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2 1 L’immaginario figurativo di Bassan

2.1.1 Dentro le mura

2.1.1.5 Una notte del ‘

Anche per l’ultimo racconto di Dentro le mura abbiamo un’edizione, quella del 1960, con una copertina scelta da Bassani. Per questo brano, egli opta per un dipinto realizzato da Pablo Picasso a Vallauris nel 1952: La guerra e la pace. Il quadro, di dimensioni notevoli, è composto da due sezioni raffiguranti rispettivamente le allegorie della guerra e della pace; anche per questo motivo ma soprattutto per affinità tematica al testo, la tela non è riprodotta interamente sulla sovraccoperta, ma viene preferito utilizzare un dettaglio de La guerra. La Guerra è rappresentata da una figura con le corna sopra di un carro che si sposta sopra una superficie rossa a simboleggiare il sangue vivo. La sua mano destra impugna una spada insanguinata, mentre la sinistra afferra un cesto pieno di insetti ibridi, segno nefasto della guerra batteriologica, mentre i cavalli che trainano il suo carro calpestano dei libri, simbolo della cultura. Sullo sfondo si delineano delle ombre scure di uomini che selvaggiamente combattono con pugnali, lance e asce. È proprio quest’ultimo particolare che ritroviamo in copertina per Una notte del ‘43. Le motivazioni della scelta appaiono chiare: la storia ruota attorno al tragico episodio avvenuto il 15 novembre 1943 (nel racconto posticipato a dicembre) in cui undici oppositori del regime fascista, furono uccisi dagli squadristi accanto al muretto del Castello Estense o in zone vicine per vendicare l’assassinio del Federale Igino Ghisellini. Un evento così violento non può che richiamare da vicino la sanguinosa scena descritta dal dipinto di Picasso. Tuttavia non possiamo credere che il nostro scrittore sia stato guidato nella sua scelta da affinità così generali e semplici. Sicuramente avrà notato quanto quelle figure non caratterizzate, così simili a delle ombre, ricordassero gli squadristi fascisti nel loro considerare le proprie individualità poco importanti

rispetto al concetto stesso di gruppo e come anch’essi fossero guidati, come delle marionette, dal loro capitano (che nel quadro di Picasso è la Guerra stessa, nel racconto bassaniano è Sciagura). Infine, questa assenza di identità specifica potrebbe anche aiutare figuratamente a spiegare il motivo per cui nessuno tra i colpevoli viene punito per l’eccidio commesso. Gli squadristi, non avendo un’identità, o meglio ancora, essendo tutti uguali l’uno all’altro, come delle ombre, non possono essere riconosciuti o visti, evitando così la giusta punizione.

Mettendo quest’ultimo racconto a confronto con gli altri, possiamo notare come il repertorio metafisico a cui si era avvicinato Bassani per la costruzione delle precedenti opere stia venendo meno. La stessa immagine che si forma nella mente dello scrittore per delineare la struttura dell’opera, sembra allontanarsi da quell’immaginario metafisico a cui si era ispirato per Gli ultimi anni e Una lapide. La descrizione che presenta nelle pagine di Laggiù, in fondo al corridoio ritorna alla pura geometria visiva:

«Se non proprio alla sfera, però la struttura della Notte si ispirava di nuovo al cerchio. Avevo immaginato dei cerchi, tanti: uno dentro l’altro. L’ultimo, il più piccolo, così minuscolo da coincidere col punto del centro suo proprio e generale, era la cameretta-prigione, la cameretta-cella da eremita, la cameretta-tomba, dalla finestra della quale, nel cuore di una lontana notte di dicembre, Pino Barilari, il farmacista paralitico, aveva visto anche lui in un lampo accecante «ce que l’homme a cru voir112». La citazione de Le bateau ivre di Rimbaut calza perfettamente con l’episodio centrale del testo: il farmacista, dall’alto della sua camera-prigione, assiste all’efferato eccidio compiuto dagli squadristi, riconoscendo tra questi Sciagura, e sorprende la moglie in strada che stava rincasando dopo un convegno amoroso. Quello che Pino ha visto quella sera verrà completamente rimosso; egli non è in grado di sopportare la dura realtà degli eventi e quindi preferisce illudersi e fingere di non aver visto niente, arrivando così a dichiarare durante il processo contro Sciagura che stava dormendo. Tuttavia, da quel momento in poi, egli non potrà più fare a meno di ricordare quell’evento rimosso, richiamando l’attenzione degli ignari turisti che calpestano il marciapiede della strage.

C’è poi un elemento di quella fatidica notte che non abbiamo ancora analizzato con la dovuta attenzione, un elemento che solo apparentemente sembra contrapporsi alla continua ricerca del reale dell’autore: la neve.

L’immagine della neve ha costretto Bassani a posticipare la data del reale avvenimento da novembre a dicembre, attenendosi in questo modo al principio di verosimiglianza, ma così facendo si è in parte allontanato dalla realtà dei fatti. Tuttavia questa scelta è ben motivata dall’immaginario figurativo che ha come soggetto la neve e dalla particolare idea dello scrittore riguardo alla morte. Se infatti il tempo della morte doveva essere in grado di far coesistere passaggio e immutabilità, allora l’immagine della neve si rivela come la più calzante per esprimere questo concetto. Così, rifacendosi alla tradizione del Novecento, se sotto la coltre si uniscono vivi e morti nel racconto di Joyce The dead e se la neve rappresenta un vero e proprio segno di lutto per Ungaretti, in Una notte il bianco della neve non solo sottolinea per contrasto l’innocenza delle vittime, ma questa risulta anche come l’unico elemento che può cancellare, nella sua assolutezza, l’oscillazione delle stagioni per alludere ad una corrispondenza sentimentale («D'estate come d'inverno, col sole o con la pioggia113») e marcare come l’evento tragico persista immutato anche nella storia personale di ciascuno. Lo stesso Barilari, allora, diventa monito vivente dell’eccidio; egli appare affacciato alla finestra e l’occhio del narratore si spinge fino all’interno della sua camera-prigione, ponendo grande attenzione al dettaglio della copertina de Le avventure di Gordon Pym appoggiato sul suo comodino. L’edizione «mostrava in copertina un grande fantasma bianco, armato di falce, ergentesi a picco sopra una piccola scialuppa da baleniere114» ed il volume era posizionato capovolto «in modo […] che lo spettro della copertina, pur continuando a essere presente, ad essere lì, fosse invisibile, non facesse più la minima paura115». La focalizzazione su questo dettaglio non è affatto irrilevante; il fantasma diventa simbolo della strage compiuta. L’eccidio continuerà a pesare sulla comunità ferrarese proprio come quel fantasma che torreggia sopra l’imbarcazione; non importa che si cerchi di andare avanti e dimenticare e quindi rovesciare

113 G.B., Un‘43, p.173. 114 G.B., Un‘43, p.197. 115 Ibid.

l’immagine spaventosa, essa continuerà ad esistere. È quasi paradossale che sia la presenza del farmacista, colui che per primo ha voluto capovolgere quella figura e quindi fingere di non vedere, a permette la persistenza e la rievocazione della strage. Così, per i ferraresi, quella notte mai confessata continua a ripetersi nel modo in cui era avvenuta: chiara e piena di luce, «quella gran luce, quell’incredibile chiaro di luna che a partire da mezzanotte, girato improvvisamente il vento, aveva fatto di ogni pietra della città un pezzo di vetro o di carbone116». Si tratta di una luce gelida, tagliente che ricopre tutta la città e la fissa nella netta alternanza di bianco e nero, quasi a voler sottolineare la contrapposizione tra buoni e cattivi, innocenti e colpevoli. Un contrasto di colori che aiuta a mettere in risalto i corpi dei fucilati, ben riconoscibili sulla neve. Tuttavia, questa, è una neve dura e gelida, paragonabile ad una lastra tombale, ma allo stesso tempo ha anche un qualcosa di pietoso dal momento che sparge sopra ogni cosa una una ‘polvere brillante’:

«Ricordava ogni particolare della scena come se l’avesse ancora adesso davanti agli occhi. Rivedeva corso Roma tutto vuoto sotto la luna piena, la neve, indurita dal gelo, sparsa come una specie di polvere brillante su ogni cosa, talmente limpida e chiara l’atmosfera da poter leggere le ore all’orologio del Castello […] e i cadaveri, infine, che dal punto dove lei li guardava assomigliavano a tanti fagotti di stracci, e invece erano corpi umani, l’aveva capito subito117».

Il desiderio dell’autore di risultare il più attendibile possibile poteva prevedere delle consapevoli modifiche, a condizione che l’immagine delle cose narrate e la verità risultassero rafforzate, proprio come in questo caso. L’utilizzo consapevole di quello che Monet chiama effet de neige è spiegato dallo stesso Bassani in In risposta (VI): «È vero, l’eccidio in piazza di cui mi sono occupato in Una notte del ‘43 accadde il 15 ottobre, non il 15 novembre. È vero. Ma d’altra parte mi piaceva la neve, mi affascinava il contrasto tra i corpi esanimi dei fucilati e la neve...118»

Egli si era quindi imposto l’obbligo di dover distinguere quella notte specifica da tutte le altre, in modo tale che, anche a distanza di tempo, la verità nata dalla finzione potesse legarsi ai fatti reali fino al punto di potersi sostituire nella memoria.

116 G.B., Un‘43, p.198. 117 G.B., Un‘43, p.210. 118 G.B., Ddc, pp.1326-37.

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