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Al limite dell’eresia: Santa Sede e Chiesa statunitense tra fine Ottocento e Grande guerra

2. Alle origini del “problema” 1 I rapporti politico-diplomatic

2.2 Al limite dell’eresia: Santa Sede e Chiesa statunitense tra fine Ottocento e Grande guerra

Durante le fasi iniziali del conflitto, la Santa Sede aveva sostenuto la causa austro-tedesca, credendo che, oltre a salvaguardare la numerosa popolazione cattolica austriaca, la vittoria dell’Alleanza avrebbe agevolato la soluzione della “questione romana”, restituendo al papa il potere temporale perduto a seguito dell’unificazione italiana. Con l’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa e la sottoscrizione del Trattato di Londra – il cui articolo 15 stabiliva, come detto, l’esclusione del Vaticano dagli eventuali negoziati di pace – la

67 Cfr. L.M. Teitelbaum, Woodrow Wilson and the Mexican Revolution, 1913-1916, Exposition Press, New

York, 1967, passim, e J.T. Ellis, The Life of James Cardinal Gibbons cit., Vol. II, pp. 516-9.

68 Su cui cfr. P. D’Agostino, Rome in America cit., p. 111. 69

Al riguardo si veda L. Bruti Liberati, Santa Sede e Stati Uniti cit., pp. 129-50.

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diplomazia pontificia vide, tuttavia, assottigliarsi le speranze di un successo per gli Imperi Centrali e, per questo, iniziò ad adoperarsi affinché proprio gli Stati Uniti, la nazione extraeuropea con il maggior numero di cattolici, supportassero le istanze di Benedetto XV, desideroso di recitare un ruolo attivo nella composizione del conflitto in corso. A tal fine, una volta smentito il contenuto dell’intervista rilasciata dallo stesso papa al quotidiano “La Liberté” nel giugno 1915, il 4 agosto il cardinale Pietro Gasparri lanciò, con una circolare diretta a tutte le nunziature apostoliche, una campagna di “sensibilizzazione” internazionale. Tra i destinatari della sua comunicazione figurava anche il nome di Giovanni Bonzano, non un rappresentante diplomatico, bensì semplicemente il Delegato Apostolico negli Stati Uniti d’America. Nella prima parte, la circolare denunciava l’acuirsi, a seguito dell’ingresso italiano in guerra, delle difficoltà di comunicazione della Santa Sede sia con gli Stati belligeranti “nemici” del Regno d’Italia, sia con quelli neutrali71. Pur giudicando le garanzie ricevute nel marzo precedente sulla libera circolazione dei cifrati degli ambasciatori “neutrali” in Vaticano72 come una chiara manifestazione del «massimo buon volere»73 da parte del governo Salandra, Gasparri prendeva atto del protrarsi delle difficoltà di comunicazione e si chiedeva «che sarebbe stato se, allorché venne la crisi, al Ministero Salandra fosse succeduto, ovvero succedesse in avvenire per qualsiasi ragione, un Ministero radicale?»74. Era «chiaro, adunque, che la situazione creata alla S. Sede dai fatti del 1870 – proseguiva il Segretario di Stato – fosse divenuta «essenzialmente precaria ed incerta poiché [dipendente] da mutevoli

71 La Santa Sede lamentava, sin dalla primavera de 1915, il boicottaggio delle comunicazioni sia delle

rappresentanze dei Paesi neutrali, sia di quelle “nemiche”, tedesca e austriaca, ai rispettivi governi da parte delle autorità italiane. Come si evince da una nota verbale dell’ambasciatore italiano a Madrid, Sonnino aveva fatto pressioni affinché fosse ribadito anche alla Spagna che «il Governo ha preso le misure necessarie perché la corrispondenza della Santa Sede avesse così all’arrivo come alla partenza libero e sollecito corso con esenzione da ogni censura», facendo così ricadere la responsabilità dei disagi all’amministrazione austriaca «che respinge, invece, pieghi e lettere provenienti da membri del Sacro Collegio e da Autorità pontificie anche se munite di bollo della Segreteria di Stato». Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri Italiano, Archivio Politico Ordinario e di Gabinetto (d’ora in poi ASMAE, APOG), b. 177, nota verbale del Regio Ambasciatore a Madrid al Governo spagnolo, Madrid 24 giugno 1915.

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La decisione del Governo italiano, abbozzata dal Ministero della Guerra e, poi, vagliata dal Ministro delle Poste e Telegrafi, Riccio, prima della definitiva approvazione in Consiglio, prevedeva, infatti, che «[…] i rappresentanti presso la Santa Sede di stati alleati e neutrali potranno di fatto sempre servirsi per la corrispondenza coi loro governi delle comunicazioni segrete lasciate ai rappresentanti di quegli stessi Stati presso Sua Maestà il Re. Inoltre potranno sempre avvalersi del segreto ammesso pel Vaticano. Onde di fatto la loro condizione resta assolutamente eguale». Ivi, Sonnino a Orlando (personale), Roma 30 marzo 1915.

73 ASV, Delegazione Apostolica degli Stati Uniti d’America (d’ora in poi DASU), titolo V (affari esteri), pos.

68, f.3r, Gasparri a Bonzano, Vaticano 4 agosto 1915.

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Ivi, f. 4r. Oltre che dal futuro del governo Salandra, le preoccupazioni di Gasparri traevano origine dalla decisione dei rappresentanti diplomatici di Austria, Baviera e Prussia di lasciare Roma subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia del 23 maggio 1915. Il cardinale, infatti, riteneva che, nonostante le aperture del governo italiano, la loro permanenza fosse «praticamente impossibile», e che «il modo di corrispondere coi loro Governi [era] umiliante ed assurdo». Ivi, f. 3r. Sull’argomento, cfr. pure Il Cardinale Gasparri cit., in particolare pp. 171-2.

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circostanze di uomini e di avvenimenti»75. Eppure, nonostante Benedetto XV venisse ripetutamente accusato di voler ricorrere all’intervento di una potenza straniera per riacquisire quanto l’unità d’Italia gli aveva sottratto, l’indipendenza del Vaticano rimaneva, soprattutto alla luce del patto di Londra, un lontano miraggio: un traguardo difficilmente raggiungibile, ma che, ad ogni modo, non doveva determinare il disinteresse dell’opinione pubblica internazionale per le sorti del pontefice. «Ma se il Santo Padre per ragioni che è facile comprendere, non chiama eserciti stranieri a ristabilirlo sul suo trono temporale, ciò non significa che i Governi degli Stati cattolici, o che contino dei cattolici fra i loro sudditi, non abbiano il diritto di preoccuparsi della situazione anormale della S. Sede; essi – ammoniva Gasparri a conclusione della sua lunga circolare – ne hanno anzi il dovere»76. Stando alle indicazioni ricevute, quindi, Bonzano avrebbe dovuto discutere di tali problematiche sia con i diplomatici italiani accreditati a Washington, sia col Dipartimento di Stato, così da coinvolgere anche i rappresentanti statunitensi a Roma e, conseguentemente, il Ministero degli Esteri italiano.

Non potendo fare affidamento su canali diplomatici ufficiali, il Delegato Apostolico e James Gibbons, l’unico cardinale americano tra il 1887 e il 1911, erano i soli, nonché più autorevoli, interlocutori di cui il Vaticano disponeva affinché si concretizzasse quanto auspicato da Gasparri e Benedetto XV. Al momento della “grande” Guerra, tuttavia, i rapporti tra la Chiesa statunitense e la Sede Apostolica erano tutt’altro che pacifici; persistevano, infatti, antichi dissapori emersi durante l’ultimo ventennio del XIX secolo e mai completamente rimossi né con Leone XIII, né, tantomeno, con il successivo pontificato di Pio X.

Rispetto al dato del 1840, tra il 1875 – anno in cui l’arcivescovo di New York, John McCloskey, fu creato primo cardinale nordamericano77 – e la prima metà degli anni Novanta, la popolazione cattolica degli Stati Uniti decuplicò a seguito dell’imponente flusso migratorio proveniente dal Continente europeo. Oltre al necessario riassetto con l’istituzione di nuove sedi diocesane, l’esponenziale e rapido incremento del numero di fedeli poneva la Chiesa di fronte ad una situazione del tutto nuova, sostanzialmente mai sperimentata altrove: l’esistenza, cioè, di una sempre più radicata comunità cattolica all’interno di una società, che, in quanto pluralistica, multietnica e multinazionale, non concedeva al cattolicesimo il monopolio della verità religiosa, ma, al contrario, ne contestava di frequente il carattere retrivo ed oscurantista. Per la maggioranza irlandese dei cattolici, di fonte al pregiudizio

75 ASV, DASU, titolo V, pos. 68, f. 3r cit. 76 Ibidem.

77 Sulla figura di McCloskey e sulle ragioni che indussero Pio IX a crearlo cardinale, si rimanda a J.J. Walsh,

Our American Cardinals. Life Stories of the Seven American Cardinals McCloskey, Gibbons, Farley, O’Connell, Dougherty, Mundelein, Hayes, Books for Libraries Press, New York, 19693., pp. 1-52.

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nativista e all’accusa di obbedienza ad una “potenza straniera”, la Chiesa doveva reagire dimostrandosi pronta a comprendere le diverse esigenze della società statunitense, soprattutto quelle delle masse di immigrati concentrati nelle aree metropolitane78. Imbevuto di liberalismo per le vicende storiche attraverso cui era passato, il clero d’oltre Atlantico, inoltre, era rimasto sostanzialmente impenetrabile alle intransigenti direttive dell’“ultimo” Pio IX, rivendicando margini di autonomia sempre crescenti per calarsi, senza temere compromessi e condanne, nella realtà in cui operava e partecipare attivamente alla sua stessa crescita. Come nota James Hennesey nella sua poderosa storia del cattolicesimo negli Usa, i prelati, soprattutto i più giovani, pur di integrarsi finirono, quindi, col rifiutare il centralismo “romano”, individuando proprio nell’indisponibilità al rinnovamento e nel rigido formalismo i punti deboli della Chiesa cattolica, sui quali, del resto, la retorica puritana aveva da sempre basato il presunto carattere “anti-americano” del cattolicesimo stesso. Roma, dal canto suo, guardava con sospetto la “specificità” del caso statunitense; temeva che il bisogno di mostrarsi attaccati alla patria non fosse solo funzionale ad una migliore assimilazione nel tessuto socio-culturale nazionale, bensì che esso addirittura nascondesse eterodossi e reconditi intenti di snaturare il cattolicesimo, così come era avvenuto con la riforma protestante79. Il Terzo Concilio Plenario dei vescovi degli Stati Uniti svoltosi a Baltimora nel 1884 fu un evento cruciale per i rapporti tra la Chiesa d’oltre Oceano e la Santa Sede. Dopo che parte della gerarchia ecclesiastica aveva rifiutato il contenuto della costituzione dogmatica Pastor

Aeternus del 1870, Leone XIII voleva testare la fedeltà del clero nord-americano80. Dal Concilio emersero due dati estremamente significativi, che, in buona sostanza, confermavano l’immagine della Chiesa statunitense fornita dai numerosi rapporti inviati negli anni a Roma dai vari Prefetti della Congregazione di Propaganda Fide. In primis, che l’intromissione vaticana negli affari interni all’episcopato americano mal si conciliava con la tradizionale collegialità e la vocazione autonomistica di quest’ultimo. Donde il rifiuto pressoché unanime sia dell’ipotesi di inviare a Washington un Delegato Apostolico che rappresentasse il pontefice presso la gerarchia locale, sia, addirittura, che il Concilio fosse presieduto dal delegato inizialmente scelto dal Vaticano, il vescovo agostiniano Luigi Sepiacci, il quale fu

78 Un riferimento imprescindibile al riguardo resta il classico J. Higham, Strangers in the Land. Patterns of

American Nativism, 1860-1925, Rutgers University Press, New Brunswich-London, 20046, capp. I-II, pp. 12-67; sulle matrici culturali dell’anti-cattolicesimo statunitense, cfr. invece Anti-Catholicism in American Culture, a cura di R.P. Lockwood, Our Sunday Visitor Pub., Huntington, 2000, pp. 15-54.

79 Cfr. J. Hennesey, American Catholics cit., pp. 184-203. 80

G.P. Fogarty, The Vatican and the American Hierarchy cit., pp. 27-35, ritiene che la convocazione del Concilio di Baltimora fosse stata una diretta conseguenza dell’incremento dei flussi migratori verso gli Stati Uniti nei primi anni Ottanta del XIX secolo e, quindi, della necessità, da parte della Santa Sede, di affrontare la problematiche relative al pluralismo religioso, nonché di risolvere i contrasti interni all’episcopato americano, da sempre geloso della propria autonomia da Roma. Su tali aspetti cfr. pure T. McAvoy, The Great Crisis cit., in particolare pp. 10-1.

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sostituito da James Gibbons, nominato nel frattempo arcivescovo di Baltimora81. In secondo luogo, è da notare che, proprio a conclusione del Concilio, iniziarono ad acuirsi in modo irreversibile le spaccature interne all’episcopato. Con una gerarchia formata soprattutto da irlandesi, tedeschi e francesi, e una popolazione mista di immigrati di varie nazionalità, la Chiesa statunitense non si dimostrò in grado di produrre una linea politico-culturale unitaria. La mancanza di tale “omogeneità nazionale”, osserva Ornella Confessore, esasperava le difficoltà delle comunità cattoliche, «pur sempre minoranze, immerse in una società continuamente ostile e aggressiva», e concorreva a disarticolarle82.

Prodotto, come detto, di una realtà pluralistica nella quale cercava di integrarsi a pieno, la Chiesa statunitense era, infatti, divisa secondo linee politiche in conservatori e progressisti; geografiche, tra piccole diocesi dell’Ovest e grandi sedi metropolitane della costa atlantica; ed, infine, etnico-linguistiche con lo scontro tra clero e vescovi english speaking, da un lato, e

german o french speaking dall’altro. Questi ultimi, legati ad una concezione più “europea” e

tradizionale del cattolicesimo, si dimostrarono poco inclini ad accettare il modello della giovane e dinamica società statunitense, mentre specialmente gli irlandesi erano desiderosi di qualificare l’azione della Chiesa attraverso il supporto alle politiche di riforma in materia di giustizia sociale ed istruzione pubblica. Nel volgere di pochi anni dal Concilio di Baltimora, l’inconciliabilità delle due posizioni si complicò ulteriormente tanto da indurre la storiografia ad identificare l’esistenza, all’interno del mondo cattolico statunitense, di un conservative e di un liberal party83. Forte del controllo sia dell’Università Cattolica d’America, sia del Collegio Americano di Roma, l’ala progressista dell’episcopato, guidata da James Gibbons, John Ireland, John Keane e Denis O’Connell e sostenuta dalla stampa liberale della costa orientale, si fece promotrice tanto della collaborazione con le autorità civili, legittimando il diritto dello Stato di affiancare alle scuole parrocchiali istituti pubblici per l’istruzione, quanto del sostegno alle rivendicazioni sindacali delle masse lavoratrici nei grandi distretti urbani, dimostrando un’inedita sensibilità alle sempre più complesse problematiche sociali connesse al rapido sviluppo industriale del Paese84. Soprattutto attraverso la rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, la fazione tedesca e conservatrice, viceversa, non accettava un modello di

81

Cfr. G.P. Fogarty, The Bishops versus Religious Orders: The Suppressed Decrees of the Third Plenary Council of Baltimore, in “The Jurist”, n. 33, 1973, pp. 384-98.

82 O. Confessore, L’americanismo cattolico in Italia, Edizioni Studium, Roma, 1984, p. 17.

83 Tematiche, queste, affrontate in modo approfondito in G.P. Fogarty, American Conciliar Legislation cit., pp.

400-9 e Id., The Vatican cit., pp. 35-61.

84 Sulle posizioni della componente progressista dell’episcopato Usa e sull’operato dei suoi principali esponenti,

si vedano J.T. Ellis, The Life of James Cardinal Gibbons cit., in particolare il Vol. I; J. Moynihan, The Life of Archbishop John Ireland, Harper & Brothers, New York, 1953; F. McNamara, The American College in Rome, 1855-1955, Christopher Press, Rochester, 1956, pp. 278-85; P.H. Ahern, The Catholic University of America, 1887-1896: The Rectorship of John J. Keane, Catholic University of America Press, Washington, 1949.

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cattolicesimo socialmente impegnato, ritenendo, inoltre, che le aperture allo Stato in materia di istruzione avrebbero inevitabilmente eroso il consolidato monopolio ecclesiastico sui meccanismi di formazione delle elite dirigenti e sulle stesse modalità di circolazione delle idee85.

Nella prima fase del suo pontificato, quella, cioè, caratterizzata dal tentativo di recuperare i rapporti con le nazioni repubblicane largamente compromessi con Pio IX, Leone XIII avallò di fatto il processo di “americanizzazione” portato avanti dalla corrente progressista della gerarchia. Ne è una chiara dimostrazione il tolerari potest espresso dalla Commissione speciale di Propaganda Fide nel 1892 e subito confermato dallo stesso papa circa la posizione assunta da John Ireland sulla controversia scolastica86. Accettando l’idea dell’arcivescovo di St. Paul per cui «the public schools provided for the improvement of poorer Catholics and that therefore bishops should not comped parents to send their children to parochial schools»87, la Santa Sede dava la sensazione, quindi, di aver iniziato a metabolizzare il fatto che la Chiesa provasse ad integrarsi nel sistema democratico costituzionale americano88 e di aver, quindi, recepito le indicazioni ricevute alcuni anni prima da Germano Straniero. Inviato dalla Santa Sede per portare la berretta cardinalizia al vescovo di Baltimora nel 1885, il segretario della nunziatura apostolica di Vienna aveva avuto modo, infatti, di descrivere con stupore e non senza ammirazione l’armoniosa separazione tra Stato e confessioni religiose nella repubblica stellata, consigliando, quindi, alle autorità vaticane di non sostenere posizioni troppo tradizionaliste89.

85 Cfr. C.J. Barry, The Catholic Church and German-Americans, Bruce Publishing Company, Milwaukee, 1953,

pp. 62-4, 289-96 e F. Trommler, E. Shore, German-American Encounter: Conflict and Cooperation Between Two Cultures, Berghahn Books, Oxford, 2001, pp. 49-60.

86 John Ireland, in un discorso all’American Education Association del 1890, elogiò la scuola pubblica

americana, definendola, addirittura, «as our pride and glory». Alle parole dell’arcivescovo fece seguito la pubblicazione di un pamphlet di Thomas Bouquillon, professore di teologia morale presso l’Università Cattolica americana, in cui l’illustre accademico affermò che «if parents failed in their obligation either at home or in a school of their choice, the State had the right to provide by compulsory education for the future of the rising generation and for the conservation of the social body». D.F. Reilly, The School Controversy, 1891-1893, Catholic University of America Press, Washington, 1944, pp. 75-86, citato in G.P. Fogarty, The Vatican and the American Hierarchy cit., pp. 69-70. La replica della fazione conservatrice, invece, fu affidata a Renè Holaind, professore di teologia morale al Woodstock College, che, in un saggio intitolato The Parents First, espresse l’idea per cui «the State, in any case, could provide schools only when they were absolutely necessary and not when they were merely useful». Cfr. pure utilmente M.R. O’Connell, John Ireland and the American Catholic Church, Minnesota Historical Society Press, St. Paul, 1988, pp. 317-47.

87 G.P. Fogarty, The Vatican and the Americanist Crisis cit., pp. 205-6.

88 Emblematica, al riguardo, è la dichiarazione di Ireland nel 1893 in occasione del venticinquesimo anniversario

della consacrazione episcopale del cardinal Gibbons: «La Chiesa cattolica non teme la democrazia […], più di qualsiasi altro un regime nel quale la Chiesa cattolica, Chiesa del popolo, respira aria più confacente alla sua mente, al suo cuore». J. Ireland, La Chiesa e l’età presente, discorso tenuto il 18 ottobre 1893, riportato in O. Confessore, L’americanismo cattolico cit., p. 19.

89

Il Rapporto di Straniero sulle condizioni della Chiesa negli Stati Uniti è in ASV, Segreteria di Stato (d’ora in poi SS), 1902, rubr. 280, fasc. 10, ff. 5-87.

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Anche l’istituzione della Delegazione Apostolica a Washington, nel gennaio 1893, sembrò una scelta favorevole ai vescovi progressisti. Desideroso di arginare i conflitti intestini alla gerarchia, Leone XIII affidò il delicato incarico di Delegato a Francesco Satolli, già arcivescovo titolare di Lepanto. Come si evince dagli studi condotti sull’argomento da Gerald Fogarty e Robert Wister, l’obiettivo del pontefice non era certo di avviare trattative diplomatiche col governo presieduto dal democratico Grover Cleveland, bensì quello di provare a ricomporre l’ormai annosa frattura che lacerava la Chiesa statunitense senza, tuttavia, dare la sensazione di voler interferire troppo nei suoi affari interni90. Mentre l’indifferenza con cui il governo federale accolse la notizia dell’istituzione della Delegazione Apostolica sembrò confermare l’impossibilità di riprendere il percorso diplomatico interrotto nel 1867, l’iniziale successo riscosso da Satolli rassicurava il pontefice circa la bontà della sua scelta. Eppure, l’entusiastico atteggiamento dei liberal prelates nei confronti del Delegato fu paradossale: una «Phyrric victory»91, nota ancora Fogarty, che sconfessava i propositi di autonomia da Roma nella misura in cui avrebbe fatalmente permesso proprio alle autorità vaticane di avere maggiore voce in capitolo nel determinare la linea di condotta della Chiesa statunitense.

Le iniziali aperture di Leone XIII verso l’americanismo cattolico lasciarono presto il posto ad un atteggiamento decisamente più cauto durante gli anni Novanta dell’Ottocento. La sempre più marcata identificazione della componente progressista della gerarchia con la causa dei Knights of Labor e delle altre società segrete impegnate nella rivendicazione dei diritti dei lavoratori92 spinse, infatti, il pontefice a temere che la Chiesa potesse agevolare la diffusione tra le masse cattoliche dell’ideologia socialista, che, del resto, aveva già assunto le forme dell’organizzazione partitica in diversi Stati europei. La possibilità che l’americanismo potesse attrarre anche i cattolici del Vecchio continente perdendo la sua connotazione esclusivamente nazionale costituiva, nondimeno, un’ulteriore motivo di preoccupazione per la Santa Sede93. A seguito della traduzione dei discorsi di Ireland, pubblicati in Francia presso l’editrice parigina Lecoffe nel 1894, infatti, molti sostenitori cattolici della Terza Repubblica avevano iniziato ad approfondire gli scritti di Isaac Hecker apparsi su “The Catholic World”94

90 Cfr. G.P. Fogarty, The Vatican and the American Hierarchy cit., pp. 115-42 e R.J. Wister, The Establishment

of the Apostolic Delegation in the United States of America: The Satolli Mission, Università Gregoriana, Roma, 1980, passim.

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G.P. Fogarty, The Vatican and the American Hierarchy cit., p. 114.

92 Su cui si veda, soprattutto per il rapporto tra Gibbons e i Knights of Labor, J.T. Ellis, The Life of James

Cardinal Gibbons cit., Vol. I, pp. 489-503.

93 Cfr. L.P. Wallace, Leo XIII and the Rise of Socialism, Duke University Press, Durham, 1966. 94

Si veda D.J. O’Brien, Isaac Hecker. An American Catholic, Paulist Press, Mahwah (NJ), 1992, in particolare pp. 321-39.

30

e le posizioni di James Gibbons e John Ireland nella controversia scolastica95. Anche in Italia,