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Nell’articolo Eliot als Kritiker del 1929 Curtius delinea un profilo del pensiero conservatore del suo tempo attraverso alcuni paragoni con la rivoluzione francese. Di fronte agli istinti scatenati che imperversano in Germania, i «portatori dello spirito» si arrendono come la nobiltà francese il 4 agosto 1789: alcuni si lasciano contagiare dalla demagogia delle forze ribelli e sono pronti a «rinnegare» «i privilegi dello spirito» a favore della «vita», altri si isolano e riflettono mentre fuori imperversa la «baraonda» e «il furor lasciato libero minaccia la loro esistenza». Ve ne sono però altri ancora che difendono «il diritto e l’onore dello spirito» e per questo accettano la sfida di impegnarsi sul piano politico.

La «politicizzazione dello spirito» è un fatto nuovo per la Germania, a cui gli intellettuali non hanno ancora fornito una risposta adeguata, a differenza dei loro colleghi europei, costretti dalla rivoluzione francese a prendere una «decisione politica» a favore dello spirito, cioè a dichiarare pubblicamente con quali mezzi lo si tutela e come invece lo si nega: «i portatori dell’intelligenza si facevano e si fanno la domanda: da quale parte stiamo nella lotta politica per il potere? Dove sono garantiti meglio il diritto e il nucleo dell’intelligenza?». Curtius ritiene che Antoine deRivarol sia il capostipite del moderno pensiero conservatore e ne cita le parole del 1795 sulla necessità che gli intellettuali accettino la sfida dell’impegno politico:

145 Ivi, p. 91.

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“Quando una rivoluzione inaudita scuote le colonne del mondo, come occuparsi di altre cose? La politica è tutto; essa invade tutto, riempie tutto, attira tutto: non ci sono più pensieri, interessi e passioni che non siano legati alla politica. Se uno scrittore ha una qualche consapevolezza del suo talento, se egli aspira a raddrizzare o a dominare il suo secolo, in una parola se egli vuole afferrare lo scettro del pensiero, egli non può e non deve scrivere che sulla politica”.147

Nel XVIII secolo, prima della rivoluzione francese, i migliori intellettuali si erano messi al servizio dell’Illuminismo,148 mentre nel XIX e XX secolo si trovano dalla parte

opposta, come Hegel, Nietzsche, Saint-Beuve e Georges Sorel. All’inizio del XX secolo il primo a interrogarsi in chiave politica sul senso dell’intelligenza è Charles Maurras nel suo libro L’avenir de l’intelligence, che per la tutela politica dello spirito (come già Auguste Comte e poi Léon Daudet) propone di ritornare alla monarchia francese e di stringersi attorno alla chiesa romana vista come baluardo del «principio dell’ordine» (Ordnungsgedanken):

Tuttavia la soluzione di Maurras, il ripristino della monarchia francese, è fatta a misura della Francia. Questa è una delle contraddizioni della sua filosofia: una politica dello spirito deve essere universale per necessità interna. A dire il vero il momento universale è presente anche in Maurras attraverso il sostegno politico, da lui caldeggiato, alla chiesa romana percepita come baluardo del principio dell’ordine.149

Curtius sostiene che tutti i settori dell’intellighenzia radicale di sinistra, compreso il gruppo Clarté di Barbusse, abbiano affrontato il problema della tutela dello spirito in modo deludente e fallimentare. Il ruolo dell’intellighenzia è inconciliabile con la dittatura del proletariato, perché «ha bisogno di libertà, e la trova sotto Mussolini più facilmente che sotto il Komintern»; più di tutto però ha bisogno «del contatto con il proprio passato» e questo è possibile solo attraverso una visione conservatrice:

Non ci può essere spirito senza la consapevolezza della continuità storica […] Tutte le forme di vita spirituale, discussione critica creatività, sono per loro natura legate alla consistenza e alla continuità della tradizione spirituale. E questo può essere il motivo per cui l’intellighenzia per una sua costrizione organica deve, o dovrebbe, pensare in modo conservatore.150

147 E. R. Curtius, T.S. Eliot als Kritiker, cit., p. 11. 148 «del disfacimento» precisa Curtius.

149 E. R. Curtius, T.S. Eliot als Kritiker, cit., p. 11. 150 Ivi, p. 12.

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Se nel mondo di lingua tedesca il principale punto di riferimento del pensiero conservatore è costituito dal discorso Gli scritti come spazio spirituale della nazione di Hofmannsthal, in Inghilterra esso è rappresentato dalle opere di Eliot e dalla rivista «The Criterion». Curtius fa notare come Eliot sia passato «dalla poesia alla politica»: infatti il primo volume critico di Eliot è The Sacred Wood (1920) descritto dal sottotitolo Essays

on poetry and criticism e ispirato al pensiero di Remy de Gourmonts,151 mentre l’ultimo,

For Lancelot Andrewes (1928), è presentato come Essays on Style and Order ed è

fortemente influenzato da Maurras e dai suoi seguaci. Eliot è convinto che la vita dello spirito dipenda da condizioni esistenziali di tipo politico e ideologico e dal «dominio di “ragione” e “ordine”».152 Il punto di vista che Eliot delinea in Lancelot Andrewes viene

definito da Curtius come «il progetto di una politica spirituale controrivoluzionaria», il cui orientamento è «classicistico nella letteratura, monarchico in politica e anglocattolico in religione».153 Curtius vede in Eliot «uno dei giudici e custodi incorruttibili, che da diverse postazioni lavorano alla medesima opera: la restaurazione dello spirito occidentale».154 Eliot da parte sua pubblica sul «Criterion» un giudizio molto positivo del

Deutscher Geist in Gefahr definendolo come «la migliore spiegazione della posizione

“umanistica”» che egli avesse mai letto, perché vede nello scritto di Curtius la difesa di un Umanesimo religioso ostile agli elementi «stranieri».155

151 «al quale si rende già abbastanza onore, quando lo si annovera nella famiglia spirituale di Bayle e Diderot» osserva Curtius (ivi, p. 12).

152 Curtius precisa che la restaurazione dei valori di ragione e ordine è fondamentale nel pensiero di Maurras (ivi, p. 13).

153 Curtius spiega che l’anglocattolicesimo per gli inglesi di conio cattolico e di spirito intransigente non si spinge abbastanza in direzione della chiesa romana. I più ragguardevoli fra questi inglesi si convertono alla chiesa cattolica perché la via media dell’anglocattolicesimo non soddisfa «il loro bisogno di una assoluta verità di fede». Curtius ritiene che il caso del cardinale John Henry Newman sia un chiaro esempio di questo fenomeno (ivi, p. 14).

154 Ivi, pp. 12 s. In questo articolo Curtius fa un piccolo appunto a Eliot. Dice che la cosa migliore che la letteratura inglese possa offrire agli europei continentali sono prima di tutto i suoi geni indipendenti, i suoi grandi nonconformisti, proprio quelli che Eliot rifiuta: John Keats e Percy Bysshe Schelley, Charles Dickens, Walter Pater, George Meredith (ivi, p. 15).

155 Mark Anderson, La restauration de la décadence: Curtius et T. S. Eliot, in Ernst Robert

Curtius et l’idée d’Europe, cit., pp. 167-181, qui p. 178. Anderson nel 1995 si occupa delle affinità che corrono tra Curtius e Eliot, entrambi impegnati a contrastare l’americanizzazione dell’Europa, la volgarità del materialismo e la fine dei valori aristocratici e religiosi (ivi, pp. 167 s.). Anderson ritiene di scorgere in Curtius i medesimi sentimenti fortemente conservatori e talvolta anche xenofobi e reazionari di Eliot e vede nel Deutscher Geist in Gefahr un’espressione di acceso nazionalismo tedesco (ivi, pp. 174-178). Pensa inoltre che Curtius sviluppi l’«idea di Roma» e la propria impostazione estetico-politica attraverso la relazione intellettuale con Eliot, con il quale condividerebbe una incondizionata ammirazione per Maurras, «con tutto il carico aristocratico e antidemocratico che questa comporta» (ivi, pp. 167 sgg., in particolare p. 169).

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Curtius si rifà al pensiero conservatore protoromantico

Dirk Hoeges, allo scopo di illustrare l’ammirazione di Curtius per Adam Müller, cita una lettera indirizzata nel 1922 a Carl Schmitt, nella quale Curtius descrive quegli aspetti del pensiero di Müller che riconosce come elementi fondamentali e imprescindibili della propria concezione storico-filosofica: visione universale ed europea, volontà ordinatrice, rispetto della tradizione, libertà dell’intelletto, volontà di conoscere il carattere tedesco:

Una critica creativa e universalistica, il lampo di genio tedesco che si inserisce nell’umanità [Humanität] e nella tradizione europea.156 Un omaggio a Goethe di altissimo livello e tuttavia carico di libera indipendenza, che mi ha affascinato. Un tentativo di arrivare a una comprensione di sé della natura tedesca. Penso che questi siano titoli di gloria immortali, e che la Germania sia stata molto ingrata.157

Hoeges sottolinea che la «triade» di Curtius «Germania-Europa-Humanität» è modellata sulla scorta delle riflessioni di Müller, nelle quali Curtius trova un ulteriore concetto decisivo, quello di «totalità».158

Müller ricorda che nei momenti difficili bisogna rimanere saldamente ancorati allo spirito nazionale tedesco perché in questo modo si contribuisce non solo all’armonia della Germania, ma anche a quella di tutti coloro che si riconoscono nella «comunità culturale» europea:

[…] incitare il sentimento nazionale e rinnovare la coscienza della grandezza nazionale non è mai tanto necessario quanto nei momenti in cui la comunità è sconvolta. Il ricordo di ciò che lo spirito tedesco ha potuto e la prospettiva verso ciò a cui lo spirito tedesco tende, conforterà non solo i tedeschi ma chiunque che sia legato alla grande comunità culturale [Bildungs-Gemeinschaft] della nostra parte di mondo.159

156 ein Einordnen deutschen Geistesblitzes in europäische Humanität und Tradition.

157 Lettera di Curtius a Carl Schmitt del 13.1.1922 in R. Nagel [ed.], Briefe von E. R. Curtius an

Carl Schmitt (1921/22), in «Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen», 218, 1981, pp. 1-15, qui p. 11; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, Frankfurt am Main, Fischer Verlag, 1994, qui pp. 169, 201 n. 82.

158 Ivi, p. 170.

159 A. Müller, Vorlesungen über die deutsche Wissenschaft und Literatur, München, Drei Masken Verlag, 1920, pp. 5 s; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., pp. 170 s., 201 n. 85.

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In una lettera a Schmitt del 1921 Curtius scrive che secondo il pensiero di Müller lo spirito tedesco esprime la sua dimensione di «totalità» e «universalità» assolvendo al suo compito di «mediazione»:

La costituzionale incertezza dei tedeschi ha spesso qualcosa di irritante […] ma ancora: accentuata in modo diverso essa è solo il rovescio della totalità e dell’universalità, che Adam Müller ha fissato tra le caratteristiche dello spirito tedesco. A questo scopo il suo concetto della “mediazione”.160

Hoeges osserva che nel concetto di mediazione è contenuta la prospettiva romantica di una generale unione dei contrasti. «La storia è mediazione» è il nucleo della prospettiva storica di Müller, che secondo Hoeges è caratterizzata più da «globalismo retorico» che da «precisione concettuale»: Müller infatti colloca sempre in un rapporto discorsivo punti di vista fra loro contrastanti e pone tutto in mediazione con tutto, ma così facendo il concetto di mediazione risulta tale che vi si può ricorrere in modo puramente soggettivo. Dal dato di fatto universale della mediazione può essere dedotto un «incarico di mediazione», cioè un’idea di se stessi come di mediatori.161 Colui che agisce in questo senso appare allora, secondo Hoeges, come figura «incaricata della realizzazione del corrispondente ordine universale», come «l’esegeta e l’araldo» che in tempi difficili si fa portatore «del vero pensiero e di tempi migliori nel passato e nel futuro». A parere di Hoeges esattamente in questo modo Curtius percepisce il proprio compito.162

Nelle sue lezioni Müller dice di avere con la storia un rapporto concreto e non esclusivamente teorico e vede se stesso come l’anello «attivo» di una catena che lega insieme il passato e il futuro. Tale condizione di «attività» consente anche la padronanza del linguaggio storico e la capacità di considerare la storia con occhi liberi e indipendenti. In questo modo la storia diventa un patrimonio costruttivo in grado di opporsi a qualunque «forza distruttrice»:

Non posso essere un osservatore assoluto, ozioso, che si tira fuori dalle maglie della storia. Per me la storia è importante, e conosco la storia, perché vedo me stesso collegato a essa […] e perché, dopo così tante direzioni, mi sento reagire al futuro e al passato. Ma siccome osservo la storia attraverso una attività libera, in questo modo capisco la storia, e siccome agisco con occhi aperti e puri, la mia critica può incalzare ogni forza distruttrice

160 Lettera di Curtius a Carl Schmitt del 13.1.1922 in R. Nagel, [ed.], Briefe von E. R. Curtius an

Carl Schmitt (1921/22), cit., p. 7; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., pp. 171, 201 n. 86.

161 Ivi, p. 171. 162 Ivi, pp. 171 s.

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con le armi della storia. Solo l’agire chiaro ed evidente è un agire forte; solo l’osservazione attiva è una vera osservazione.163

Müller sostiene che cogliere l’aspetto di mediazione nella storia significa afferrare il legame tra l’ordine della natura e la «libertà» dell’agire e del giudizio umano:

Così nella storia che media si uniscono la storia e la critica, la legge della natura e la legge della libertà. La si chiami storia della società o storia delle scienze, storia dei bisogni […] o storia dell’arte (dove la natura ubbidisce alla libertà dell’uomo): entrambe sono la medesima cosa. Il vero storiografo è profeta e storico nello stesso tempo; figlio ubbidiente del passato perché nel ruolo di padre vuole dominare il futuro. Solo nella tradizione vive la lettera, e la lettera rafforza la tradizione.164

Hoeges mette in rilievo come l’ultima frase di Müller citata sopra rispecchi un pensiero fondamentale di Letteratura europea e Medio Evo latino. Essa rappresenta infatti uno dei punti cardinali che orientano tutto il lavoro di Curtius: «mediante lo strumento della tradizione letteraria, lo spirito europeo rimane consapevole di se stesso attraverso i millenni».165

In Die Elemente der Staatskunst Müller osserva che «come tutte le scienze superiori, così anche le scienze dello stato vogliono essere vissute, non solo riconosciute o imparate» poiché l’ermeneutica binaria di «comprensione e spiegazione» ha il suo punto debole nel fatto di essere un processo puramente razionale. Il Romanticismo e Müller invece elaborano e legittimano l’ermeneutica ternaria fatta propria anche da Curtius, quella cioè di «esperienza-comprensione-spiegazione». La capacità di esercitare questa pratica diventa in Curtius segno caratteristico dello spirito tedesco e degli «happy few» che lo incarnano. Conoscere attraverso l’esperienza e la mediazione rappresenta quel processo ermeneutico da cui nasce «l’uomo totale», l’unico capace di abbracciare la conoscenza «del tutto». Hoeges aggiunge che questa impostazione di pensiero può facilmente assorbire le idee di tutte le Lebensphilosophien, da Wilhelm Dilthey fino a Henri Bergson e Max Scheler.166

163 Ivi, pp. 172, 201 n. 89; A. Müller, Vorlesungen über die deutsche Wissenschaft und Literatur cit., p. 149.

164 Ivi, pp. 149 s.; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl

Mannheim, cit., pp. 172, 201 n. 90.

165 E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 437; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., pp. 172 s., 201 n. 91.

166 Ivi, p. 173. Hoeges osserva che l’eclettismo filosofico di Curtius è certo dipanabile, ma che il suo utilizzo di tutte le possibili Lebensphilosophien è arbitrario. Egli non è vincolato in modo stringente né a Bergson né a Scheler, come invece ritengono Wolf Lepenies o Hans Manfred

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Lo scritto di abilitazione di Mannheim del 1925 si intitola Altkonservatismus. Ein

Beitrag zur Soziologie des Wissens. Chiamato a esprimere una valutazione su questo

lavoro in qualità di membro della commissione esaminatrice, Curtius si astiene dicendo di non avere avuto abbastanza tempo per leggerlo con attenzione. Uno dei rappresentanti del vecchio conservatorismo tedesco a cui Mannheim dedica una parte consistente del suo studio è Müller. Hoeges rintraccia nel ragionamento di Mannheim su Müller quegli aspetti che aiutano a capire la stretta relazione fra quest’ultimo e Curtius.

Mannheim spiega che Die Elemente der Staatskunst di Müller si rivolgono a destinatari appartenenti alla vecchia aristocrazia di corte. Nel farsi interprete di questa società, Müller collega il pensiero romantico a quello della vecchia aristocrazia: «qui confluiscono – osserva Mannheim – due stili di pensiero, tra i quali vi è una stretta parentela, promossi da una situazione di vita esterna, e diventano una cosa sola».167 L’analisi e la condanna della rivoluzione francese formulate da Edmund Burke vengono fatte proprie da Müller e utilizzate per restituire stabilità alla disorientata idea che il ceto aristocratico aveva di sé. Storia, continuità, tradizione e divenire sono i concetti decisivi che Burke fornisce a Müller. Essi costituiscono la struttura portante dell’«atteggiamento specificamente conservatore» di Müller e a parere di Mannheim si fondono con la tendenza protoromantica al panteismo, secondo la quale il Vivente e il Divino pulsano in ogni vena della storia. Questo tipo di coscienza si insinua nella astratta indeterminatezza della razionalità illuminista, la cui tensione non è meno universale, ma è priva della «esperienza» soggettiva e vitale e della partecipazione al tutto, che guardano a orizzonti più lontani di quanto non faccia la razionalità dell’Illuminismo. Mannheim riconosce nel panteismo protoromantico l’origine di un pensiero dinamico, che non vuole solo «descrivere, ma anche essere coinvolto» (corsivo di Hoeges). Questo «panteismo

Bock; Hoeges infatti osserva che Bergson e Scheler non si occupano quasi mai di Müller; cfr. W. Lepenies, Die drei Kulturen. Soziologie zwischen Literatur und Wissenschaft, München-Wien, Carl Hanser, 1985, pp. 377 sgg.; H. M. Bock, Die Politik des Unpolitischen. Zu E. R. Curtius Ort im politisch-intellektuellen Leben der Weimarer Republik, in «Lendemains», 59, 1990, pp. 16-61, qui p. 40; Hoeges osserva che Bock vede bene quando annovera la lettura di Müller fra quelle che hanno scosso più in profondità Curtius (D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., pp. 201 s. n. 94).

167 K. Mannheim, Konservatismus. Ein Beitrag zur Soziologie des Wissens. Herausgegeben von David Kettler, Volker Meja und Nico Stehr, Frankfurt, Suhrkamp, 1984, p. 153; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., p. 136 n.35.

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storico», che caratterizza il XIX secolo, «trasferisce la culminazione del Vivente nello Storico»168 e fa della storia uno spazio di vita universale.169

Secondo Mannheim dunque il pensiero di Müller realizza il connubio fra il panteismo protoromantico e la visione controrivoluzionaria della storia elaborata da Burke, dominata dall’idea di «continuità» e ritenuta da Mannheim il nucleo fondamentale del pensiero conservatore. Infatti attraverso il concetto di continuità storica il passato e il presente vengono posti in un rapporto di mediazione: il presente da una parte custodisce e difende il divenuto, dall’altra continua a formarlo e a svilupparlo nel tempo. Il rapporto simpatetico con il passato conduce a un’enfatica idea di se stessi nel presente. Questa idea riceve una conferma di sé dalla dinamica trans-storica della vita, in cui il presente costituisce una fase del processo universale del divenire, nel quale i tempi arrivano a corrispondersi.

Mannheim ritiene che questo storicismo sia di origine conservatrice e costituisca la base comune tanto dell’idea di continuità di Burke, quanto del tradizionalismo francese e dello storicismo tedesco. Burke contesta il progetto razionale sul mondo portato avanti dalla rivoluzione, un progetto a suo parere superfluo poiché «i Francesi potevano trovare tutti i vantaggi nei loro vecchi ceti». La rottura con il passato, la pretesa di autonomia dell’uomo e la cesura tra il presente rivoluzionario e il passato prerivoluzionario costituiscono il peccato originale della rivoluzione del 1789.170

Per Mannheim è fondamentale capire quale concreto interesse abbia generato le idee guida («tradizione» e «continuità») di questo pensiero conservatore.171 A suo parere è determinante l’insorgere di una condizione di insicurezza sociale e la perdita di una posizione di dominio:

Se determinati ceti non si fossero sentiti minacciati nella loro esistenza sociale e se non avessero fatto l’esperienza della possibilità del tramonto del loro mondo, non si sarebbe neppure realizzata quella relazione viva, nella quale viene simpateticamente colto il divenire della forma storica.172

168 K. Mannheim, Konservatismus. Ein Beitrag zur Soziologie des Wissens, cit., p. 151; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., p. 136 n. 36. 169 Ivi, p. 103.

170 Ivi, p. 104. 171 Ivi, pp. 104 s.

172 K. Mannheim, Konservatismus. Ein Beitrag zur Soziologie des Wissens, cit., p. 156; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., pp. 105, 136 n. 38.

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Anche l’individuazione del Medioevo, e del suo lato «cavalleresco», come età dell’oro è un prodotto «della fantasia nobiliare» e nasce per Mannheim dal bisogno di sicurezza dell’aristocrazia: già in Burke, e poi in Müller, la continuità con il Medioevo è unicamente una continuità aristocratica.173

Ernst Robert Curtius ed Ernst Troeltsch

Nel quinto capitolo del Deutscher Geist in Gefahr Curtius illustra in modo esteso la concezione storica di Ernst Troeltsch, il cui aspetto principale risiede nella ininterrotta continuità fra l’antico e il nuovo che inizia nel Medioevo con il costituirsi degli stati nazionali. Questo unico e straordinario groviglio di mondo antico e mondo moderno, questa relazione così piena di legami e contrasti costituisce l’essenza della cultura europea:

“Il nostro mondo europeo, dice Ernst Troeltsch, non si fonda sulla ricezione o sul distacco dall’Antichità, ma fa tutt’uno con essa in modo continuato e nello stesso tempo