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2 1 L’immaginario figurativo di Bassan

2.1.1 Dentro le mura

2.1.1.1 Lida Mantovan

Il primo racconto di Dentro le mura, svolgendosi sullo sfondo dell’ascesa al potere del fascismo, riprende quelle sollecitazioni visive tipiche del repertorio pittorico e figurativo degli anni Venti e Quaranta che si inquadrano perfettamente con la narrazione della storia.

La vicenda di Lida viene collocata in un universo caratterizzato da una forte immobilità; la sua vita e quella della madre sono descritte in questo modo già nelle prime pagine:

«Sedute a ridosso della finestra, immobili e silenziose quasi come le grigie suppellettili retrostanti – come il tavolo, cioè, e le seggiole di paglia, e le lunghe, strette sagome appaiate dei letti, e la culla, e l'armadio, e il comò, e il treppiede del catino con a fianco la brocca dell’acqua e con dietro, a stento visibile, la piccola porta a muro del sottoscala in cui si celavano il cucinino e il gabinetto –, quando alzavano la testa dalle stoffe era solo per rivolgersi qualche parola [...]78».

Le due donne sono quasi degli automi che vivono la loro vita monotona, hanno il medesimo valore degli oggetti presenti nella loro casa e quasi si confondono con essi. Esse sono collocate all’interno di un tableau vivant ed in questo modo richiamano anche l’estetica metafisica che molti pittori del Novecento continuavano a portare avanti.

Il rapporto tra madre e figlia è particolarmente importante all’interno della narrazione perché le due donne diventano l’una l’immagine speculare dell’altra, come a simboleggiare la continua ciclicità della storia; tutto sembra ripetersi nelle loro vite, proprio come abbiamo potuto constatare in precedenza. La stretta unione di queste due figure diventa allora fondamentale anche per quanto riguarda il richiamo all’immaginario pittorico degli anni Venti. Bassani sembra ispirarsi alle molte coppie femminili presenti, ad esempio, in Una persona a due età del 1924 di Achille Funi,

Povertà serena del 1919 di Ubaldo Oppi e in Le due sorelle del 1921 di Felice

Casorati. In queste tele, e più in generale nella pittura novecentesca, possiamo notare come le coppie di donne siano legate da un rapporto proiettivo e proprio per questo motivo siano spesso raffigurate come la medesima persona ma con età differenti, sottolineando maggiormente il medesimo destino che incombe su tutte le donne, un destino immutabile che si tramanda di generazione in generazione. Dobbiamo anche

prestare grande attenzione agli ambienti in cui sono inserite queste figure: sono sempre spazi domestici privi di fuga che soffocano e amplificano il senso di isolamento di ogni donna raffigurata; a nulla vale la presenza di un’altra persona che condivida il medesimo destino, tra loro continuerà ad erigersi una barriera di solitudine. Gli occhi di queste figure femminili sono spenti e costantemente rivolti verso l’interno, non trasmettono neppure in parte una qualche aspirazione verso un destino differente e migliore, né sembrano riporre una qualche speranza verso il futuro: accettano passivamente il corso degli eventi. Anche Lida e Maria Mantovani possono essere paragonate a questa lunga serie di coppie di donne. Entrambe sono caratterizzate dalla stessa assenza di vita, sono l’una la proiezione dell’altra e la loro esistenza è individuata da spazi geometrici e prospettici. Madre e figlia appaiono come cristallizzate durante il difficile periodo storico dell’ascesa del fascismo e, come molti altri soggetti della pittura del Novecento, sono la rappresentazione di una condizione facilmente riscontrabile nella realtà di quegli anni: uno stato di passiva integrazione e di distacco alienato.

Tuttavia Lida Mantovani non è importante solo per il rapporto con l’immaginario figurativo di epoca fascista, infatti è anche un eccellente esempio di quella tecnica narrativa e descrittiva che si rifà al metodo di critica longhiano basato su ekphrasis ed equivalenze verbali. È proprio nel suo modo di narrare, procedendo minuziosamente e soffermandosi sopra ogni minimo particolare, che Bassani sembra costruire un racconto di interni. Con la sua scrittura precisa, egli descrive dettagli nitidi, come nella pittura di un interno fiammingo, ed indugia su particolari e oggetti che non sono solo racconto, ma anche spazi e luoghi. Emblematico di questo metodo è questo passaggio del racconto nella versione di Cinque storie ferraresi del 1956:

«Alle loro spalle, il tavolo, i letti, l’armadio, il buio accidioso della stanza, sempre più denso man mano che l’occhio si avvicinava al soffitto, la scala che saliva fino alla porticina di legno non verniciato, e lassù, sospesa sopra il vano della porta a un braccio di lamiera flessibile, una campanella. La quale, essendo collegata con l’esterno per mezzo di una lunga corda la cui estremità usciva da un foro del portone di strada, preannunciava le rare visite con squilli improvvisi, acutissimi. Sedute di fronte alla finestra sopra due scalcagnati seggioloni di paglia, ogni tanto madre e figlia trasalivano con violenza, si voltavano di scatto indietro79».

Si può notare molto facilmente come questo brano richiami da vicino le descrizioni longhiane. Prendiamo ad esempio quello che il maestro ha scritto riguardo la Morte

della vergine di Caravaggio:

«In realtà il quadro sembra raccontare in che modo, entro la stanzaccia d’affitto, spartita alla meglio dal tendone sanguigno che penzola dalla volta a travicelli e senz’altre suppellettili che una branda, una scranna e la bacinella per le pezzuole bagnate, si lamenti la morte di una popolana del rione80».

Il ricordo delle pagine del Longhi influenzano anche la stesura degli scritti di critica d’arte di Bassani, come abbiamo potuto constatare nell’articolo su Cavaglieri. Questo tipo di impostazione che egli privilegia è giustificato da un’idea ben precisa: l’autore è affascinato dal modo in cui il dipinto riesce a narrare una vicenda e contemporaneamente a cristallizzare tempo e spazio in figure assolute che vanno oltre la storia e le trasformazioni del mondo umano. Il più grande intento del nostro scrittore sarà, allora, quello di riprodurre il medesimo meccanismo anche nella sua scrittura ed il modo con cui cerca di ottenere questo risultato è attraverso quella tecnica narrativa che viene definita del ‘vedere’.

Abbiamo infine un’ultima osservazione da proporre prendendo in esame la costruzione del testo ed in particolar modo l’architettura delle frasi. Rifacendoci allo studio della Longiano81, abbiamo modo di constatare come l’utilizzo di parentesi

permetta una suddivisione in blocchi della frase in modo tale che una parte del testo possa risultare separata anche sul piano visivo. Quest’ultima non ha minor valore rispetto al resto del periodo e pertanto la parentesi non assume in alcun caso una funzione di gerarchizzazione logica, ma semplicemente mantiene il suo valore di filtro visivo. Tuttavia al lettore non è permesso di comprendere a fondo la motivazione di questa separazione e pertanto si può avere «l’impressione di trovarsi di fronte a grumi si senso incoerentemente uniti82». È un tipo di scrittura che pare

costruire la frase a blocchi, momenti separati tra loro che non seguono alcun rapporto di causa-effetto. La causalità ha lo scopo di orientare il lettore verso un sistema ben

80 ROBERTO LONGHI, Officina ferrarese, in Opere complete, vol.V, Firenze, 1956, p.23. 81 ANNA LONGIANO, Il tempo e l’immagine: la scrittura antiprospettica di Giorgio Bassani,

«Sincronie» n.24, 2008.

preciso all’interno del testo, ma Bassani sceglie di farne a meno e attraverso le omissioni crea il silenzio. Possiamo confrontare due brani, il primo tratto dalla prima stesura del racconto ed il secondo tratto dalla sua riscrittura del 1956:

«L’altro letto di fianco a quello dove Debora e il bambino già dormivano vicini, rimaneva a lungo intatto fino a notte alta, la fiamma sopra il tavolo sibilava biforcuta versando attorno una bianca luce vacillante. Una notte che Debora era stata lungamente in silenzio senza poter dormire, sentì che la vecchia si levava di botto dal letto. La vide chinata col viso ansioso ad accendere la lampada, si mise a guardarsi nello specchio e s’accarezzava le tempie, i suoi poveri capelli stirati, radi, tutti grigi83».

Notiamo ora come l’intervento dell’autore miri proprio ad eliminare qualsiasi nesso di causa-effetto:

«Dopo cena, la prima a coricarsi di solito era Lida. Ma l’altro letto, di fianco a quello dove lei e il bambino già dormivano (la lampada a carburo posta al centro del tavolo ancora da sparecchiare spandeva attorno la sua luce azzurrognola), spesso rimaneva intatto fino a notte inoltrata84».

In questa seconda versione non viene data alcuna motivazione per l’assenza della madre e Lida stessa non solo non si pone domande al riguardo, ma molto probabilmente non si accorge neppure dell’assenza della donna. Questa nuova costruzione vuole sottolineare la condizione di estrema solitudine vissuta dalle due donne, rappresentate come estranee ed indipendenti tra di loro. L’inserimento delle parentesi all’interno della frase aggiunge la presenza di un’altra esistenza che non ha alcun tipo di legame con nessuna delle due: è la fiamma della lampada che brucia al centro della tavola. Questo tipo di costruzione evidenzia una struttura di blocchi di senso compiuto affiancati l’uno all’altro, senza tuttavia essere legati da connessioni logiche. Anche in questo caso i personaggi sembrano perdere tutta la loro umanità e vengono declassati a meri oggetti che coesistono con gli altri suppellettili presenti nella casa. Un simile rapporto di cieca coesistenza può essere riscontrato in una

Natura Morta del 1953 di Giorgio Morandi. In questo dipinto le quattro bottiglie si

trovano sul medesimo piano e si stagliano su uno sfondo neutro, il muro retrostante e il tavolo su cui queste si poggiano schiacciano lo spazio in un modo innaturale verso la direzione in cui si trova lo spettatore, mentre la presenza di altri oggetti scuri in corrispondenza delle bottiglie non dà alcuna profondità all’immagine. Questi elementi, in aggiunta all’uso di differenti toni di bianco per il colore degli oggetti, fa

83 G.B., SdD, p.1552. 84 G.B., LM, p.1588.

convergere tutta l’attenzione dell’osservatore sulle bottiglie. Queste si pongono con un’immediatezza che trascende la mimesi della natura morta per aspirare ad un rapporto diretto con la realtà. Il tratto nero che delinea le bottiglie è fortemente marcato proprio per indicare che nonostante la simile colorazione e la vicinanza su un medesimo piano, queste resteranno separate per l’eternità dal resto dei soggetti ritratti e anche tra loro stesse. Gli oggetti raffigurati non si trovano all’interno di uno spazio definito da un sistema di relazioni, ma è solamente la vicinanza tra spazio e cose a garantire la loro coesistenza; i corpi possono compenetrarsi ma restano ugualmente distanti l’uno dall’altro. Le cose diventano allora pure esistenze sciolte da ogni relazione e non seguono alcuna legge di disposizione interna. Il mondo descritto da Bassani mostra come siano stati recisi tutti i legami più immediati tra le cose, proprio nello stesso modo in cui Morandi lo raffigura nelle sue tele. Per entrambi gli artisti, l’assenza di prospettiva annulla i nessi logici tra le cose e distrugge ogni possibile gerarchia tra di esse per poterle rappresentare come pure essenza concluse in loro stesse. Così se per Morandi oggetti e persone «si equivalgono nell'insondabile apparire dell'esistente85», per Bassani «l’enigma

imperscrutabile della realtà interiore fa sì che non vi sia alcuna differenza tra persone e cose86». In questo modo i personaggi bassaniani possono essere scrutati solamente

dall’esterno, nello stesso modo in cui si scrutano gli oggetti, senza mai prestare attenzione alla loro interiorità; tuttavia, assumendo il fenomeno come unica realtà possibile si restituisce agli oggetti un valore intrinseco di realtà.

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