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Lo spirito di Hyde Park

Una missione comune (1933-1940)

4. Lo spirito di Hyde Park

«Transatlantico […] panamericano»153: questi gli aggettivi usati da papa Ratti per la dedica ad un suo ritratto di cui fece omaggio al cardinale Eugenio Pacelli il 14 novembre 1936. Non si trattava di parole casuali. Quando ricevette il dono del pontefice, infatti, il Segretario di Stato vaticano aveva appena fatto ritorno dagli Stati Uniti d’America: apparentemente solo uno dei suoi numerosi viaggi; in realtà un’occasione storica, destinata a cambiare profondamente sia i

150 F.D.R.: His Personal Letters, a cura di E. Roosevelt, Vol. I, Duell, Sloan and Pearce, New York, 1950, p.

625.

151 ASV, DASU, Titolo II, pos. 455, ff. 46-56, Spellman a Cicognani, Boston 2 marzo 1935 e ivi, ff. 203-4,

Spellman a Cicognani, Boston 15 marzo 1935.

152 Ivi, ff. 282v-3, Vagnozzi a Cicognani, Città del Vaticano 8 aprile 1935. 153

La dedica è riportata nell’articolo Come il giovane popolo d’America è apparso al Card. Pacelli , in “L’Osservatore Romano” il 22 novembre 1936, rinvenuto in ivi, Titolo V, pos. 194, rassegna stampa, f. 267.

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rapporti tra la Santa Sede e la repubblica nordamericana, sia la strategia della diplomazia vaticana nel momento più concitato a livello internazionale dalla fine della Grande guerra. Temprato dalle vicissitudini della vita diplomatica, Pacelli, una volta divenuto Segretario di Stato, si presentò – nota Giovanni Coco – «come l’erede dei “venerati maestri” Rampolla e Merry del Val, e, quindi, come la sintesi di quei diversi orientamenti nell’azione di governo della Chiesa di Roma che a lungo avevano diviso le anime della curia in un dualismo, idealmente concepito nei termini Pio X/Merry del Val e Benedetto XV/Gasparri, che molti avevano considerato come inconciliabile»154. Di qui la scelta di Pio XI, che, liberandosi dell’ingombrante figura di Gasparri, vide nell’ex Nunzio a Berlino un nuovo punto di equilibrio, quasi uno specchio della propria azione di governo, pastorale e diplomatica. Tra il volitivo e passionale papa Ratti e lo ieratico e misurato cardinale Pacelli si instaurò un rapporto che Emma Fattorini definisce «particolare», in virtù di quella sorta di complementarietà che consentì «alle intemperanze dell’uno di essere spente e risolte più diplomaticamente, e alle indecisioni dell’altro una maggiore risolutezza»155. Sempre più disilluso circa l’efficacia della formula concordataria per disciplinare i rapporti tra la Chiesa e il Reich tedesco, nonché preoccupato per la politica fascista e per l’inesorabile avvicinamento tra Mussolini ed Hitler, l’anziano e malato Pio XI manifestò un chiaro rifiuto del nazi- fascismo nell’ultimo scorcio del pontificato. Di tale irrigidimento e, soprattutto delle relative formule espressive, Pacelli temette l’intransigenza e il carattere spesso istintivo ed imprudente, ma ne condivise le ragioni e la necessità. Ne derivò un’infaticabile opera di mediazione, che lo portò ad intervenire per smorzare e stemperare le posizioni del pontefice e, contestualmente, a lavorare con gli strumenti della diplomazia, che gli erano più consoni e che, proprio perché meno visibili, giudicava più efficaci. Furono proprio il suo pragmatismo – tipico di chi è abituato ad operare in situazioni d’emergenza – e la percezione dell’incapacità dei governi europei di porre un freno alle folli aspirazioni hitleriane, che lo indussero a perseguire con crescente ostinazione il progetto di stabilire un punto di contatto diretto con gli Stati Uniti d’America. Un’ipotesi, questa, più volte paventata sin dagli inizi della presidenza di Franklin Delano Roosevelt, ma che, non a caso, iniziò a prendere quota a seguito del viaggio statunitense di Eugenio Pacelli, nell’autunno 1936.

Con la vittoria di Roosevelt alle presidenziali del ’32 la Casa Bianca divenne un luogo molto più accessibile che in passato per i cattolici, laici e non. Tale inversione di tendenza – piuttosto netta rispetto agli anni dello strapotere repubblicano e a quelli dello stesso Wilson – sortì, come detto, effetti mutualmente benefici, garantendo all’amministrazione la possibilità

154

G. Coco, Eugenio Pacelli cit., p. 93.

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di allargare le basi del proprio consenso, e assicurando ai diversi segmenti del cattolicesimo una maggiore partecipazione alla vita politica nazionale. Diversi elementi, tra cui il resoconto della visita di padre Burke all’Executive Office della Casa Bianca, durante il quale Roosevelt si limitò a ringraziarlo per il sostegno ricevuto durante le elezioni e a sottolineare l’importanza della Chiesa in quel momento tanto delicato per il Paese156, sembrerebbero indicare che i propositi distensivi del Presidente nei confronti del mondo cattolico avessero avuto una prospettiva esclusivamente interna, legata solo al tema delle riforme sociali e, quindi, alla legittimazione della legislazione newdealista. Roosevelt, invece, si spinse ben oltre, quando, pochi mesi dopo essersi insediato alla Casa Bianca, auspicò di dare seguito a quell’inedito idillio rivitalizzando i rapporti diplomatici con la Santa Sede. Questo, perlomeno, fu il senso delle parole che egli pronunciò il 12 giungo 1933 in occasione dell’incontro col Delegato Apostolico a Washington, Amleto Giovanni Cicognani.

«Prima ancora del mio arrivo negli Stati Uniti alcuni avevano parlato al Sig. Roosevelt del nuovo Delegato – scrisse Cicognani a Pacelli in un rapporto del 15 giugno ’33 –, e fra questi, secondo che mi è stato riferito, il Card. Mundelein e lo stesso Padre Burke, e il Presidente aveva loro significato che mi avrebbe ricevuto con molto piacere»157. Per quanto fosse «consuetudine fare una visita di ossequio e di complimenti ad ogni nuovo presidente», egli ritenne necessario riferirne in dettaglio «sia per ciò che riguarda la forma, quanto alle cose dette»158. Molti, infatti, erano gli elementi di novità: «fino al presente gli altri Delegati erano ricevuti dal Presidente nell’“Executive Office”, che è un annesso alla Casa Bianca […] là di fatti mi portai, ma mi si disse subito di recarmi nella stessa Casa Bianca»; inoltre, «si al giungere che all’uscire non vi erano i soliti giornalisti e fotografi, ed era evidente che erano stati dati ordini allo scopo»159. Dopo un accenno di Cicognani all’interesse mostrato dalla stampa cattolica statunitense per gli sforzi compiuti dall’amministrazione nel riassetto economico-sociale del Paese, il Presidente parlò con entusiasmo del Santo Padre «lodando la larghezza delle Sue vedute, la perfetta comprensione dei bisogni dei popoli e l’opportunità e la bellezza delle Sue Encicliche […] che», se meglio conosciute, avrebbero avuto «grande influenza sul pensiero sociale ed economico degli Stati Uniti»160. Poi, la conversazione si spostò su argomenti di politica internazionale, a proposito dei quali Roosevelt espresse le sue

156 ACUA, ANCWC, OGS, box 122, fold. 32, memorandum Burke: An Interesting Morning, or, Meeting

Another President, Washington 13 aprile 1933.

157

ASV, SS, AES, America (IV periodo), pos. 230, fasc. 53, f. 83r, Cicognani a Pacelli, rapp. n. 4932-i, Washington 15 giugno 1933. Una prima ricostruzione dell’episodio sulla base della documentazione vaticana è in L. Castagna, La Delegazione Apostolica cit., pp. 166-9.

158 Ivi, f. 83v. 159

Ibidem.

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«speranze sulla Conferenza di Londra, dicendo che gli Stati Uniti avrebbero fatto il possibile per impedire una guerra Europea»; non nascose, inoltre, di aver accolto positivamente «la firma del Trattato a Quattro», e lodò sia Mussolini, per la sua opera mediatrice, sia il ministro delle Finanze italiano, Guido Jung, «il più intelligente di tutti gli speciali rappresentanti dei Governi Esteri ultimamente qui venuti»161.

L’aver affrontato, seppur genericamente, tematiche di politica internazionale tanto delicate con un rappresentante pontificio costituisce di per sé un avvenimento inedito; ciò che sorprende maggiormente del colloquio, tuttavia, è il modo in cui il Presidente accolse Cicognani: «“Io la voglio ricevere – disse – come un Ambasciatore; spero che verrà presto il giorno in cui potrò salutarla come un Ambasciatore”»162. Due giorni più tardi, il 14 giugno, Roosevelt, nel suo discorso alla Catholic University, che lo aveva insignito della laurea

honoris causa in Legge, parlò nuovamente del Delegato come di un «nuovo amico» che

sperava «di vedere spesso durante i prossimi quattro anni»163. Cicognani – si legge ancora nel

report – mantenne un atteggiamento di assoluta cautela, ed intese il riferimento alla possibile

entrata in relazioni diplomatiche con gli Usa solo come «una manifestazione di buon volere e di simpatia verso la Santa Sede», aggiungendo che «vi sarebbero argomenti gravi pro e contra»164.

La prudenza di Cicognani, tuttavia, non bastò ad evitare l’interessamento della carta stampata, che, soprattutto tra la fine del 1933 e i primi mesi dell’anno seguente, iniziò a speculare sui possibili esiti della vicenda. Come di consueto, il personale della Delegazione Apostolica monitorò costantemente la situazione, raccogliendo articoli ed editoriali per tenere informata la Segreteria di Stato.

Fu uno storico, Leo Francis Stock della Catholic University of America, a suscitare per primo l’interesse dell’opinione pubblica, dando alle stampe, nell’agosto 1933, un volume che ricostruiva la storia dei rapporti tra Usa e Stato Pontificio dallo scoppio dei moti del 1848 alla chiusura della missione statunitense a Roma nel 1867, e che, secondo il “News Service” della NCWC, avrebbe finalmente consentito di discutere una questione troppo a lungo ignorata165. Sulla scia dell’opera di Stock, il 10 gennaio 1934 l’editore de “L’Osservatore Romano”, il conte Giuseppe Dalla Torre, ripropose l’argomento in forma più sintetica, ma pose l’accento sul fatto che la soluzione della “questione romana” aveva rimosso quegli ostacoli giuridici alla

161 Ivi, f. 84v. 162 Ivi, f. 84r. 163 Ivi, f. 85v. 164 Ibidem. 165

U.S. Vatican Relation Told, in “NCWC News Service”, 12 agosto 1933, in ivi, DASU, Titolo V, pos. 178, rassegna stampa, f. 4. L’opera in questione è L.F. Stock, United States Ministers to the Papal States cit.

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ripresa delle relazioni diplomatiche166. Le reazioni della stampa statunitense furono immediate. Per il “Progresso Italo-Americano” di New York, era evidente «il desiderio [vaticano] che si ristabiliscano le relazioni ufficiali di una volta»; una possibilità che, secondo il corrispondente romano del giornale di Denver, “The Catholic Register”, sarebbe stata «clearly implied» nelle parole di Dalla Torre, e che per “Il Crociato” – settimanale cattolico di Brooklyn – avrebbe permesso «alla potenza spirituale della Santa Sede e alla potenza politica ed economica degli Stati Uniti […] di esercitare davvero una decisa influenza nei consessi internazionali per la pace nel mondo». Il 4 febbraio 1934 Edward Folliard, uno degli editorialisti più noti negli Usa, dichiarò su “The Washington Herald” che, stando ad alcune indiscrezioni degli ambienti diplomatici della capitale, «a resumption of diplomatic relations between the United States and the Vatican is a distinct probability»167. Agli inizi di marzo “The Catholic Register” e “The Chicago Daily News” si sbilanciarono addirittura sul nome del possibile rappresentante scelto da Roosevelt: Alexander Kirk, consigliere dell’Ambasciata Usa a Roma. Secondo i due quotidiani, infatti, era già stato raggiunto un accordo di massima tra l’amministrazione ed Eugenio Pacelli durante la visita in Vaticano di Jim Farley nel dicembre 1933168.

Non suffragato da alcuna presa di posizione ufficiale da parte del governo, l’interesse dei

media per la questione del rapprochement col Vaticano andò progressivamente scemando.

Cicognani, nonostante Roosevelt avesse espresso la volontà di rivolgersi direttamente a lui in caso di comunicazioni con la Santa Sede, non ebbe ulteriori occasioni di tornare sull’argomento. Riprese, quindi, ad occuparsi delle questioni interne all’episcopato. Come il suo predecessore, Fumasoni Biondi, egli era stato infatti incaricato dalla Concistoriale «di seguire lo svolgimento dei rapporti tra il detto Em. mo Arcivescovo e il prelodato Mons. Spellman e, qualora si abbiano fatti nuovi, riferirne»169. Il dissidio O’Connell-Spellman aveva costituito motivo di preoccupazione per la Santa Sede fin dall’arrivo di quest’ultimo a Boston nel novembre 1932. Il Cardinale – notava allora Fumasoni Biondi – lo aveva accolto «freddamente», ricordandogli «subito che egli era il suo ausiliare e non l’ausiliare

166

“L’Osservatore Romano”, 10 gennaio 1934, in ivi, f. 2.

167 Ivi, f. 4, I rapporti tra Santa Sede e Stati Uniti, in “Il Progresso Italo-Americano”, 11 gennaio 1934 e Open

Hint Given by Osservatore about U.S. Envoy to Vatican City, in “The Catholic Register”, 21 gennaio 1934; f. 7, La potenza spirituale di Roma e la potenza economica di Washington al servizio della pace, in “Il Crociato”, 27 gennaio 1934; f. 12, E.T. Folliard, U.S. Accord with Vatican Believed Near, in “The Washington Herald”, 4 febbraio 1934.

168 Ivi, f. 13, Vatican Seeks U.S. Nod. Public Approval Needed, in “The Chicago Daily Tribune”, 8 marzo 1934;

ivi, f. 9, U.S. Vatican Envoy May Be Chicagoan, in “The Catholic Register”, 18 marzo 1934.

169

Ivi, Titolo IX (Diocesi), Boston, pos. 131, f. 59, Istruzioni della S. Congregazione Concistoriale a Sua Eccellenza Monsignor Cicognani, rapp. n. 537/33, Città del Vaticano 26 aprile 1933.

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dell’Arcidiocesi», intimandogli, inoltre, di non visitare «nessuno degli uomini pubblici [e] di tagliare ogni relazione con gli amici di Roma»170.

Altrettanto spinosa e, con ogni probabilità, parimenti corresponsabile nel reindirizzare gli sforzi della diplomazia vaticana e della stessa Chiesa statunitense in quella fase, fu la gestione del “caso” Coughlin. Meglio noto come il “radio-prete” per la seguitissima radiotrasmissione di cui era responsabile, in cui mischiava proselitismo religioso con estemporanei approfondimenti su tematiche socio-politiche, padre Charles Coughlin della parrocchia di Royal Oak (Michigan) era stato inizialmente uno dei più fervidi sostenitori della politica rooseveltiana. A soli due anni dall’elezione di Roosevelt, tuttavia, egli cambiò atteggiamento nei confronti dell’amministrazione. Convinto che molti dei membri dello staff presidenziale e che lo stesso Roosevelt avessero tendenze filo-comuniste, il suo antagonismo crebbe esponenzialmente man mano che il progetto riformista del New Deal prendeva corpo, e culminò, nel novembre 1934, con l’istituzione della National Union of Social Justice171. Entrambe impegnate, seppur con modalità differenti, a supportare la strategia dell’amministrazione, la Chiesa statunitense e la stessa Sede Apostolica si trovarono di fronte ad una situazione difficilmente gestibile. Incaricato da Pizzardo di raccogliere informazioni, Cicognani mise a conoscenza della Congregazione Affari Ecclesiastici Straordinari che il Presidente, in un colloquio con padre Burke, aveva manifestato le proprie preoccupazioni per la campagna denigratoria di Coughlin, ma ritenne comunque di sconsigliare un intervento censorio diretto del Vaticano o della Delegazione Apostolica, che avrebbe potuto «far insorgere l’opinione pubblica» e fare del chiassoso prete «un martire»; mentre una presa di posizione dell’episcopato, attraverso la NCWC, sarebbe bastata per «sceverare le responsabilità della Chiesa dai [suoi] discorsi», anche perché, dopotutto, gli sembrava che Coughlin stesse «lentamente perdendo in popolarità»172. A differenza di quanto pronosticato da Cicognani, padre Coughlin avrebbe continuato nella sua fastidiosa invettiva anti- rooseveltiana. La Santa Sede, comunque, accettò i suggerimenti del Delegato, rassicurata, evidentemente, anche dalle parole dello stesso Presidente, che, sempre a John Burke, aveva

170 Ivi, f. 22, Fumasoni Biondi a Pacelli, rapp. n. 3466-i, Washington 25 novembre 1932. Per una più dettagliata

ricostruzione della vicenda Spellman-O’Connell, cfr. L. Castagna, La Delegazione Apostolica cit., pp. 164-6.

171

Tra gli studi più recenti sulla figura di Coughlin, cfr. l’ottima analisi di C.R. Gallagher, A Peculiar Brand of Patriotism. The Holy See, FDR, and the Case of Reverend Charles E. Coughlin, in FDR, the Vatican cit., pp. 269-78.

172 ASV, SS, AES, America (IV Periodo), pos. 238, fasc. 66, f. 7v, Cicognani a Pizzardo, rapp. n. 8526-i,

Washington 4 giugno 1934, con Allegati i memorandum di McGowan (ff.10-1) e di Burke su padre Coughlin (ff. 12-3).

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detto di «ben comprendere le difficoltà di un intervento e i pericoli che potrebbero sorgere da una proibizione tassativa»173.

Momentaneamente “distratto” da tali fattori di disturbo, il dialogo tra Washington e la Santa Sede si ripropose ancora una volta sull’intricato terreno della politica internazionale alla fine del 1935, in occasione, cioè, del conflitto italo-etiopico. Roosevelt, com’è noto, riconobbe l’esistenza dello stato di guerra tra l’Italia e l’Etiopia il 5 ottobre 1935. Condizionata dalle pressioni degli isolazionisti più intransigenti in Congresso, la sua, tuttavia, sarebbe rimasta solo una condanna “morale” dell’infame aggressione fascista in Africa orientale. Il Neutrality Act approvato alla fine di agosto, che vietava l’esportazione di armamenti verso qualsiasi Paese belligerante senza alcun margine di discrezionalità per il Presidente, fece scattare automaticamente l’embargo da parte statunitense sulla fornitura di armi e munizioni sia all’Italia, sia all’Etiopia. Roosevelt, in un primo momento, propose un disegno di legge grazie al quale avrebbe avuto la facoltà di limitare il volume delle esportazioni di petrolio e delle materie prime che non rientravano né nella legge di neutralità, né nelle sanzioni applicate dalla Società delle Nazioni all’Italia (7 ottobre e 18 novembre 1935), ma, per non alienarsi il sostegno degli esportatori e degli italo-americani in vista delle elezioni presidenziali, lasciò che l’iter legislativo venisse insabbiato. Alla fine di febbraio 1936, quando le truppe italiane marciavano ormai spedite verso Addis Abeba, il Congresso, dopo un accesso dibattito, elaborò un nuovo Neutrality Act, che ribadiva la volontà degli Stati Uniti di non essere coinvolti nel conflitto e di non estendere, in linea con quanto sostenuto in quella fase da Londra e Parigi, l’embargo al petrolio174.

Pur senza mai riuscire – nota Lucia Ceci – «a portare avanti una linea davvero indipendente da quella del governo di Mussolini»175, il Vaticano si adoperò sul piano diplomatico per addivenire ad una rapida cessazione delle ostilità. L’idea di sollecitare una mediazione di Roosevelt sfruttando l’influenza esercitata da Washington sulla Gran Bretagna, fu avanzata già agli inizi d’ottobre da monsignor Bernardino Nogara, delegato all’Amministrazione speciale dei Beni della Santa Sede176. Il 12 ottobre, tramite il confratello più addentro alle stanze di papa Ratti, padre Tacchi Venturi, il generale dei gesuiti, Wladimir Ledochowski, fece inoltre sapere alla Segreteria di Stato che l’ambasciatore Usa a Roma, il filo-fascista Breckinridge Long, aveva confermato la volontà di Roosevelt «di mettersi in diretta relazione

173

Ivi, f. 9v.

174 Cfr. al riguardo Appeasement in Europe. A Reassessment of U.S. Policies, a cura di D.F. Schmitz, R.D.

Challener, Greenwood Press, Wesport, 1990, in particolare il saggio di F.D. Schmitz, Speaking the Same Language: the U.S. Response to the Italo-Ethiopian War and the Origins of American Appeasement, pp. 75-102.

175

L. Ceci, Il papa non deve parlare. Chiesa, fascismo e guerra d’Etiopia, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 144.

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col Santo Padre per la conservazione della pace»177. Pacelli, quindi, incaricò la Delegazione Apostolica in Washington di sondare la veridicità delle affermazioni del diplomatico. A tal fine Cicognani si rivolse, come di consueto, a padre Burke. L’incontro che quest’ultimo ebbe con Roosevelt, tuttavia, fu assai deludente. Pur apprezzando gli sforzi pacificatori del pontefice, il Presidente – si legge in un rapporto inviato da Cicognani alla Segreteria di Stato in data 27 ottobre – criticò aspramente l’attacco militare fascista in Etiopia definendolo un «crimine nazionale e internazionale», ma non sembrò affatto disposto a mediare in concerto con la Santa Sede178. Ciononostante, Nogara non demorse. In una nota indirizzata a Pio XI il 3 dicembre, egli ribadì la convinzione che la diplomazia vaticana avrebbe dovuto convincere Roosevelt ad «assumersi il compito di mediatore in questa vertenza» e che il papa, «con la sua autorità morale», avrebbe potuto molto. Parimenti ottimista era, in quel momento, Joseph Hurley, un monsignore statunitense impiegato nella Segreteria di Stato molto vicino sia a Pacelli, sia all’ambasciatore Long, il quale in un appunto del 5 dicembre scrisse di credere che il coinvolgimento degli Stati Uniti avrebbe favorito una «conciliatory transaction»179. Di contro, vi era lo scetticismo del sottosegretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari, Domenico Tardini, per cui, sebbene l’intervento di Roosevelt poteva «senza dubbio essere assai utile» in termini di pressione su Londra, occorreva tener presente che, essendo «la mentalità delle alte sfere negli Stati Uniti […] in genere poco favorevole alla Santa Sede», il Presidente difficilmente avrebbe accettato di «fiancheggiare un’azione pacificatrice» promossa dal papa. Pertanto, a parer suo, si sarebbe dovuto insistere sul fatto che l’opera di mediazione statunitense poteva risultare «decisiva» e che la Santa Sede era «pronta ad usare della sua influenza per facilitare il felice compimento di questa iniziativa»180. Il 7 dicembre la Segreteria di Stato preparò una bozza di trattativa da sottoporre a Roosevelt. Pizzardo la consegnò a monsignor Giuseppe Fietta, allora Nunzio Apostolico in Repubblica Dominicana, che sarebbe passato per Washington il 21 dicembre, e – come si legge in una nota scritta di pugno da Tardini – aggiunse a voce di far sapere al Presidente che il papa sarebbe stato pronto «a svolgere ulteriori azioni in favore della pace»181.

177 ASV, SS, AES, Italia (IV Periodo), Conflitto Italo-Etiopico 1934-36 (d’ora in poi CI-E), pos. 967, Vol. II,

Ledochowski a Tacchi Venturi, Città del Vaticano 12 ottobre 1935, citato anche in L. Ceci, Il papa non deve parlare cit., p. 152.

178 ASV, SS, AES, Italia (IV Periodo), CI-E, pos. 967, Vol. II, Cicognani a Pacelli, Washington 27 ottobre 1935,