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Dal liberismo alla soggettività

IV. OSSERVANDO LA FRONTIERA. Interventi di contrasto alla povertà ed

3. Dal liberismo alla soggettività

Nel 1971 viene pubblicato il volume di Rawls Una teoria della giustizia (ed. it.1982). Tale pubblicazione suscita un notevole interesse ma anche accese polemiche da parte di chi contestava la forte impronta liberista, in base alla quale la società democratica deve occuparsi, in ambito politico, solo di questioni di giustizia e non di bene comune. Questo ultimo andrebbe invece relegato nell‘ambito delle diverse concezioni di vita proprie delle differenti credenze morali e religiose.

Le critiche vennero avanzate da coloro i quali sostenevano la centralità del bene rispetto al giusto (Mac Intyre, 1988; Sandel, 1994). Questi studiosi, prendendo le distanze dalla concezione liberal della società, su iniziativa di Etzioni si sono costituiti in un gruppo che si è chiamato Communitarians. Questi intendono la comunità non come un fenomeno residuale destinato col tempo a scomparire per effetto del processo di globalizzazione, ma come un fattore essenziale di qualsiasi forma di vita sociale in ogni periodo storico.

In polemica con coloro che ritengono che la comunità possa rappresentare un ostacolo per il progresso della società, i Communitarians valutano un grave pericolo l‘eventuale scomparsa della dimensione comunitaria della vita associata.

A loro volta i liberali hanno avanzato critiche ai comunitari. A questo dibattito sono intervenuti in Europa anche Bauman (2001), Touraine (1998) e Habermas (1998) e In primo luogo si registra una netta contrapposizione per quanto concerne la visione dell‘uomo. I liberali condividono una visione atomista e astratta in quanto – riferendosi a Locke – ritengono che l‘essere umano sia un puro essere razionale che ha come scopo principale quello di perseguire il proprio bene personale, per raggiungere il quale è solo strumentalmente utile associarsi agli altri. Al contrario, per i comunitari il sé è sempre contestualizzato, cioè ―radicato in una storia che mi colloca tra gli altri, e inserisce il mio bene nel bene della comunità la cui storia io condivido‖ (Sandel, 1994, 9).

In secondo luogo i liberali fanno proprio il principio della priorità del giusto sul bene, della ―giustizia come equità‖ (Rawls, 2002), in quanto ritengono che il diritto costituisca lo strumento più efficace per garantire agli individui lo sviluppo delle proprie identità e uno spazio per agire liberamente. Ma per fare ciò, il diritto deve precedere e deve essere indipendente dalle diverse concezioni del bene. Al contrario, i comunitari sostengono che a monte del diritto occorre riconoscere l‘esistenza di una concezione del bene in quanto anche la giustizia varia al variare della concezione di bene sociale. Da qui il ribaltamento rispetto ai liberali ponendo l‘accento sulla centralità del bene comune, che implica la necessità di scegliere una specifica concezione morale.

In terzo luogo, i liberali sottolineano l‘essenzialità dei diritti individuali. A questa prospettiva i comunitari contrappongono la supremazia dell‘etica dei doveri, in quanto il destino dell‘essere umano è ―quello di costruire una parte di un tutto collettivo che lo trascende nel momento stesso in cui lo include‖ (Tarchi, 1998, 5).

I liberali considerano gli attori sociali indipendenti rispetto al proprio gruppo di appartenenza. Al contrario, i comunitari rischiano di sacrificare negli attori sociali la loro capacità critica. In sintesi, i liberali vengono criticati perché sottovalutano il peso della dimensione comunitaria nella vita associativa, mentre i comunitari in quanto assegnano alla comunità un peso eccessivo. Occorre tuttavia segnalare che nel corso degli anni la contrapposizione tra liberali e comunitari si è attenuata a seguito di reciproche aperture. In particolare, alcuni neo-liberali aperti alle istanze comunitarie arrivano a riconoscere che la supremazia del giusto non può ignorare la necessità di individuare un qualche bene comune da condividere. A loro volta, alcuni neo-comunitari si sono impegnati in una rivisitazione critica del concetto di comunità, mettendo in discussione il suo presunto carattere di immutabilità.

A fronte di questi sforzi di convergenza, rimane un ostacolo alla conciliazione tra i liberali e comunitari che consiste nella questione relativa alla neutralità o meno delle istituzioni. Per i primi, infatti, le scelte morali sono demandate al singolo individuo autonomo, mentre per i secondi esse dipendono dalla volontà e dal giudizio collettivi, che devono essere necessariamente recepiti dalle istituzioni pubbliche (Selznick, 1999). Occorre comunque riconoscere che tra i sostenitori del liberismo, a posizioni radicali all Friedman (1962), si arriva al liberismo sociale del secondo Rawls, così come tra i comunitari emergono posizioni radicali alla Sandel (1994) e Mac Intyre (1988) ma anche un comunitarismo liberale alla Selznich (1999). Il sociologo Etzioni, lo stesso che costituì i

Communitarians, non mette in discussione i diritti degli individui ma

affianca a essi i doveri, in quanto sostiene l‘esistenza di una complementarietà tra diritti individuali e responsabilità sociali e che un grave pericolo per i diritti nasce dalla rottura dei vincoli sociali tra le persone. Per contrastare questo fenomeno la soluzione va ricercata nella società pluralista, nella comunità, nell‘associazionismo volontari e non nella mera esaltazione di diritti individuali. Etzioni parla di ―un ordine

centrale di valori superiori‖ (1998). Ma quali sono questi valori? Molteplici sono le fonti di valori superiori ma rimane necessario che le comunità non calpestino due fondamentali principi: a) quello di assicurare uguaglianza politica a tutti i cittadini e quindi non discriminare nessuno; b) quello di garantire le libertà civili.

3.1 Il contributo di Taylor

Nel dibattito liberal-communitarian, lo studioso canadese Taylor realizza una sintesi efficace ed equilibrata. Nella sua opera Radici dell’io (1993) affronta da una prospettiva etico-politica le radici dell‘identità delle persone, che nell‘epoca contemporanea si presenta afflitta da una perdita di significato. Taylor affronta questa analisi distinguendo due dimensioni dell‘identità: la significatività dell‘esistenza e la soggettività.

Con riferimento alla significatività esistenziale, Taylor avanza una critica, così come fanno i comunitari, a Una teoria della giustizia, a cui rimprovera l‘adozione di un‘etica. Ma a differenza dei comunitari, lo studioso canadese si riferisce da un concetto tipicamente moderno di dignità della persona, che si declina nel rispetto per la vita e nel riconoscimento dell‘integrità della persona stessa. Si interroga sui fondamenti della dignità umana e sulla significatività dell‘esistenza. Per un essere umano, vivere un‘esistenza significativa, cioè un‘identità realizzata , denota il trascendere dalla routine quotidiana, attraverso un quadro di riferimento, definito da ―valutazioni forti‖, con cui giudica se stesso e gli altri. Queste valutazioni gli forniscono una posizione, uno scopo e un orientamento. Inoltre esse implicano il riconoscimento del mondo come una realtà dotata di significato.

Questa riflessione conduce Taylor a valorizzare un orientamento gravitante attorno ad un fine dominante dell‘esistenza, che invece suscita in Rawls una repulsione. Per Taylor invece le persone tendono ad ordinare i beni perseguibili in ordine gerarchico. Tale gerarchia definisce l‘identità

del soggetto, poiché questi vede in tale ordinamento il punto di riferimento e di orientamento della propria vita.

Taylor intende dare così un fondamento teorico all‘idea secondo cui l‘essere umano è in grado di condurre un‘esistenza più significativa di quella vissuta dedicandosi esclusivamente al consumo di cose, tempo, persone, notizie e oggetti culturali.

Con riferimento alla soggettività, Taylor ne individua il tratto distintivo nell‘interiorità. Ciò implica una visione del mondo centrata sulla persona, secondo cui ―l‘universo fisico si qualifica per il suo significato soggettivo, nel senso che è sperimentato e pensato da me, e quindi ha un significato per me nella misura in cui l‘io si apre alla relazione con l‘altro‖ (Taylor, 1993, 63).

3.2 Autonomia di scelta e responsabilità

Il dibattito liberal-comunitarian consente di evidenziare due requisiti distinti dell‘essere umano, consistenti nell‘autonomia e nella responsabilità delle scelte. Più precisamente, per scelta autonoma si intende la scelta che la persona decide di effettuare con un margine di indipendenza; per scelta responsabile invece si intende la scelta che la persona decide di effettuare facendosi carico delle sue conseguenze, alla luce del contesto sociale, impegni e norme in cui si colloca e a cui si sottopone.

L‘autonomia assume una forte rilevanza nella teoria liberale, mentre la responsabilità assume rilevanza fondamentale tra i comunitari, che includono in modo qualificante la solidarietà come base dei legami sociali. Libertà e solidarietà cessano di essere termini antitetici nella misura in cui si evidenzia il carattere responsabile della libertà, che trova il suo compimento nell‘azione solidale verso l‘altro. Sempre in questa prospettiva, la solidarietà può essere mantenuta e difesa senza andare a soffocare la libertà di azione della persona. Solo la libertà responsabile, intesa nei termini della solidarietà e libertà, costituisce una soluzione al

problema di coniugare libertà e sicurezza, che costituisce una delle principali caratteristiche della società contemporanea (Bauman, 1999).

Sono numerosi i contributi sociologici relativi al rapporto individuo-società dai quali poter dedurre il passaggio dalla netta contrapposizione tra libertà e responsabilità alla loro conciliabilità. Si segnala il contributo di quattro autori: la distinzione elaborata da Tönnies tra comunità e società, che si presta ad essere interpretata in termini di contrapposizione tra libertà (società) e responsabilità (comunità). La concezione del rapporto individuo-società proposta da Simmel60, che può essere letta ai nostri fini come una premessa per il superamento di questa stessa contraddizione. La concezione di Etzioni della società moderna come superamento della polarizzazione individuo/società per effetto dell‘autonomia vincolata dell‘individuo e dell‘ordine volontario della società. Infine il rapporto tra identità sociale e identità personale elaborato da Mead.

Un ulteriore tassello è dato dal concetto di change di vita, formulato da Dahrendorf in Libertà che cambia (1994). Il concetto dahrendorfiano deriva dalla categoria weberiana di change, che denota la possibilità del verificarsi di un determinato agire e come tale manifesta l‘antideterminismo della sociologia di Weber. Dahrendorf definisce la

change di vita come la sintesi di opzioni e legature, interpretabili come la

traduzione sociologica della polarizzazione del dibattito

liberal-comunitarian. Nello specifico le opzioni si configurano come traduzione

dell‘individualismo secondo la posizione liberale, mentre le legature corrispondono al collettivismo proprio delle posizioni comunitarie. Le opzioni sono quindi le alternative di scelta che la società rende disponibili per la persona, la quale è tenuta a scegliere una con la conseguente esclusione di tutte le altre. A loro volta le legature sono legami sociali di natura affettiva e valoriale che caratterizzano l‘appartenenza di una persona in contesti di solidarietà.

60 Simmel definisce la società come l‘azione di più individui. Questa azione reciproca sorge

3.3 Soggettività e significatività esistenziale

Come abbiamo avuto modo di dire prima, dal dibattito tra liberali e comunitari, sono emersi due elementi costituiti dalla soggettività e dalla significatività esistenziale. Dall‘incrocio di questi due elementi risulta possibile individuare quattro situazioni che corrispondono a quattro diversi tipi di uomo, così come si evidenzia nella tabella sotto. Essi si aggiungono

all’homo oeconomicus e a quello comunitarius, tipici delle due correnti

liberali e comunitarie.

Figura 5 – Le possibili combinazioni delle dimensioni di soggettività e

significatività esistenziale Soggettività Alta Bassa Significatività esistenziale Alta A B Bassa C D

(Fonte: Cesareo e Vaccarini, 2006)

Questo stesso incrocio consente anche di precisare i concetti di significatività e soggettività della persona. Per esistenza significativa (alta significatività) intendiamo l‘esistenza della persona le cui aspirazioni oltrepassano l‘orizzonte della propria sopravvivenza e del proprio benessere psicofisico. Viceversa, per esistenza scarsamente significativa (bassa significatività) intendiamo l‘esistenza della persona le cui aspirazioni sono circoscritte alla propria sopravvivenza e al proprio benessere psicofisico. Emblematiche manifestazioni storico-sociali di esistenze scarsamente significative vengono analizzate da Lasch in L’io

minimo (1985) e da Luckmann in La religione invisibile (1969). Si deve

riconoscere che l‘esistenza significativa costituisce stili di vita compresenti nell‘esistenza concreta di ciascuna persona61

.

61 La gerarchia tra i due tipi di esistenza hanno riscontro presso la teoria weberiana

Come già anticipato, per soggettività intendiamo quell‘elemento della persona costituito dalla riflessività, dall‘autonomia di scelta e dall‘originalità62

. La riflessività è una disposizione di natura cognitiva. Ciò comparta ―un‘attenzione privilegiata all‘uomo interiore che è in noi‖ (Taylor, 1993, 171). L‘autonomia della scelta è una disposizione della volontà che abilita la persona a compiere scelte indipendenti. L‘originalità, infine, è una disposizione del sentimento della propria singolarità intesa come realtà unica.

Al pari della significatività esistenziale, anche la soggettività può assumere gradazioni diverse. La soggettività elevata si declina in base a due modalità opposte che comunque hanno in comune un‘elevata consapevolezza del sé e un elevato bisogno di autorealizzazione. La prima modalità è definita da una riflessività di carattere intenzionale proiettata sul futuro (riflessività ex ante) (Archer 2009); da un‘autonomia delle scelte associata alla responsabilità; da un‘originalità aperta all‘altro. La seconda modalità assunta dalla soggettività elevata è definita da una riflessività concentrata sul presente; da un‘autonomia della scelta poco limitata da vincoli di responsabilità; da un‘originalità autoreferenziale. I tre elementi costitutivi della soggettività – riflessività, autonomia, originalità – predispongono la persona a focalizzare l‘attenzione su se stessa, alimentando una domanda di autorealizzazione, che può assumere differenti modalità, ma che è talmente presente nella cultura contemporanea da costituire un suo tratto fondamentale. Con riferimento alla tabella sopra, la soggettività elevata si declina nella prima modalità, quando cioè si combina con la significatività elevata (riquadro A); si declina nella seconda modalità quando si combina con la significatività bassa (riquadro C).

senso – agire razionale rispetto allo scopo e l‘agire razionale rispetto al valore – e i tipi di agire carenti di senso – agire affettivo e l‘agire tradizionale.

62 La definizione qui presa in considerazione è in sintonia con quella della Archer (2009)

per la quale la soggettività consiste nelle proprietà interiori del sé ed è contraddistinta da una soggettività, con potenzialità sia di efficacia causale sia rispetto al sé che rispetto alla società.

Infine per bassa soggettività intendiamo quel elemento della persona che è contrassegnato da un‘attenzione proiettata sulla realtà esterna dell‘identità personale, da scarsa autonomia della scelta ed originalità della stessa identità. Per riprendere le combinazioni della tabella, la bassa soggettività si può combinare con una significatività elevata (riquadro B) e con una significatività bassa (riquadro D).