesa, senza

cioè che essa provochi risparmi, non può trovare sede nella legge di stabilità. Si tratta di una definizione che presta il destro a qualche livello di ambiguità e, come spesso accade, la sua interpretazione non è stata sempre univoca nel passato. In via eccezionale, inoltre, la legge di stabilità può contenere anche alcune specifiche misure di spesa. La lettera I) del comma citato prevede infatti che essa possa recare misure correttive degli effetti finanziari e di leggi che, nel corso della loro attuazione, dimostrassero di aver provocato effetti pregiudizievoli al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica o per le quali la clausola di salvaguardia, adottata nel caso di inadeguatezza della copertura finanziaria, dovesse essere integrata o rettificata. Della fattispecie parleremo meglio in occasione della questione della copertura finanziaria; in questa sede è sufficiente tuttavia ricordare che si tratta di un'innovazione introdotta dalla riforma, mediante la quale si attribuisce alla legge di stabilità la funzione di veicolo attraverso il quale operare un monitoraggio del complesso della legislazione di entrata e di spesa e adottare le necessarie misure correttive, nel caso in cui l'andamento delle entrate e delle spese, sia in conseguenza dei meccanismi legislativi che le regolano, sia come effetto della congiuntura economica, non consenta di conseguire gli obiettivi di finanza pubblica. La norma in questione costituisce un'eccezione ai principi generali relativi al contenuto della legge di stabilità, ma solo con riferimento all'eventualità di incrementare una spesa come effetto dell'integrazione della sua copertura finanziaria, originariamente inadeguata. Non lo è invece per la parte in cui autorizza a fare ricorso alla leva fiscale, che, come abbiamo già visto, è già ampiamente rimodulabile, ai sensi della lettera b) del medesimo comma.

L'ultima fattispecie relativa al contenuto facoltativo della legge di stabilità è quella che consente di inserirvi le norme necessarie per

attuare il Patto di stabilità interno e realizzare il Patto di convergenza, che, come abbiamo visto, legano tra di loro, in un circuito di responsabilità finalizzato al perseguimento degli obiettivi europei, stato, regioni ed enti territoriali. Si tratta di un contenuto eventuale, sia perché i patti in questione possono variare nel tempo - ma potrebbero anche eventualmente rimanere stabili per un certo periodo - sia perché si possono trovare definizione normativa anche in altra sede, ad esempio in un provvedimento collegato.

In ogni caso, la possibilità di inserire questa materia nella legge di stabilità è un'eccezione rispetto al principio della sua limitazione contenutistica, giustificata dall'esigenza di creare un collegamento funzionale, nell'ambito del complesso della finanza del settore pubblico, tra obiettivi relativi all'adempimento del Patto di stabilità europeo e loro applicazione a livello di tutti i soggetti pubblici nazionali, e di consentire che tale collegamento sia anche cronologicamente coerente rispetto alla definizione del quadro complessivo, che avviene, come si è detto, ad opera della legge di stabilità.

Occorre ricordare infine che la legge di contabilità fa espresso divieto alla legge di stabilità di contenere alcuni tipi di norme. Il contenuto vietato concerne due diverse tipologie: la prima è relativa alla fonte e la seconda al contenuto normativo.

Quanto alla prima - che riguarda le caratteristiche formali delle norme che non possono trovare posto nella legge di stabilità il divieto riguarda l'inserimento di norme di delega. La ragione è facilmente comprensibile e dipende dal fatto che la legge di delega si limita a descrivere esclusivamente i principi e i criteri direttivi, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, che ispireranno i successivi decreti delegati che saranno emanati direttamente dal governo. Verrebbe pertanto a

mancare sia la definizione puntuale delle misure che entrano a far parte della manovra – che andranno in vigore solo in un secondo momento - privando dunque il parlamento e l'opinione pubblica della conoscenza precisa degli effetti finanziari di tali misure, sia la possibilità che esse incidano direttamente e immediatamente sul livello delle entrate o delle spese della pubblica amministrazione. Infatti, gli effetti finanziari saranno destinati a realizzarsi solo nel momento dell'emanazione dei successivi decreti delegati, e quindi difficilmente sarebbero quantificabili, sia al fine della valutazione del loro contributo alla manovra, sia, eventualmente, per verificarne il apporto ai fini della copertura finanziaria della legge di stabilità. In realtà, il vero motivo per cui è fatto divieto di inserire norme di delega nella legge di stabilità dipende dalla scarsa fiducia che i parlamenti generalmente ripongono nell'esercizio dei poteri delegati da parte dei governi.

Quanto alla seconda tipologia di divieto, essa riguarda l'oggetto delle norme contenute nella legge di stabilità: non devono avere carattere ordinamentale, organizzatorio, ovvero riguardare interventi localistici o microsettoriali.

Il motivo è facilmente detto. Una norma ordinamentale o organizzatoria non impatta direttamente sulle finanze pubbliche: ad esempio, una norma che regoli le modalità di formazione di un collegio, a parità di numero di appartenenti retribuiti, non incide sugli oneri per il suo funzionamento, e dunque non modifica i saldi di finanza pubblica. Si potrebbe obiettare che la diversa composizione del collegio sia finalizzata a rendere più efficiente l'amministrazione da cui dipende e che dall'efficienza possono derivare risparmi anche consistenti. In questo caso, una norma, che dovrebbe essere di pura organizzazione, viene «vestita» come norma di efficientismo.(Vegas

op. cit).

La conseguenza è che, se gli effetti di una simile disposizione sono razionalmente illustrati e se ad essi è associato un obiettivo finanziario quantificato in misura ragionevole, la caratterizzazione della norma stessa può arrivare a mutare, sino a trasformarsi in norma con impatto finanziario diretto. Come si vede, il confine è assai labile e spesso non è marcato da altro che da una scelta di carattere politico.

Analogamente, si è molto dibattuto in passato sul come intendere la latitudine degli interventi localistici e microsettoriali: anche qui non esiste una valutazione aprioristicamente valevole in ogni momento, dato che la costruzione, ad esempio, di una strada all'interno di un comune potrebbe anche svolgere un ruolo fondamentale per il congiungimento dei traffici di due importanti assi stradali di carattere internazionale. Lo stesso potrebbe valere ove si disponessero interventi per un settore industriale di limitatissime dimensioni, ma destinato a costituire il nocciolo attorno al quale si svilupperà 1'industria del futuro.

Insomma, non è difficile trovare giustificazioni che consentano di eludere il divieto in questione. Come per molte attività umane, si tratta di una questione di buonsenso e, anche in questo caso, è assai arduo valutarla oggettivamente, senza che l'elemento soggettivo si imponga. Resta il fatto che la ratio del divieto risiede nella necessità di evitare che una legge, che dovrebbe occuparsi del perseguimento degli obiettivi generali di finanza pubblica, scenda a disciplinare temi di impatto finanziario modestissimo, se non trascurabile. Il divieto è inoltre funzionale ad evitare che si colga l'occasione del veicolo