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2 1 L’immaginario figurativo di Bassan

2.1.1 Dentro le mura

2.1.1.4 Gli ultimi anni di Clelia Trott

Per il quarto brano di Dentro le mura consideriamo la copertina scelta dall’autore stesso per l’edizione del 1955. Bassani opta per un’illustrazione di Mino Maccari, una Acquaforte che raffigura una cancellata di ferro su uno sfondo rosso. L’immagine è allegorica: le punte del cancello rivolte verso l’alto impediscono qualsiasi tentativo di entrata o uscita, bloccando di fatto la situazione al suo interno e al suo esterno. Si allude in questo modo alla condizione dei due personaggi principali, Bruno Lattes e Clelia Trotti, emarginati entrambi, il primo per il suo essere ebreo e la seconda per il suo passato di attivista socialista. Il cancello, inteso come barriera, è maggiormente rappresentativo per la condizione della donna che vive effettivamente come una reclusa nella casa della sorella e ogni suo movimento è monitorato dall’O.V.R.A, ma soprattutto descrive perfettamente quella barriera che l’anziana maestra ha posto tra sé ed il mondo reale ed oggettivo. La donna, illudendosi e sperando in un futuro che non avrà mai luogo, si chiude nei suoi sogni di protesta irrealizzabili e continua a

guardare oltre quel diaframma che ha eretto da sola senza avere la lucidità necessaria per comprendere ciò.

Un’interpretazione simile a questa si può dare anche delle dichiarazioni di Bassani sulla struttura del racconto:

«Quella degli Ultimi anni non presentava nulla che vedesse a che fare con le linee convergenti in prospettiva della Passeggiata, o con le sfere ruotanti della Lapide. Si trattava di quattro rigidi elementi verticali di una materia opaca e translucida, più vicina alla carta o alla stoffa che non alla pietra o al metallo: larghi e piatti, tutti e quattro questi elementi, divisi ma paralleli107».

È indubbiamente un’immagine tratta dalla pittura astratta che vuole sottolineare la distanza e l’incomunicabilità tra i protagonisti della storia. Tuttavia non è così scontato riuscire ad identificare quali possano essere i personaggi che corrispondono ai quattro elementi rigidi ed opachi. Se in due di essi possiamo facilmente ravvisare Bruno e Clelia, nei restanti l’individuazione non è così semplice. Condividendo l’ipotesi avanzata da Sergio Blazina, del tutto in linea con la struttura d’insieme del racconto, possiamo riconoscere negli altri due elementi i gruppi generazionali e ideologici della società ferrarese: il primo è formato da coloro che, conoscendo le vicende avvenute e i protagonisti, osservano dall’esterno con curiosità; il secondo è quello dei giovani che, estranei dalla vicenda e spensierati, passano accanto alla storia senza neppure vederla. L’accostamento di questi due punti di vista richiama quanto detto poco sopra riguardo Una lapide in Via Mazzini. Anche in questo racconto troviamo elementi di modernità e di passato che coesistono ma stridono fortemente generando quella sensazione straniante e di assurdo.

Proprio partendo dall’inizio della vicenda narrata, possiamo vedere come l’autore apra il racconto con una messa in cornice dello spazio utilizzando un’organizzazione prospettica come indica il «budello di transito perfettamente rettilineo, con le botteghe dei marmisti e dei fiorai raccolte tutte all’inizio e alla fine [...] e la veduta improvvisa della piazza della Certosa e dell’adiacente cimitero108», e una sorta di

quinta teatrale creata da «A destra, la scabra facciata incompiuta della chiesa di San Cristoforo […] a sinistra, soltanto basse case di tipo semi-rustico109». Piazza della

Certosa è il luogo di passaggio in cui passato, presente e futuro si incontrano e

107 G.B., Lfc, p.940. 108 G.B., GuaCT, p.123. 109 Ibid.

convivono simultaneamente. La piazza è luogo di incontri amorosi e suggerisce l’illusione di una vita che riesce ad andare avanti nonostante i tragici eventi passati, tuttavia l’ampia vista che offre sul cimitero retrostante ammonisce i cittadini rammentando loro l’unica certezza: la morte.

Bruno trova davanti a sé «il vecchio, il piccolo mondo provinciale che si era lasciato dietro le spalle. Quasi rifatti in cera, eccoli dunque là tutti identici, tutti quanti a se stessi110» e questa percezione coglie tutti i tratti sinistri e sconvolgenti di quel mondo

antico ed immobile, richiamando da molto vicino quelle immagini tipiche della pittura metafisica novecentesca in cui era raffigurata un’umanità sospesa tra vita e morte. All’improvviso subentra un’immagine di modernità a perturbare questo scenario statico: una giovane e biondissima ragazzina disturba il rito funebre con il rombo della sua Vespa. Ecco allora che sin dalle prime pagine del testo troviamo accostati elementi del nuovo e del vecchio: il cimitero, con i suoi riti secolari che vengono ripetuti meccanicamente dalle comunità, rappresenta quel passato immobile e anacronistico, la ragazza spensierata sulla sua Vespa e l’immagine dell’America che Bruno evoca nella sua mente, invece, simboleggiano il moderno. Così, anche in questo caso, proprio come accade in Una lapide in Via Mazzini, Ferrara è rappresentata attraverso un immaginario tipicamente metafisico.

Anche l’apparizione di Clelia, proprio come quella di Geo Josz è metafisica. Bruno dopo essersi recato più volte a casa Codecà, residenza della sorella della maestra, e dopo essere stato respinto altrettante volte dalla padrona di casa, finalmente:

«Un bel giorno la porta della casa di Via Fondo Banchetto si aprì senza che sulla soglia apparisse la tozza figura consueta della signora Codecà. Doveva succedere. In qualsiasi favola che si rispetti (potevano essere le tre e mezzo del pomeriggio: c’era sul serio qualcosa di irreale nel silenzio della contrada completamente deserta), è raro che la vicenda non si concluda con la sparizione del Mostro e con la sua metamorfosi111».

Bassani stesso descrive questo avvenimento come qualcosa di irreale, metafisico; La strada è deserta e silenziosa e l’orario è ben precisato: sono le tre e mezza del pomeriggio, un orario caro alla produzione dechirichiana (ricordiamo infatti molte

110 G.B., GuaCT, p.134. 111 G.B., GuaCT, p.148.

opere del pittore che raffigurano degli orologi che segnano all’incirca la medesima ora come in L’enigma dell’ora dove le lancette segnano quasi le tre del pomeriggio). Così, se l’atmosfera introdotta fa già presagire un avvento straordinario, il manifestarsi di Clalia Trotti in questo contesto non può che richiamare alla memoria l’apparizione dell’enigma dechirichiano.

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