3. I L T UCHOLSKY DIMENTICATO
3.1 Un’autorialità frammentata
La frammentazione dell’autorialità tucholskiana e la necessità di cambiare e inventare nomi e personalità risale agli esordi della carriera letteraria di Tucholsky e risponde a prima vista ad un bisogno puramente utilitaristico, ovvero quello di distinguere la propria produzione all’interno delle riviste per le quali scriveva.
Wir sind fünf Finger an einer Hand.Der auf dem Titelblatt und: Ignaz Wrobel. Peter Panter. Theobald Tiger. Kaspar Hauser.
Aus dem Dunkel sind diese Pseudonyme aufgetaucht, als Spiel gedacht, als Spiel erfunden – das war damals, als meine ersten Arbeiten in der ›Weltbühne‹ standen. Eine kleine
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Wochenschrift mag nicht viermal denselben Mann in einer Nummer haben, und so enstanden, zum Spaß, diese homunculi. 111
In realtà, come affermerà nel testo Mit 5 PS pubblicato nel 1927, egli diviene progressivamente più consapevole della portata problematica che questo gioco assume con il tempo:
Pseudonyme sind wie kleine Menschen; es ist gefährlich, Namen zu erfinden, sich für jemand anders auszugeben, Namen anzulegen – ein Name lebt. Und was als Spielerei begonnen, endete als heitere Schizophrenie.
Ich mag uns gern. Es war schön, sich hinter den Namen zu verkriechen […].eine Fehde zwischen ihnen wäre durchaus möglich. Sie dauert schon siebenunddreißig Jahre.112
La spiegazione che Tucholsky fornisce al suo pubblico riguardo a questa scissione tuttavia non risulta essere completamente chiara ed evidente, come il testo sopra citato sembra voler mostrare. Egli sembra non rivelare al proprio pubblico tutta la verità. Questo gioco a nascondino tra nomi e pseudonimi non si limita soltanto alla sua produzione letteraria, ma caratterizza tutti i suoi rapporti umani: anche nella vita egli si firma o si chiama raramente con il nome di Kurt Tucholsky. In molte lettere indirizzate agli amici, egli sceglie ogni volta nomi diversi: Edgar, Adolf, Kalwunde e anche nelle relazioni amorose è raramente Kurt, ma Nungo con Mary Gerold, Daddy con Lisa Matthias, o Hasenfritzli o Arnold con Hedwig Müller.113
Egli inoltre non moltiplica soltanto le proprie identità, ma attribuisce anche ai suoi interlocutori nuovi nomi: il fratello Fritz diviene Kohn, gli amici Erich Danehl e Hans Fritsch diventano Karlchen e Jakopp, la fidanzata Else Weil viene soprannominata Claire Pimbusch e la moglie Mary Meli e Metzlein, tanto che persino la sua lettera di addio prima della morte è firmata da Nungo a Mala. Lisa Matthias diviene Lottchen con altre variazioni possibili, Gertrude Meyer diviene Fröken o Tydde e cosi via.114
La scelta dei termini heitere Schizofrenie e Fehde inoltre non può essere ignorata ed è un indicatore importante, che fa emergere ben altro da ciò che Tucholsky rivela nel testo MIT 5 PS: il tono ironico di quest’ultimo fa emergere in realtà una problematica più inquietante. Del resto Tucholsky stesso aveva
111T
UCHOLSKY, Kurt: „Start“ in Id.: Gesammelte Werke in 10 Bänden, vol. 5. op. cit., p. 434.
112 Ibidem. 113 H
EPP, Michael: Kurt Tucholsky Biographische Annährungen, op. cit., pp. 32-22
114 H
63 affermato già nel 1913 che “daß sich letzen Endes Tragik und Humor berühen, eins werden”115 ovvero che il tragico e lo humor si appartengono, diventano una cosa sola.
Le numerosissime battute e formule ironiche che rintracciamo nella sua opera e che divertono per il loro tono, sono quindi indissolubilmente legate ad un profondo disagio, appaiono come un tentativo, uno sforzo di sorridere nonostante tutto, come indica anche il titolo della sua ultima raccolta del 1931 Lerne lachen ohne zu weinen. La heitere Schizofrenie è quindi in ultima istanza triste, autodistruttiva, ma allo stesso tempo molto produttiva.
Egli stesso in una lettera a Gussy Holl si è definito come un “clown che fuori sorride ma dentro piange:“Ich habe das Lachen des Clowns, aber innen weint es!”116 Si tratta principalmente di una schizofrenia di tipo artistico ed intellettuale di cui Tucholsky appare consapevole: tra i cinque homuncoli che egli nomina nel saggio sopracitato infatti, egli cita anche il proprio nome di battesimo.
Come ha notato Renke Siems117 nel suo saggio sul processo di scrittura nei testi di Tucholsky, è il carattere asistematico di questa mascherata che colpisce in questo gioco di nomi. Infatti non soltanto all’interno delle opere ma anche negli scritti più privati come l’epistolario, la scelta dei nomi non è unitaria, essi cambiano non solo da interlocutore a interlocutore ma anche all’interno della medesima corrispondenza.
Questa mancanza di sistematicità permette di tracciare inoltre una linea di confine tra i testi pubblici e quelli privati: nei primi, la scelta dei nomi si lega ad una specifica funzione, nei secondi invece, essa risponde maggiormente alla fantasia e all’immaginazione dell’autore.
Nella produzione giornalistica è al contrario evidente come l’attribuzione di pseudonimi serva a fini estetici: nella corrispondenza pubblica tra lettore e redazione infatti Tucholsky riveste il ruolo di scrittore di professione e si esprime
115 T
UCHOLSKY, Kurt: „Pallenberg“ in Id.: Gesammelte Werke in 10 Bänden, vol. 1. op. cit., p. 83.
116 T
UCHOLSKY, Kurt: Ich kann nicht schreiben, ohne zu lügen Briefe von 1913 – 1935 (a cura di F. j. Raddatz), Rohwolt, Reinbek, 1989, p. 276.
117 S
IEMS, Renke: Die Autorschaft des Publizisten Schreib- und Schweigeprozesse in den
Texten Kurt Tucholskys, Synchron Wissenschaftsverlag der Autoren, Heidelberg, 2004, p.
64 identificandosi totalmente con la propria professione e con l’autore Kurt Tucholsky.
Nei testi più privati invece, la mascherata è un mezzo finalizzato a mantenersi all’interno di una dimensione estetica, che nella realtà sarebbe destinata a crollare. Il gioco con i nomi si oppone qui all’apparenza di autenticità e alla componente personale che caratterizza la realtà privata dei testi.
Questa pseudonimia quindi non è soltanto puramente letteraria, ma appare come una Kunst des Erscheinens,118 ovvero come una strategia di autorappresentazione, che risponde ad un ideale e un’esigenza di controllo, nonché alla volontà di rendersi inattaccabile. L’autore in questo modo delinea un proprio cosmo, all’interno del quale egli è l’unico regista in grado di modellare e muovere sé stesso e le altre figure.
All’interno dello scambio epistolare, la pseudonimia si unisce inoltre alla confessione, trasformandosi in una sorta di sostituto della trasformazione e della metamorfosi di sé, sognata ma mai raggiunta. L’autore scisso e solitario ricostruisce sé stesso e gli altri attraverso figure e muri di parole, i quali assumono il ruolo di protezione ed allontanamento e finiscono per diventare gli interlocutori della sua stessa solitudine.