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Limite al Continuo

l’azione (3.83). Nella teoria interagente essi non possono più essere identificati con la massa e l’accoppiamento fisici, ma si devono considerare come parametri “ bare” della teoria, privi di un immediato significato fisico. Questa è la ragione

del pedice “ 0” che abbiamo utilizzato nel paragrafo.

3.4

Limite al Continuo

Finora abbiamo costruito delle teorie discrete richiedendo che nel limite continuo la loro azione tendesse a quella della teoria di cui ci interesserebbe studiare il comportamento. Tuttavia questa richiesta non ci assicura che la teoria discreta così ottenuta tenda alla teoria di campo che cerchiamo. Perché ciò avvenga la teoria discreta deve avere una regione critica nello spazio dei parametri in cui le lunghezze di correlazione divergono.

Consideriamo l’esempio della teoria di pura gauge di SU (3), la cui for- mulazione su reticolo è analoga a un sistema statistico rappresentato dalla funzione di partizione Z = Z DU e 1 g2 0 TrP P(UP+U † P) . (3.87)

Abbiamo ignorato il termine costante nell’azione perché non contribuisce al calcolo dei valori di aspettazione.

Immaginiamo dunque che questa teoria discreta abbia un limite continuo da cui vorremo estrarre lo spettro di masse della teoria che ci interessa. Per farlo potremmo studiare il comportamento di date funzioni di correlazione per grandi tempi euclidei. La più grande larghezza di correlazione sarebbe data dalla massa più piccola dello spettro, m. Se essa deve essere finita allora la massa misurata in unità del reticolo, ˆm, deve tendere a zero per a → 0, e così la corrispondente lunghezza di correlazione ˆξ dovrà divergere. Dunque la teoria continua potrà essere riprodotta solo ad un punto critico della teoria discreta descritta dalla funzione di partizione (3.87).

Studiare un sistema nei pressi di una criticità però implica di dover scalare i parametri in modo adeguato. Nel nostro caso abbiamo un solo parametro, la costante di accoppiameto bare, g0, adimensionale e senza un significato

fisico diretto. La lunghezza di correlazione ˆξ dipenderà da questo parametro, per cui il limite continuo sarà realizzato per g0 → g0∗ dove

ˆ

ξ(g0) −−−→ g0→g∗0

∞. (3.88)

Come abbiamo visto ciò è conseguenza del richiedere che le quantità fisiche si mantengano costanti nel limite a → 0. Abbiamo in questo introdotto

in modo implicito una scala tramite cui possiamo misurare quantità fisiche non adimensionali. Questa scala sarà legata a g0, e la loro relazione si può

determinare, almeno formalmente, come segue.

Sia Θ un’osservabile con dimensione dΘ (misurata in massa). Sia ˆΘ

la corrispondente quantità sul reticolo. ˆΘ dipenderà dai parametri “nudi” della teoria, nel nostro esempio dal solo accoppiamento adimensionale g0.

L’esistenza di un limite continuo implica che

Θ(g0(a), a) =  1 a dΘ ˆ Θ(g0) (3.89)

abbia un limite finito per a → 0, se g0 è variato nel modo appropriato in

base al valore di a, tendendo al valore g0∗ definito sopra quando a → 0. Per questo motivo se è nota la dipendenza di ˆΘ da g0 possiamo determinare g0(a)

(almeno in un intorno di a = 0+) dalla (3.89), fissando il membro sinistro al valore fisico Θf is. Otterremo così g0 in funzione di a Θ

1/dΘ

f is .

Da questa discussione si potrebbe dedurre che la dipendenza di g0 da a

trovata dipende dall’osservabile considerata. Per spaziatura a finita infatti questo è ciò che accade. Tuttavia per a → 0 emerge un’unica funzione universale g0(a) che assicura il corretto limite per ogni osservabile. Lo stesso

accade se la dipendenza è da più parametri.

Immaginiamo ora di avere una teoria discreta che tenda a una teoria di campo nel limite continuo. Per assicurarci che questa teoria sia effettivamente la QCD (o un’altra teoria di nostra scelta) e di estrarre fisica del continuo, nonostante costretti da limitazioni pratiche a lavorare con reticoli di modeste dimensioni, abbiamo bisogno di un qualche tipo di linea guida.

Per prima cosa ci si deve accertare che le lunghezze di correlazione misurate in unità del reticolo siano grandi rispetto alla spaziatura a, ma piccole rispetto alle dimesioni del reticolo stesso. In secondo luogo mostreremo nel seguito che nel caso della QCD è possibile determinare la dipendenza di g0 da a nel limite

a → 0, limitandoci all’esempio dell’approssimazione quenched introdotto in questo paragrafo, in cui l’azione dipende solo da g0. Quando avremo stabilito

questa relazione diverrà nota anche la dipendenza di ogni osservabile fisica dalla spaziatura del reticolo nella zona critica della teoria, ed essa potrà essere usata per controllare se si è in grado di estrarre fisica del continuo in una data simulazione effettuata su un reticolo di dimensioni finite.

Per studiare il comportamento di g0 intorno alla criticità possiamo sce-

gliere qualsiasi osservabile. Useremo allora il potenziale statico Q ¯Q introdotto nel paragrafo 2.4. Come abbiamo visto esso si può ricavare dall’andamento

3.4. LIMITE AL CONTINUO 59 per grandi tempi euclidei del valore di aspettazione del loop di Wilson. Nel- l’approssimazione quenched questo potenziale misurato in unità del reticolo sarà funzione di g0 e ˆR = R/a, con R separazione tra i due quark statici.

Per spaziatura del reticolo a piccola ma finita allora il potenziale sarà dato da: V (R, g0, a) = 1 a ˆ V R a, g0  , (3.90)

in cui c’è una dipendenza non ancora nota di g0 da a, che sarà tale da rendere

la (3.90) indipendente da a nal limite a → 0. Ciò implica che V dovrà soddisfare l’equazione del gruppo di rinormalizzazione:

 a ∂ ∂a − β(g0) ∂ ∂g0  V (R, g0, a) = 0 (3.91) in cui β(g0) = −a ∂g0 ∂a (3.92)

è la funzione β di Callan-Symanzik. Se questa fosse nota potremmo integrare nella (3.92) e ottenere g0. Anche se non possiamo ricavare esattamente β(g0)

il calcolo si può fare con la teoria delle perturbazioni, espandendo l’espressione continua per V (R, g0, a) V (R, g0, a) = − lim τ →∞  1 τ ln hWC[A]i  (3.93) in potenze di g0 (che compare nel loop di Wilson), e sostituendo il risultato

approssimato così trovato nella (3.92), che è valida ad ogni ordine.

Nel caso non abeliano i calcoli non sono semplici. Questo potenziale è stato calcolato fino all’ordine O (g4

0) per il gruppo di gauge SU (N ) [5]. Riportiamo

qui il risultato: V (R) ≈ −g 2 0(a) 4πR C2(F )  1 + g02(a)11N 24π2 ln  7, 501R a  +1 4g 2 0(a)C2(F )  . C2(F ) è l’operatore di Casimir quadratico nella rappresentazione fondamen-

tale, per SU (N ) pari a (N2− 1)/(2N ). Per ricavare la relazione tra g0 e a

sostituiamo l’espressione trovata per V (R) nella (3.91). Per SU (N ) si ottiene: β(g0) ≈ −

11N 48π2g

3

0, (3.94)

valida per g0 sufficientemente piccolo. Dato che β(g0) è negativo per g0 in un

intorno di zero, dalla (3.92) vediamo che riducendo la spaziatura del reticolo g0 decrescerà avvicinandosi allo zero della funzione β(g0) dato da g∗0 = 0.

Perciò se per un dato valore della spaziatura a si trova (fittando i dati di una simulazione) che g0 è abbastanza piccolo da rendere valida la (3.94), que-

st’approssimazione migliorerà diminuendo ulteriormente a. Il limite continuo sarà realizzato per g0 → 0: stiamo in pratica ritrovando la libertà asintotica

della teoria.

Ricordiamo qui che i primi due coefficienti della funzione β sono indipen- denti dal modo usato per calcolarla. Integrando la (3.92) troviamo:

a = 1

ΛL

e− 1

2β0g02 (3.95)

dove ΛL è una costante con le dimensioni di una massa e:

β0 =

11N

Capitolo 4

QCD a temperatura finita

Siamo interessati al comportamento della cromodinamica quantistica quando la temperatura è finita. Nella nostra esposizione abbiamo analizzato finora la teoria a temperatura zero, considerando così le grandezze calcolate nello stato fondamentale del sistema. Tra le domande interessanti che ci possiamo porre a temperatura finita ci sono: i) la QCD predice effettivamente una transizione di fase da una fase confinante a bassa temperatura, dove la simmetria chirale è rotta, a una fase a temperatura alta in cui quark e gluoni sono deconfinati e la simmetria chirale ripristinata? ii) Se è così, qual è la temperatura e qual è la natura della transizione? iii) Qual è la natura della fase a temperatura alta?

La formulazione su reticolo non perturbativa della cromodinamica ci consente, almeno in principio, di ottenere una risposta a queste domande. In questo paragrafo illustreremo alcuni degli strumenti teorici utili a studiare una possibile transizione con deconfinamento.

4.1

Funzione di partizione a temperatura finita

Se φ è un campo scalare reale la cui dinamica è governata dall’hamiltoniana H, quando il sistema è messo in contatto con un bagno termico a temperatura T tutti gli autostati di energia di H sono eccitati, con probabilità data dal fattore di Boltzmann e−βH, in cui β = 1/T (poniamo kB = 1). La funzione

di correlazione termica è allora: hφ(x1) . . . φ(xn)iβ =

Tre−βHT (Φ(x1) . . . Φ(xn))



Tr e−βH , (4.1)

in cui xi = (~xi, τi) e Φ(x) sono operatori in rappresentazione di Heisenberg

nella formulazione euclidea. Si può ricavare una rappresentazione in termini di 61

integrali di cammino della (4.1) in modo analogo a quanto visto nel capitolo 2.2. Il risultato, se l’hamiltoniana è somma di un termine cinetico quadratico nei momenti canonici e un’interazione che dipende solo dai campi φ, è:

hφ(x1) . . . φ(xn)iβ = R PDφ φ(x1) . . . φ(xn) e −S(β)[φ] R P Dφ e −S(β)[φ] , (4.2) in cui S(β)[φ] = Z β 0 dτ Z d3xLE (4.3)

è l’azione euclidea a temperatura finita. Il pedice P negli integrali sta a indicare che imponiamo condizioni al contorno periodiche φ(~x, 0) = φ(~x, τ ).

In generale la funzione di partizione termodinamica di un sistema bosonico con hamiltoniana H è, infatti:

Z = Tr e−βH. (4.4)

Essa si può dunque rappresentare mediante l’integrale di cammino Z =

Z

P

Dφ e−R0βdτ LE[φ], (4.5)

dove LE è la lagrangiana euclidea. Perciò la temperatura è introdotta restrin-

gendo l’intervallo dei tempi euclidei all’intervallo finito [0; β] e imponendo condizioni periodiche al contorno.

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