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La legittimazione ad agire del curatore con analisi dell’art 146 l.fall.

Le ragioni da cui può derivare la crisi di un'impresa sono, evidentemente, le più varie. Non necessariamente esse dipendono da comportamenti ascrivibili a chi dell'impresa ha la gestione; ma talvolta sì, o almeno può accadere che i comportamenti del gestore e le sue scelte imprenditoriali concorrano a cagionare o ad aggravare la crisi.

Quelle scelte imprenditoriali restano, nondimeno, insindacabili ad opera del giudice, ancorché possano aver avuto effetti negativi sull'andamento economico dell'impresa, giacché occorre tenere sempre ben distinte la business judgment rule e la rule of law (norma di legge). Solo la violazione di quest'ultima, cioè di doveri derivanti da vere e proprie regole di diritto, è idonea a generare responsabilità giuridica, mentre le ragioni di opportunità imprenditoriale e la valutazione del buono o cattivo esito dell'attività d'impresa restano estranee a questo ambito, potendo assumere rilievo soltanto nella dinamica del rapporto di fiducia che deve esistere, ove titolarità e gestione del capitale impiegato facciano capo a soggetti distinti, tra i soci e chi amministra la società103.

Il tema delle azioni di responsabilità che il curatore può proporre nei confronti degli amministratori, dei componenti degli organi di controllo, dei direttori generali e dei liquidatori è da sempre oggetto di forti contrasti sia in dottrina che in giurisprudenza. Il novellato art. 146 l.fall.104 disciplina obblighi e responsabilità degli amministratori e dei liquidatori di qualunque tipo di società105. Nel testo originario di tale articolo,

introdotto dal Regio Decreto del 16 marzo 1942, n. 267, si prevedeva che l'azione di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci e i liquidatori, doveva essere

103 RORDOF R., Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Le Società,

2013, pag. 669.

104 Art.146 l.fall. Amministratori, direttori generali, componenti degli organi di controllo, liquidatori e

soci di società a responsabilità limitata: “Gli amministratori e i liquidatori della società sono tenuti agli

obblighi imposti al fallito dall'articolo 49. Essi devono essere sentiti in tutti i casi in cui la legge richiede che sia sentito il fallito.

Sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori;

b) l'azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall'articolo 2476, comma settimo, del codice civile”.

105 PORRECA P., Sull’autonomia dell’azione di responsabilità del curatore, in Le Società, n.6, 2011,

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esercitata dal curatore, ‹‹a norma degli articoli 2393 e 2394 del codice civile››, previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori106.

Analizzando il regime previgente le riforme, societaria e fallimentare, intervenute, come noto, nel 2003 e nel 2006/2007, le azioni di responsabilità contro gli amministratori di società a responsabilità limitata erano disciplinate dall'art. 2487 c.c., con un rimando alle norme in tema di società per azioni, e, dunque, non vi poteva essere alcun dubbio in ordine alla legittimazione del curatore del fallimento di una s.r.l. all'esercizio delle azioni di responsabilità, anche se il testo originario della legge fallimentare, all’art. 146, richiamava solo gli artt. 2393 e 2394 c.c., relativi agli amministratori di società per azioni.

Come già affermato, con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n.5, la responsabilità degli amministratori di s.r.l. è stata riscritta eliminando i richiami alla disciplina delle s.p.a., in coerenza con il rinnovato regime normativo di tali autonome tipologie societarie. Successivamente con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n.6, l'art. 146 l.fall. è stato riformulato stabilendo che il curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, è legittimato a esercitare ‹‹le azioni di responsabilità

contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori››, oltre alle ‹‹azioni di responsabilità contro i soci della società a

responsabilità limitata, nei casi previsti dall'articolo 2476, settimo comma, del codice civile››.

Analizzando gli elementi distintivi delle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. e le caratteristiche che assumono in sede concorsuale107 notiamo che l’art. 2393 c.c.108, di

106 Art. 146 l.fall. pre-riforma: “Gli amministratori e i liquidatori della società sono tenuti agli obblighi imposti al fallito dall’articolo 49. Essi devono essere sentiti in tutti i casi in cui la legge richiede che sia sentito il fallito.

L’azione di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci, i direttori generali e i liquidatori, a norma degli articoli 2393 e 2394 del codice civile, è esercitata dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori.

Il giudice delegato, nell’autorizzare il curatore a proporre l’azione di responsabilità, può disporre le opportune misure cautelari”.

107 BISIGNANO V., Le azioni di responsabilità esercitate dal curatore fallimentare: profili processuali e risarcitori, in Le Società, n.5, 2016, pag. 613 ss.

108 Art. 2393 c.c. Azione sociale di responsabilità: “L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione.

La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio.

L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.

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natura essenzialmente processuale, disciplina l’azione esercitabile dalla società per far accertare la violazione dei propri amministratori ai doveri di cui all’art. 2392 c.c., in quanto produttiva di un pregiudizio patrimoniale alla società. È generalmente ritenuto si tratti di una responsabilità contrattuale109 derivante dalla violazione del rapporto di fiducia che si instaura tra l’ente societario ed il proprio organo gestorio. Inoltre con l’introduzione, del comma 4 dell’art. 2393 c.c., si è eliminata ogni incertezza sulla questione del termine di prescrizione dell’azione sociale: i cinque anni inizierebbero a decorrere dalla cessazione dalla carica dell’amministratore, indipendentemente dal momento in cui il danno si sia prodotto e si sia poi reso conoscibile in base alla diligenza dovuta. Tale disposizione, ha posto però problemi di coordinamento con la disposizione generale di cui all’art. 2941, comma 7, c.c., che prevede la sospensione del termine prescrizionale tra le persone giuridiche ed i loro amministratori, finché questi siano in carica e che, pertanto, si applica all’azione esercitata dalla società.

L’art. 2394 c.c.110, invece, disciplina l’azione spettante ai creditori della società nel

caso in cui gli amministratori abbiano violato gli obblighi relativi alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, divenuto conseguentemente insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Quanto alla qualificazione della natura di tale

La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla sostituzione degli amministratori.

La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393 bis”.

109 Cass. Civile 5989/1987.

110 Art. 2394 c.c. Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci: “L'azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo.

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'azione di cui al comma precedente può essere esercitata dai soci che rappresentino un quarantesimo del capitale sociale o la minore misura prevista nello statuto.

La società deve essere chiamata in giudizio e l'atto di citazione è ad essa notificato anche in persona del presidente del collegio sindacale.

I soci che intendono promuovere l'azione nominano, a maggioranza del capitale posseduto, uno o più rappresentanti comuni per l'esercizio dell'azione e per il compimento degli atti conseguenti.

In caso di accoglimento della domanda, la società rimborsa agli attori le spese del giudizio e quelle sopportate nell'accertamento dei fatti che il giudice non abbia posto a carico dei soccombenti o che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione.

I soci che hanno agito possono rinunciare all'azione o transigerla; ogni corrispettivo per la rinuncia o transazione deve andare a vantaggio della società.

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responsabilità, la dottrina e la giurisprudenza non sono concordi. Alcuni Autori, ritenendo che l’inadempimento derivi da una precedente obbligazione dettata dalla legge, attribuiscono anche ad essa natura contrattuale. Parte della dottrina e della giurisprudenza maggioritaria più recente111 la considerano, invece, extracontrattuale (da fatto illecito), in ragione della mancanza di qualsivoglia vincolo negoziale che legherebbe i creditori agli amministratori, considerati pur sempre terzi rispetto al sinallagma creditori-società.

Condizione necessaria per l’esercizio dell’azione dei creditori è che il patrimonio sociale, in conseguenza dell’illecito degli amministratori, sia risultato insufficiente a soddisfare i crediti degli attori: da ciò discende la decorrenza della prescrizione quinquennale non già dal compimento dell’illecito da parte dell’amministratore, né dal successivo momento in cui si determina l’insufficienza del patrimonio sociale, bensì da quello ancora posteriore in cui l’insufficienza patrimoniale sia oggettivamente conoscibile alla collettività dei creditori112.

La norma, inoltre, ai fini dell’esercizio dell’azione, richiede che il patrimonio sociale risulti insufficiente: ciò che è essenziale è, pertanto, una manifestazione esteriore di tale deficit, manifestazione che non deve essere effettiva, ma solo oggettiva e potenziale.

Non è quindi necessario che tutti i creditori della società in dissesto siano a conoscenza diretta della situazione in cui versa il proprio debitore, ma solo che sussistano strumenti che consentano loro di riconoscere tale stato.

Da qui si innesca una delicata discussione in dottrina e in giurisprudenza in ordine alla natura dell’azione che svolge il curatore ovvero se tale azione possa essere considerata come azione nuova e autonoma, nascente dal fallimento ovvero se si tratti di semplice trasferimento in capo al curatore delle azioni che prima del fallimento potevano essere intraprese dalla società e dai creditori, ovvero considerarla come azione derivata.

Sia la dottrina che la giurisprudenza113 già prima della riforma del 2003, erano sostanzialmente concordi nel ritenere che le azioni di responsabilità, se pur distinte,

111 Cass. Civile 13765/2007, Trib. Roma 20 Giugno 2011 e Trib. Marsala 2 Maggio 2005.

112 L’insufficienza patrimoniale cui la norma fa riferimento è però un concetto distinto da quello di

insolvenza, requisito essenziale per la dichiarazione di fallimento, potendosi quest’ultima identificare con tutte quelle situazioni di mancanza di liquidità tale da rendere impossibile la soddisfazione dei crediti sociali.

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avessero natura derivata anche se esercitate congiuntamente dal curatore fallimentare (o dal commissario liquidatore o straordinario)114. In sostanza, l’azione

di responsabilità esercitata in sede fallimentare non sorgerebbe ex novo con il fallimento ed a titolo originario in capo al curatore115. Durante detta fase non muterebbe la natura delle azioni, ma solo il soggetto legittimato ad esercitarle: semplicemente, la legittimazione attiva, prima spettante rispettivamente alla società ed ai creditori della stessa, si trasferisce cumulativamente in capo al curatore, il quale, con una sola azione, potrà far valere nei confronti degli amministratori sia gli addebiti di cui all’art. 2393 c.c., sia quelli caratteristici della responsabilità ex art. 2394 c.c.

Ne consegue che le due azioni, seppur esercitate in forma unitaria, mantengono i propri tratti caratteristici in termini di natura ed oggetto della responsabilità.

Secondo la dottrina, nel sistema pre-riforma, tale caratterizzazione veniva fatta discendere dal dato letterale dell’art. 146 l.fall., che richiamava espressamente, al secondo comma, gli artt. 2393 e 2394 c.c.. Dal dettato normativo, poteva cioè, trarsi la conclusione che la legge fallimentare non prevedesse un’azione autonoma, ma un’azione derivante dal fallimento come azione di massa116 ai sensi dell’art. 24

l.fall., in quanto le azioni di responsabilità esercitabili in via esclusiva dal curatore dopo la sentenza dichiarativa di fallimento preesisterebbero al fallimento medesimo e non potrebbero apportare alla massa vantaggi ulteriori in termini di danno risarcibile, rispetto alle azioni esperibili anteriormente alla dichiarazione di fallimento dai singoli soggetti legittimati.

Nonostante vi sia chi consideri l'azione ex art. 146 l.fall. come azione autonoma nascente in capo al curatore a titolo originario, la dottrina maggioritaria la considera azione derivata, avente i medesimi caratteri delle azioni ivi richiamate, soprattutto sulla base del fatto che l'art. 146 l.fall. non contiene alcuna indicazione in merito ai

114 VITIELLO M., La responsabilità di Amministratori, Sindaci e Revisori contabili, 2007, capitolo

ottavo, pag. 265.

115 ABETE L., Azione ex art.2394 c.c.: ammissibilità in tema di s.r.l. e legittimazione del curatore fallimentare a farla valere, in Il Fallimento, n.3, 2013, pag. 344: “È da escludere recisamente che la

formula di cui al novello art. 146, secondo comma, l.fall. valga a fondare l'attribuzione, ex novo, al curatore fallimentare, indifferentemente di S.p.a. e di S.r.l., di legittimazioni ad agire che il sistema codicistico non ha inteso attribuirgli: il disposto dell'art. 146, secondo comma, l.fall. più che “costituitivo” di novelle legittimazioni, riepiloga semplicemente lo spettro di legittimazioni altrove prefigurate”.

Nello stesso senso DI TORREPADULA N.R., La Responsabilità degli amministratori nel fallimento

della società a responsabilità limitata, in Il Fallimento, n.12, 2006, pag. 1464.

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presupposti e alle caratteristiche dell'azione, ma opera un mero rinvio agli artt. 2393 e 2394 c.c.117

Ugualmente dibattuta, dato il richiamo operato dall'art. 146 l.fall. agli artt. 2393 e 2394 c.c., che contemplano appunto due distinte azioni, è la questione del se l'azione intrapresa dal curatore possa essere considerata scindibile o inscindibile.

La giurisprudenza maggioritaria e parte della dottrina sostengono che l'azione ex art. 146 l.fall. sia inscindibile, cumulando in sé i presupposti di entrambe le azioni civilistiche, quindi il curatore fallimentare sarebbe legittimato ad agire qualora ricorressero alternativamente le fattispecie contemplate dall'art. 2392 o dall'art. 2394 c.c.118. Diverrebbe, dunque, inutile distinguere tra l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale e l'inosservanza dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall'atto costitutivo, essendo comunque il fine dell'azione la reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia dei soci e dei creditori sociali.

La dottrina maggioritaria e parte della giurisprudenza sostengono invece che l'azione di cui all'art. 146 l.fall. sia scindibile, avendo i caratteri di entrambe le azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. L'azione ex art. 146 l.fall. mutuerebbe dunque il regime proprio di ciascuna delle diverse azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. senza alcuna sovrapposizione, proprio sul presupposto del loro assorbimento meramente soggettivo nell'unica figura del curatore.

Il trasferimento al curatore della legittimazione ad intraprendere le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. parrebbe in verità discendere già dallo spossessamento fallimentare di cui all'art. 42 l.fall. e dalla legittimazione del medesimo curatore a stare in giudizio nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito di cui

117 FUSI A., Azioni di responsabilità del curatore nei confronti degli amministratori di s.r.l., in Le Società, n.10, 2005, pag. 1272 ss.

118 In questo senso, Cass. Civile 10488/1998: “È costante in giurisprudenza l'affermazione che per effetto del fallimento le azioni di responsabilità di cui agli art. 2392-2393 e 2394 C.C. confluiscono in una unica azione avente carattere unitario e inscindibile: con il corollario che la domanda risarcitoria contro gli amministratori può essere formulata così con riferimento ai presupposti della responsabilità verso la società come sulla base dei presupposti della responsabilità verso i creditori sociali. Tale possibilità, che si risolve in un risultato pratico di evidente vantaggio per il curatore, il quale potrà impostare la domanda in funzione di profili di opportunità per avvalersi a seconda dei casi della disciplina applicabile alla responsabilità contrattuale o di quella applicabile alla responsabilità extracontrattuale, non significa peraltro che la curatela la quale si avvalga consapevolmente e dichiaratamente dello strumento risarcitorio di cui agli art. 2393 e 2394 C.C. sostituendosi alla società, debba soggiacere a quanto di meno favorevole possa comportare astrattamente il ricorso all'azione di danni di cui all'art. 2394 C.C. in tema di delimitazione del danno risarcibile e dell'interesse ad agire nel senso sopra precisato”.

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all'art. 43 l.fall.

La disposizione dell'art. 146 l.fall. sembrerebbe, dunque, a prima vista ridondante rispetto alle disposizioni contenute negli artt. 42 e 43 l.fall.

Le considerazioni appena fatte devono però essere riesaminate alla luce della riforma del diritto societario, la quale, come già ripetutamente affermato, ha modificato in maniera assai rilevante la disciplina della responsabilità degli amministratori delle società di capitali, senza tuttavia apportare modifica alcuna alla legge fallimentare.

L'art. 146 l.fall. richiama, infatti, tuttora gli artt. 2393 e 2394 c.c. dettati in tema di società per azioni.

Il legislatore della riforma ha regolamentato in maniera autonoma la responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità limitata sostituendo al mero rinvio operato dal previgente art. 2487 c.c. la puntuale disciplina dell'art. 2476 c.c.

L'abolizione del continuo rinvio operato dalle previgenti norme in tema di società a responsabilità limitata alla più completa disciplina della società per azioni, costituisce peraltro uno dei punti principali della riforma e ciò al dichiarato fine di creare una nuova figura di società a responsabilità limitata finalmente autonoma dalla società per azioni. Ne consegue che i rinvii alle norme dettate in tema di società per azioni sono adesso per le società a responsabilità limitata del tutto eccezionali.

Resta dunque da chiedersi se, in assenza di un espresso richiamo e alla luce delle interpretazioni date da dottrina e giurisprudenza dell'art. 146 l.fall., sia possibile ipotizzare la legittimazione del curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ad agire nei confronti degli amministratori sia con l'azione sociale di responsabilità che con l'azione di responsabilità verso i creditori.

La legittimazione del curatore ad intraprendere l'azione sociale di responsabilità, pur in assenza di un espresso richiamo operato dall'art. 146 l.fall., discende in realtà dai principi generali in tema di fallimento e in particolare dall'art. 43 l.fall., che legittima, appunto, il curatore a stare in giudizio nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento.

Quanto invece all'azione di responsabilità verso i creditori occorre preliminarmente chiedersi se tale azione sussista ancora nonostante il silenzio normativo e in secondo luogo se il curatore fallimentare possa essere processualmente legittimato ad

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intentarla.

Sotto il primo profilo, pur in assenza di una espressa previsione in merito, l'azione a tutela dei creditori, potrebbe comunque considerarsi esistente anche per le società a responsabilità limitata o quale azione surrogatoria, ove ne sussistessero i presupposti, ovvero sostenendone la natura aquiliana, come generale espressione della risarcibilità della lesione del credito119.

Nel caso si volesse attribuire all'azione spettante ai creditori natura surrogatoria, la legittimazione del curatore discenderebbe dal divieto di azioni esecutive individuali di cui all'art. 51 l.fall., divieto da ritenersi esteso alle azioni surrogatorie in quanto azioni indirettamente esecutive.

Nell'ipotesi in cui invece si propendesse per la natura aquiliana dell'azione in oggetto, trattandosi di azione diretta ad incidere su un patrimonio diverso da quello del fallito, sarebbe arduo sostenere la legittimazione del curatore fallimentare all'azione, non potendo più essere considerata «azione di massa», ma solo azione individuale.

L'azione individuale dei creditori dovrà in ogni caso essere coordinata con l'azione sociale intrapresa dal curatore: infatti da un lato l'azione promossa dal curatore è pregiudiziale rispetto all'azione dei creditori in quanto diretta ad accertare se l'amministratore abbia o meno arrecato danno al patrimonio sociale dall'altro occorre evitare che i creditori ricevano complessivamente dal riparto fallimentare e dall'azione individuale una somma eccedente il loro credito.

In definitiva non ci sono dubbi sulla spettanza al curatore dell'azione sociale di responsabilità, dato che l'art. 43, comma 1, l.fall.120, assegna allo stesso la

legittimazione a stare in giudizio per tutte le controversie, anche quelle pendenti, concernenti rapporti di diritto patrimoniale del fallito che siano inclusi nel

119 La tesi della natura surrogatoria è stata sostenuta da Cass. Civile 13498/1991 e Cass. Civile