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LA RESPONSABILITA' DEGLI AMMINISTRATORI DI S.R.L.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN

CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE

TESI DI LAUREA

LA RESPONSABILITA’

LA RESPONSABILITA’

LA RESPONSABILITA’

LA RESPONSABILITA’ DEGL

DEGL

DEGL

DEGLI AMMINISTRATORI NELLE S.R.L.

I AMMINISTRATORI NELLE S.R.L.

I AMMINISTRATORI NELLE S.R.L.

I AMMINISTRATORI NELLE S.R.L.

RELATORE:

Chiar.ma Prof

Chiar.ma Prof

Chiar.ma Prof

Chiar.ma Prof.ssa

.ssa

.ssa

.ssa Lucia Calvosa

Lucia Calvosa

Lucia Calvosa

Lucia Calvosa

CANDIDATA:

Elena Federica Figliolino

Elena Federica Figliolino

Elena Federica Figliolino

Elena Federica Figliolino

(2)

2

C

C

C

Capitolo

apitolo

apitolo

apitolo 1.

1.

1.

1.

Art.

Art.

Art.

Art. 2476

2476

2476

2476 cccc.c

.c.... ---- LLLL’a

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’azione

zione

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sociale

sociale di

sociale

di

di

di responsabilità

responsabilità

responsabilità

responsabilità

1.1

Natura contrattuale dell’azione di responsabilità verso la società

1.1.1 Obbligo di gestire con diligenza la società

1.1.2 Obbligo di non agire in conflitto d’interessi

1.1.3 Solidarietà e regime di esenzione da responsabilità per gli

amministratori

1.1.4 Onere della prova

1.1.5 Determinazione e quantificazione del danno

1.1.6 Il diritto di controllo dei soci non amministratori

1.2

Legittimazione attiva dell’azione sociale

1.2.1 Legittimazione attiva della società

1.2.2 Legittimazione attiva del singolo socio

1.2.3 Responsabilità degli amministratori verso i singoli soci e terzi

danneggiati

1.2.4 Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali

1.2.5 Legittimazione attiva del curatore fallimentare con problematiche

relative all’applicazione dell’art. 2394-bis del c.c.

1.3 Legittimazione passiva

1.4 Scomparsa e reintegro del potere di denuncia al tribunale ai sensi

dell’art. 2409 c.c. da parte di s.r.l.

1.5 Provvedimento cautelare di revoca

1.6 Prescrizione dell’azione di responsabilità verso gli amministratori

Capitolo

Capitolo

Capitolo

Capitolo 2.

2.

2.

2.

Azione

Azione

Azione

Azione di

di responsabilità

di

di

responsabilità

responsabilità

responsabilità nel

nel

nel fallimento

nel

fallimento

fallimento

fallimento

2.1 La legittimazione ad agire del curatore con analisi dell’art. 146 l.fall.

2.2 Prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore

2.3 L’azione di responsabilità esperita verso l’amministratore di fatto

2.4 I presupposti per l’esercizio dell’azione tramite l’autorizzazione del

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3

giudice delegato e il parere del comitato dei creditori

2.5 La quantificazione del danno risarcibile

2.6 Provvedimenti cautelari

Capitolo

Capitolo

Capitolo

Capitolo 3.

3.

3.

3.

La

La

La

La responsabilità

responsabilità

responsabilità

responsabilità degli

degli

degli

degli amministratori

amministratori di

amministratori

amministratori

di

di s.r.l.

di

s.r.l.

s.r.l.

s.r.l. in

in

in altri

in

altri

altri

altri Paesi

Paesi

Paesi

Paesi

Europei

Europei

Europei

Europei

3.1 Germania

3.2 Francia

3.3 Spagna

3.4 Regno Unito

Capitolo

Capitolo

Capitolo

Capitolo 4.

4.

4.

4.

La

La responsabilità

La

La

responsabilità

responsabilità

responsabilità de

de

de

deg

g

g

gli

lili

li amministratori

amministratori

amministratori di

amministratori

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s.r.l.

negli

negli Stati

negli

Stati

Stati

Stati

Uniti

Uniti

Uniti

Uniti d’America

d’America

d’America

d’America

Conclusioni

Conclusioni

Conclusioni

Conclusioni

Bibliografia

Bibliografia

Bibliografia

Bibliografia

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4

Capitolo 1. Art. 2476 c.c. - L’azione sociale di responsabilità

La responsabilità, secondo quanto dispone l'art. 1218 c.c., è l'obbligazione di risarcire il danno prodotto dall'inadempimento o dall'inesatto adempimento di una preesistente obbligazione, che non derivi dall'impossibilità della prestazione non imputabile al debitore1.

Applicando al diritto societario l'istituto della responsabilità, con riferimento agli amministratori delle società di capitali, si può dunque dire che, la loro responsabilità deriva dall'inadempimento delle loro obbligazioni primarie, nate nel rapporto di amministrazione, che essi intrattengono con le società di capitali.

Queste obbligazioni in sintesi riguardano il funzionamento dell'organizzazione societaria e la gestione della relativa impresa.

Il funzionamento dell'organizzazione si concretizza negli impulsi che gli amministratori devono dare alla convocazione e alle decisioni degli organi societari, l'esecuzione della prescritta pubblicità, la regolare tenuta dei libri sociali, etc. L'inadempimento delle relative attività può essere causa di danno per la società, come, per esempio, nel caso in cui non venga registrata dall'assemblea una perdita rilevante di esercizio e non sia di conseguenza assunta la decisione di ricostituzione del capitale perduto.

La gestione dell'impresa consiste in una serie di atti, in parte materiali, come l'organizzazione dell'azienda, la scelta della sua collocazione nello spazio, l'elaborazione dei programmi economici etc., in parte giuridici, come i contratti necessari per costruire la cornice di sicurezza entro la quale l'impresa può svolgere la propria attività e per porre l'impresa in condizione di disporre dei fattori necessari all'attività stessa.

Il legislatore della riforma, come noto, ha riscritto la normativa codicistica in materia di società a responsabilità limitata, facendo si che questo tipo societario non venga più visto come modello inferiore alla società per azioni.

Anche le regole sostanziali in tema di responsabilità degli amministratori non coincidono più con quelle previste nell’ambito della s.p.a.. Queste regole, sono state riscritte e inserite nel novellato art. 2476 c.c., il cui testo riporta che ‹‹Gli

1 SALAFIA V., Profili di responsabilità degli amministratori di società di capitali, in Le Società, n.11,

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amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso.

I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione.

L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.

In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti.

Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale.

Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei soci per le responsabilità incorse nella gestione sociale››.

Il Legislatore, con l’art. 2476, ha inteso dettare una disciplina tendenzialmente completa e autonoma della responsabilità degli amministratori e delle azioni di responsabilità, evitando dunque il ricorso alla tecnica del rinvio alle norme previste

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6

in tema di s.p.a, come avveniva invece nella disciplina previgente. Per quanto lo sforzo di autonomia e distinzione del regime legale della s.r.l. rispetto a quella della s.p.a risulti del tutto coerente con la più generale impostazione del disegno legislativo della riforma del diritto societario, non sembra che il risultato possa essere considerato pienamente raggiunto. Infatti, il quadro normativo manifesta numerose lacune che rendono la disciplina complessivamente poco organica ma comunque innovativa.

E’ particolarmente significativa la tutela che viene riconosciuta ai soci nell’art. 2476 c.c., poiché essa si basa sul principio secondo il quale, sulla base della natura contrattuale della società, ad ogni socio è riconosciuto il diritto di ottenere notizie dagli amministratori in merito allo svolgimento degli affari sociali e di procedere ad una diretta ispezione dei libri sociali e dei documenti concernenti l’amministrazione della società. Da ciò deriva coerentemente il potere di ciascun socio di promuovere l’azione di responsabilità e di chiedere con essa la provvisoria revoca giudiziale dell’amministratore in caso di gravi irregolarità; secondo questa prospettiva viene accentuato il significato contrattuale dei rapporti sociali.

In conseguenza a ciò, è sembrato apparentemente logico che divenisse superflua e anche contraddittoria la previsione di forme di intervento del giudice, quali quelle previste dall’art. 2409 c.c.. Esse sono assorbite dalla legittimazione alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere provvedimenti cautelari come la revoca degli amministratori; si cerca di fornire ai soci uno strumento in grado di consentire ad essi di risolvere i conflitti interni alla società. Detto scenario però, sembra essersi decisamente ribaltato in seguito alla recente approvazione della Legge n.155 del 19 ottobre 2017, la quale prevede che anche alle s.r.l. spetti, in maniera esplicita, la legittimazione alla denuncia al tribunale delle irregolarità commesse dagli amministratori.

Da un lato è stato lasciato alla società stessa, sulla base di maggioranze particolarmente qualificate, una disponibilità dell’azione e dall’altro non si pregiudica il diritto del singolo socio o di un terzo a chiedere il risarcimento dei danni direttamente subiti derivanti da comportamenti illeciti degli amministratori. E’ importante porre attenzione sul penultimo comma dell’art. 2476 c.c. dove viene affermata la responsabilità solidale con gli amministratori dei soci che intenzionalmente hanno contribuito al compimento di atti dannosi per la società, i

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soci o i terzi. Nella realtà, considerato il tipo di società, l’effettivo potere di amministrazione non corrisponde all’investitura formale della carica di amministratore, però la mancanza di questa, non può diventare un facile strumento per eludere alla responsabilità che deve incombere su chi effettivamente la società la gestisce2.

1.1 Natura contrattuale dell’azione di responsabilità verso la società 1.1.1 Obbligo di gestire con diligenza la società

Si può notare che nell’articolo 2476 c.c. esiste la totale mancanza di ogni tipo di riferimento esplicito ad un qualsiasi canone di diligenza relativo all’adempimento dei doveri imposti agli amministratori di s.r.l. dalla legge e dall’atto costitutivo3. Non è, infatti, richiamata né la diligenza del mandatario ex art.

1710 c.c., cui si riferiva la disciplina previgente tramite il rinvio al vecchio testo

2 MONDINI P.F., S.r.l. Commentario dedicato a Portale G.B., a cura di Dolmetta A.A. e Presti G., 2011,

pag. 630, osserva che: “secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato l’assunzione di

obblighi di natura gestoria verso la società, indipendentemente dall’esistenza/validità della nomina e relativa accettazione e dal corretto adempimento delle formalità pubblicitarie, può discendere anche dal mero esercizio in concreto della funzione amministrativa e organizzativa dell’impresa sociale. Responsabili per la violazione degli obblighi di corretta gestione sono dunque non solo gli amministratori c.d. “ di diritto”, cioè i soggetti titolari dell’ufficio in forza di una investitura conforme alle disposizioni legali o statutarie in tema, ma anche quelli “di fatto”, vale a dire coloro che hanno materialmente curato la gestione della società, pur in assenza di qualsivoglia, anche invalido o inefficacie, atto di conferimento dell’incarico”.

Cass. Civile 1925/1999, Cass. Civile 9795/1999 e Cass. Civile 6719/2008.

3 AA.VV., Responsabilità, obblighi e doveri degli amministratori d'impresa, in Pratica fiscale e professionale, n.18, 2015, pag. 2: “Nel seguito si elencano i principali obblighi e doveri previsti a carico

degli amministratori secondo la loro esposizione nel codice civile: 1) diffidare i soci morosi nei conferimenti (art. 2466 c.c.);

2) depositare presso il Registro delle Imprese, la dichiarazione con i dati dell'unico socio in caso di società unipersonale (art. 2470 c.c.);

3) non agire in conflitto di interessi con la società (art. 2475 ter c.c.);

4) fornire ai soci che non partecipano all'amministrazione della società le informazioni inerenti lo svolgimento delle attività sociali e permettere la consultazione dei libri contabili agli stessi o a loro professionisti di fiducia (art. 2476 comma 2 c.c.);

5) conservare i libri sociali (art. 2478 c.c.);

6) redigere bilancio di esercizio (art. 2423 c.c.); redigere la relazione sulla gestione (art. 2428 c.c.), provvedere al deposito dei documenti di bilancio presso il Registro delle Imprese (art. 2435 c.c.); 7) convocare l'assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti nel caso in cui il capitale si sia ridotto oltre un terzo a causa di perdite (art. 2482 bis c.c.);

8) convocare l'assemblea nel caso in cui, per la perdita di oltre un terzo del capitale, quest'ultimo si sia ridotto al di sotto del minimo legale, per deliberare la riduzione dello stesso ed il contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo (art. 2482 ter c.c.);

9) accertare il verificarsi di una causa di scioglimento della società e darne comunicazione al Registro delle Imprese (artt. 2484 e 2485 c.c.);

10) rispettare le previsioni richieste dal codice civile in caso di liquidazione della società già elencate in precedenza per le società per azioni e a cui si rimanda (artt. 2484, 2485, 2486 e 2487 bis c.c.)”.

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dell’art. 2392 c.c., né la diligenza professionale prevista dal nuovo art. 2392 c.c.4. E’ però opinione consolidata che, la disciplina della responsabilità degli amministratori di s.r.l. nei confronti di società, soci e terzi ricalchi in gran parte, quella prevista in tema di s.p.a. dagli artt. 2392-2395 c.c.5.

Inoltre, come rilevato da dottrina e giurisprudenza pre-riforma, la responsabilità degli amministratori verso la società ha carattere di responsabilità contrattuale6.

La prima parte del comma 1 dell’art. 2476 c.c. disciplina i presupposti della responsabilità degli amministratori verso la società. A differenza della disciplina ante riforma, il legislatore non richiama espressamente le norme in tema di responsabilità degli amministratori di s.p.a., ma ne riproduce la sostanza. L’art. 2476 c.c. infatti, stabilisce che ‹‹gli amministratori sono solidalmente responsabili verso

la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società››. Pertanto, la responsabilità degli amministratori sorge solo in presenza dei seguenti tre presupposti:

a) l’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo;

b) la produzione di un danno al patrimonio sociale;

c) il nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione del danno al patrimonio sociale7.

4 FARENA L., La riforma delle società: la responsabilità degli amministratori, in Giur. merito, fasc.1,

2004, pag. 155 a favore di quanto detto: “…non vi è riferimento però, né alla diligenza del mandatario,

né ad una particolare diligenza professionale. Ciò fa presumere che, potendo gli amministratori della s.r.l., il più delle volte, essere gli stessi soci, non si pretende da loro la presenza di specifiche competenze professionali, al contrario di quanto osservato per le s.p.a. In questo caso però almeno un generico riferimento alla diligenza del mandatario poteva essere utile”.

5 AA.VV., Diritto commerciale a cura di Lorenzo De Angelis, Volume I, 2017, pag. 518.

6 VIETTI M., La governance nelle società di capitali, 2013, pag. 662 e s.: “Anche con riferimento alle modalità di instaurazione del rapporto di amministrazione, assai ampia è l’autonomia statutaria, fermo restando il principio secondo cui il potere di nomina è di competenza dei soci. Il modello legale (dispositivo) della società a responsabilità limitata, come emerge chiaramente dal tenore dell’art. 2475, comma 1, prevede che l’incarico di amministratore sia conferito con un atto di nomina, non operando, come accade, invece, nelle società di persone, alcuna coincidenza automatica fra qualità di socio e carica di amministratore”.

7 DE GIOIA L., Inadempimento contrattuale e responsabilità risarcitoria degli amministratori, in Le Società, n.1, 2010, pag. 69: “I presupposti dell'azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. (e, di riflesso, di

quella ex art. 2476, comma 6, c.c.) sono:

a) il compimento di atti colposi o dolosi da parte degli amministratori;

b) la sussistenza di un danno al patrimonio del socio o del terzo riconducibile a tali atti;

c) la circostanza che tale danno abbia inciso “direttamente” nel patrimonio del socio o del terzo e non sia, per contro, un mero riflesso del danno eventualmente arrecato dall'organo amministrativo al patrimonio sociale. Ora, mentre l'accertamento dei primi due requisiti non pone problemi particolari, trattandosi di elementi caratteristici anche della fattispecie di illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., l'ultimo dei tre elementi, vale a dire l'incidenza “diretta ” del danno nel patrimonio del socio o del terzo, merita

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La responsabilità verso la società è altresì una responsabilità solidale, connotata da colpa e di natura risarcitoria, in quanto imposta a tutela dell’integrità del patrimonio sociale.

Seguendo lo schema tradizionale, gli obblighi in capo agli amministratori vengono distinti tra singoli e specifici, ovvero quelli derivanti dalla legge o dall’atto costitutivo e generici, che sono prevalentemente di fonte legale inerenti la gestione della società8.

L’obbligo degli amministratori di amministrare la società con diligenza sembra risultare dalla natura stessa del rapporto di amministrazione, infatti, la diligenza potrebbe essere intesa quale standard, che anche in assenza del dato testuale nell’art. 2476 c.c. risulta imposto nell’adempimento dei singoli doveri derivanti dalla legge e dall’atto costitutivo agli amministratori di s.r.l., ovvero come modalità con cui

un approfondimento. Ciò, soprattutto, in considerazione dell'evidente problema di individuare il senso più appropriato da conferirsi all'avverbio “direttamente”.

La questione assume grande interesse posto che, sul piano teorico, la distinzione fra l'azione in esame e le azioni ex artt. 2394 (in tema di società per azioni) e 2476, comma 3, c.c. (in tema di società a responsabilità limitata) risiede proprio nella diversa incidenza del danno arrecato dalla violazione dell'amministratore. Se il danno va ad incidere sul patrimonio sociale, la società stessa, i singoli soci o i creditori sociali (nelle società per azioni), ovvero la società e i singoli soci (nella società a responsabilità limitata) potranno promuovere le azioni ex artt. 2393, 2393 bis, 2394 e 2476, comma 3, c.c.

Per contro, se il danno si produce direttamente nella sfera giuridica patrimoniale del singolo socio o terzo, costoro potranno promuovere l'azione ex art. 2395 c.c. (nella società per azioni) o ex art. 2476, comma 6, c.c. (nella società a responsabilità limitata). Il requisito della diretta incidenza del danno sul patrimonio del socio o terzo svolge la funzione di escludere dall'alveo della risarcibilità tutti quei danni che risultano essere solo il riflesso di quelli cagionati al patrimonio sociale.

Sul punto risulta isolata la tesi di chi afferma che con l'avverbio “direttamente” il legislatore abbia voluto riferirsi alla “direzionalità” della volontà del soggetto danneggiato o, ancora, al danno conseguente all'atto illecito compiuto dall'amministratore al di fuori dell'esercizio delle proprie funzioni (teoria soggettiva). Tale opzione interpretativa restringe in modo eccessivo la previsione di cui all'art. 2395 c.c., dal momento che consente di sanzionare solo le condotte animate da dolo, ma impedisce di colpire i comportamenti colposi. Per contro, sembrano più convincenti le argomentazioni di chi attribuisce al requisito in parola portata “oggettiva”, così che l'incidenza “diretta ” di cui parla la norma deve essere riferita al danno stesso, che dovrà riguardare in prima battuta la sfera soggettiva del socio o del terzo, e non essere un mero riflesso di quello prodottosi nella sfera patrimoniale della società (teoria oggettiva).

Sotto altro profilo, l'avverbio “direttamente” richiama il disposto dell'art. 1223 c.c. che stabilisce che il danno patito dal creditore ha da essere risarcito in quanto “conseguenza immediata e diretta” dell'illecito. Sebbene in giurisprudenza i due concetti di danno diretto ex art. 2395 c.c. e nesso causale ex art. 1223 c.c. siano spesso stati confusi e ritenuti fungibili, la dottrina più attenta ha peraltro evidenziato che le due norme hanno, in realtà, ambiti di operatività diversi”.

Mentre l'avverbio “direttamente” posto dall'art. 2395 c.c. concerne l'an debeatur e la stessa proponibilità o esperibilità dell'azione, la locuzione “conseguenza immediata e diretta” posta dall'art. 1223 c.c. concerne il quantum debeatur, una volta che sia ammessa la proponibilità dell'azione.

8 AA.VV., Commentario alla riforma delle società, società a responsabilità limitata, art. 2476, 2013,

pag. 676: “Al riguardo, la dottrina distingue tra obblighi a contenuto specifico (come ad esempio la

redazione del prospetto di bilancio, la convocazione dell’assemblea in caso di perdite ai sensi dell’art. 2482 e 2482 bis del c.c., l’obbligo di accertare senza indugio il verificarsi di una causa di scioglimento della società, l’obbligo di non esercitare attività in concorrenza con la società, se così stabilito dallo statuto)e obblighi a contenuto generico ( il dovere agire con diligenza e il dovere di non agire in conflitto di interessi”.

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l’amministratore deve rendere la prestazione richiesta. Lo standard di diligenza potrà essere utilizzato quale parametro rispetto all’adempimento degli obblighi specifici e generici.

Si può anche condividere l’opinione secondo cui, a rigore, la diligenza attiene alla modalità con la quale l’amministratore deve adempiere le proprie obbligazioni e non già al contenuto di queste ultime, ma che dove riferita al generale obbligo di amministrare la società assume una funzione di specificazione dei comportamenti dovuti. Quindi dovrebbe sempre ritenersi operante il richiamo all’art. 1176, comma 2, c.c.9, ovvero la diligenza richiesta dall’incarico10, in virtù della natura contrattuale

della responsabilità degli amministratori e dell’incarico svolto dagli stessi, il quale consiste nella gestione di un patrimonio altrui, a prescindere dal tipo di società adottato11.

Premesso che la gestione della società è ancorata alla discrezionalità delle scelte imprenditoriali, è pacifico che in capo gli amministratori non venga imposto nessun obbligo ad ottenere risultati positivi. Nello svolgimento dell’attività imprenditoriale non possono essere sindacate nel merito le scelte gestionali discrezionali. Anche in giurisprudenza si afferma che la responsabilità degli amministratori è una responsabilità per violazione di obblighi connessi alla funzione e non per l’insuccesso economico della società ascrivibile ad errori di gestione, infatti, lo svolgimento della loro attività è connaturata da una rilevante discrezionalità (Business Judgement Rule)12.

9 Art. 1176 c.c. Diligenza nell'adempimento: “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.

10 In senso conforme PRESTI G. e RESCIGNO M., Corso di diritto commerciale, Volume II, 2009, pag.

252.

11 AA.VV., Commentario alla riforma delle società, società a responsabilità limitata, art.2476, op.cit.,

pag. 679.

12 In giurisprudenza si veda Cass. Civile 8231/2009.

La Business Judgement Rule è stata creata dalla giurisprudenza statunitense. La possibilità di esaminare l’operato e le decisioni dell’organo che amministra una società (board of directors) e la profondità di tale sindacato sono gli aspetti essenziali. La regola stabilisce che l’agire dei membri del board si presume corretto e non criticabile fino alla prova che hanno violato il duty of care. Di fatto è molto forte la presunzione in favore del board: si ritiene che, per definizione, esso sia orientato in buona fede al bene della società e che agisca utilizzando la diligenza e la prudenza che qualunque persona nella stessa situazione avrebbe. Tale prudenza si potrebbe identificare con la diligenza del buon padre di famiglia. La

business judgement rule consente che il tribunale faccia un controllo meramente procedurale volto a stabilire se i membri del board abbiano agito con la diligenza necessaria. Qualora tale verifica abbia esito negativo andrà accertata la responsabilità, ma in nessun caso è consentito procedere a riesaminare nel merito le decisioni del board, identificabile in quell’insieme di valutazioni d’opportunità e di carattere tecnico (commerciale-finanziario).

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La dottrina ha provato a specificare la portata dell’obbligo di amministrare con diligenza facendo riferimento alle disposizioni previste in tema di s.p.a, sugli obblighi di agire in modo informato e di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società. La mancata riproposizione di tali doveri nella s.r.l. pone però, il dubbio se anche gli amministratori di tale tipo di società siano tenuti alla loro osservanza. La riforma ha reso più difficile il ricorso all’interpretazione analogica delle norme della s.p.a. per la s.r.l.. Dovrà quindi, essere verificato in ogni circostanza che si presenterà, se effettivamente esiste una lacuna oppure se il legislatore con intento non ha applicato quella determinata norma.

Ci sono diverse opinioni per quanto concerne il dovere di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile. Secondo alcuni interpreti, alla s.r.l. sarebbe applicabile solo il dovere di agire informato, mentre l’obbligo di valutare l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e contabili spetterebbe ad un amministratore di elevato livello di specializzazione e competenza, cosa che pare non predicabile per gli amministratori di s.r.l. atteso il largo utilizzo di tale tipo di società per lo svolgimento di attività familiari e di modeste dimensioni.

Altra parte della dottrina ritiene che la distinzione tra s.r.l. e s.p.a. non abbia ragione di esistere.

In posizione intermedia troviamo altri Autori, che ritengono che tali doveri trovino applicazione in funzione della dimensione concreta di s.r.l..

In definitiva, si ritiene preferibile la posizione di chi sostiene che il dovere di agire informato vale anche per gli amministratori di s.r.l. non già per applicazione analogica dell’art. 2381, ultimo comma c.c13., ma perché esso rappresenta una

13 Art. 2381 c.c. Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati: “Salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri.

Se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti.

Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.

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specificazione del generale dovere di diligenza.

1.1.2 Obbligo di non agire in conflitto d’ interessi

Prima della riforma del diritto societario del 2003, il conflitto d’interessi degli amministratori di s.r.l. era regolato tramite il rinvio all’art. 2391 c.c.14 dettato

in tema di s.p.a.. e tradizionalmente era inquadrato come obbligo generico, ma in seguito a detta Riforma pare abbia assunto il significato di obbligo specifico.

Le norme in tema di conflitto di interessi svolgono un ruolo fondamentale nel panorama societario, in quanto volte a preservare il carattere ‹‹comune›› dell’esercizio dell’attività economica che costituisce l’oggetto della società; le regole dettate in tale materia appaiono finalizzate proprio al rispetto dell’interesse sociale15.

L’obiettivo perseguito dalla Riforma era quello di prevedere un autonomo ed organico complesso di norme. Infatti, l’omessa previsione da parte del legislatore dell’obbligo posto dall’art. 2391 c.c., che rinviava all’art. 2487, comma 2, sembra riconducibile alla volontà di lasciare all’atto costitutivo la scelta se dettare, e in quale misura, una disciplina delle operazioni in conflitto d’interessi16. Obiettivo

Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420 ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501 ter e 2506 bis.

Gli organi delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate.

Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”.

14 Art. 2391 c.c. Interessi degli amministratori: “L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.

Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione.

Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l'impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.

L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico”.

15 ATTANASIO F., Conflitto d’interessi dell’amministratore di società a responsabilità limitata e annullabilità dei contratti ex art. 1394 c.c., in Le Società, n.8, 2015, pag. 975.

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sostanzialmente raggiunto per l’intero sistema della s.r.l., e pienamente per la disciplina del conflitto d’interessi, quantomeno in astratto, salvo qualche tentativo di dottrina e giurisprudenza, di recuperare per via analogica la disciplina dettata in tema di s.p.a.17.

L’art. 2391, comma 5, c.c., dettato per le s.p.a., dà rilevanza a qualunque tipo di interesse di cui sia portatore l’amministratore, non solo l’interesse in conflitto con la società.

Per la s.r.l., l’art. 2475-ter c.c. disciplina il solo conflitto d’interessi prevedendo, al comma 1, ‹‹l’annullabilità del contratto concluso con l’amministratore

rappresentante in conflitto di interessi con la società, proprio o di terzi, nei casi in cui il conflitto fosse conosciuto o conoscibile dall’altro contraente››18 e al comma 2

‹‹l’impugnabilità delle decisioni adottate dal consiglio d’amministrazione con il

voto determinante dell’amministratore in conflitto d’interessi con la società, ove la decisione cagioni un danno patrimoniale alla società stessa, con salvezza dei diritti acquistati dai terzi in buona fede››.

Differentemente dalla s.p.a., nella cui disciplina l’art. 2391 c.c. impone all’amministratore di dare ‹‹notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale

di ogni interesse (…)››, nella s.r.l. non viene previsto alcun obbligo di tipo procedimentale in capo all’amministratore in conflitto.

In sostanza, nella s.r.l. non essendo disciplinata la responsabilità dell’amministratore che agisce in conflitto d’interessi in maniera specifica, questa, viene risolta ex post con il rimedio dell’annullamento dell’atto.

Il conflitto d’interessi che può determinare l’annullamento dell’atto negoziale è quello che sussiste in capo all’amministratore cui è attribuita sia la competenza gestoria sia la rappresentanza della società, ed è colui che decide sia il compimento dell’atto e sia che tale atto sia imputato alla società; ne discende, quindi, che il rimedio offerto all’amministratore in conflitto d’interesse che ha imputato alla

17 VIETTI M., op. cit., pag. 739 e s.

18 VIETTI M., op. cit., pag. 740:“L’annullabilità dei contratti conclusi con l’amministratore in conflitto di interessi, proprio o di terzi, dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società, a condizione che il conflitto fosse conosciuto o conoscibile dall’altro contraente, è disposizione chiaramente riproduttiva della previsione generale di cui all’art. 1394 c.c. dettata in materia di limitazione legale al potere di rappresentanza; la stretta correlazione tra la normativa del conflitto d’interessi nelle società a responsabilità limitata e la disciplina civilistica della rappresentanza è poi ribadita dalla necessaria sussistenza-anche per l’operatività della prima – della conoscenza o conoscibilità del conflitto da parte del terzo contraente, in perfetta applicazione del principio dell’affidamento incolpevole”.

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società un atto svantaggioso nel contenuto, sia l’annullabilità dell’atto ai sensi degli artt. 139419 e 1395 del c.c.20.

Tuttavia, il rimedio dell’annullabilità è escluso ove l’amministratore portatore dell’interesse in conflitto con la società dia esecuzione ad un atto, il cui contenuto sia stato determinato validamente, ad esempio con una delibera assembleare del consiglio d’amministrazione senza il suo voto determinante oppure approvato dai soci.

Nel caso dell’impugnabilità dettata dal comma 2 dell’art. 2475-ter c.c., si rileva che il legislatore abbia preferito, anziché rinviare alle norme in tema di s.p.a. ovvero all’art. 2391 c.c., dettare norme apposite per le decisioni consiliari viziate da conflitto d’interessi21.

Dalla norma si evince che gli amministratori possono impugnare la decisione viziata, quindi viene rimesso a loro il potere di farlo, e inoltre, dal tenore della norma sembrerebbe che la decisione possa essere impugnata qualora cagioni un danno patrimoniale ed attuale, non essendo sufficiente il mero pericolo di danno. Legittimati all’impugnazione sono gli amministratori (tutti) e se nominati, il collegio sindacale e il revisore, entro 90 giorni decorrenti dal momento in cui il danno si è verificato (dies a quo)22.

Nel caso di impugnazione, restano comunque salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione viziata.

E’ di particolare interesse analizzare l’impugnabilità delle delibere consiliari che

19 Art. 1394 c.c. Conflitto d'interessi: “Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”.

20 Art. 1395 c.c. Contratto con se stesso: “È annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un'altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d'interessi.

L'impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato”.

21 SANDULLI M. E SANTORO V., op. cit., pag. 117: “ …pone all’interprete il problema di stabilire se, nel silenzio dell’atto costitutivo, siano o meno applicabili le disposizioni dell’art. 2391 c.c. non riprodotte nell’articolo in esame, concernenti fra l’altro:

1) l’obbligo di disclosure dell’amministratore in conflitto;

2) l’obbligo di motivazione della decisione adottata dal consiglio nonostante il conflitto, con la spiegazione della sua convenienza per la società;

3) la responsabilità verso la società per i danni derivanti alla stessa dall’azione o dall’omissione dell’amministratore;

4) la responsabilità altresì per i danni derivanti alla società dall’utilizzazione da parte dell’amministratore, a vantaggio suo o di terzi, di dati, notizie od opportunità di affari appresi nell’esercizio dell’incarico”.

22 VIETTI M., op. cit., pag. 746: “…soluzione che consente di evitare che gli amministratori posticipino l’esecuzione della delibera viziata al solo fine di far decadere il termine per la sua impugnazione”.

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hanno una responsabilità che va oltre il conflitto d’interessi; il dibattito avente ad oggetto la possibilità di estendere i casi di impugnabilità delle delibere consiliari di s.r.l., oltre l’ipotesi del conflitto d’interessi, codificata dal legislatore all’art.

2475-ter c.c., si è acceso subito dopo l’approvazione, nel 2003, dell’ultima organica riforma del diritto societario, in linea peraltro di continuità, con quello sviluppatosi prima della riforma del diritto societario in tema di invalidità delle delibere consiliari di s.p.a.

È stato infatti osservato che l’art. 2475-ter c.c. disciplina il conflitto d’interessi degli amministratori in termini di maggiore continuità con la previgente disciplina dell’art. 2391 c.c., rispetto a quanto ha innovato la riforma per la s.p.a.: prima di tale riforma, sulla base di quanto disposto dal vecchio art. 2391 c.c., anche con riguardo alle delibere consiliari di s.p.a., si poneva il dubbio dell’impugnabilità per vizi diversi dal conflitto di interessi; dubbio ora superato dall’art. 2388 c.c.23 per le s.p.a., ma rimasto in essere per le s.r.l.

Secondo l’orientamento della dottrina maggioritaria, l’unico caso di impugnabilità delle decisioni degli amministratori di s.r.l. è quello del conflitto di interessi di cui all’art. 2475-ter, comma 2, c.c. È rimasta minoritaria, invece, la tesi che ritiene applicabile in via analogica alla s.r.l., l’art. 2388, comma 4, c.c.. È stato osservato, peraltro, che quest’ultima opzione, pur essendo apprezzabile nei suoi intenti di tutela dei soci di una s.r.l., di fatto renderebbe troppo elevati i margini di incertezza in ordine alla disciplina applicabile.

Vari sono gli argomenti utilizzati dalla dottrina dominante a sostegno della propria tesi. In primo luogo, si è ritenuto di dover tener conto degli strumenti alternativi messi a disposizione del socio nell’ambito della disciplina della s.r.l., per garantirgli una tutela equivalente a quella che spetta al socio di s.p.a. A tal proposito, assume

23 Art. 2388 c.c. Validità delle deliberazioni del consiglio: “Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, quando lo statuto non richiede un maggior numero di presenti. Lo statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante mezzi di telecomunicazione.

Le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei presenti, salvo diversa disposizione dello statuto.

Il voto non può essere dato per rappresentanza.

Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione; si applica in quanto compatibile l'articolo 2378. Possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti; si applicano in tal caso, in quanto compatibili, gli articoli 2377 e 2378.

In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle deliberazioni”.

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rilievo proprio l’art. 2476, comma 2 e 3, c.c., il quale non solo attribuisce al socio il diritto di accesso ai libri sociali e alla documentazione amministrativa, ma prevede anche la possibilità di esercitare l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori e di chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. D’altra parte, la diversità di disciplina prevista per l’invalidità delle delibere consiliari di s.r.l. e di s.p.a., trova giustificazione nella recente diversità tra i rispettivi modelli societari. Infatti, nella s.r.l., diversamente da quanto previsto nella s.p.a., la gestione non spetta in esclusiva agli amministratori e il coinvolgimento del socio nell’amministrazione della società, conformemente al principio della rilevanza centrale della persona del socio, presuppone il riconoscimento di un suo diretto interesse alla gestione imprenditoriale. Il che comporta nella s.r.l. una minore esigenza di protezione del socio nei confronti dei comportamenti opportunistici degli amministratori, specialmente in considerazione della sua posizione in un certo senso sovraordinata24.

In conseguenza a quanto sopra esposto, con riguardo al conflitto d’interessi si ritiene che alla s.r.l. non possa essere applicata la disciplina delle s.p.a. poiché nella s.r.l. si sanziona il solo interesse configgente e non ogni interesse come ai sensi dell’art. 2391 c.c.

1.1.3 Solidarietà e regime di esenzione da responsabilità del singolo amministratore

La seconda parte del comma 1 dell’art. 2476 c.c. sancisce che la responsabilità non si estende agli amministratori che dimostrino di essere esenti da colpa e che essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso25.

E’ quindi affermata dal legislatore la natura solidale della responsabilità tra gli amministratori verso la società, nella quale tutti i titolari della funzione gestoria rispondono personalmente per l’intero pregiudizio provocato al patrimonio sociale26.

24 LO PINTO M., L’impugnabilità delle delibere consiliari di s.r.l. per vizi diversi dal conflitto di interessi - Impugnazione delle delibere consiliari, in Le Società, n.12, 2014, pag. 1398.

25 VIETTI M., op. cit., pag. 749.

26 AMBROSINI S., La responsabilità degli amministratori nella nuova s.r.l., in Le Società, n.3, 2004,

pag. 293: “…verso la società gli amministratori sono fra loro solidalmente responsabili: il creditore

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L’esenzione da responsabilità viene concessa ai soli soggetti che dimostrano di essere esenti da colpa.

Per far valere l’esenzione da responsabilità, gli amministratori devono quindi provare due cause generali di esenzione da responsabilità:

(i) l’assenza di colpa, ovvero l’estraneità dell’amministratore alla decisione gestoria produttiva del danno;

(ii) la constatazione del dissenso ove l’amministratore sia a cognizione che l’atto si stava per compiere27.

Poiché la mancata constatazione del dissenso potrebbe dipendere dalla non conoscenza o conoscibilità del compimento dell’atto, si ritiene che solo la dimostrazione dell’assenza di colpa sia sempre richiesta ai fini dell’esenzione della responsabilità, mentre la prova della manifestazione del dissenso è solo eventuale28.

L’obbligo di vigilanza in capo all’amministratore non è affermato nella s.r.l., anche se non si dubita che esso possa considerarsi a determinate condizioni imposto agli amministratori quale implicazione del generale dovere di diligenza. In particolare, tale obbligo risulta variatamente imposto in base al modello organizzativo adottato nella s.r.l. e quindi in base ai poteri effettivamente attribuiti al singolo amministratore, ne discende che la solidarietà tra amministratori possa essere esclusa a seconda del modello organizzativo adottato dalla società.

L’organo amministrativo, infatti, può essere unipersonale o pluripersonale e in quest’ultimo caso può modularsi nella forma dell’organo collegiale al cui interno ci può essere la regola della maggioranza o dell’unanimità, che a sua volta può essere

dell'intero pregiudizio subìto a ciascun amministratore, salva la possibilità di regresso fra costoro. Il rigore della regola della solidarietà è tuttavia stemperato, come del resto nella normativa previgente, dalla disposizione in base alla quale la responsabilità non si estende a quegli amministratori che dimostrino la sussistenza (e la compresenza) delle due condizioni poc'anzi menzionate: l'essere esente da colpa e l'aver fatto constare il proprio dissenso nella misura in cui si fosse al corrente della circostanza che l'atto dannoso stava per compiersi”.

27 AA.VV., Commentario alla riforma delle società, società a responsabilità limitata, art.2476, op. cit.,

pag. 684.

28 VIETTI M., op. cit., pag. 749 e s.: “…non convengo dunque con quell’ipotesi ricostruttiva, peraltro non priva si suggestioni logico ricostruttive, secondo la quale non si può ritenere responsabile un amministratore che non si sia espressamente dissociato da un’operazione di cui lo stesso non fosse in grado di comprenderne il carattere pregiudizievole, “perché privo delle particolari competenze necessarie al fine”. Ritengo, infatti, che la mancata comprensione della inopportunità o rischiosità dell’atto non può che discendere dal difetto di competenze indispensabili all’ufficio di amministratore di quella specifica, peculiare, società, con la conseguenza che un amministratore non può sottrarsi a responsabilità adducendo la mancanza di competenza specifica, mancanza di competenza che avrebbe dovuto portarlo a non accettare l’incarico amministrativo di quella determinata (nel senso di attività svolta) società”.

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espressa mediante metodo consiliare, metodo della consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto.

L’amministrazione inoltre, può essere affidata in modo disgiunto oppure congiunto29

e in quest’ultimo caso, si applicano le regole previste per l’amministrazione delle società di persone (art. 2475 c.c.), fermo restando però che senza nessuna previsione statutaria, in caso di pluralità di amministratori, è costituito un consiglio di amministrazione che lavora secondo il metodo maggioritario e collegiale. Nel caso in cui il consiglio d’amministrazione operi secondo il metodo consiliare a maggioranza, la mancanza di responsabilità per l’amministratore è provata ex se dal voto contrario e dalla constatazione del dissenso30.

Nessuna norma però indica le modalità con cui deve essere esercitato il dissenso. In questo caso la dottrina è andata a colmare tale lacuna ponendo diverse soluzioni. Secondo alcuni, data l’obbligatorietà del libro delle decisioni degli amministratori (di cui all’art. 2478, comma 1, n. 3), la manifestazione del dissenso, analogamente alla s.p.a., dovrebbe essere resa con annotazione su tale libro.

Secondo altri, è la mancanza di una esplicita previsione normativa che giustifica, anche in ordine alle modalità di manifestazione del dissenso, una differenza con la disciplina della s.p.a., ritenendosi sufficiente una comunicazione scritta, in qualunque modo resa, e portata a conoscenza degli altri amministratori.

Inoltre, vi è chi propende per una variabilità delle forme di manifestazione del dissenso in ragione dell’assetto organizzativo adottato, ritenendo che in caso di consiglio d’amministrazione a maggioranza, l’amministratore che ha votato contro, ottenga sul libro delle assemblee del consiglio di amministrazione, l’annotazione del proprio dissenso.

Se la società è dotata di un organo amministrativo pluripersonale che decide secondo

29 AMBROSINI S., La responsabilità degli amministratori nella nuova s.r.l., in Le Società, n.3, 2004,

pag. 293: ”Ove i soci abbiano optato per il regime congiuntivo, non sorgono problemi particolari se è

prevista l'unanimità dei consensi (e altrettanto deve dirsi nell'ipotesi di consiglio di amministrazione retto dal medesimo principio dell'unanimità), in quanto ciascun amministratore risulta dotato di un potere di veto ed è quindi corresponsabile nel caso in cui non si attivi per impedire l'evento dannoso” e “Nel caso,

infine, si sia in presenza di un regime disgiuntivo, deve ritenersi che, come da tempo chiarito dalla dottrina , sussista un obbligo di vigilanza in capo a ciascun amministratore ed un correlato dovere di intervento, non potendo l'amministratore limitarsi ad addurre, in chiave «scriminante», l'ignoranza dell'eventus damni”.

30 MONDINI P.F., S.r.l. Commentario dedicato a Portale G.B., a cura di Dolmetta A.A. e Presti G., pag.

637 e s.: “La formale manifestazione del dissenso deve esplicitarsi in un voto contrario, debitamente

annotato nel libro delle decisioni degli amministratori dell’art. 2478, co.1, n.3 e tempestivamente comunicato al collegio sindacale eventualmente presente affinché quest’ultimo possa svolgere i proprio compiti di controllo”.

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il metodo della consultazione scritta, bisogna ricordare che tale metodo prevede che la decisione possa essere adottata non appena raggiunta la maggioranza dei voti, senza alcun obbligo di informazione anche agli altri amministratori. Gli amministratori non informati saranno esenti da colpa nella misura in cui abbiano diligentemente adempiuto ai doveri di vigilanza, mentre gli amministratori informati e dissenzienti dovranno far constare il loro dissenso. Questo dissenso dovrà essere comunicato a mezzo di dichiarazione scritta opportunamente indirizzata a tutti gli altri amministratori con qualunque mezzo idoneo a provare l’avvenuta ricezione. Tale comunicazione sarà successivamente annotata e inserita nel libro delle decisioni degli amministratori.

Qualora si sia optato per l’amministrazione disgiuntiva, l’amministratore che vuole essere esente da responsabilità dovrà opporsi all’operazione che l’altro amministratore vuol compiere, manifestando il proprio potere di veto al fine di impedire il compimento dell’atto medesimo. Si ritiene che ogni amministratore con poteri disgiuntivi sia tenuto al dovere di vigilanza nei confronti degli altri nonché al potere/dovere di intervento, da manifestarsi mediante l’esercizio del diritto di veto, il quale da solo è idoneo a dimostrare la manifestazione del dissenso. Se però l’atto è compiuto tenendo all’oscuro l’amministratore, questo sarà esente da colpa solo ove dia prova dell’impossibilità di conoscere che l’atto stava per compiersi e quindi di aver agito diligentemente.

Anche nel caso in cui gli amministratori decidano secondo la regola dell’unanimità la prova dell’assenza di colpa è data dall’esercizio del potere di veto di cui ciascuno è titolare; se si impedisce il compimento dell’atto, si evitano possibili conseguenze dannose alla società e pertanto nessun profilo di responsabilità può sorgere.

Nessuna previsione testuale vieta che, anche nella s.r.l., l’organo amministrativo possa delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti , o ad uno o più dei suoi componenti, come avviene nelle s.p.a. ai sensi dell’art. 2381, comma 2, c.c.; in questi casi la responsabilità ricade sugli amministratori con poteri delegati, mente in capo ai deleganti la responsabilità può essere affermata solo se questi siano venuti meno ai doveri di vigilanza.

Secondo alcuni Autori si dovrebbe fare integrale applicazione della disciplina della s.p.a. alla s.r.l., poiché i doveri di vigilanza e di intervento gravanti sugli amministratori deleganti sono obblighi connaturati al meccanismo stesso della

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delega31.

In definitiva, l’assenza di colpa difficilmente potrà essere provata ove l’amministratore abbia concorso con il proprio voto o comportamento all’assunzione della decisione che precede il compimento dell’atto32.

1.1.4 Onere della prova

La responsabilità degli amministratori verso la società, nella s.r.l., come già osservato, si compone di tre elementi, ovvero dell’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, del danno al patrimonio sociale e del nesso causale tra l’inosservanza e il danno.

La regola generale, essendo la responsabilità che lega l’amministratore alla società di tipo contrattuale, prevede che sull’attore incombe l’onere probatorio della violazione dell’obbligo, del danno e del nesso eziologico tra inadempimento e danno, mentre è sull’amministratore che vuole essere riconosciuto esente da responsabilità, che grava l’onere di dimostrare la non imputabilità dell’evento lesivo per mancanza di colpa.

Più complesso è il tema dell’onere della prova di chi voglia far valere l’inadempimento di un obbligo per ragioni imputabili alla mancanza di diligenza. Il punto su cui vi è concordia di opinioni in dottrina riguarda l’onere della prova inerente alla responsabilità nascente dalla violazione dell’obbligo generale di amministrare con diligenza la società. Si afferma infatti, che la responsabilità per violazione del dovere generico di amministrare con diligenza la società debba passare dalla dimostrazione della colpevolezza dell’amministratore per aver agito al di fuori dei canoni della diligenza, prudenza e imperizia. Si precisa che, non potrebbe che essere l’attore a dover dimostrare qual è il comportamento che l’amministratore avrebbe dovuto tenere33.

Peculiare resta il caso dell’amministratore che agisce in conflitto d’interessi. In questo caso l’attore deve provare il conflitto, il danno e il nesso causale, a nulla

31 AA.VV., Commentario alla riforma delle società, società a responsabilità limitata, art.2476, op.cit.,

pag. 688.

32 MARCHETTI C., La responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, 2015, pag. 219. 33 Trib.Milano, sez.VIII, 23 Maggio 2006: “La violazione dell’obbligo generico di amministrare con diligenza e senza incorrere in conflitto d’interessi deve essere provata dalla società, che deve indicare le circostanze concrete di mala gestio, oltre a provare il danno subito e il nesso causale tra l’inadempimento e il danno. L’amministratore, convenuto in giudizio, deve fornire, a sua discolpa, la prova di fatti i idonei ad escludere o attenuare la sua responsabilità”.

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rilevando la possibilità per l’amministratore di invocare la business judgment rule ovvero di dimostrare la non imputabilità per mancanza di colpa provando che anche un amministratore non in conflitto avrebbe agito in tale modo. L’amministratore a sua discolpa, può solo provare l’assenza del conflitto. A nulla servirà dimostrare che un amministratore non in conflitto avrebbe potuto stipulare il medesimo atto.

Nell’ipotesi di azione di responsabilità esercitata dai creditori sociali, l’onere della prova posta a loro carico riguarda anche la dimostrazione dell’insufficienza del patrimonio sociale, oltre che dell’esistenza di un credito verso la società34.

Nell’ipotesi dell’azione di responsabilità esercitata dai singoli soci o terzi, questi devono provare che l’inadempimento degli amministratori sia idoneo ad arrecare loro il danno e che il danno si sia verificato come conseguenza immediata e diretta dello stesso inadempimento.

1.1.5 Determinazione e quantificazione del danno

Ai fini dell’insorgere della responsabilità civile dell’amministratore non è sufficiente che esso si sia reso inadempiente agli obblighi derivanti dalla legge e dall’atto costitutivo, ma occorre ed è essenziale che da detto inadempimento sia conseguito un danno per la società.

La prova dell’esistenza del danno potrà essere fornita con mezzi diversi, ma la rilevanza maggiore sarà assunta dalla prova documentale costituita dalle scritture contabili e dai bilanci. Infatti, secondo l’orientamento giurisprudenziale più diffuso le mere irregolarità contabili non sono considerate, di per sé, produttive di danno35. Le mere irregolarità contabili non sono di per sé produttive di un danno e non costituiscono autonoma fonte di un obbligo, perché la responsabilità dell’amministratore non deriva dalla sola irregolarità della tenuta dei libri contabili, se da questo fatto non dipende un pregiudizio economico della società. La prova del danno non può, in mancanza di altri indizi, essere presunta esclusivamente a causa di inosservanze di obblighi formali, ed è onere di chi agisce dimostrare che il comportamento degli amministratori ha causato, per colpa, un effettivo depauperamento del patrimonio o per effetto della sottrazione di beni sociali, o per

34 CABRAS G., La responsabilità per l’amministrazione delle società di capitali, 2002, pag. 155. 35 CONFORTI C., La responsabilità civile degli amministratori di società, tomo II, 2012, pag. 599 e ss.

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effetto dell’incremento ingiustificato delle passività36.

Il fatto però che dal compimento di un atto di disposizione patrimoniale da parte dell’amministratore sia derivato un pregiudizio per la società, non comporta necessariamente una responsabilità, poiché questa condotta deve essere valutata tenendo conto della regola della business judgment rule. Occorrerà quindi superare il principio dell’insindacabilità delle scelte gestionali con la dimostrazione della negligenza dell’amministratore.

Uno dei maggiori problemi è dato dalla necessità di distinguere, nell’accertamento della responsabilità e nella determinazione concreta del danno risarcibile, i vari interessi protetti da ciascuna norma, questo perché da una medesima violazione da parte dell’amministratore inadempiente, possono risultare danneggiati una pluralità di soggetti.

Ulteriore problema si presenta all’interno del rapporto obbligatorio che vede l’amministratore in posizione di debitore, per la violazione dei propri obblighi, nei confronti della società; questo tipo di danno è quasi sempre ascrivibile ad una pluralità di concause, all’interno delle quali deve essere esattamente identificata quella ascrivibile alla responsabilità degli amministratori.

Per quanto riguarda la quantificazione del danno, presupponendo una società in

bonis e il fatto che l’operazione pregiudizievole non abbia determinato danni ledendo le ragioni di terzi, ovvero i creditori sociali, sono da ritenersi risarcibili in ogni caso, i danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’atto gestionale dell’amministratore compiuto in difformità dal modello legale37; per i danni mediati e indiretti, questi saranno risarcibili solo nel caso in cui non costituiscano conseguenze eccezionali, ovvero con gravità sproporzionata, in relazione al loro fatto generatore.

Dove il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, potrà essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1225 c.c.38. Però,

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36 In giurisprudenza vedasi Cass. Civile 4415/1979, Trib. Milano 18 Maggio 1989 e Trib. Milano 20

Settembre 1976.

37 Trib. Milano 17 Ottobre 1988.

38 Art. 1225 c.c. Prevedibilità del danno: “Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione”.

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