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E LEMENTI DI CONTINUITÀ E DI DISCONTINUITÀ CON LA TRADIZIONE CLASSICA

3. D AS O PFER H ELENA DI HILDESHEIMER: L’OPERA

3.1. E LEMENTI DI CONTINUITÀ E DI DISCONTINUITÀ CON LA TRADIZIONE CLASSICA

Verosimilmente, Wolfgang Hildesheimer si è basato per Das Opfer Helena sulla tradizione classica; in particolare, sembra riprendere la versione omerica, ma si possono riscontrare delle importanti affinità con la lirica e con la tragedia.

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Ibidem, pag. 365. 86

Wolfgang Hildesheimer, Über das absurde Theater, in Das Ende der Fiktionen, Reden aus fünfundzwanzig Jahren, op. cit., cfr. pag. 14 e altri passaggi importanti del testo: «Das absurde Theater stellt nichts dar, was sich im logischen Ablauf einer Handlung offenbaren könnte», pag. 13; «Das absurde Stück konfrontiert den Zuschauer mit der Unverständlichkeit, der Fragwürdigkeit des Lebens. […] Das absurde Stück stellt daher einen Zustand dar, der, wie immer er auch der Bühne enden mag, in der Frage verharrt. Und darin liegt einer der wesentlichsten Unterschiede zum aristotelischen und zum epischen Theater, die stets die Antwort geben oder zumindest nahelegen.», pag. 14.

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Infatti, come nel mito classico, la Elena di Hildesheimer è la donna più bella del mondo ed è figlia di Zeus e di Leda; è stata rapita da Teseo quando era ancora una bambina, come nella versione di Pausania; assume inoltre, come in Omero, il ruolo della sposa infedele, che approfitta dell’assenza del marito per abbandonare lui, la figlia e la casa. Da questo episodio avrà poi origine la guerra di Troia. Paride, come nell’Iliade, è un giovane affascinante e un seduttore. Tuttavia, le analogie con la tradizione classica finiscono qui.

Omero, e più in generale la tradizione epica, sono per Hildesheimer solo un pretesto per creare una storia diversa, in cui Elena agisce come un’eroina dell’antica Grecia, ma parla come un personaggio del Novecento. Riallacciandosi solo in parte al mito classico, Hildesheimer crea quindi una figura differente, molto più libera, a cui dà la possibilità di difendersi e di raccontare la verità sulla guerra di Troia. Come visto precedentemente, già Euripide con le Troiane (415 a.C.) aveva dato all’eroina la possibilità di confrontarsi in un vero e proprio agone con la regina di Troia Ecuba; anche nell’opera Encomio di Elena (V sec. a.C.) di Gorgia di Leontini c’è il tentativo di scagionare la donna da ogni accusa che le era stata rivolta contro, ma in questo caso la difesa viene direttamente mossa dal filosofo e retore siceliota (peraltro l’autore stesso definiva questo testo uno scherzo o un divertimento).

Hildesheimer va oltre perché, se Euripide nell’Elena aveva già ridimensionato l’intervento divino, egli elimina del tutto la responsabilità degli dèi nella vicenda. Mentre nella tragedia e nella lirica dell’antica Grecia Elena è solo un’adultera, nell’opera di Hildesheimer il personaggio è certamente più complesso. Nell’Iliade Elena compare solo in sporadiche occasioni e prende la parola poche volte, per esempio quando ricorda in modo malinconico il passato; qui il personaggio è passivo, fortemente condizionato dagli eventi. In Das Opfer Helena, invece, viene concesso largo spazio alla protagonista, che diventa addirittura la narratrice della storia e può finalmente liberarsi dal retaggio del passato.

L’Iliade, inoltre, si concentra maggiormente sull’offesa che Paride reca a Menelao e sulla colpa di Elena; in Das Opfer Helena, invece, la colpa viene redistribuita: Menelao non sarebbe più il regnante ospitale e offeso dallo straniero, ma un criminale di guerra, un vero e proprio sovrano assetato di potere, capace di

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“vendere” la propria moglie per i suoi interessi; Paride non è semplicemente un giovane seduttore interessato a impossessarsi della donna più bella del mondo, ma anche lui, come Menelao, desidera la guerra, per arricchirsi e far arricchire il suo popolo. Inoltre, Paride non solo usa il suo fascino per sedurre, ma è anche abile nella parola e nell’uso del Witz. In conclusione, per Hildesheimer la colpa è di tutte e tre, ma Elena è l’unica ad assumersi le sue responsabilità. Infatti ella riconosce, retrospettivamente, di avere avuto un ruolo di primo piano nella vicenda che ha portato alla guerra di Troia e ammette di essere stata colpevole: seducendo Paride, non ha fatto altro che agire così come desiderava Menelao; si è resa cioè complice.

Se Omero fa dichiarare alla sua Elena che ella ha sposato Menelao perché a nessuno inferiore in termini di saggezza, la Elena di Hildesheimer confessa di aver sposato quest’uomo solo perché era il più insignificante fra tutti i pretendenti; se nell’Odissea Menelao torna in patria da vincitore, con un ingente bottino di guerra, il re reduce descritto da Hildesheimer è un perdente.

Gli elementi che distanziano Das Opfer Helena dal mito tradizionale creano quindi una nuova storia, in cui, anche grazie alla rivisitazione dei ruoli e delle funzioni dei personaggi, è possibile scorgere il confronto con il passato più recente.

3.2.TRAMA

L’opera inizia con la protagonista Elena, che, rivolgendosi al pubblico, afferma di voler raccontare la verità sulla guerra di Troia, perché quella tramandata dalla storiografia è falsa; inoltre, specifica che la responsabilità di questo lungo conflitto è soltanto umana, e si assume la sua parte di colpa87.

La protagonista ricostruisce la vicenda che ha preceduto la sua fuga a Troia e la guerra: il suo consorte Menelao, assetato di potere personale, cerca da tempo un pretesto per muovere guerra ai troiani e il suo progetto consiste in un presunto

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Ibidem, pag. 338: HELENA «Tatsache ist, daß uns alle die Schuld trifft – auch mich. Aber mich am wenigsten!»

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rapimento della stessa Elena da parte del principe Paride, invitato a corte. Ella, desiderosa di liberarsi dal giogo del marito e dalla monotonia della vita coniugale – gravata anche dai rimproveri della figlia Ermione, che non tollera la sua condotta libertina –, si presta al progetto di Menelao, sperando in una fuga d’amore su un’isola deserta.

Quando Paride giunge a corte, Elena prova a sedurlo, sfruttando la sua bellezza. Il principe troiano, che si presenta come un giovane educato in viaggio di formazione attraverso la Grecia, in realtà ha intenzione di mettere in atto un piano paradossalmente simile a quello di Menelao; infatti vuole rapire la moglie del re spartano, fornendo in tal modo ai greci il pretesto per scatenare la guerra fra i due popoli.

Sia Paride che Elena mettono in atto la propria tattica seduttiva, in un incalzante gioco delle parti: il principe finge di essere fortemente attratto dalla bellezza e dalle qualità morali della regina e di saper scrutare l’anima femminile; ella pur essendo attratta dal fascino del giovane, pensa che fuggendo con lui su un’isola deserta possa far fallire il piano del marito e quindi sventare la guerra.

I due fuggono, approfittando dell’assenza del re spartano, ma è troppo tardi quando Elena si accorge della vera destinazione verso cui sono diretti: la città di Troia. Solo a questo punto Elena capisce di essere stata ingannata da Paride fin dall’inizio, con l’astuzia e la seduzione, campo nel quale pensava di eccellere. La regina dichiara a Paride che le guerre non si vincono mai; tuttavia, il suo destino è ormai segnato e non potrà fare altro che aspettare con rassegnazione la fine della guerra.

Quando il conflitto si conclude definitivamente, Menelao riporta la moglie a Sparta; la guerra non ha giovato a nessuno, né ai vincitori né agli sconfitti, in quanto i greci superstiti sono un numero esiguo e Troia è stata distrutta del tutto. Questa è l’amara soddisfazione di Elena, che in un drammatico confronto con Menelao, gli rinfaccia la inutilità di tutto quello che è accaduto. Questi, tuttavia, è ancora convinto della necessità della guerra e accusa ipocritamente la moglie di avere avuto anch’ella un ruolo di primo piano in ciò che è accaduto.

Anche la figlia Ermione, alla fine del conflitto, pensa che la madre sia la vera colpevole della guerra di Troia, ma si dichiara pronta a perdonarla, in accordo col

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suo falso perbenismo. Elena si rende conto che Ermione non è affatto cambiata, come del resto Menelao, e si rassegna al suo ruolo di donna incompresa.

3.3.I PERSONAGGI

I personaggi messi in scena da Hildesheimer sono quattro: Elena, Menelao, Ermione e Paride. Durante la narrazione compaiono inoltre i cavalieri e gli aurighi troiani, solo in qualità di personaggi di contorno, e vengono anche citati i nomi di altri personaggi: il re Nestore, il re Agamennone, la regina Clitennestra, Odisseo e Achille.

ELENA

Elena, regina di Sparta e moglie del re Menelao, ha la fama di essere la più bella tra tutte le mortali. Dal testo emerge che prima dell’inizio della guerra di Troia è una donna determinata, sicura di sé e della sua bellezza; è anche fiera delle avventure che ha avuto in passato con gli uomini e non le interessa il giudizio che gli altri possono avere riguardo al suo comportamento. Ha sposato Menelao solo perché, tra tutti i pretendenti, era il più insignificante ed era così mediocre da non ostacolare la sua condotta libertina. Fa sfoggio della sua importanza tutte le volte che ripete di essere figlia di Zeus («Schließlich bin ich göttlicher Abstammung»88), e ogni volta che esalta la sua bellezza. È una donna ironica che risponde con battute pungenti alle provocazioni e che disprezza le opinioni del marito e della figlia.

La Elena prebellica ricorda molto un altro personaggio femminile di Hildesheimer, ovvero la principessa cinese Turandot dell’opera Der

Drachenthron. Anch’ella è dedita al culto della bellezza, tanto da avere la

necessità di specchiarsi anche di notte, e da saper fare buon uso di essa89. Come Elena, anche Turandot ha un comportamento libertino, ma mentre quest’ultima lo

88 Ibidem, pag. 343.

89 TURANDOT «Auch meine Schönheit ist mir von den Göttern gegeben […] es ist der Wille der Götter, daß ich von ihr Gebrauch mache.», ibidem, pag. 10.

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nasconde al padre, l’imperatore della Cina, e a tutto il popolo cinese, fingendo di aver fatto un voto di castità, la condotta della regina greca è nota non solo al marito, ma anche a tutti i sudditi90.

Quando Elena viene a sapere dal marito che sta per finire la sua libertà di ricevere (e sedurre) ospiti di sesso maschile, intuisce il ricatto di Menelao: in realtà vuole servirsi di lei per mettere in atto i suoi progetti di guerra contro Troia. Elena lo sfida («Es gehört zwar einiges Talent dazu, solche Pläne zu erfinden, wie du es getan hast. Es gehört jedoch um einiges mehr als Talent dazu, dem Erfinder die Pläne vom Gesicht ablesen zu können, wie ich es getan habe.»91) e medita un proprio piano, che le permetta sia di evitare la guerra, sia di scappare dalla compagnia tediosa del marito. Seguendo il consiglio di Menalo, Elena seduce Paride, attratta dal fascino del giovane da lei idealizzato, pronunciandogli queste parole:

Sie haben eine Seele. Ich sehe es Ihnen an. Nur Männer wie Sie können uns Frauen verstehen […] Männer wie Sie werden niemals vergessen, was die rohe Mehrzahl Ihres Geschlechts nicht berücksichtigt, nämlich: daß wir Frauen eine sehr ausgeprägte Seele haben!92

Addirittura, Elena estende l’elogio rivolto a Paride a tutti i troiani: «Die griechischen Männer haben eben keine Kultur! […] Da seid ihr Troianer doch aus anderem Holz geschnitzt»93.

La Elena del dopoguerra è una donna diversa, ma non solo per una questione di età. Riconosce la sua parte di responsabilità negli eventi accaduti, seppur involontaria: infatti, con l’intento di sventare il piano di Menelao, ha favorito invece quello dei troiani, sempre finalizzato alla guerra.

Ha maggiore consapevolezza di sé e della sua condizione: si rende conto di essere allo stesso tempo colpevole e vittima sacrificale, usata e manipolata da tutti per scopi di potere che non ha mai condiviso:

Ich war also das erste Opfer des troianischen Krieges. Ich war das Opfer des Menelaos und des Paris, das Opfer der Griechen und der Troianer. Aber letzten Endes war ich doch nur

90 MENELAOS «Unserem Volk ist das Privatleben seiner Königin ein offenes Buch», ibidem, pag. 344.

91 Ibidem, pag. 347. 92 Ibidem, pag. 361. 93 Ibidem, pag. 362.

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mein eigenes Opfer. Ich liebte die Männer, aber die Männer liebten den troianischen Krieg.94

Alla fine della guerra Elena torna a vivere con Menelao, anche se prima criticava fortemente questa condizione, tanto da preferire la morte alla sua compagnia95. Adesso, però, non si fa più illusioni sugli uomini, ha capito che per essi contano esclusivamente le guerre, il prestigio e le ricchezze terrene. In chiusura, esterna tutta la sua rassegnazione, in quanto ha realizzato che non sono molte le persone che danno importanza all’amore e all’anima:

[allerdings] komme ich mehr und mehr zu der Erkenntnis, daß gerade diese den meisten Menschen fehlt. Aber ich hatte von früh auf ihr Wesen erfaßt und sie – vielleicht zu Unrecht!– immer als den wichtigsten Bestandteil des Menschen betrachtet – lange bevor ein großer Landsmann von mir festgestellt hat, daß sie unsterblich ist.96

Il connazionale (Landsmann) di cui Elena parla è verosimilmente il filosofo Platone, che nel Fedone (386-385 a.C.), uno dei suoi dialoghi più famosi, analizza il tema dell’immortalità dell’anima. Hildesheimer sembrerebbe proprio riprendere la teoria del filosofo greco, secondo cui l’anima e il corpo sono due realtà distinte, ma non separate: la prima si eleva verso ciò che è puro, immutabile ed eterno; il corpo, invece, si cura del mondo sensibile e mutabile (fatto di piaceri, passioni e dolori). Emblematiche le parole di Socrate, il protagonista del Fedone, perché si addicono perfettamente a Menelao e Paride: «Nient’altro infatti procurano il corpo

e i suoi desideri se non guerre, rivolte e battaglie. Tutte le guerre derivano dal possesso delle ricchezze; e siamo costretti a procurarci le ricchezze con il corpo, della cui cura siamo schiavi»97.

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Ibidem, pag. 377. 95

HELENA «Lieber tot, als für den Rest meines Lebens auf Menelaos angewiesen zu sein.», ibidem, pag. 345.

96 Ibidem, pag. 383.

97 Mia traduzione in italiano.

«καὶ γὰρ πολέμους καὶ στάσεις καὶ μάχας οὐδὲν ἄλλο παρέχειἢ τὸ σῶμα καὶ αἱ τούτου ἐπιθυμίαι. δ ιὰ γὰρ τὴν τῶν χρημάτων κτῆσιν πάντεςοἱ πόλεμοι γίγνονται, τὰ δὲ χρήματα [66δ] ἀναγκαζόμεθα κτᾶσθαι διὰ τὸσῶμα, δουλεύοντες τῇ τούτου θεραπείᾳ». Testo reperibile online:

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MENELAO

Menelao è il re di Sparta e il marito di Elena. Da molti anni tollera senza recriminazioni che la moglie si diletti con gli ospiti in visita al palazzo reale, perché, alla fine, la sua unica preoccupazione è un’altra: dichiarare guerra alla città di Troia.

Menelao è il classico regnante assettato di ricchezze terrene e di prestigio personale, che fa propaganda tramite slogan e che è disposto a sacrificare i suoi uomini per i suoi gretti interessi. Infatti parla al suo popolo ricordando i valori morali e la grandezza di Sparta, e incitandolo a compiere una missione civilizzatrice contro il nemico barbaro, in modo che le prossime generazioni possano dire: «Sparta ist die Wiege der Kultur gewesen»98. Menelao sa bene di affermare il falso, quando dichiara che i troiani minacciano e provocano Sparta, rafforzando l’apparato bellico giorno dopo giorno (in realtà si verrà a scoprire che questo corrisponde al vero).

Il re spartano inizia così a mettere in atto il suo progetto, sacrificando dapprima la moglie: se Elena seduce Paride e viene rapita da quest’ultimo, allora Menelao avrà la scusa per muovere l’intera flotta greca contro Troia.

Il Menelao del dopoguerra, significativamente uno dei pochi sopravvissuti, non è affatto cambiato; insiste infatti ad affermare la necessità della guerra, che per lui ha sempre un certo fascino. Nonostante il suo popolo abbia subito ingenti perdite e lui stesso torni in patria praticamente a mani vuote (ironicamente, l’unico bottino di guerra è Elena), Menelao è convinto di avere agito per il bene della sua terra. Infatti, quando la moglie gli chiede per che cosa lui e i greci abbiano combattuto, Menelao risponde: «Um ein mächtigeres Griechenland erstehen zu lassen, dessen Bewohner einmal glücklich und zufrieden in Wohlstand leben werden, dessen Kinder frei von Furcht aufgewachsen, ein Griechenland, in dem Handel und Gewerbe blühen, in dem Kunst und Wissenschaft Früchte trei…»99. Menelao, quindi, è diventato un personaggio ancora più spregevole e ridicolo; non è più l’eroe tragico tradizionale, ma un vero e proprio criminale di guerra.

98 Ibidem, pag. 338.

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PARIDE

Paride è un giovane principe, figlio di Priamo, re di Troia. Non ha trascorso l’infanzia a corte, ma è stato nascosto a causa di una predizione, secondo la quale avrebbe recato sciagure nel mondo. Così, ha vissuto per molti anni in montagna, ad allevare porci. Nella commedia di Hildesheimer, Paride è presentato inizialmente come un giovane molto bello e innocente, che si trova in viaggio di formazione attraverso la Grecia e fa visite di cortesia alle corti dei vari sovrani. Dopo essersi recato a Micene dal re Agamennone e da sua moglie Clitennestra, egli giunge alla corte di Sparta. Si comporta in modo molto educato e cortese durante la cena regale con Menelao, Elena ed Ermione: ammira il paesaggio e si preoccupa con eccessivo zelo di porgere loro i saluti da parte dei regnanti di Micene (nonostante i sovrani delle due città siano parenti e si vedano abbastanza spesso).

L’ospite elenca i membri della sua numerosa famiglia e loda la sua città, facendo credere ai sovrani spartani che Troia sia un luogo in cui si vive pacificamente, senza alcuna prospettiva di guerra.

Anche quando si trova da solo con Elena nella sua stanza, il principe continua la farsa e le fa credere di essere stato sedotto da lei, ma in realtà è lui a ingannarla, infatti ha già pianificato la fuga con la regina.

Quando Elena scopre la verità, Paride le appare un uomo diverso: sicuro di sé e sfacciato, per esempio quando le pronuncia queste frasi: «Ich gelte als der Schönste unter den Söhnen des Priamos – und in den Künsten die für diese Aktion nötig waren, als der Gewandteste»100; e ancora: «Nachträglich darf ich wohl auch sagen, daß ich dich auch betört hätte, wäre ich nicht als unschuldiger Jüngling, sondern als Verführer aufgetreten»101. Alla fine, anche Paride è come tutti gli altri uomini, e quindi non è così diverso da Menelao, come Elena stessa gli rinfaccia: «Du bist um nichts besser als Menelaos! Im Gegenteil: du bist verächtlicher, weil dein Äußeres trügt!».102

100 Ibidem, pag. 375.

101 Ibidem, pag. 375. 102 Ibidem, pag. 376.

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ERMIONE

Ermione, in termini di saggezza e comportamento, viene presentata come l’opposto della madre: come Elena è frivola e dissennata, e per questo ripresa spesso dalla figlia, così quest’ultima si distingue per la sua bontà e la sua assennatezza (per esempio quando, come ein Engelchen103, dice alla madre: «Ich glaube, Mama, man kann sich zur Vollkommenheit erziehen.»104).

In realtà, Elena smaschera il finto perbenismo della figlia: «Sie trug ihre große Güte wie eine ebenmäßige Wachsmaske im Gesicht»105, e prova a farle notare che è soltanto una ragazza ingenua106, che ancora non capisce il mondo degli adulti. Per esempio, insinua che i comportamenti del re Nestore nei confronti di Ermione sono ambigui e che le sue intenzioni non sono così pudiche come sua figlia crede. La ragazza si limita a rispondere alla madre così: «Das bildest du dir alles nur ein. […] Er ist, in gewisser Weise, mein Idealbild»107

. La madre allora la ammonisce:

Ich will dir etwas sagen, Hermione: in deinem Alter hat man viele Idealbilder. Aber je älter man wird, desto mehr verschwimmen sie, sie werden undeutlich, verblassen. Und wenn sie nicht mehr sichtbar sind: das ist ein Zeichen, daß man erwachsen geworden ist108.

Elena vorrebbe anche che la figlia capisse che uomo meschino è Menelao, ma è in procinto di fuggire con Paride e sa già che Ermione non l’ascolterebbe:

Gern hätte ich bei dieser Gelegenheit auch meinen sauberen Gemahl entlarvt – hätte gern meine Tochter über ihren Vater aufgeklärt, aber das durfte ich nicht. Denn Paris sollte die Wahrheit nicht erfahren. Zudem hätte Hermione mir ohnehin geglaubt109.