Paesi Europe
3.4 Regno Unito
In Gran Bretagna ed in generale nei sistemi Common Law, l’attenzione riguardo alla responsabilità civile degli amministratori è stata tradizionalmente ed è forse ancora oggi, quantitativamente e qualitativamente, maggiore rispetto a quanto lo sia nel nostro sistema, dovuto alla circostanza del maggior grado di sviluppo della realtà societaria, la quale ha favorito il sorgere di nuove problematiche e la conseguente ricerca di soluzioni, soprattutto per quanto riguarda la tutela della minoranza e la responsabilità dell’amministratore di fatto.
Nel sistema britannico, il quadro dei doveri generali relativi agli amministratori, ovvero i directors, si determina facendo riferimento in primo luogo al Companies
Act del 2006174, entrato effettivamente in vigore nel 2009, dove è contenuta la parte
più significativa della disciplina, oltre che alle norme di common law e agli
equitable principles175, peraltro in gran parte recepiti e codificati dalla prima
fonte176.
174 Si veda BRUNO S., Profili del diritto societario inglese alla luce della riforma, in Riv. Soc., 2004,
897.
La materia societaria comunque non è nuova ad interventi legislativi in quanto già nel 1985 era stato adottato un Companies Act che codificava buona parte della materia societaria e riformava le precedenti disposizioni normative di fonte parlamentare.
L’attuale Companie Act, disciplina per intero tutto il diritto societario, dalla fase costitutiva a quella liquidativa, sviluppando la materia in 1300 articoli, e per questo è considerata la più lunga legge mai scritta.
175 Si pensi, ad esempio, alle regole che stabiliscono l’obbligo per gli amministratori di attenersi e dare
esecuzione alle deliberazioni assunte dall’assemblea all’unanimità, sia pure in assenza dei prescritti requisiti formali (informal unanimous consent).
176 Considerato che gran parte delle norme contenute nel Companies Act non è altro che una forma di
codificazione dei precetti di common law e di equità, le relative disposizioni andranno interpretate in conformità ad essi. È così chiaramente statuito nella sect. 170, dove si legge: “The general duties are
92
Il tema della responsabilità degli amministratori costituisce una delle novità più interessanti, si tratta infatti di una materia che trova per la prima volta piena codificazione nel Regno Unito, infatti uno degli aspetti più innovativi è rappresentato proprio dalla scelta di codificare i doveri degli amministratori.
La disciplina della responsabilità degli amministratori ha iniziato a svilupparsi nel Regno Unito quando i giudici avevano a disposizione un ampio bagaglio giurisprudenziale in materia di duties of trustees (doveri fiduciari). L’assimilazione però tra trustee e directors, proposta in origine per il rilievo del rapporto fiduciario, è stata giudicata non completamente appagante perché il trustee è soggetto incaricato della conservazione del trust found dovendo astenersi dal compiere scelte rischiose, mentre la funzione degli amministratori è quello di gestire, sempre nell’interesse altrui, un’attività economica il cui scopo lucrativo e speculativo impone che gli stessi siano dotati di maggiore discrezionalità, potendo avere anche la libertà di compiere operazioni connotate da un certo rischio.
Agli obblighi codificati per legge, si aggiungono ulteriori e nonché particolari standard di comportamento contenuti nell’atto costitutivo e/o nello statuto della società (company’s articles of association) e nelle deliberazioni dell’assemblea dei soci, che su tali atti intervengono, apportando modifiche più o meno penetranti alla governance della società stessa.
Il regime dei doveri genericamente gravanti sugli amministratori è contenuto nelle sezioni dalla 171 alla 177, della parte n.10 del Companies Act, con l’eccezione della sola responsabilità verso i creditori sociali che non essendo codificata è rimasta regolata dal common law.
Si tratta di regole che trovano applicazione a prescindere dalla forma della società, per quanto, chiaramente, avranno diverse implicazioni a seconda della natura della company, in termini di dimensioni ed assetti proprietari.
A ciò si aggiunga che, almeno da un punto di vista strettamente formale, esse riguardano tanto gli amministratori muniti di deleghe (executives), tanto quelli che ne sono sprovvisti (non executives)177.
have effect in place of those rules and principles as regards the duties owed to a company by a director. The general duties shall be interpreted and applied in the same way as common law rules or equitable principles, and regard shall be had to the corresponding common law rules and equitable principles in interpreting and applying the general duties”.
177 AA.VV., Doveri e responsabilità dell'amministratore con e senza deleghe, in Pratica fiscale e professionale, n.38, 2016, pag. 2: “In Italia, per le s.p.a. e di riflesso anche per le s.r.l., gli amministratori
93
La giurisprudenza è intervenuta sul punto, precisando che per gli amministratori sprovvisti di deleghe, pur sussistendo i medesimi doveri, questi sono destinati ad applicarsi specificamente alle funzioni di vigilanza loro affidate, da conformarsi non in astratto, ma considerato il concreto ruolo svolto nella company.
con deleghe, in virtù del loro primario ruolo decisionale, sono investiti dalla responsabilità sia in senso diretto che in senso indiretto, potendo essere chiamati a rispondere per la loro condotta sia di tipo commissivo che omissivo. Conseguentemente, quanto indicato in termini di responsabilità degli amministratori nei precedenti paragrafi è applicabile integralmente agli amministratori con deleghe. Diversa è la posizione degli amministratori senza deleghe: l'art. 2391, comma 1, c.c. prevede infatti l'esonero da responsabilità diretta per l'amministratore che non abbia partecipato ad un atto di competenza del comitato esecutivo o assegnato in concreto a uno o più amministratori.
La responsabilità diretta resta in capo agli amministratori deleganti per tutte quelle attribuzioni non delegabili per legge, come la redazione del bilancio, gli adempimenti in caso di perdite, etc.; pertanto, a titolo esemplificativo, per tutte le violazioni inerenti la redazione del bilancio risponderanno solidalmente tutti gli amministratori, indipendentemente dall'attribuzione di deleghe.
Tuttavia tutti gli amministratori, compresi i deleganti, hanno doveri generali verso la società da rispettare: la riforma del diritto societario (D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) ha eliminato nell'art. 2381 c.c. il riferimento ad un generico dovere di vigilanza sull'andamento della gestione per ogni amministratore, introducendo specifici obblighi di sorveglianza e di azione informati (si rimanda ai precedenti paragrafi) al fine di limitare parzialmente la responsabilità degli amministratori non delegati. In merito la relazione illustrativa al D.Lgs. precisa che "l'eliminazione dell'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, sostituita da specifici obblighi... tende ad evitare sue indebite estensioni che....finivano per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall'accettare o mantenere incarichi in società".
Il potere - dovere di richiedere informazioni agli amministratori delegati, e il dovere di questi ultimi di fornirle previsti dall'art. 2381 c.c., si pongono come presupposto dell'obbligo di agire informati e della conseguente responsabilità di tutti i componenti del consiglio di amministrazione.
Conseguentemente, sugli amministratori senza deleghe grava comunque una responsabilità indiretta indipendentemente dalle attribuzioni di cui il consiglio si sia liberato per attribuirle ad un più ristretto gruppo di soggetti, quando sapendo o potendo sapere di un fatto pregiudizievole per la società, sono rimasti inattivi.
In caso di responsabilità dei delegati l'estensione ai deleganti non avverrà in automatico ma si dovrà valutare se l'amministratore avrebbe potuto conoscere l'illecito se si fosse attivato; in caso positivo, si dovrà provare che la conoscenza dell'illecito, innescando il dovere di intervento, sarebbe stata idonea a impedire, eliminare o ridurre le conseguenze dannose.
L'amministratore senza deleghe, per poter (un domani) provare la propria esenzione da colpa per i fatti imputabili ai delegati, deve adottare alcuni accorgimenti difensivi quali a seconda della gravità dei fatti: - richiedere formalmente mediante verbalizzazione o corrispondenza datata informazioni e dati agli amministratori delegati o a terzi (consulenti, etc.) al fine di disporre di un adeguato quadro informativo e dimostrare la diligenza prestata nel proprio ruolo;
- attraverso il consiglio di amministrazione, ingerirsi direttamente nella delega impartendo direttive o revocando i poteri conferiti;
- facendo annotare il proprio dissenso ad un determinato atto nel libro delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, dandone immediata notizia per iscritto al collegio sindacale;
- impugnando le delibere del consiglio di amministrazione ex art. 2388, comma 4, c.c.;
- se dispone di una partecipazione pari almeno al 10 % del capitale sociale, ricorrendo alla denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c.
La recente giurisprudenza di legittimità ha fatto propri questi principi ad esempio nelle seguenti sentenze:
- Corte Cassazione, sentenza n. 3544/2016, secondo cui l'amministratore senza deleghe non può essere considerato responsabile di concorso in bancarotta se manca la prova che era a conoscenza dei fatti; - Corte Cassazione, sentenza n. 2737/2013, che statuisce che gli amministratori senza deleghe non possono restare passivi, ma si devono attivare nella ricerca di informazioni in quanto hanno l'obbligo di contribuire ad assicurare un efficace governo dei rischi. Gli obblighi si considerano in concreto attuati mediante diretta ingerenza nella delega attraverso poteri di direttiva, e avocazione”.
94
Si tenga altresì presente che si tratta di norme riferite a tutti coloro che, indipendentemente da valide delibere di nomina, eventuali investiture formali, comunque denominate, svolgono in concreto funzioni tipicamente affidate ai gestori, e, quindi, sostanzialmente agli amministratori di fatto (de facto director).
I general duties, ovvero i doveri generali, si applicano in modo cumulativo tra loro; inoltre, almeno apparentemente, essi appaiono posti nell’interesse esclusivo della società, per quanto ciò non possa ritenersi preclusivo di responsabilità anche specificamente rivolte ai singoli soci, ricorrendo determinati presupposti che facciano sorgere tra essi e i directors un rapporto di affidamento (si pensi, ad esempio, ad un flusso di informazioni attivato in occasione di negoziazione delle azioni o di offerte pubbliche di acquisto o vendita).
Il primo tra i doveri genericamente gravanti sui gestori è il duty to actwithin powers (sect. 171), vale a dire l’obbligo di agire in conformità alla company’s constitution, composta da atto costitutivo e/o statuto, nonché delibere e accordi che incidano sulla governance, dando esecuzione a quanto ivi stabilito, e conformando l’esercizio dei poteri gestori alle finalità per cui questi sono stati attribuiti (only exercise powers for
the purposes for which they are conferred, ovvero solo esercitare i poteri per gli scopi per cui sono conferiti).
Corollario di ciò non è soltanto l’obbligo di non compiere atti ultra vires, vale a dire atti che siano estranei all’attività d’impresa e dunque all’oggetto sociale, ma trattandosi di un dovere tipicamente rientrante tra i fiduciary duties (obblighi fiduciari) derivanti dall’obbligazione generale di agire secondo lealtà e fedeltà (duty
of loyalty and fidelity), esso impone altresì ai gestori di astenersi da comportamenti che possano indebitamente favorire o, al contrario, pregiudicare alcuni membri della compagine societaria, ovvero dai quali i gestori possano conseguire un indebito vantaggio personale a discapito della società.
Per andare esenti da responsabilità i gestori dovranno ottenere preventivamente l’autorizzazione da parte dell’assemblea (sect. 180) o quantomeno una ratifica successiva (sect. 239).
Ancora nell’ambito degli obblighi fiduciari, la sect. 172 del Companies Act contempla il duty to promote the success of the company. Si tratta, come è evidente, del generalissimo dovere di agire nell’interesse della società che, pur non limitando la discrezionalità degli amministratori, impone loro di agire non solo secondo buona
95
fede, ma anche sulla base di opportune e complete informazioni, oltre che a seguito di adeguate procedure.
Fermo restando che il giudice, in forza dell’applicazione del principio generale della
business judgement rule178, non può sostituirsi all’amministratore di cui valuta l’operato, dovrà però accertare la sua buona fede, verificando in particolare che la condotta, commissiva o omissiva, sia stata ispirata dal perseguimento dell’interesse sociale.
Chiaramente il ‹‹success of the company››, traducibile con la nozione di interesse sociale, ha un contenuto decisamente variabile e destinato a riempirsi di significato a seconda di quanto risulta nella company’s constitution, e quindi, solitamente con obiettivi di medio-lungo periodo rivolti al conseguimento di utili e di incrementi di valore delle partecipazioni.
Non a caso è la stessa sect. 172 ad offrire un elenco, sia pure non esaustivo, dei fattori da considerare:
‹‹(a) the likely consequences of any decision in the long term (le possibili conseguenze di ogni decisione nel lungo periodo);
(b) the interests of the company’s employees (gli interessi dei dipendenti della società);
(c) the need to foster the company’s business relationships with suppliers, customers and others (la necessità di promuovere i rapporti di affari con fornitori, clienti e altri);
(d) the impact of the company’s operations on the community and the environment
(l’impatto delle operazioni della società sulla comunità e sull’ambiente);
(e) the desirability of the company maintaining a reputation for high standards of business conduct (la desiderabilità per la società di mantenere una reputazione per elevati standard di condotta);
(f) the need to act fairly as between members of the company (la necessità di agire correttamente nei confronti degli azionisti)››.
Si tenga presente che l’interpretazione giurisprudenziale è nel senso di escludere la buona fede laddove l’operazione pregiudizievole per la società non sia stata preceduta da quegli atti preparatori che un amministratore diligente avrebbe posto in essere in quelle circostanza, ivi comprese raccolte di pareri e di adeguate
96
informazioni preventive.
L’ultimo tra i doveri strettamente fiduciari è il duty to exercise independent
judgement, che vieta agli amministratori, salvo specifica autorizzazione della società (company’s constitution e successive delibere), di seguire passivamente direttive e/o ordini altrui, o comunque delegare le proprie funzioni a soggetti terzi.
Ai fiduciary duties brevemente descritti, si affianca poi il duty to exercise
reasonable care, skills and diligence, ovvero il dovere di esercitare la mansione con ragionevole cura, abilità e diligenza.
In realtà, per quanto non propriamente rientrante tra i doveri di loyalty e fidelity, esso non è altro che una specificazione dell’obbligo di agire nell’interesse della società179.
Pur nel rispetto della sua insindacabile discrezionalità gestoria, l’amministratore è tenuto a comportarsi secondo quei parametri di cura, competenza e diligenza, che ci si potrebbe ragionevolmente attendere da un ‹‹buon amministratore di società››, tenuto conto delle circostanze concrete entro cui svolge il proprio incarico.
Al fine di valutare l’adempimento di tale obbligo, l’amministratore dovrà perciò non soltanto raffrontare la sua condotta con quella che il ‹‹buon amministratore di società›› avrebbe tenuto nelle medesime circostanze (tenendo conto, ad esempio, del tipo di attività, della struttura aziendale, della ripartizioni di compiti e responsabilità), ma anche di quelle che sono le sue peculiari competenze e conoscenze.
In altre parole, ad uno standard minimo, evidentemente richiesto per il fatto stesso di aver assunto la carica sociale, si aggiunge un ulteriore standard di condotta di natura soggettiva, strettamente legato alla persona del singolo amministratore: risulta evidente che da tale personalizzazione della responsabilità, possano derivare più elevati standard di comportamento.
Ai doveri precedentemente descritti si aggiungono anche:
a) il dovere di evitare il conflitto di interessi (duty to avoid conflicts of interests);
b) il dovere di non accettare benefici da parte di terzi (duty not to accept be nefits
179 Nella sect. 174 del Companies Act si legge che: “A director of a company must exercise reasonable care, skill and diligence. This means the care, skill and diligence that would be exercised by a reasonably diligent person with (a) the general knowledge, skill and experience that may reasonably be expected of a person carrying out the functions carried out by the director in relation to the company, and (b)the general knowledge, skill and experience that the director has”.
97 from third parties);
c) il dovere di dichiarare un interesse in un’operazione o accordo, potenziale ovvero esistente (duty to declare interest in proposed transaction or arrangement).
L’azione nei confronti degli amministratori può essere esercitata dal consiglio di amministrazione, dalla maggioranza dei soci in assemblea ovvero dai soci di minoranza180.
La legittimazione attiva del board, di norma oggetto di specifica previsione statutaria, potrebbe però essere evitata qualora l’amministratore o gli amministratori responsabili siano la maggioranza del c.d.a. o quando possano comunque influenzarla.
Come nel nostro ordinamento, l’amministratore il cui operato è contestato può comunque votare in assemblea nella delibera che lo riguarda, nel caso però ci sia la decisione a procedere non esiste una norma che ne imponga la revoca automatica dall’incarico.
Alcuni modelli statutari possono autorizzare a delegare la decisione di instaurare un giudizio contro gli amministratori anche ad un sottoinsieme dei membri del consiglio di amministrazione.
Altra ipotesi potrebbe essere quella di assegnare a qualcuno al di fuori della compagine sociale il diritto di esercizio dell’azione sociale.
Per quanto riguarda i termini di prescrizione dell’azione, sebbene la regola generale escluda l’inesistenza di limiti temporali, realisticamente non è così poiché ci sono sentenze che hanno messo dei limiti di tempo all’aiuto, che i tribunali possono concedere ai ricorrenti per esperire l’azione sociale.
180 ABBADESSA P. e PORTALE G.B., Il nuovo diritto delle società – Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 2007, pag. 865 s.: “La giurisprudenza inglese ha individuato due presupposti necessari, per
l’esercizio dell’azione di minoranza: in primo luogo le violazioni ai doveri degli amministratori che la minoranza può far valere sono quelle che non possono formare oggetto di delibera assembleare di discarico da responsabilità, dovendosi pertanto distinguere tra i casi di breach of trust o misappropriation of corporate assets, non ratificabili, e le violazioni dei fiduciary duties, le quali, al contrario, sono ratificabili dall’assemblea e come tali non possono dare adito all’azione di minoranza, in secondo luogo, è necessario che l’amministratore convenuto abbia il controllo della società o che il controllo sia in mano a soggetti riferibili agli amministratori, cosicché sia prevedibile che l’assemblea non eserciterà mai l’azione di responsabilità, nemmeno se sollecitata dalla minoranza.
Il diritto inglese, infine, favorisce sotto il profilo delle spese processuali, il socio che agisce in responsabilità”.
98
Capitolo 4. La responsabilità deli amministratori di s.r.l. negli Stati
Uniti d’America
Il diritto commerciale nel sistema giuridico degli Stati Uniti rientra nella competenza statale ed è regolata, in particolare, dalla fonte legale (statutory law) e della fonte giurisprudenziale (judge-made law)181.
La presenza di 50 stati, e dunque di 50 ordinamenti, non consente di poter parlare di un unico diritto statunitense delle società con riferimento agli obblighi di condotta degli amministratori e al regime di responsabilità a loro applicabile182, ma di distinti
regimi legali.
Vi sono tuttavia delle ‹‹forze unificatrici›› che si pongono come rimedio a questa apparente disomogeneità di disposizioni e indirizzi e che permettono, con molta prudenza, di ritenere sussistente un ‹‹diritto americano delle società››.
Le principali forze unificatrici sono il Model Business Corporation Act183 (MBCA), arrivato alla terza edizione e recepito da una dozzina di Stati, mentre altri ne hanno recepito soltanto alcune parti fondamentali, e i Principles of Corporate
Governance184.
L’MBCA, pur non costituendo fonte normativa, per il prestigio dell’organo da cui promana, esercita una notevole influenza sulle scelte operate dai legislatori dei vari stati.
I Principles sono stati formulati dall’American Law Institute.
Il documento, pubblicato nel 1994, è il risultato di un lungo lavoro che ha coinvolto professori di diritto, giudici, avvocati, e rappresentanti dei comitati del BAR. I Principles non riguardano tutta la corporate law, ma disciplinano una limitata gamma di questioni attinenti la struttura e composizione degli organi di gestione e doveri di diligenza e correttezza degli amministratori e i rimedi disponibili in caso di violazioni dei doveri fiduciari.
181 MARCHETTI C., op. cit., pag. 299 e ss.
182 Sul punto si veda EISENBERGH M.A., Obblighi e responsabilità degli amministratori e dei funzionari delle società nel diritto Americano, in Giur. Comm., 1992, I, pag. 617.
183 Il Model Business Corporation Act è stato formulato nel 1946 e pubblicato dal Committee on Corporate Laws dell’American Bar Association’s Section on Business Law. Nel 1984 e nel 2000 si è proceduto ad una rivisitazione del Model dando vita ad una versione più moderna ed evoluta.
184 I Principles of Corporate Governance sono stati elaborate dall’American Law Institute, organo che è
stato istituito nel 1923 ed il cui compito primario è stato quello di cercare di uniformare il diritto degli Stati Uniti.
99
Per stabilire quale diritto statale sia concretamente applicabile nei confronti di una società si distingue tra il diritto applicabile agli internal affairs, da una parte, e agli
external affairs, dall’altra.
I primi, ovvero gli affari interni, sono regolati dal diritto dello stato in cui è stata
costituita la società (state of incorporation) e coinvolgono tutte le controversie che possono sorgere tra la società e i suoi officers, directors e shareholders.
Gli affari esterni, al contrario, sono disciplinati dalla legge statale o federale del