Una missione comune (1933-1940)
2. Il New Deal e i cattolici statunitens
Quella del cattolicesimo statunitense, come detto, è una storia estremamente complessa, densa di criticità interpretative. La si potrebbe definire, sinteticamente, come la storia di una minoranza indesiderata e, al tempo stesso, auto-esclusa. I molti studiosi che si sono cimentati nella sua analisi concordano, in buona sostanza, nell’imputare la perdurante assenza sia di un serio e proficuo dibattito intellettuale all’interno della “galassia” cattolica Usa, sia di una adeguata comprensione della propria esperienza a due fattori principalmente: da un lato, il fatto che, sin dal periodo della early republic, la Chiesa si fosse concentrata esclusivamente nel sostegno spirituale e nell’assistenza materiale degli immigrati, trascurando i fenomeni più generali di trasformazione della giovane società statunitense; dall’altro, l’oggettiva mancanza tanto di quei ceti medi, che, viceversa, determinarono il consolidarsi dell’egemonia anzitutto
46 Ivi, OGS, Information Media: Press: NCWC News Service, 1932-1933, box 31, fold. 26, NCWC News
Service 14 agosto 1933.
47
ACUA, ANCWC, OGS, Organizations: Lay, box 123, fold. 21, National Conference of Catholic Charities, Cincinnati 7-10 ottobre 1934.
48 Cfr. G.Q. Flynn, American Catholics cit., p. 17. Sulle ragioni dell’esito delle elezioni presidenziali del 1932 si
vedano in particolare S. Lubell, The Future of American Politics cit., pp. 43-4 e J.J. Huthmacher, Massachusetts People and Politics cit., pp. 250-1, che ricorda come a Boston, ad esempio, Roosevelt avesse ottenuto più consensi di Smith tra irlandesi e italiani.
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culturale del protestantesimo, quanto dell’aristocrazia, storico elemento di forza della cattolicità europea. Non meno rilevante, poi, è il ruolo giocato dall’altrettanto endemica conflittualità tra la Sede Apostolica romana e la stessa Chiesa nazionale degli Stati Uniti. Lungamente segnato dallo spettro dello scisma e dalla preoccupazione per l’orientamento sempre più “liberale” di una parte della gerarchia d’oltreoceano nell’immediato post-Concilio Vaticano I, tale confronto-scontro culminò, com’è noto, nella condanna dell’americanismo alla fine dell’Ottocento e nell’omologazione dottrinale durante la reazione anti-modernista di cui fu artefice papa Sarto agli albori del secolo successivo, e che contribuì a squalificare ulteriormente l’immagine del papato agli occhi sia del “grande” pubblico, sia delle elite dirigenti statunitensi, già contrariati per la condotta di Pio IX durante la vicenda risorgimentale italiana.
L’insieme di questi elementi portò al “paradosso strutturale” del decennio successivo al Primo conflitto mondiale. A quella decade, cioè, in cui nonostante una significativa operazione di trasformazione delle proprie strutture organizzative – si pensi ad esempio alla nascita della National Catholic Welfare Conference con i suoi dipartimenti “tematici” – e il massiccio sviluppo di istituzioni educative e organi d’informazione come “Commonweal”, “Thought” e “The New Scholasticism”, la galassia cattolica Usa non seppe reagire in modo efficace alla recrudescenza del fenomeno nativista – fortemente intriso di anti-papismo –, restando ai margini della vita politica, culturale ed economica del Paese. La ricaduta di tale fenomeno sul piano delle relazioni tra il governo federale statunitense, la gerarchia ecclesiastica e la Santa Sede fu nondimeno negativa. Se si eccettua la vana “benevolenza” di Harding, infatti, l’accanito ostracismo di Wilson, prima, e l’atteggiamento sostanzialmente ostile delle amministrazioni repubblicane guidate da Coolidge e Hoover, poi, segnarono una delle fasi più “buie” nei rapporti tra Washington e la Sede petrina, confermando un trend inauguratosi circa sessanta anni prima con la chiusura della missione statunitense presso il Sommo Pontefice nel 1867.
Prevalentemente concentrati nelle fasce medio-basse della società statunitense, i cattolici furono tra i più colpiti dalla Grande crisi di fine anni Venti e, soprattutto, diedero l’impressione di non possedere gli strumenti necessari per affrontarne le conseguenze. I pochi
leader politici su cui potevano contare a livello locale non sembravano in grado di elaborare
programmi di riforma che potessero in qualche modo tutelarli; così come la stessa gerarchia ecclesiastica, tutta proiettata in un’autoreferenziale esaltazione dell’espansione delle proprie strutture istituzionali, si era mostrata, fino ad allora, restia a spronare i fedeli ad un maggiore attivismo politico e sociale. Eppure, di fronte al disastro economico il cattolicesimo
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statunitense reagì con inusitato vigore; e lo fece anche prima che l’enciclica di denuncia delle distorsioni del sistema capitalistico, la Quadragesimo Anno, avesse suscitato l’interesse dell’opinione pubblica negli Usa49.
Durante le fasi iniziali della crisi tale “risveglio” ebbe un impatto limitato, mantenendo una connotazione di tipo prevalentemente teorico. Più volte, durante il 1931, Michael O’Shaughnessy, petroliere e direttore della Catholic League for Social Action, ribadì, infatti, che la causa profonda della depressione risiedeva nella cupidigia dell’uomo e nell’irresponsabile corsa al profitto. La religione cattolica, dal punto di vista suo e di molti altri all’interno del clero, avrebbe dovuto fornire i mezzi necessari per la rigenerazione morale dell’individuo, inducendolo a riflettere sugli errori commessi50. Tuttavia, man mano che la situazione economica andava peggiorando, il tentativo cattolico di uscire dall’apatia e dall’isolamento del primo dopoguerra si tradusse nell’elaborazione di proposte decisamente più concrete. Il 12 novembre 1931, riprendendo il Program for Social Reconstruction (1919) di John A. Ryan e i suoi successivi appelli ad un maggiore coinvolgimento della Chiesa nelle questioni sociali, la gerarchia ecclesiastica emanò uno joint statement sotto gli auspici della National Catholic Welfare Conference. In esso, oltre ad invocare lo studio e l’applicazione intensiva dei precetti contenuti nella Quadragesimo Anno, l’episcopato si espresse a favore dell’introduzione di un salario minimo di sussistenza per i lavoratori e di una più equa distribuzione dei profitti, proponendo la convocazione di una conferenza congiunta tra rappresentanti sindacali, industriali e governo federale per discutere delle misure da adottare contro l’incedere della crisi51. Seguito, a breve giro di posta, dalla richiesta di potenziamento dei programmi di opere pubbliche rivolta al Senato dello stesso padre Ryan e dalla stesura di un nuovo statement elaborato da Raymond McGowan – facente parte anch’egli del Social Action Department della NCWC – ma controfirmato sia dal reverendo James Myers del Federal Council of Curches of Christ in America, sia dal rabbino Edward L. Israel della Central Conference of American Rabbis, in cui veniva ribadita la necessità di un maggiore
49 Nel maggio 1931, padre Paul Blakely, uno degli editorialisti di “America”, accusò il sistema industriale
statunitense di violare i principi di giustizia sociale su cui Leone XIII aveva basato l’enciclica Rerum Novarum nel 1891 (cfr. P.L. Blakely, The Schools and Rerum Novarum, in “America”, XLV, 9 maggio 1931, pp. 111-2). Anche alcuni tra i più influenti membri della gerarchia ecclesiastica si mobilitarono in tal senso. L’arcivescovo di Cincinnati, Thomas McNicholas, sottolineò, ad esempio, l’enorme divario esistente tra «the comparatively small group possessing fabulous wealth and exercising the enormous influence that wealth confers» e coloro che, invece, non avevano «the very food and shelter necessary to keep body and soul together» (cfr. J.T. McNicholas, Justice and Present Crisis, in “The Catholic Mind”, XXIX, 22 ottobre 1931, pp. 473-81).
50 Cfr. M. O’Shaughnessy, Greed is the Witch, in “Commonweal”, XVIII (4 novembre 1931), pp. 9-11 e Id.,
How Strong Is the World’s Industrial Arch?, in ivi, XLVI (30 gennaio 1932), pp. 400-1.
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controllo governativo sul settore industriale, il documento dei vescovi funse da vero e proprio apripista52.
Tra la primavera e l’estate del 1932, due delle più influenti personalità cattoliche statunitensi, i reverendi Francis J. Haas – direttore della National Catholic Conference of Social Work – e Edmund A. Walsh – vicepresidente della Georgetown University – fecero sentire la propria voce di protesta contro le politiche anti-crisi dell’amministrazione Hoover. Il primo, in occasione di una conferenza tenutasi a Philadelphia il 1˚ luglio, chiese l’adozione di un massiccio programma federale di spesa e l’applicazione di una sovrattassa sui redditi più elevati e sulle rendite; il secondo, intervenendo alle celebrazioni per l’Indipendenza organizzate dall’American Legion a Washington, sostenne che il miglior modo per impedire il diffondersi dell’ideologia marxista nel mondo operaio statunitense sarebbe stato quello di innalzare il livello minimo salariale ed introdurre un sistema di sussidi di disoccupazione53. A Omaha (Nebraska), durante la convention annuale della National Conference of Catholic Charities, il rettore del seminario di San Francis (Wisconsin), reverendo Aloisius J. Muench, sottolineò la necessità di una tempestiva redistribuzione delle risorse a favore dei meno abbienti, tornando anche sul tema della concertazione tra lavoratori e padronato. Tra i laici cattolici presenti all’evento, il direttore della New York Power Commission, Frank P. Walsh, e il membro della St. Vincent de Paul Society di Detroit, James Fitzgerald, criticarono aspramente il modo in cui il governo stava affrontando la recessione. Mentre il presidente della convenzione, James F. Murphy, si disse scettico verso l’ipotesi di una eccessiva espansione dell’intervento federale pur stigmatizzando l’assenza di regole atte a frenare le degenerazioni dell’economia di mercato54.
In altri casi, invece, la lettura cattolica delle cause della Grande depressione fu ben più radicale e l’individuazione degli strumenti atti a combatterla più esplicitamente legata alla necessità di una capillare diffusione delle encicliche di Leone XIII e Pio XI. Già nell’agosto 1932, il Catholic Central Verein of America, in occasione della sua settantasettesima convenzione generale svoltasi a St. Louis, approvò una risoluzione in cui si proponeva di basare i programmi governativi di ricostruzione sui punti contenuti nella Quadragesimo
Anno55. A New York, il 20 novembre dello stesso anno, analoghe esortazioni caratterizzarono l’assemblea della National Catholic Alumni Federation, impegnata in quei mesi nella promozione di incontri di discussione sui temi di giustizia sociale. I protagonisti del meeting
52 Cfr. G.Q. Flynn, American Catholics cit., p. 27.
53 Cfr. “The Brooklyn Tablet”, 9 luglio 1932, p. 1 e 16 luglio 1932, p. 2.
54 ACUA, ANCWC, OGS, Organizations: Lay, box 123, fold. 21, National Conference of Catholic Charities,
Omaha 25-28 settembre 1932.
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newyorkese furono gli editori di “The Catholic World” e “America”, James M. Gillis e Wilfrid Parsons, e padre John A. Ryan, i quali convennero sul fatto che il migliore antidoto alla depressione fosse il testo dell’enciclica sociale di papa Ratti, che era stato addirittura definito come il più radicale tra le personalità pubbliche del tempo56. Dello stesso avviso fu anche l’altro personaggio di spicco intervenuto all’evento, il sindaco di Detroit Frank Murphy, che sostenne l’assoluta applicabilità dell’enciclica alla gravissima situazione economica degli Usa57.
All’inizio degli anni Trenta, dunque, si assistette ad una generalizzata moltiplicazione di
forum attraverso cui i diversi segmenti del cattolicesimo statunitense espressero la propria
amarezza per il fallimento del sistema capitalistico e per l’intransigente non-interventismo dell’amministrazione Hoover, invocando l’attuazione di un programma di ricostruzione quanto più vicino possibile ai precetti della dottrina sociale della Chiesa di Roma o che, comunque, implicasse un maggiore impegno governativo in ambito economico-sociale58. Le elezioni presidenziali del novembre 1932, di conseguenza, rappresentarono un momento assolutamente cruciale. Esse, nota David O’Brien, furono «a clear confrontation between those who saw the Depression as the result of economic laws beyond human control and those who felt it resulted from greed and stupidity»59. Donde la speranza dei cattolici che il carisma di Roosevelt e il “nuovo corso” che egli aveva promesso durante la campagna elettorale potessero realmente consentire al Paese di lasciarsi alle spalle il dramma della crisi. Aspettative, queste, che all’indomani della schiacciante vittoria di Roosevelt si tradussero in un esplicito invito a realizzare rapidamente quanto contenuto nella piattaforma programmatica presentata agli elettori, per trasformarsi, nel triennio 1933-’36, in un sostegno pressoché incondizionato alle riforme newdealiste60.
56 Per un resoconto dettagliato dell’assemblea cfr. “The New York Times”, 21 novembre 1932, p. 19; sul
“radicalismo” di Pio XI si veda, invece, l’articolo di W. Parsons, The Pope and the Depression, in “The Catholic Mind”, XXX (22 giugno 1932), p. 244.
57 Cfr. “The Brooklyn Tablet”, 26 novembre 1932, p. 1.
58 Di grande importanza fu, al riguardo, l’azione della Catholic League of Social Justice, istituita nel 1932 a
seguito di un incontro tra docenti, industriali ed economisti cattolici per promuovere lo studio della Grande Depressione e l’applicazione della Quadragesimo Anno. Guidata dal giornalista e petroliere Michael O’Shaughnessy, la Lega ricevette, nell’ottobre dello stesso anno, il sostegno del cardinale di New York, Patrick Hayes. Cfr. in particolare A.I. Abell, American Catholicism and Social Action. A Search for Social Justice, 1865-1950, Notre Dame University Press, Notre Dame, 1963, p. 242. Per una rassegna del responso dei principali periodici cattolici statunitensi alla Grande Depressione si veda il dettagliato studio di L.B. DeSaulniers, The Response in American Catholic Periodicals to the Crises of the Great Depression, 1930-1935, America University Press, Lanham (MD), 1984, passim.
59
D.J. O’Brien, American Catholics and Social Reform cit., p. 51.
60 Padre Ryan della NCWC espresse direttamente ad uno dei principali collaboratori di Roosevelt, Raymond
Moley, l’auspicio che il neo-Presidente tenesse fede agli impegni assunti soprattutto in relazione al problema del rafforzamento del potere d’acquisto attraverso politiche di redistribuzione del reddito, piuttosto che mediante l’espansione produttiva paventata da Hoover in quegl’ultimi anni (Cfr. ACUA, ANCWC, RP, box 26, fold. 10, Ryan a Moley, Washington 29 novembre 1932).
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In alcuni articoli comparsi su “The Catholic World” tra il 1935 e il 1936, il rettore della Loyola University di Chiacgo, Paul Kiniery, sostenne che il benevolo atteggiamento dei cattolici nei confronti del riformismo rooseveltiano e della conseguente espansione dell’intervento governativo in ambito economico fu una scelta obbligata dalle pessime condizioni in cui versava il Paese61. Secondo George Flynn e David O’Brien, invece, se la Grande Depressione contribuì a creare un clima favorevole a recepire positivamente l’azione del governo federale per alleviare le sofferenze della popolazione e cambiare le regole nel mondo degli affari, furono la rinnovata inclinazione riformista del mondo cattolico e, parimenti, la cordiale collaborazione tanto della gerarchia ecclesiastica, quanto dell’opinione pubblica cattolica che Roosevelt seppe guadagnarsi con astuzia a rinsaldare il rapporto tra l’amministrazione democratica e lo stesso mondo cattolico statunitense nei quattro anni in cui il New Deal, da mera promessa, divenne faticosamente una realtà62.
Non a caso, uno degli aspetti più interessanti dell’adulatorio sostegno cattolico nei confronti del Presidente fu l’ampio spettro d’opinione che esso rappresentò fin dalla primavera del 1933. Per Wilfrid Parsons l’avvio dei cosiddetti “cento giorni” fu un evento epocale e l’impegno di Roosevelt nel disciplinare il big business per perseguire il bene della collettività un nobile obiettivo. William C. Murphy scrisse su “Commonweal” che il New Deal era la dimostrazione che la democrazia possedesse gli strumenti necessari per fronteggiare qualsiasi tipo di emergenza. Ad un anno dall’insediamento alla Casa Bianca, il presidente dell’Extension Society di Chicago, reverendo William D. O’Brien, definì Roosevelt addirittura come l’“apostolo” del nuovo corso statunitense63.
Complessivamente, soprattutto nel 1933, la stampa cattolica presentò i provvedimenti newdealisti come la versione statunitense delle encicliche sociali dei papi. In tal senso, infatti, fu letto il discorso inaugurale di Roosevelt nel marzo dai paulisti di “The Catholic World” e dal “The Catholic Register” di Denver64; mentre – ricorda George Flynn – “The Catholic Times” di Londra, molto diffuso anche negli Usa, propose una puntuale comparazione tra le parole pronunciate dal neo-Presidente e la Quadragesimo Anno di papa Ratti, ribadendo l’assoluta convergenza tra le due posizioni, specie in merito alle cause della crisi65. Su tali analogie tornarono, durante l’estate di quello stesso anno, molti altri organi d’informazione;
61 Cfr. in particolare P. Kiniery, Where Are We Going, in “The Catholic World”, CXLIII (aprile 1936), pp. 10-20
e Id., Catholics and the New Deal, in Ivi, CXLI (aprile 1935), pp. 10-9.
62 Si vedano G.Q. Flynn, American Catholics cit., pp. 36-7 e D.J. O’Brien, American Catholics and Social
Reform cit., p. 51.
63 Cfr. W. Parsons, The Church and the Modern World, in “The Catholic Mind”, XXXI (8 giugno 1933), p. 206;
W.C. Murphy, The New Deal in Action, in “Commonweal”, 5 maggio 1933, pp. 11-3; W.D. O’Brien, The New Deal in Religion, in “Extension”, maggio 1934, p. 34.
64
Cfr. “The Catholic World”, CXXXVII (aprile 1933), p. 107 e “The Catholic Register”, 12 marzo 1933, p. 1.
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per “The Catholic Telegraph” di Cincinnati e “The Catholic Herald” di Milwaukee esse erano evidenti in particolare nella priorità che questioni come l’introduzione del salario minimo di sussistenza per i lavoratori avevano all’interno del programma rooseveltiano66.
Diffuso e, in alcune occasioni, esagerato, tale iniziale entusiasmo per il New Deal riguardò anche un numero considerevole di organizzazioni cattoliche. L’International Catholic Truth Society, direttamente attraverso il suo presidente, Edward L. Curran, e la National Catholic Alumni Federation, mediante, invece, una risoluzione adottata al termine della convention di New York (20-24 giugno 1933), lodarono gli sforzi di Roosevelt. Analoghi attestati di stima vennero, inoltre, dalla reggente delle Catholic Doughters of America, Mary C. Duffy, che informò il neo-Presidente del grande consenso accordato al suo programma dalla stragrande maggioranza dell’assemblea dell’organizzazione riunitasi a Colorado Springs il 7 luglio 1933, così come dalla Catholic League for Social Justice, che, attraverso il proprio organo d’informazione – “The Social Justice Bulletin” –, giudicò evidente l’influenza dell’enciclica di Pio XI sul disegno newdealista e, con eguale enfasi, da diverse sezioni dei Cavalieri di Colombo, impressionati dalla risolutezza con cui la nuova amministrazione stava affrontando il problema della ricostruzione67.
D’altra parte, Roosevelt, consapevole sia del peso avuto dai cattolici nelle elezioni che lo avevano consacrato sulla scena politica nazionale, sia del ruolo che questi avrebbero potuto giocare nel consolidare il proprio consenso durante gli anni a venire, si rivelò abilissimo nell’incentivare tale entusiastico supporto. Invertendo un trend che, come detto, li aveva visti quasi completamente estromessi dalle principali cariche politico-istituzionali a livello nazionale, diversi personaggi di fede cattolica entrarono a far parte della nuova compagine governativa, occupando talvolta posti di primo piano. Fu, ad esempio, il caso di James Farley e Thomas Walsh, che divennero rispettivamente direttore generale delle Poste e ministro della Giustizia. Definite da William Shannon come l’occasione per dimostrare l’infondatezza dello stereotipo del cattolico come rozzo dirigente locale di partito, tali nomine inorgoglirono l’opinione pubblica, occupando le prime pagine dei maggiori organi d’informazione cattolici in tutto il Paese68. Anche nel corpo diplomatico i cattolici entrarono dalla porta principale: il
66
Cfr. “The Catholic Telegraph”, 27 luglio 1933, p. 4 e in pari data “The Catholic Herald”, p. 4.
67 Sminuendo il contributo di “movimenti” quali il social gospel protestante, alcuni prominenti personalità
cattoliche arrivarono persino a sostenere che senza la dottrina sociale della Chiesa il New Deal non sarebbe stato accolto così entusiasticamente dall’opinione pubblica statunitense. In tal senso si espressero, ad esempio, il rettore della Fordham University, Aloysius J. Hogan, e il vicerettore della Notre Dame University, John F. O’Hara (cfr. G.Q. Flynn, American Catholics cit., pp. 45-6).
68 Cfr. ad esempio “The Tablet”, 4 marzo 1933, p. 1 e “The Pilot”, 11 marzo 1933, p. 1. Tra gli altri personaggi
cattolici di origine irlandese che ricoprirono incarichi importanti nell’amministrazione Roosevelt, vi erano Thomas G. Corcoran, John McCormick, Joseph E. Casey, Edward J. Flynn, Joseph Kennedy e Frank Murphy. Va ricordato, comunque, che Thomas J. Walsh morì il 2 marzo 1933 mentre si recava ad assistere al discorso
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sindaco di Detroit, Frank Murphy, fu nominato, infatti, governatore generale delle Filippine, mentre a Robert Hayes Gore toccò Puerto Rico69. Pochi anni più tardi, nel 1937, Joseph Kennedy ottenne, invece, il prestigioso incarico di ambasciatore Usa a Londra.
Oltre all’inserimento dei laici, Roosevelt puntò anche su numerosi esponenti del clero cattolico, affidando loro importanti incarichi nei programmi di riforma del New Deal. John A. Ryan e Francis J. Haas furono sicuramente i più coinvolti. Da anni impegnato nello studio dei temi connessi alla giustizia sociale e nella promozione dell’azione sociale cattolica, Ryan ricevette direttamente dalla Casa Bianca l’invito a discutere con lo staff presidenziale le problematiche del settore industriale nel marzo 193370. In luglio, favorevolmente colpito dall’iniziale attivismo dell’amministrazione, elogiò, in un articolo comparso sulla rivista di Dublino, “Studies”, il coraggio di Roosevelt per aver saputo cambiare in poche settimane molte più cose che nei dieci anni precedenti la sua ascesa al potere71. Pochi giorni più tardi, l’ufficio relazioni pubbliche della National Recovery Administration (NRA) gli chiese di preparare per il Presidente una bozza di richiesta di sostegno da indirizzare agli esponenti del clero72. Durante i mesi successivi il suo legame con l’amministrazione andò via via