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Per il confronto spirituale Curtius invoca uno spazio completamente separato dalla violenza degli scontri fra partiti politici; il fatto che esso manchi rappresenta la conseguenza del completo sovvertimento di ciò che è «giusto»:

La volontà di custodire ordini spirituali è pericolosamente minacciata nella Germania di oggi. Il “capovolgimento e l’oscuramento del giusto”182 ha raggiunto un grado equivalente alla cecità. Sì, non esiste quasi più un foro nel quale incontrarsi per la discussione pubblica dei nostri problemi culturali. Tra le formazioni di lotta dei partiti, delle associazioni, delle federazioni e dei circoli non c’è più nessuno spazio libero per l’autonomia dello spirito.

Curtius esclude categoricamente che il comunismo possa custodire la tradizione della cultura occidentale e, anche se non a priori né in modo assoluto, ritiene che neppure il socialismo possa assolvere questo compito: «che il comunismo non abbia nessuno spazio per la cura della nostra eredità culturale, è ovvio, mentre per il socialismo questo non dovrebbe valere in sé. Tuttavia qui la situazione non è ancora chiarita, per non dire: disperata e avvilente».183 Poco più avanti osserva che nessuno schieramento politico si

preoccupa di «curare i beni spirituali nazionali», solo il partito cattolico Zentrum, per la «sua particolare posizione ideologica», avrebbe la possibilità di accogliere in sé degli «obiettivi spirituali» e di fatto è l’unica formazione a schierarsi in difesa della scienza e della ricerca così gravemente minacciate. Tuttavia nonostante questa lodevole condotta il

Zentrum non si esime dal perseguire i propri interessi.184 Al termine del Deutscher Geist

in Gefahr Curtius esclude dalla sua proposta spirituale l’adesione non solo a un qualsiasi

181 Ivi, p. 165.

182 Sono parole di Goethe, cfr. E. R. Curtius, Deutscher Geist in Gefahr, cit., p. 33. 183 Ivi, p. 34.

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partito ma anche a un qualsiasi programma politico-culturale definito. Egli colloca il suo Umanesimo al di sopra delle rivalità politiche, economiche e anche intellettuali che dividono la Germania, per auspicare invece un rinnovamento spirituale che abbracci in sé tutti i tedeschi in un’unica e armoniosa comunità:

La fede salda e tranquilla nella Germania e nella missione tedesca è una forza d’animo che ci deve unire tutti e proprio per questo non va mescolata a particolari programmi economici o di partito politico. Essa è adesione e fedele promessa al nostro popolo, al suo suolo, alla sua lingua, al suo regno e solo così può unire e formare una comunità. Deve essere spontaneo riconoscimento, non dottrina riflessa, deve trascinare con sé, non dividere. Dobbiamo vivere al suo interno, ma non farne un programma intellettuale.185

È interessante confrontare la posizione di Curtius sulla crisi politica e culturale della repubblica tedesca con quella di Thomas Mann. In un graduale percorso di «superamento di sé» che si svolge negli anni Venti, Mann si trasforma in un aperto difensore della repubblica e a questo scopo dichiara pubblicamente il proprio sostegno alla socialdemocrazia tedesca. Egli comprende infatti le terribili conseguenze che deriverebbero alla Germania e all’Europa dall’esasperazione della dicotomia tra Kultur tedesca e Zivilisation occidentale e quale catastrofe significherebbe affidare il potere a Hitler. Philipp Gut descrive il processo attraverso il quale Mann capisce che la salvezza della Germania risiede nella difesa dell’istituzione repubblicana e nell’aperto sostegno della borghesia al partito socialdemocratico.186

Secondo Mann le contrapposizioni che lacerano la repubblica di Weimar consistono nell’alternativa fra una Germania fedele al tradizionale concetto di Kultur e, all’opposto, un processo di correzione che traghetti tale concetto in qualcosa di nuovo.187

A parere di Mann chi persevera nell’idea tradizionale di Kultur combatte contro la forma statale democratica e repubblicana; al contrario può «credere» al futuro della repubblica in Germania solo chi ritenga «possibile e desiderabile la trasformazione dell’idea tedesca di Kultur in senso universalmente conciliante e democratico»188. Mann ritiene che

dall’idea tradizionale e impolitica di Kultur tedesca scaturiscano tutte quelle riserve che

185 Ivi, p. 131.

186 Ph. Gut, Thomas Manns Idee einer deutschen Kultur, Frankfurt am Main, S. Fischer, 2008, pp. 202, 211 sgg.

187 Th. Mann, Kultur und Sozialismus, in Id., Essays. Herausgegeben von Hermann Kurzke und Stephan Stachorski, Bd. III: Ein Appell an die Vernunft 1926-1933, Frankfurt am Main, S. Fischer, 1994, pp. 57-63, qui pp. 57 s.

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si oppongono a una reale e profonda «democratizzazione» della Germania non limitata al solo ambito costituzionale. Ne consegue che è diventato «impossibile condurre una esistenza impolitica puramente culturale; il concetto stesso di Kultur diviene un problema centrale che costringe a una “presa di partito”».189

La scelta decisiva dunque si pone tra un atteggiamento «conservatore» e uno «in un certo modo liberale». Ciò che Mann qui intende con «liberale» si differenzia dalla corrente di pensiero intesa in senso stretto. Liberali sono tutti quei tedeschi che vogliono adattare alle esigenze del presente il concetto tradizionale di cultura, e da questo punto di vista anche il socialismo può essere annoverato tra quelle forze che «in un certo modo» sono «liberali», e che escludono la sequela del «partito borghese della Kultur».190

Mann ricorda che il socialismo tedesco è sempre stato percepito dalla Kultur come estraneo al Volk e come vera e propria diavoleria. A buon diritto, osserva Mann, «poiché il socialismo mira a disgregare l’idea culturale e anti-societaria di comunità e di Volk attraverso l’idea della classe sociale». Tuttavia egli ritiene che questo processo di disgregazione si trovi oggi in uno stadio così avanzato da ridurre Volk e comunità, appartenenti alla sfera della Kultur, a puro Romanticismo, e che dunque la vita, con tutti i suoi significati legati al presente e al futuro, senza alcun dubbio stia dalla parte del socialismo.191 Il Romanticismo «(im-)politico» è inaccettabile poiché non mostra alcuna

via che si possa percorrere e si chiude rispetto alle esigenze del tempo diventando in questo modo antiquato.

In Kultur und Sozialismus (1927) e nella Deutsche Ansprache (1930) Thomas Mann osserva che il socialismo agisce di fatto come un difensore della vita intellettuale tedesca, un compito invece del tutto fallito dalla «Kultur della nazione»: «la classe socialista è estranea allo spirito nella teoria economica, ma amica dello spirito nella pratica, e questo, per come stanno le cose oggi, è l’aspetto decisivo».192 Per Mann il

vantaggio del socialismo risiede nella mancanza di Kultur, oppure, detto altrimenti: l’inadeguatezza della Kultur tradizionale tedesca deriva dal fatto che non vi compaia l’idea «societaria-socialista» (gesellschaftlich-sozialistisch). Per colmare questa insufficienza Mann propone un’«alleanza e un patto tra l’idea conservatrice di Kultur e il

189 Th. Mann, Kultur und Sozialismus, cit., p. 61.

190 Ivi, p. 57; Ph. Gut, Thomas Manns Idee einer deutschen Kultur, cit., p. 211. 191 Th. Mann, Kultur und Sozialismus, cit., p. 61.

192 Ivi, p. 62; Th. Mann, Deutsche Ansprache, in Id., Gesammelte Werke in 13 Bänden, Bd. XI:

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pensiero rivoluzionario di società, tra la Grecia e Mosca»193. Nella Deutsche Ansprache

egli auspica che la borghesia tedesca si schieri al fianco dei socialdemocratici,194 fautori

di una politica «ragionevole» volta alla tutela sociale ed economica della classe lavoratrice, al mantenimento dello stato democratico e alla difesa di una politica estera di pace e di accordo; e aggiunge che «il precipizio non sta a sinistra del centro ma a destra».195

Mann, allo stesso modo di Curtius, è allarmato dal nazionalismo che prende sempre più piede nella rivista «Die Tat».196 Le sue osservazioni si concentrano sui gravi riflessi sociali che la nuova linea della «Tat» ha sulla realtà tedesca. Già in una lettera del 1926 Mann esprime a Eugen Diederichs l’auspicio che «Die Tat» si contrapponga al nazionalismo «grezzo e chiassoso» facendosi portatrice di nobili sentimenti nazionali, consapevoli della storia e dello spirito tedesco.197 Dopo quattro anni, nell’ottobre 1930 (Diederichs è morto da circa un mese), Mann manifesta in modo ancora più deciso il proprio disappunto per la vicinanza della rivista al partito nazionalsocialista spacciata in nome di una presunta svolta interiore. Mann affronta l’argomento in termini molto chiari poiché è allarmato dal fatto che i nazionalsocialisti, in accordo con gli industriali, cerchino di disfarsi una volta per tutte dei sindacati:

Una certa eccessiva “comprensione” per il nazionalsocialismo mi ha colpito in modo inquietante durante l’analisi dei fascicoli. Significa proprio mancanza di senso della realtà

193 Th. Mann, Kultur und Sozialismus, cit., p. 62; Ph. Gut, Thomas Manns Idee einer deutschen

Kultur, cit., pp. 212, 214. Si veda anche il saggio del 1925 di Mann, Goethe und Tolstoi, in Id., Gesammelte Werke in 13 Bänden, Bd. IX: Reden und Aufsätze 1, Frankfurt am Main, S. Fischer, 1974, pp. 58-173, dove Mann dice che per il socialismo tedesco non vi è «niente di più necessario che trovare un legame con quel Deutschtum superiore che ha sempre cercato “con l’anima il paese dei greci”. Il socialismo tedesco è oggi dal punto di vista politico il nostro vero partito nazionale; ma non sarà veramente all’altezza del suo compito nazionale, finché […] Karl Marx non avrà letto Friedrich Hölderlin, un incontro che tra l’altro sembra sul punto di realizzarsi» (ivi, p. 170). Si tratta dunque di spiritualizzare il socialismo materialistico in modo da renderlo accettabile alla tradizione culturale (kulturell) tedesca (Ph. Gut, Thomas Manns Idee einer deutschen Kultur, cit., p. 213).

194 Th. Mann, Deutsche Ansprache, cit., p. 889.

195 Ivi, pp. 882 s.; Ph. Gut, Thomas Manns Idee einer deutschen Kultur, cit., p. 213.

196 Cfr. anche E. Hanke, G. Hübinger, Von der »Tat«-Gemeinde zum »Tat«-Kreis. Die

Entwicklung einer Kulturzeitschrift, in Versammlungsort moderner Geister. Der Eugen Diederichs Verlag – Aufbruch ins Jahrhundert der Extreme, cit., pp. 299-334, qui pp. 325, 333 n. 101; E. R. Curtius, Nationalismus und Kultur, in «Die Neue Rundschau», 42, 1931, pp. 736-748; D. Hoeges, Kontroverse am Abgrund: Ernst Robert Curtius und Karl Mannheim, cit., pp. 147 sgg.

197 H. D. Kittsteiner, Romantisches Denken in der entzauberten Welt, in Versammlungsort

moderner Geister. Der Eugen Diederichs Verlag – Aufbruch ins Jahrhundert der Extreme, cit., pp. 486-507, qui p. 502.

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vedere una svoltadell’uomo tedesco verso l’interiorità in questa setta di balordi con i loro capi corrotti e mantenuti, che in ogni momento sono pronti a usare il nazionale come un’arma contro il sociale, e cioè a far saltare i sindacati d’accordo con la grande industria. Ma sono convinto che Lei, insieme al lavoro dei suoi amici, possa contribuire con energia a che il nazionale e il sociale si incontrino in un modo più nobile e più puro di come accade nel cosiddetto nazionalsocialismo.198

3.6

Bilanci

Earl Jeffrey Richards: la posizione nazionale di Curtius è estranea al nazionalismo

Nel saggio dedicato al confronto fra la critica letteraria di Curtius e quella di Auerbach, Richards mette bene in evidenza come Curtius rifiuti l’idea di un carattere nazionale fisso e invariabile, sia prima del 1933 sia dopo il 1945.199 Leo Spitzer, Curtius ed Erich Auerbach, rigettano qualsiasi collegamento tra la cultura umanistica e il nazionalsocialismo, e definiscono i principi intellettuali della filologia romanza tedesca non solo come liberi, ma anche come immuni dal nazionalismo, anche se è chiaro a tutti e tre che essa ne sia stata vittima.200 Curtius esclude del tutto concetti come Volksgeist,

Nationalgeist, Nationalcharakter, Nationalwesen, das Volkstümliche, das Völkische.201

Richards spiega che Curtius non intende eliminare la soggettività e l’irrazionalità dall’osservazione della storia e della letteratura, tuttavia non vuole che esse abbiano il sopravvento. Egli cerca infatti per il suo lavoro basi solide, chiare, materiali e per quanto possibile oggettive;202 in questa aspirazione Richards vede la sostanziale estraneità fra

Curtius e Martin Heidegger: «la coscienza storica non può escludere l’irrazionale, ma per questo non deve per forza essere sottoposta all’irrazionale. Qui si trova a mio parere l’abisso insormontabile tra Curtius e Heidegger».203

198 Lettera di Mann dell’ottobre 1930 a Cornelius Bergmann della casa editrice Diederichs, ThULB Jena, Nl. Diederichs; E. Hanke, G. Hübinger, Von der »Tat«-Gemeinde zum »Tat«-Kreis. Die Entwicklung einer Kulturzeitschrift, cit., pp. 324, 333 n. 98.

199 E. J. Richards, Erich Auerbach und Ernst Robert Curtius: der unterbrochene oder der verpaßte

Dialog?, cit., p. 45.

200 Ivi, p. 54. 201 Ivi, p. 55. 202 Ivi, p. 56.

203 E. J. Richards, E. R. Curtius‘ Vermächtnis an die Literaturwissenschaft: Die Verbindung von

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Richards sostiene che Curtius sia continuamente teso a conciliare insieme estetica e coscienza storica, e per dimostrarlo senza scivolare nell’anacronismo riporta il giudizio espresso da un contemporaneo, Kurt Tucholksy, che nel 1926 fornisce una valutazione molto positiva del pensiero di Curtius. Nella sua recensione di Französischer Geist im

neuen Europa infatti Tucholksy apprezza il fatto che Curtius spieghi e interpreti le

creazioni letterarie sia per il loro intrinseco valore estetico sia in relazione al contesto storico e materiale da cui hanno origine:

Merita di essere soprattutto lodata l’intelligente e fine mescolanza tra comprensione delle forme e giudizio materiale […] Curtius è l’unico storico della letteratura a mia conoscenza, che si possa permettere di dire che i primi, i più sublimi scuotimenti del sismografo della storia si percepiscono nello spirito di un paese e non nella sua situazione economica. È un’opinione su cui si può discutere, ma egli può permettersi di sostenerla, poiché accanto ai valori formali non trascura mai il terreno sul quale sono cresciuti.204

Che Curtius abbia sempre cercato di trovare una base oggettiva per la sua critica è in forte contrasto con l’impostazione di Julius Petersen, che piuttosto voleva approfondire l’Innerlichkeit dello spirito tedesco. Non è sfuggita a Tucholsky, l’importanza scientifica e soprattutto politica da attribuire a questo sforzo di obiettività:

Curtius è quel tipo di erudito tedesco che sembra quasi scomparso: sa il fatto suo, sa maneggiare il microscopio senza essere miope, e quanto alla sfera politica è sinceramente obiettivo. Non siamo certo viziati: la maggior parte dei professori fa, nascosta in modo maldestro, una cattiva propaganda per altrettanto cattive idee, e in più c’è questo intero ciarpame völkisch al livello circa di cattivi oratori popolari.205

Zukunftsperspektiven. Heidelberger Symposion zum hundertsten Geburtstag 1986. Herausgegeben von Walter Berschin und Arnold Rothe, Heidelberg, Carl Winter Universitätsverlag, 1989, pp. 249-269, qui p. 267.

204 Ivi, p. 261 e n. 15; K. Tucholksy, Gesammelte Werke, II: 1925-1928, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1960, pp. 309 s.

205 Ivi, p. 309; E. J. Richards, E. R. Curtius’ Vermächtnis an die Literaturwissenschaft: Die

Verbindung von Philologie, Literaturgeschichte und Literaturkritik, cit., p. 261. Al giudizio di Tucholksy si può affiancare quello espresso da Spitzer in un articolo dedicato alla situazione della romanistica del primo dopoguerra: «Curtius non osserva o non osserva esclusivamente i fenomeni per ciò che sono in loro stessi, visti nella prospettiva dell’eternità, ma per il valore vitale che hanno oggi, per le forze che emaneranno da essi domani: per tutto ciò che vale e varrà per l'Europa. […] Politico, non nazionalista sul modello di M. Wechssler, ma politico cosmopolita dello spirito, regge se si vuole il ministero della difesa dello spirito occidentale e lo regge non in nome di uno stato o di un popolo in particolare, ma in nome della civiltà intera. […] Egli non giudicherà i fenomeni letterari dal punto di vista né della Francia, né della Germania, ma di tutta la nostra civiltà» (L. Spitzer, L’état actuel des études romanes en Allemagne, in «Revue d’Allemagne», 6, 1932, pp. 572-595, qui pp. 581 sgg., 592; S. Gross, Ernst Robert Curtius und die deutsche Romanistik der zwanziger Jahre. Zum Problem nationaler Images in der Literaturwissenschaft, cit., pp. 14 s., 86 n. 11).

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Pur aprendosi agli spunti forniti dall’intuizione, Curtius non rinuncia mai a spiegare e a giustificare realisticamente e oggettivamente i propri giudizi; in nome di questa sua aspirazione a un aperto confronto con la realtà egli rifiuta qualunque forma di connotazione nazionale della scienza:

Dopo la prima guerra mondiale si sono viste numerose prove di una “nuova scienza”, che si richiamavano alla “visione”, alla “intuizione” o ad altre forme di illuminazione interiore e che dichiaravano guerra al rinomato “positivismo”. Alcuni cercavano di adattare grandi personalità della storia alla dogmatica del circolo di George. […] La storia diveniva talvolta romanzo, talvolta “Mythos”. Per la maggior parte si trattava di sviamenti, la cui portata possiamo misurare solo oggi: infatti essi hanno aperto la strada a una falsificazione storica di enorme dimensione, che a partire dal 1933 è circolata con effetti funesti. “Non c’è nessuna scienza obiettiva”, così si insegnava allora. [Si diceva che] la scienza è vincolata in modo razziale, völkisch, politico. Questa menzogna deve scomparire.206 Curtius nel 1948 dice che i popoli d’Europa non rimangono sempre gli stessi, ma variano nel corso dei secoli. L’idea di un carattere nazionale immutabile è pertanto una struttura artificiosa applicata a posteriori alle creazioni letterarie scaturite in ambito nazionale:

siamo però in generale autorizzati ad attribuire alle nazioni moderne un “carattere” che rimane uguale in tutte le epoche? Un millennio fa non esisteva neppure uno dei popoli dell’Europa di oggi. […] La fede in un carattere nazionale invariabile implica inoltre un circulus vitiosus ed è inaccettabile anche solo per questo motivo. Da cosa conosciamo il carattere di una nazione? Lo intuiamo dalle sue creazioni spirituali. L’“essenza” di una nazione viene dedotta dalla letteratura e trasportata in forme concettuali; i concetti vengono poi ipostatizzati e in questa forma adibiti all’interpretazione della letteratura. Si tira fuori il carattere nazionale da una scatola, nella quale lo si era nascosto prima. In questo modo non si è fatto nessun passo avanti nella conoscenza. 207

Per spiegare meglio la posizione di Curtius rispetto al nazionalismo, Richards volge lo sguardo alle sue osservazioni dedicate al volume Das Reich di Friedrich Hielscher (1931) nel Deutscher Geist in Gefahr. Da una parte Curtius riconosce con entusiasmo a questo scritto un sincero e autentico afflato di amore per la nazione tedesca,

206 E. R. Curtius, Vorwort zu einem Buche über das lateinische Mittelalter und die europäischen

Literaturen, in «Die Wandlung», 1, 1945-1946, pp. 969-974, qui p. 973; E. J. Richards, Erich Auerbach und Ernst Robert Curtius: der unterbrochene oder der verpaßte Dialog?, cit. p. 56 e n. 48.

207 E. R. Curtius, Antike Rhetorik und vergleichende Literaturwissenschaft, cit., qui pp. 18 s.; E. J. Richards, Erich Auerbach und Ernst Robert Curtius: der unterbrochene oder der verpaßte Dialog?, cit., p. 56 e n. 49.

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dall’altra giudica le idee di Hilscher come «inammissibili». Richards spiega che Hielscher interpreta i progressi della storia europea in una prospettiva puramente germanica e applica i luoghi comuni dell’ideologia nazionalista alle sue ricerche sul carattere etnico dei popoli germanici.208 Richards mette in rilievo che l’unico momento in cui i percorsi dei due studiosi si incontrano è appunto la valutazione, da una parte entusiastica dall’altra nettamente negativa, di Das Reich. Curtius mette in guardia contro le costruzioni teoriche di Hielscher «poco degne di essere discusse», rilevando il loro ingannevole fascino spirituale:

In questo libro parla davvero un uomo che conosce l’essenza e l’anima tedesca. Ciò che lì si dice proviene dall’anima e tratta di essa. Questo libro ha musica e amore; è delicato, vero e fervido nonostante tutta la sua violenza; deve irresistibilmente catturare chiunque porti in sé le potenze dell’anima tedesca e anche scuotere e commuovere il lettore che rifiuti le costruzioni teoriche di Hielscher: e queste sono in ogni modo completamente inammissibili.209

Richards aggiunge inoltre che la critica di Curtius si sofferma anche sullo «studio dell’essenza nazionale», un metodo pseudo-scientifico secondo il quale leggi inalterabili determinano il carattere nazionale in modo costante e uniforme nel corso della storia.210 Curtius biasima in Hielscher la «logica» che sottende il discorso identitario delle immagini nazionali, cioè la propensione ad assolutizzare certi tratti empirici e a trasformarli in un sistema trascendentale chiuso.211

Richards ricorda che la più estesa critica al nazionalismo si trova nel libro del 1921, Maurice Barrès und die geistigen Grundlagen des französischen Nationalismus. Qui Curtius dice che alla base del nazionalismo vi è una forma di nichilismo, che nega l’influenza dell’Antichità e del cristianesimo sulla vita moderna:

Nella esaltazione della febbre Barrès crede al suo nazionalismo, nella fredda perspicacia dell’analisi egli ammette il suo nichilismo. Il legame strettissimo dei due fenomeni sta nel fatto che il nazionalismo ha le sue radici nel nichilismo. Questo ha prodotto quello, per compensarsi e volgersi in senso positivo. Tale collegamento psicologico vale non solo

208 E. J. Richards, La conscience européenne chez Curtius et chez ses détracteurs, cit., pp. 268 s. 209 E. R. Curtius, Deutscher Geist in Gefahr, cit., p. 45; E. J. Richards, La conscience européenne