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Un’epoca malata

A Curtius non piace il suo tempo. Lo descrive infatti insistendo sui vocaboli che fanno riferimento alla malattia e al declino: è forse «andato a male qualcosa nel mondo?». Egli avverte la «confusione degli elementi», un «alito avvelenato», un «abisso»,5 mentre

2 Ivi, p. 859.

3 Ivi, p. 860.

4 Ivi, pp. 859 s., 862. 5 Ivi, p. 856.

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il piano di ripristino dell’ordine-ragione è definito come «un programma di guarigione spirituale».6 Curtius invoca l’ironia («anche essa è un aspetto della ragione perché

ripristina il cielo sereno del pensiero») contro la pratica psicanalitica: nell’inconscio abitano «mostri» e gli psicanalisti sono «gli ierofanti dei misteri oscuri, che analizzano l’anima nel sistema genitale». Costoro studiano «le secrezioni del corpo e dell’anima», fanno «fermentare i complessi con le schizofrenie» e mettono insieme «le ossessioni della pazzia» con «i messianismi comunisti».7 Curtius usa ripetutamente la parola «contagio» per indicare la diffusione della democrazia nel mondo spirituale e l’imperversare dello specialismo nell’arte e nella letteratura.8 È in corso un’epoca in cui le gioie si riducono a

«polvere del desiderio», le passioni a «crisi di nervi», le questioni vitali a «discussioni». Rappresenta «un sintomo pericoloso» che un’intera epoca veneri come oracolo «il balbettio» della gioventù.9

Negli ultimi decenni la vita culturale ha fatto una abbuffata di tutte le esperienze possibili, si è ceduto a tutti gli «stimoli». L’attuale modalità di produzione e ricezione spirituale non ha limiti né criteri di valore e questo costituisce un evidente segno di «debolezza». Curtius ritiene che si debba ricorrere all’«autocontrollo» di fronte a questa indiscriminata «alimentazione» spirituale: è necessario infatti «resistere agli stimoli», «differenziare le sensazioni» in base al loro valore ed evitare di «prosciugare» insensatamente le nostre «energie spirituali».10

I problemi politici e culturali del presente

Curtius ritiene che i tredici anni del dopoguerra abbiano avuto effetti negativi sulla vita culturale e politica tedesca. Le nuove mode, come il jazz, l’espressionismo, la nuova oggettività e la Schwarmgeisterei, si rivelano esperienze futili e passeggere. In ambito politico sono completamente falliti la democrazia («la democrazia ha deluso»11), il sistema parlamentare, le relazioni franco-tedesche, gli indennizzi e il disarmo, l’economia pianificata. Le nuove esperienze culturali e politiche hanno trasformato la Germania in

6 Ivi, p. 857. 7 Ivi, p. 858. 8 Ivi, pp. 859, 861. 9 Ivi, p. 858. 10 Ivi, p. 857.

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«un campo di macerie» innescando un processo di «recessione» talmente grave che a parere di Curtius le cose non potrebbero andare peggio.12

Egli considera i politici del suo tempo insopportabili, vero e proprio «ciarpame», persone dedite ai congressi e alle lotte di potere, indifferenti alla cultura e interessate solo all’economia.13 La capitale del Reich, Berlino, è priva di antica tradizione storica e di

carattere nazionale, vi domina la burocrazia e uno scadente milieu letterario.14 Il ceto borghese rinuncia a una compatta rappresentanza politica e abbandona le sue «posizioni culturali».15 Tutti i maggiori partiti trascurano la cultura e i giovani si lasciano manipolare dalla stampa delle associazioni e dei partiti politici.16

Demolire la Bildung significa danneggiare la qualità dell’insegnamento e diffondere un’«aria di svendita» nell’amministrazione dei beni culturali.17 Curtius ritiene

che esista un «vero odio» per la cultura, operante a livello politico e alimentato da gruppi di destra come di sinistra che hanno interesse ad assumere questo atteggiamento. 18 Anche certa psicanalisi aderisce all’odio per la cultura motivato politicamente. Curtius distingue la psicanalisi come «movimento spirituale» dalla rivista «Die psychoanalytische Bewegung», che a suo parere si fregia di un titolo ingannevole perché tratta solo di una «dogmatica fissata dal punto di vista politico, ideologico e associazionistico». È indispensabile pertanto salvaguardare il lavoro di ricerca di Freud dalla «scuola che lo monopolizza», e affrontare il suo naturalismo e le sue riflessioni su cultura, istinto e religione a livello «spirituale» e «certamente non politico».19 Anche se forse è impossibile

sconfiggere un atteggiamento profondo come l’odio, Curtius tuttavia è convinto che si debba in ogni caso combattere almeno contro «i suoi deliberati obiettivi politici».20

Curtius ritiene che il presente sia caratterizzato dal «caos» etico e spirituale. I beni dell’amore e della fede non animano la vita pubblica tedesca e neppure i «capolavori» del cinema, e se vi è qualche loro segno si tratta solo di sterili «comandi meccanici».21 Il cattolicesimo si è ridotto a una «organizzazione politica», il protestantesimo si perde «tra burocrazia ecclesiastica e discussioni professorali» e la fede è sostituita dal proliferare di 12 Ivi, p. 9. 13 Ivi, p. 18. 14 Ivi, p. 23. 15 Ivi, p. 18. 16 Ivi, p. 19. 17 Ivi, p. 19 n. 4. 18 Ivi, pp. 21, 24. 19 Ivi, p. 24. 20 Ivi, p. 25. 21 Ivi, pp. 25 s.

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scienze occulte ed eterodossie.22 Inoltre, a tutte le forme di discordia interna si aggiunge

la contrapposizione tra «un’idea tedesca puramente nazionale di Bildung» e «l’ideale umanistico».23

È importante sottolineare però che mettere in evidenza i problemi del suo tempo non significa mai per Curtius rifiutare il presente e la modernità oppure cercare rifugio nell’idealizzazione del passato. A questo proposito va ricordato che nella prefazione alla seconda edizione di Letteratura europea e Medio Evo latino Curtius farà sue le parole con cui George Saintsbury sottolinea la stretta e necessaria interdipendenza tra antico e moderno:

Ma per ciò che concerne la considerazione della visione d’insieme nel campo della letteratura vale l’assioma di Saintsbury: Ancient without Modern is a stumbling-block, Modern without Ancient is foolishness utter and irremediable [L’antico senza il moderno è solo un ostacolo, il moderno senza l’antico è stoltezza assoluta e irrimediabile].24

Tecnicizzare la democrazia e riunire il fronte unico europeo

La democrazia imperversa in ambito spirituale e politico; agli occhi di Curtius si identifica con l’anarchia, il principio opposto a quello dell’ordine-ragione. Come detto sopra, democrazia significa porre sullo stesso piano tutte le idee e le manifestazioni dell’intelletto, senza ordinarle in base a un giudizio di valore che escluda tutto ciò che non superi il severo vaglio della ragione. In ambito politico la democrazia corrisponde per Curtius al litigio parlamentare, alla presenza attiva dei partiti estremi e dei comunisti, alla corruzione, alla lotta per la tutela di interessi particolari e per la conquista del potere. Curtius tuttavia è consapevole che non sia più possibile abolire la democrazia, e se anche lo fosse egli non vorrebbe in nessun caso eliminarla poiché il sistema democratico è di fatto diventato una necessità. Egli tuttavia sostiene che esso vada drasticamente corretto per eliminarne tutti gli effetti negativi e che pertanto si debba «tecnicizzare la democrazia» privandola dei contenuti ideologici e dello scontro politico-sociale:

22 Ivi, p. 26.

23 Ivi, p. 31.

24 E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, Firenze, La Nuova Italia, 1992, qui p. 8; G. Saintsbury, A history of criticism and literary taste in Europe from the earliest texts to the present day, vol. 3, New York, Dodd, Mead, and Co., 1904, qui p. 40.

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Capiamoci bene! Non possiamo abolire la democrazia e non lo vorremmo, anche qualora potessimo farlo. Essa è una necessità tecnica. La si perfezionerà come le locomotive. Ma per entrambe [la democrazia e le locomotive] abbiamo solo un interesse tecnico. Necessitiamo di una tecnica della democrazia che funzioni con il minimo attrito. La dobbiamo addirittura promuovere. Infatti l’aristocrazia può divenire del tutto spirituale solo a patto che la democrazia sia completamente tecnicizzata. Il problema spirituale dell’aristocrazia si pone e diventa risolvibile se la democrazia raggiunge il suo maximum e il suo optimum nella sfera politica e sociale.25

Il compito dell’aristocrazia spirituale sarà quello di ricondurre l’Europa all’ordine- ragione, di recuperare cioè lo spirito che nel XIII secolo aveva proceduto alla «organizzazione del regno umano» diffondendo i valori dell’Europa del gotico. Anche nel XVII secolo lo spirito dell’ordine-ragione aveva elaborato forme efficaci per il governo del mondo, come Curtius spiega due anni dopo nel saggio Eliot als Kritiker. Il XVII secolo infatti è l’esatto opposto della repubblica laicistica francese: è l’epoca di Luigi XIV e della Francia monarchica e cattolica, che Curtius giudica una «straordinaria congiuntura storica» e una «ideale norma della ragione». La grandezza di quel periodo è testimoniata dal fatto che Jacques Bénigne Bossuet fosse il rappresentante politico- clericale dello stato monarchico e uno più grandi scrittori e che la letteratura nazionale si elevasse a validità classica.26

Curtius constata che è già diffuso in Europa «un ritorno al classicismo»: per la Francia fa i nomi di Jean Cocteau che esorta al retour à l’ordre e di Henri Massis che vuole associare insieme latinità e tomismo, mentre per l’Inghilterra ricorda gli sforzi del «Monthly Criterion» di Thomas Stearns Eliot; si tratta tuttavia di casi isolati che devono convergere in «un fronte unico europeo».27 Nel progetto di Curtius questa aristocrazia dovrà essere affiancata dagli «specialisti con una mentalità universale», uomini cioè dotati di alte competenze nel campo della politica, della finanza, dell’industria, della scienza e dell’arte ma anche di «uno sguardo prospettico sull’intera situazione o sull’epoca».28 Tutti coloro che non vogliono cedere all’americanismo o al bolscevismo

devono partecipare alla restaurazione spirituale e politica dell’Europa ed «essere tutti architetti: costruttori d’Europa che misurano, che calcolano, che dispongono».29

25 E. R. Curtius, Restauration der Vernunft, cit., p. 859.

26 E. R. Curtius, T.S. Eliot als Kritiker, in «Die Literatur», 32, 1929, pp. 11-15, qui p. 13. 27 E. R. Curtius, Restauration der Vernunft, cit., pp. 856 s.

28 Ivi, p. 861. 29 Ivi, p. 862.

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La religione eterna e la surrealtà

Nel 1927, nello stesso anno dell’articolo Die Restauration der Vernunft, Curtius pubblica la traduzione di The Waste Land e l’articolo Thomas S. Eliot,30 nel quale elabora un’articolata riflessione religiosa. Egli recupera la componente vitalistica delle religioni antiche, che abbracciavano in sé il cosmo (sia nelle manifestazioni materiali che in quelle immateriali) e l’esperienza umana. Le loro tracce si sono prolungate attraverso i millenni fino a noi in forma di eresie, sette segrete, tradizioni e leggende.31 La Chiesa ha cercato di estirpare in ogni modo i resti di questa religiosità, ma non le è stato possibile distruggere tutto: «rinasceva sempre, senza interruzione, la nostalgia dei misteri, di un dogma religioso che chiudesse in sé con lo spirito anche la natura, di un’iniziazione nuova al culto delle potenze della vita».32 Curtius ritiene che a questa nostalgia alluda Goethe nei Geheimnissen, nel ringiovanimento di Faust e nella discesa alle Madri e Novalis nei suoi Hymnen an die Nacht:

[Negli Hymnen Novalis] annuncia un cristianesimo in cui l’entusiasmo dionisiaco si fonde con la devozione cattolica a Maria; un cristianesimo che non solo conserva ma realizza per la prima volta tutta la bellezza dell’Ellade e tutta la saggezza dell’Oriente […] E quel terzo regno, quell’eterno Vangelo del Cristianesimo che splendeva come meta luminosa per le eresie antiche e medievali.33

Negli ultimi cento anni la scienza ha riportato alla luce molti elementi delle religioni antiche (Adolf von Harnack, Jacob Grimm, Wilhelm Mannhardt, James G.

30 E. R. Curtius, Thomas S. Eliot, I, in Id., Letteratura della letteratura, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 121-135. All’inizio di questo articolo Curtius svolge alcune interessanti osservazioni sulla critica letteraria, che a suo parere si basa fondamentalmente sull’intuizione ed «è un atto di libertà creatrice dello spirito». All’intuizione segue la motivazione, che però risulta «convincente solo per chi sente allo stesso modo». La critica è un atto «irrazionale» che «non vuole mai dimostrare, vuole solo indicare» e presuppone «che il mondo intellettuale sia ordinato per sistemi di affinità» (ivi, p. 123). Questo giudizio di Curtius sulla critica può in qualche modo spiegare il suo atteggiamento verso il pubblico del Deutscher Geist in Gefahr. Egli infatti non argomenta le proprie idee, e neppure cerca di convincere i suoi lettori, ma semplicemente presenta con fervore il proprio pensiero e presuppone che i suoi interlocutori siano animati dai medesimi sentimenti. 31 Ivi, pp.125 s.

32 Curtius condivide il giudizio di Hermann von Soden («l’eresia non è la caricatura, ma la componente del cattolicesimo») e ritiene che se ne «potrebbe senz’altro dedurre che bisogna essere cattolici ed eretici nello stesso tempo» (ivi, p. 126 e n. 12), approdando così a una esperienza totale, e quindi mistica, di religiosità. Curtius vuole recuperare le forme di eresia che la chiesa ufficiale ha cercato di sradicare e che conservano le tracce della antica religiosità del mondo pagano, poiché esse non sono in contraddizione con il cristianesimo, ma vi si uniscono attraverso un processo di «integrazione» (ivi, pp. 130 s).

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Frazer, Jane Harrison, Jessie L. Weston).34 Il lavoro dei moderni storici delle religioni si

svolge «nello spirito della scienza moderna, che nelle sue forme di liberalismo, storicismo, positivismo, è essenzialmente irreligioso o per lo meno religioso nel senso attenuato della morale». Il materiale portato alla luce dagli studiosi «una volta, era vivo, le credenze erano certezze, questi riti erano operanti e questi misteri la porta attraverso la quale il mistico saliva a una vita superiore». Queste scoperte non sono altro che le tracce frammentarie di una religione praticata a livello di comunità, attraverso la quale era garantito il percorso di iniziazione dei nuovi adepti:

I monumenti della storia della religione non sono altro che le vestigia […] di una vita che si sentiva religiosamente reale solo nella comunità dei credenti e nel culto, e si compiva nell’iniziazione, nell’apoteosi, nell’estasi, nel superamento della vita e della morte. Sono le testimonianze di un’umanità, che era ancora legata alla terra e alle stelle, e possono svelare il loro significato soltanto a chi ha conservato qualcosa delle primitive forze religiose anche in questi “tempi senza divinità” […] Assomigliano a bulbi accartocciati di fiori che possono aprirsi e rifiorire se piantati nel grembo profondo e caldo della terra materna. Questa terra nutrice è l’anima del poeta.35

Curtius ritiene che le «primitive forze religiose» si risveglino nell’anima del poeta, anche di quello che partecipa in pieno alla prosaica e spesso squallida realtà del mondo moderno,36 dove l’anima, «Psyche», continua a vivere e ad anelare a Dio confrontandosi spaventata con il mistero della morte e cercando corrispondenze nelle età passate se non le trova nel suo tempo. Secondo Curtius dunque Eliot «ha ritrovato, nella nostra epoca americanizzata, […] la forma primitiva del simbolismo religioso e l’ha usata per esprimere la passione e la nostalgia di Psyche».37 Curtius è affascinato dal fatto che nello spirito «sensibile e ricettivo» del poeta Eliot, a partire dalla ricerca storico-filologica di quegli anni, «possa fiorire la pianta miracolosa della religione eterna».38

La religione rappresenta per Curtius l’«integrazione» fra l’esistenza umana, l’eterna trascendenza del cosmo e l’ordine che le regola, ed egli ne trova un esempio nell’omogeneità della setta gnostica dei Naasseni che inglobano nella loro comunità religiosa apporti di varia origine:

34 Ivi, pp. 126 s.

35 Ivi, p. 127. 36 Ivi, pp. 127 s.

37 Ivi, p. 128. Il discorso sull’anima è un aspetto importante del pensiero di Curtius perché la dimensione religiosa consente all’anima di rimanere la parte irriducibile, unica, assolutamente libera e indivisibile dell’uomo.

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Ciò che è interessante dal punto di vista religioso è che questo testo riflette l’esperienza di una comunità esoterica pagano-cristiana; un’esperienza omogenea, anche se ha attinto a numerose fonti i suoi elementi. Quello che storicamente è sincretismo, diventa nella fenomenologia una complexio oppositorum, un’unità nella molteplicità, una vita. E di quest’antichissima vita misterica, l’ultimo – o per il momento ultimo – sedimento letterario è la leggenda del Gral.39

Curtius pensa che sia in corso una nuova era organica, sintetica e universale,40 in

cui finalmente l’uomo si ricongiunge, dopo secoli di scissione, alla totalità della sua esperienza umana, che è prima di tutto unione di anima e corpo:

Definire tutto ciò materialismo sarebbe un enorme equivoco. Materialismo e spiritualismo non sono più opposti, per noi. Quale dei nostri poeti di oggi separerebbe ancora corpo e anima? Forse proprio questa separazione che sembrò così certa e sicura per i secoli passati, è stata il segno di una decadenza. E forse proprio nel fatto che oggi non vale più per noi, sta la realtà, il formarsi di un nuovo tipo d’uomo che ha riconquistato la totalità. Chi oggi non vuole vedere ancora la realtà, la miseria e la bellezza di quest’unità di anima-corpo in cui siamo immersi, potrà dirci ben poco.41

Questo anelito alla totalità mira a una sintesi del cosmo che superi tutte le differenze tra reale e irreale, tra vita e morte, maschio e femmina, presente e passato. L’essere infatti è costituito da una molteplicità di piani che vanno oltre il reale e che Curtius chiama «surrealtà», con cui il poeta moderno è in contatto attraverso il processo di formazione della «sintetica coscienza nuova»; il culmine di questo percorso di integrazione è il raggiungimento della dimensione mistica:

Già in Eliot le pene della morte sono rischiarate debolmente dalla luce mattutina di una coscienza nuova, voglio dire da quella sintetica coscienza nuova del nostro tempo, che si sa al di là di ogni opposizione ed è in fondo una coscienza mistica42 […] Colui i cui sentimenti sono in accordo con i grandi ritmi vegetativi, colui la cui passione dolorosa si riconosce nella passione degli antichi dèi della vegetazione, è passato oltre le porte della

39 Ivi, p. 131.

40 Nell’articolo Restauration der Vernunft Curtius dice che la «ricostruzione» della ragione permetterà di vedere «il nostro tempo» non più «come “transizione”», ma di «trasformarlo con determinazione da “âge critique” in “âge organique”» (E. R. Curtius, Restauration der Vernunft, cit., p. 857). In questa nuova era totale Curtius auspica che abbia un ruolo decisivo un’attività della critica che unisca «intuizione e intelligenza» (E. R. Curtius, Thomas S. Eliot, I, cit., p. 123): «È sperabile che sia un fenomeno anche tedesco, e non solo dell’Europa occidentale, la nuova feconda funzione della critica nell’economia delle energie intellettuali del nostro tempo. Non può essere altrimenti, se vogliamo accettarlo, questo tempo, con la sua illuminazione di coscienze, con il suo sincretismo, con la sua ecumenica civiltà universale in divenire» (ivi, p. 124).

41 Ivi, p. 132. 42 Ivi, p. 133.

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morte nel regno dell’aldilà. Per lui, vita e morte non sono più opposti. Conosce il terzo termine che non è “Al mattino l’ombra che ti segue – né alla sera l’ombra che ti incontra”. Le antiche separazioni non sono più valide, passato e presente sono contemporanei. Il veggente, che sedeva davanti alle porte di Tebe, è lo stesso che si trova oggi nella misera camera di una dattilografa londinese. Lui, Tiresia, ha sperimentato in se stesso il mutare dei tempi e il mutare dei sessi: “venus huic erat utraque nota”; sa che anche la distinzione fra uomo e donna non è nulla di definitivo. Il primo uomo – Adamo come l’anthropos degli gnostici – l’ignorava. L’individuazione è inganno. […] Ma anche quest’ultima opposizione di “reale” e “irreale” deve venir abolita. Ciò che è irreale non deve essere necessariamente fittizio, appartiene semplicemente a un altro piano dell’essere. Ce ne sono molti. Il poeta moderno ha confidenza con questa surrealtà.43

Curtius celebra l’Umanesimo in termini religiosi

Nell’introduzione Curtius chiarisce in modo netto l’impostazione del Deutscher

Geist in Gefahr. Vi si vuole parlare dei pericoli a cui è esposto lo spirito tedesco in nome

della «fede» nella Germania e nello «spirito universale». Il lettore che non fosse animato da questa «doppia fede» può già da subito mettere da parte il volume.44 Curtius seleziona

dunque in termini netti e apodittici i destinatari della sua opera e non intende persuadere chi avesse convinzioni diverse. Il libro infatti è rivolto a coloro che già condividono i medesimi valori e che dunque sono in grado di comprendere e apprezzare l’elogio dell’«Umanesimo religioso». Le basi che reggono l’esposizione di Curtius (la fede, lo spirito universale, le «certezze» «valide per la Germania e non solo»45) poggiano al di fuori dell’esercizio della ragione e il loro orizzonte intellettuale è rappresentato dalla drastica contrapposizione di «odio» e «amore», due stati psichici di forte connotazione emozionale che si sottraggono alla riflessione critica. Il discorso di Curtius si sviluppa in toni marcatamente religiosi (alle idee di fede, spirito universale, certezze, si aggiungono i concetti di salvezza, eternità, trascendenza, benedizioni, consacrazione, santificazione, rito, venerazione, riverenza, dimensione mistica, iniziazione, mistero), e chiama in causa domande esistenziali assolute come il senso della vita e della morte, del bello e del vero, alle quali può dare risposte l’«Umanesimo religioso», ma non il pensiero razionale.

Curtius distingue dall’istruzione professionale e dal sapere formativo (Bildungswissen) il vero e proprio «sapere salvifico», che è in grado di dominare le