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LETTERATURA DI RICERCA E SOCIETÀ

Proverò a tracciare, in questo intervento, un discorso triangolare su letteratura-teoria-società. Tale triangolazione è necessaria perché per me il rapporto tra scrittura e società si appoggia su un sostrato teorico.

Volendo strutturare un discorso teorico sulla mia scrittura, non posso non affrontare un discorso allargato al terreno della letteratura di ricerca, dato che i miei testi si collocano in tale terreno. La prima domanda che s’impone è cosa s’intende per letteratura di ricerca? A tal proposito che concetti sono emersi dal recente dibattito su Teoria e poesia inaugurato da Giovannetti e Inglese rispetto alla letteratura di ricerca? Ma prima ancora cosa intendo io per letteratura di ricerca? Rispondo a questa domanda in modo personale: un linguaggio che mette in discussione il linguaggio, letteratura che mette in discussione la letteratura.

Ma per dare una definizione più ampia e teorica di cos’è un testo letterario di ricerca nel panorama contemporaneo italiano, ma anche francese e statunitense, perché in questo momento vi è un confluire di impulsi letterari tra questi paesi, e trovando non poche difficoltà in questa definizione, inizio col dire cosa non è. Non è testo codificato da canoni e convenzioni prestabilite. E questo fa pensare ad un testo che deve costantemente cercare una propria identità. In questa costante formazione, che è anche continua metamorfosi identitaria, il testo non può non relazionarsi ai modelli vigenti istituzionalizzati che sono avvertiti come claustrofobici e, dunque, come modelli dai quali si intende uscire. Proprio Exit, dunque uscita, è infatti denominata una delle più significative raccolte di letteratura di ricerca di questi ultimi anni che raccoglie testi di ricerca di scrittori francesi, statunitensi, italiani, tra cui alcuni miei testi. Exit significa uscita dal territorio della cultura ufficiale, dal perimetro delineato dal mercato editoriale e dai canoni accademici, assumendo in tal senso un' implicita significazione sociale.

Dal punto di vista teorico, s’intende uscire da ciò che, nel dibattito di teoria e poesia, Simona Menicocci, rifacendosi a Genette, individua come regime letterario costitutivo chiuso, ovvero regime letterario garantito da canoni, convenzioni e tradizioni.

Questo significa che la letteratura di ricerca vive nella costante possibilità di sottrarsi alle convenzioni, di oltrepassare i canoni già dati e, dunque, inventare e reinventare la letteratura: forme, ritmi, metriche, concetti, soggetto, rapporto tra soggetto-mondo, lettore, generi, pause, sintassi, grammatica, morfologia, lessico; ma non solo: la letteratura di ricerca vive nella possibilità di ridefinire i margini che abitualmente dividono il discorso letterario dal discorso non letterario, la letteratura dalla scienza, dalla filosofia, la letteratura dall’arte, la letteratura dalla narrazione storica. E cosa ancora più significativa: si prova a reinventare l’immagine della letteratura, ovvero l’idea stessa di letteratura.

Emerge così il concetto fondamentale di Giovannetti che ha mosso il primo incontro del dibattito su teoria e poesia: l’idea di confine, il rapporto dentro-fuori, capire cos’è il fuori e capire cos’è il dentro del testo letterario. E all’interno del testo, occorre riflettere su quale sia e su come si possa ridefinire il confine del soggetto, il confine tra soggetto e mondo, il confine della grammatica, quello della morfologia, della letterarietà o del genere letterario.

Il concetto di confine e quello opposto di sconfinamento sono particolarmente significativi in questo dibattito, perché la letteratura di ricerca è costante azzeramento di confini dati, prestabiliti, del territorio letterario e continua costruzione provvisoria di nuovi. Ed è per questo sconfinamento che la scrittura è sempre sentita dai loro autori, me compresa, come atto sociale.

Come spiega Simona Menicocci, nel volume Teoria e poesia, riprendendo le maglie del discorso di Rancière, quando la letteratura rifiuta un consenso passivo ovvero quando rifiuta stereotipi, convenzioni, ruoli e posti assegnati, scombina l’ordine prestabilito, riorganizza attivamente gli elementi della letteratura: allora sta introducendo in sé un disturbo, una frattura, un conflitto. Ed è nell’introduzione di questo conflitto, che la letteratura fa politica. Ridefinire e riorganizzare il

linguaggio e i suoi confini, ridefinire gli elementi costitutivi del fare letterario è fatto sociale e politico.

Quello che avviene all’interno del testo letterario è specchio di quello che avviene fuori e viceversa: le dinamiche testuali riflettono dinamiche contestuali. La letteratura di ricerca, come ogni prodotto letterario, è un prodotto di determinazioni storiche e condizionamenti sociali, quindi, con un implicito significato storico-sociale. Per esplorare questo aspetto prendo a prestito la nozione di Bourdieu di campo della produzione letteraria, dove campo è inteso come spazio storico-sociale. Il campo letterario è inteso da Bourdieu come spazio attraversato da relazioni di interdipendenza: è spazio di relazioni oggettive fra posizioni sistematiche e preesistenti, da un lato, e nuove prese di posizione, dall’altro. Le posizioni sistematiche sono le posizioni letterarie che assecondano e consolidano i poteri interni al campo ovvero gli strumenti di produzione e di diffusione letteraria (editoria, stampa, saggistica ecc.), le istituzioni letterarie che conservano questo stato (premi, critica accademica ecc.), poteri legati a loro volta da relazioni di interdipendenza a poteri esterni al campo, ovvero, le istituzioni politiche, le grandi imprese economiche, il mercato.

Le posizioni sistematiche agiscono costantemente nel campo e danno vita ad azioni che provocano reazioni: ecco, le prese di posizione letterarie sono reazioni contro le posizioni sistematiche e i poteri legati a queste. Sono, dunque, reazioni che cercano di scardinare gli insiemi sistematici preesistenti e consistono nella nascita di opere letterarie, scritti teorici, manifesti, gruppi, dibattiti che s’impongono sulla scena letteraria in termini oppositivi. Lo stesso dibattito di Teoria e poesia e l’esperienza di Exit possono essere considerati prese di posizione.

Nel campo di produzione letteraria, dunque, da un principio di riaffermazione della tradizione e del sistema culturale vigente scaturisce in termini reattivi e oppositivi un principio di negazione. Attraverso questa logica nel campo si crea una dinamica incessante dove ad un principio radicato ed automatizzato si oppone un principio costruttivo opposto che scaturisce dialetticamente dal primo (Tynjanov). Le prese di posizione introducono la logica del cambiamento che va cercata, come dice Weber riferendosi al sistema religioso, nella lotta fra l’ortodossia che rende routine e l’eresia che debanalizza, nella lotta tra l’etica dei dogmi e l’etica della responsabilità che oppone la libertà di scelta alla convenzione.

Le prese di posizione, dunque, non sono altro che il prodotto di un conflitto permanente. Il principio generatore del sistema è il conflitto stesso: la produzione letteraria è in sé luogo di conflitto.

In questo quadro di campo della produzione letteraria, la letteratura di ricerca può essere individuata come principio oppositivo allo stato dell’arte e allo schema di pensiero vigente e tentativo di svincolarsi da questo per evitare ciò che Bourdieu definisce «l’assimilazione» ai modelli preesistenti e «l’effetto di invecchiamento sociale che essa determina»(1).

All’interno del testo letterario, proprio come all’interno del campo di produzione letteraria, isi verificano delle tensioni conflittuali che divengono direzioni potenziali di sviluppo e possibili vie di ricerca. Il testo diventa una struttura di probabilità: emerge lo spazio dei possibili.

La scrittura di ricerca è per me spazio dei possibili. Tale spazio diviene letteratura come conoscenza o letteratura come forma di conoscenza. Considerando da vicino il mio lavoro, nell'atto di scrittura il testo è, ai miei occhi, luogo di potenzialità.

Passando ad analizzare in modo più ravvicinato la mia ricerca formale, la definirei come uno spazio dei possibili dove ogni volta si verifica una nuovo tentativo di equilibrio tra forze. Il mio primo libro porta il titolo di linee, termine che vuole indicare una forma di scrittura c h e prende le distanze dal verso tradizionale e che al verso intende, appunto, sostituire una

linea. Per Marco Berisso ciò che io definisco «linea» non corrisponde né al verso né alla prosa: è

un elemento o forma di scrittura a sé. Rosaria Lo Russo ha detto che la mia «linea» non è un verso bensì un «vettore». Credo che si siano avvicinati molto al mio modo di intendere e concepire la struttura formale dei miei testi. Io forse definirei la «linea», prendendo un‘altra espressione dalla fisica, come segmento orientato, ovvero come un segmento verbale dotato di un orientamento all‘interno di uno spazio vettoriale. Le linee o segmenti orientati hanno una determinata misura (lunghezza o modulo o intensità), un orientamento nello spazio, ossia una

precisa definizione spaziale e, infine, hanno delle coordinate ritmiche, sonore e semantiche.

La matrice del discorso poetico è un complesso dinamico relazionale. La formazione verbale non è metrica nel senso tradizionale del termine, e pertanto legata al numero di sillabe e alla relativa posizione degli accenti forti, ma è relativa ad una determinata scansione di pensiero- immagine mentale-andamento ritmico, nel senso che ogni segmento coincide precisamente con una certa scansione di questo tipo o la contiene.

Non si può parlare dunque né di forma chiusa della tradizione, né tanto meno di verso sciolto, la cui nozione è sempre relativa alla struttura fisica, sillabica e accentuativa. Ecco che il testo, in termini socio-letterari, si fa luogo del conflitto delle forme e nascita di una nuova ipotesi testuale. Dal punto di vista teorico, credo sia importante soffermarmi sul rapporto tra poesia e metrica nel mio lavoro. La forma della mia scrittura non è una forma metrica, bensì spaziale, è «una formazione spaziale», occupa spazio ed è condizionata dallo spazio e, al contempo, lo condiziona. Lo spazio ha una natura poliedrica: è spazio ritmico, sonoro, visivo ed è spazio di pensiero. La struttura spaziale si compone di spazi vuoti e spazi pieni. Dal punto di vista grafico il vuoto della pagina diventa fondamentale: lo spazio vuoto, immagine mobile del silenzio, non è solo quello circostante, ma emerge anche all‘interno del testo verbale, creando intervalli tra locuzioni e a volte tra parole. I segmenti orientati sono interrotti da questo vuoto a cui do una certa misura e appaiono quasi posati o sparpagliati sul vuoto.

Lo spazio vuoto, campo di forze in posizione 0, immagine di un‘estensione indefinita, densa di probabilità, è spazio dei possibili: della possibile immaginazione, del possibile ritmo, del possibile pensiero.

Potrei definire la struttura formale dei miei testi, usando un'espressione di Simone Weil, «deformazione precisamente definita nello spazio», dove il termine «deformazione» è da me riferito alla forma metrica tradizionalmente intesa. Tale deformazione incide, riprendendo il linguaggio di Bourdieu, nelle scelte di campo, minando la mappatura delle categorie preesistenti.

Tale discorso implica una visione della genesi del testo letterario come luogo in cui ogni gesto testuale ha un implicito significato storico, sociale e al contempo conoscitivo: è produzione di forme sociali e di griglie conoscitive attraverso cui guardare e ripensare il mondo.

Il testo di letteratura di ricerca che, usando il linguaggio di Brunetière, è reazione ad azioni socialmente determinate e preesistenti (l’azione delle istituzioni, del mercato, delle imprese economiche ecc.), diviene un’officina in cui ripensare e ridefinire forme, idee, relazioni: il rapporto soggetto-mondo, il rapporto soggetto-linguaggio, il rapporto soggetto-conoscenza, il rapporto linguaggio-industria culturale.

Florinda Fusco

Note.

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