3. I L T UCHOLSKY DIMENTICATO
3.2 La letteratura tra realtà ed ideale
L’arte e la letteratura assumono in questo modo un duplice ruolo: da un lato rappresentano uno scudo di protezione, attraverso il quale prendere distanza dagli altri e rendersi inattaccabili, dall’altro mettono in risalto il desiderio e la ricerca di un interlocutore fedele a cui rivolgersi.
La letteratura rappresenta inoltre una sorta di compensazione, attraverso la quale l’autore si prende gioco della serietà del mondo reale che pretende un’adesione ed una partecipazione ad esso attraverso l’impegno politico ed umanitario. Il gioco letterario e linguistico rappresenta l’altra faccia dell’impegno politico presente nell’opera e permette di dare libero sfogo alla Heiterkeit e alla
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IEMS, Renke: Die Autorschaft des Publizisten Schreib- und Schweigeprozesse in den
65 leggerezza, attraverso le quali si cerca di opporsi alla profonda malinconia e alla schizofrenia. (vd. Heitere Schizofrenie).
Contro la scissione tra le inclinazioni più profonde e le richieste del reale, Tucholsky fa ricorso all’ironia e all’autoironia:
Ich glaube, wir dürfen den Zirkus nochmal einmal aufmachen.[…] Hier darfs ich. Ich weiß, die richtigen Leute sehen zu, und sie sehen richtig zu und verstehen uns nicht falsch, wenn wir auch einmal lachen, und verwechseln unser Lachen nicht mit dem eines Hanswursten.119
E’ attraverso l’autoironia che l’io poetico gioca con la propria immagine allo specchio nella poesia Der Mann am Spiegel. In questo gioco con sé stesso, l’Io lirico è catturato nella rete del dubbio esistenziale e della paura: l’immagine riflessa assume infatti lentamente una propria indipendenza, fino a diventare altro. L’iniziale compiacimento nell’osservarla si rivela un’illusione e lo sguardo nello specchio provoca adesso una paura angosciante e si concretizza nell’alienazione sia fisica che psicologica da sé stesso. “Aber auf einmal bist die glatte Sicherheit deines gebügelten Rockes dahin; die Angst ist da.”120
La paura si diffonde lentamente a partire del volto che si trasforma nello scenario di una guerra interiore ben visibile a tutti:
Dein Gesicht, den Schuttplatz deiner Gefühle, hast du zusammengelogen, zusammengelacht,
geküßt, geschwiegen, gelitten, geseufzt: zusammengelebt […].
L’iniziale e apparente incontro con sé stesso fallisce e si trasforma in alienazione, quella di colui che non riconosce la propria immagine ma non può nemmeno sottrarsi ad esso e che termina nella presa di coscienza dolorosa del completo isolamento.
Ich gehe vom Spiegel fort. Der andre auch – Es ist kein Gespräch gewesen.
Die Augen blicken ins Leere, mit dem Spiegelblick – ohne den andern im Spiegel.
Allein.121
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WERENZ, Gerhard: Kurt Tucholsky Biographie eines guten Deutschen, op. cit., p. 140.
120 T
UCHOLSKY, Kurt: Gedichte, op. cit., p. 579.
66 La lotta con la paura ed il sentimento di solitudine, la ricerca di vicinanza e la conseguente fuga da essa saranno le problematiche che occuperanno l’Io lirico di molti testi di Tucholsky.
Dietro alla testarda volontà di mantenersi distanti ed indipendenti si nasconde il suo opposto: ne scaturisce un atteggiamento duplice e contraddittorio che si manifesta sia da un punto di vista tematico e rappresentativo, sia da un punto di vista stilistico: all’osservazione distaccata ed obiettiva del proprio oggetto, si unisce la necessità di uno sguardo interno in grado di comprendere più a fondo, all’analisi precisa ed attenta dell’oggetto si alterna una partecipazione più intima e profonda.
Su questa oscillazione tra poli opposti si fonda l’intera opera di Tucholsky e le contraddizioni che la animano: la ricerca di armonia e la volontà di superare questa oscillazione non si esaurisce soltanto sul terreno della nostalgia estetica ma diventa un imperativo etico di coerenza e di fedeltà a sé ed ai propri ideali nella volontà di stabilire un rapporto di continuità tra ideali, volontà ed azione.
Questa intransigenza conduce da un lato verso l’attivismo intellettuale e l’impegno, dall’altro verso l’assolutismo e l’impossibilità di venire a compromessi con la realtà. Tucholsky continua cioè ad oscillare tra la volontà di aderire al presente per cambiarlo in nome dell’ideale e la fuga da questo presente e da una realtà fatta di abitudini e compromessi.
Nella poesia Im Käfig del 1918, l’Io lirico si rappresenta come un’animale costretto dalla sua stessa volontà a rimanere imprigionato. L’ideale è sì la fiamma che illumina un futuro migliore ma è anche la gabbia che paralizza di fronte ad un mondo ad esso estraneo. La gabbia diviene infatti il simbolo dell’intransigenza e dell’assolutismo degli idealidell’Io lirico “Hinter den dicken Stäben meiner Ideale lauf ich von einer Wand zur andern Wand”122 che lo separano, dalla realtà degli altri e dalla possibilità di agire all’interno di essa.
L’ animale che si muove da una parte all’altra della gabbia viene ignorato o guardato con compassione, mentre gli altri continuano la loro vita tranquillamente, ben inseriti nel loro contesto quotidiano.“Sie sind gewiß nicht
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67 rein, und doch: ich sehn mich nach der Gemeinsamkeit”123: il mondo degli altri è corrotto poiché è venuto a patti con la necessità e con la prosaicità del quotidiano, tuttavia l’animale vorrebbe essere capace di farne parte e di fuggire da una prigionia, di cui egli stesso sembra responsabile, sebbene non riesca a rinunciare ad un vena polemica costante “Ich möcht so gern hinaus. Ich streck und dehn mich – die habens gut, mit ihrer großen Zeit!“
Tuttavia la sua condizione appare ormai immutabile: anche nel caso in cui la gabbia potesse essere aperta, egli sceglierebbe la reclusione, che è contemporaneamente la sua condanna ma anche il suo riparo.
Der Tiger gähnt. Er käm so gern geloffen ... Doch seines Käfigs Stäbe halten dicht. Und ließ der Wärter selbst die Türe offen: Man geht ja nicht.124
Questa poesia presenta non soltanto alcuni temi molto ricorrenti nell’opera di Tucholsky, ma illustra chiaramente la tensione tra forma e contenuto che è tipica di molti suoi testi: la superficiale leggerezza, data dal gioco di rime e dall’alternanza tra la prima e la terza persona contrasta con la complessità del tema della poesia e con l’immagine cruda dell’animale in gabbia che simboleggia la dura lotta tra ideale e realtà.
L’ideale inteso come tensione e potenzialità è infatti di per sé immutabile e immobile, poiché astratto. E’ una condizione statica come quella della gabbia che rinchiude la tigre e la aliena nello stesso momento in cui la opprime e la stimola alla fuga.
La poesia precedentemente analizzata svela inoltre quanto la lotta tra realtà ed ideale e la lotta contro l’ambiente circostante che da essa scaturisce nascondano in ultima istanza la lotta dell’io lirico contro se stesso per la conquista di una propria identità.
Molto spesso l’autore si fa soggetto ed oggetto di ciò che scrive o contribuisce a creare una confusione tra i vari piani. In più c’è da notare che tutto ciò che egli prende di mira e critica nelle proprie opere è in fondo qualcosa con cui egli è strettamente a contatto: egli fa i conti con la borghesia perché è parte di
123 Ibidem. 124 Ibidem.
68 essa oppure si scaglia ferocemente contro il militarismo come conseguenza della propria partecipazione alla guerra o ancora si confronta duramente con l’ebraismo perché in esso risiedevano le proprie origini.
Scrivere diventa in questo modo anche una sorta di autoprocesso in cui giudicante e giudicato sono la stessa persona e dove il disprezzo nei confronti di sé stesso agisce come ulteriore spinta verso l’ideale. „Nein, auch ich gehe nicht so, wie ich gehen müßte. Auch ich lebe nicht so, wie ich leben müßte. Selbsthaß ist der erste Schritt zur Besserung.”125
3.2.1 Il fuoriposto e lo scontro con un’epoca
Nella poesia precedentemente analizzata emerge un altro tema molto caro a Tucholsky: si tratta dello scontro ed il contrasto con la propria epoca e le sue realizzazioni storico-politiche. Esso si esplicita attraverso l’impossibilità di prendere parte in modo attivo alla propria comunità senza sentirsi isolati e insoddisfatti.
La polemica contro l’armonia dei contemporanei con il proprio tempo presente nella decima strofa, “die habens gut, mit ihrer großen Zeit!” fa eco ad un’altra famosissima poesia di Tucholsky Die Deplacierten (1924), il cui titolo già ne illustra il tema.
Uns haben sie, glaub ich, falsch geboren. Von wegen Ort und wegen Zeit
sind wir vertattert und verloren und fluchen unsrer Einsamkeit.126
Il contrasto e la presa di distanza dal proprio tempo da essi comporta necessariamente l’isolamento e la solitudine e richiede un’enorme forza d’animo: „Denn nichts ist schwerer und nichts erfordert mehr Charakter, als sich in offenem Gegensatz zu seiner Zeit zu befinden und laut zu sagen: Nein.“ 127
Dire no ed opporsi significa scegliere la solitudine e rimanere al di fuori del contesto in cui si vive, per mantenersi fedeli ai propri ideali e lottare nel nome dell’utopia di un futuro migliore e di un tempo più equo e giusto. Tutto ciò
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UCHOLSKY, Kurt: „Die Kegelschnitte Gottes“ in Id.: Gesammelte Werke in 10 Bänden,
vol. 3, op. cit., p. 351.
126 T
UCHOLSKY, Kurt: Gedichte, op. cit., p. 423
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UCHOLSKY, Kurt: „Die Verteidigun des Vaterlandes“ in Id.: Gesammelte Werke in 10
69 determina una condizione esistenziale sospesa tra un passato perduto ed irrecuperabile, al quale si guarda con nostalgia (nicht mehr) ed un futuro ideale inteso come proiezione e progetto per il quale vale la pena sperare e continuare a lottare (noch nicht). Questa condizione di sospensione viene descritta all’interno della poesia Zweifel (1925): nella prima strofa vengono tematizzati il dubbio e la perdita di senso nei riguardi di ogni tipo attività che pretende di essere efficace contro i colpi bassi di un periodo storico, all’interno del quale ci si sente fuori posto. Ogni sforzo e ogni tentativo contro di esso appare infatti vano e sbagliato “Ich sitz auf einem falschen Schiff”128 e si lega alla consapevolezza di una crisi della parola e dell’attività letteraria, incapaci di tradurre la volontà in azione concreta. Ciò crea nell’Io lirico un profondo senso di insicurezza “der Boden schwankt”129 che lo induce a mettere in discussione il senso stesso della sua attività e del suo impegno, poiché il suo percorso continuamente intervallato ed ostacolato non giunge mai ad un risvolto positivo “und immer stößt du an eine neue Tür”. La nostalgia estetica per un passato irrecuperabile appare assoluta ed inequivocabile: „Ich mag mich sträuben und mich bäumen, es klingt in allen meinen Träumen: Nicht mehr“130; d’altro canto essa si alterna alla speranzaper un futuro migliore, la cui attesa si rivela angosciante: la consapevolezza di non potersi sottrarre al proprio tempo permane e aumenta il senso di impotenza e la rassegnazione.
Aus seiner Zeit kann Keiner springen. Und wie beneid ich Die, die gar nicht ringen Die habens gut.
Die sind schön dumm.131
Da questa consapevolezza scaturisce l’invidia del solitario in lotta con una massa ignara e inconsapevole. “Ich war nämlich einer und sie waren eine Herde”132, nella lotta solitaria contro una maggioranza sempre più minacciosa, sembra celarsi il riferimento alla progressiva diffusione del nazismo. Come scrive nella poesia Hej! del 1929, l’epoca dell’individuo sembra essere giunta drammaticamente alla
128 T
UCHOLSKY, Kurt: Gedichte, op. cit., p. 450.
129 Ibidem. 130
Ibidem.
131 Ibidem. 132 Z
WERENZ, Gerhard: Kurt Tucholsky Biographie eines guten Deutschen, op. cit., pp. 156-
70 sua fine ed ognuno viene ricondotto e costretto ad un ordine che lo aliena da se stesso per ricondurlo nella massa “Einzelgänger! Unentschiedener! Her zu uns!Zur Ordnung! Zur Ordnung!”133
In questa lotta del singolo per la tutela della propria libertà e del proprio individualismo contro la massificazione del pensiero e della società, la letteratura e la macchina da scrivere appaiono gli unici strumenti per resistere: alla scrittura è affidato infatti il compito umanistico di cambiare le cose e di salvaguardare la consapevolezza e la libertà del singolo contro l’attacco catastrofico della storia. Nonostante la scelta di smettere di pubblicare successiva all’entrata dei nazisti in Parlamento, Tucholsky non rinuncia all’attività incessante e febbrile della scrittura, come testimoniano le numerose lettere inviate dall’esilio: soltanto la fine della vita segnerà la fine della scrittura.
È in questo contrasto tra ideale e realtà che si deve rintracciare il filo rosso che lega l’intera opera di Tucholsky ed è proprio qui che essa acquisice il suo senso ultimo e la sua coerenza.
Come scrive giustamente Fritz J. Raddatz nel suo saggio su Tucholsky:
Dies ist das Zentrum des Menschen Kurt Tucholsky. Er ist ein großer Liebender – von Ideen. Die Idee Frau, die Idee Sozialismus, die Idee Revolution: davon kann er singem und sprechen und schreiben wie kaum ein anderer: zärtlich, metallen, kämpferisch. Droht diese Idee – einer diese Ideen – zur Realität zu werden, versagt er sich, flüchtet. 134
Tucholsky stesso scrive nel testo Leere (1930) di essersi pensato fino all’esaurimento: “Du hast dich kaputt gedacht”135 e potremmo aggiungere anche geschrieben.
Nel testo Zur soziologischen Psychologie der Löcher (1931) egli inoltre ironizza sulle intenzioni stesse della scrittura e sul ruolo che egli le attribuisce:
Ein Loch ist da, wo etwas nicht ist.[…] Größenwahnsinnige behaupten, das Loch sei etwas Negatives. Das ist nicht richtig: der Mensch ist ein Nicht-Loch, und das Loch ist das Primäre. Lochen Sie nicht; das Loch ist die einzige Vorahnung des Paradieses, die es hienieden gibt. 136
Attraverso la scrittura egli aspira a raggiungere ciò che ancora non è, ovvero l’ideale, sopra descritto come quel vuoto che è promessa di realizzazione e si oppone allo stato delle cose. La scrittura e la creatività letteraria possono emergere
133
TUCHOLSKY, Kurt: Gedichte, op. cit., p. 662.
134 R
ADDATZ, Fritz J.: Tucholsky Ein Pseudonym, Rowohlt Verlag, Reinbek, 1993, p. 45.
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UCHOLSKY, Kurt: Gesammelte Werke in 10 Bänden, vol. 8, op. cit., p. 123
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71 soltanto dai buchi, dalla mancanza, dagli spazi vuoti e dallo sforzo di colmarli. Essa rappresenta “den Mut, das Ideal zu fordern, als sei es erreichbar”137, l‘ostinazione a volere sempre altro da ciò che è.
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UCHOLSKY, Kurt: „Macchiavelli“ In Id.: Gesammelte Werke in 10 Bänden, vol. 1, op.
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