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Gli Stati Uniti e la Nota di Benedetto

2. Alle origini del “problema” 1 I rapporti politico-diplomatic

3.2 Gli Stati Uniti e la Nota di Benedetto

Durante l’inverno 1916-’17 le divergenze tra Washington e il Vaticano sembravano potersi appianare. Dopo che Wilson, in nome delle potenze neutrali, ebbe proposto una conferenza di pace il 18 dicembre 1916, Giovanni Bonzano fu invitato da Gasparri ad incoraggiare gli sforzi di mediazione del Presidente. Scavalcato, almeno momentaneamente, il cardinal Gibbons – della cui discrezione ed abilità negoziale era, come detto, lecito dubitare –, l’iniziativa del Delegato Apostolico incontrò il favore sia del Segretario di Stato, Robert Lansing, che della Casa Bianca. La Santa Sede, contestualmente, aveva intensificato le pressioni su Guglielmo II perché manifestasse dei chiari segnali di apertura al negoziato. L’offensiva di pace lanciata dagli Imperi Centrali pochi giorni prima della proposta statunitense, infatti, non ricevette l’accoglienza sperata dalla diplomazia vaticana, che mantenne un atteggiamento di assoluto riserbo valutando il progetto privo di serie e concrete proposte. La nota di Wilson ai Paesi belligeranti, viceversa, fu accolta molto meglio in Vaticano. “L’Osservatore Romano” ne pubblicò, infatti, il testo integrale accompagnandolo con un commento lusinghiero127 che, nota Chenaux, «metteva in risalto l’opportunità di una tale iniziativa»128.

I primi mesi del 1917 furono determinanti. Al discorso del Presidente Wilson sulla necessità di una “pace senza vittoria” in cui i belligeranti accettassero il ripristino dello status quo ante

bellum, l’avvio di un processo congiunto di disarmo e la creazione di un organismo

internazionale, la Germania rispose annunciando una guerra sottomarina ad oltranza che, al di là della sua efferatezza, violava nuovamente i diritti di neutralità; mentre sul fronte occidentale iniziava l’offensiva anglo-francese, in Russia crollava l’impero zarista per effetto della rivoluzione bolscevica. La guerra, in sostanza, entrava nella sua fase cruciale e Wilson si convinse del fatto che solo l’intervento, risolutivo, degli Stati Uniti gli avrebbe garantito la possibilità di dettare i termini della pace successiva; che, paradossalmente, il suo stesso progetto di “pace senza vittoria”, sottolinea ancora Del Pero, «diventava raggiungibile solo attraverso la vittoria di una delle due parti in causa»129. Fu così che, ricevuta l’approvazione del Congresso, il 6 aprile 1917 gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Per quanto Wilson fosse stato sin da subito particolarmente attento a separare le responsabilità del

127 La Nota degli Stati Uniti ai governi belligeranti e ai neutri per affrettare la fine della guerra, in

“L’Osservatore Romano”, 24 dicembre 1916.

128

P. Chenaux, Pio XII cit., p. 95; cfr., altresì, L. Bruti Liberati, Santa Sede e Stati Uniti cit., p. 136.

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governo tedesco da quelle della popolazione, la scelta di intervenire direttamente nel conflitto poggiava sulla convinzione che il barbaro militarismo prussiano fosse la causa dell’immane carneficina europea. La palingenesi di un nuovo ordine mondiale basato sui principi di democrazia e multilateralismo di cui si era, fino a quel momento, limitata ad asserire la necessità, divenne, quindi, l’obiettivo ultimo della repubblica stellata: un’assunzione di responsabilità, che, combinando idealismo e calcolo d’interesse, non contemplava “prove d’appello” per gli Imperi Centrali130.

L’ingresso degli Stati Uniti sulla scena bellica europea ebbe, nondimeno, ripercussioni notevoli sulle strategie della Santa Sede. Nel momento in cui alterava gli equilibri a favore dell’Intesa, esso era, anzitutto, la dimostrazione di quanto fosse stata inefficace l’opera di mediazione condotta dalla Delegazione Apostolica e dall’episcopato statunitensi. Né Bonzano, né, soprattutto, Gibbons erano infatti riusciti ad attenuare i convincimenti anti- papisti di Wilson e della maggioranza dell’opinione pubblica americana. La “crociata per la democrazia” che gli Usa si apprestavano ad iniziare, non prevedeva alcun tipo di coinvolgimento del pontefice, che, anzi, costituiva un ostacolo al perseguimento degli obiettivi wilsoniani. Episcopato statunitense e Vaticano, inoltre, risposero in modo diametralmente opposto alla dichiarazione di guerra del 6 aprile. Già sostenitori della

Preparedness campaign, i vescovi inviarono al Presidente Wilson una lettera in cui

dichiaravano: «we are all true Americans, ready as our age, our ability, and our conditions will permit, to do whatsoever is in us to do, for the preservation, the progress and the triumph of our beloved country»131. Lo stesso Gibbons, convinto che lo sforzo militare avrebbe contribuito a temprare il carattere dei giovani soldati, definì i membri del Congresso «instruments of God in guiding us in our civic duties»132. Il silenzio della Santa Sede di fronte alle prese di posizione dell’episcopato negli Usa, viceversa, lasciava intendere come la diplomazia vaticana fosse quasi rassegnata all’impossibilità di collaborare con Washington nella definizione di un eventuale negoziato di pace. Ne è dimostrazione la pressoché totale assenza di comunicazioni, nel periodo marzo-luglio 1917, tra la Segreteria di Stato, la Delegazione Apostolica e il cardinale Gibbons. Un dato, questo, che, se confrontato con la frequenza delle sollecitazioni di Gasparri ai suoi interlocutori oltre oceano nei mesi precedenti, spiega come il Vaticano avesse deciso di indirizzare diversamente i propri sforzi di mediazione per la pace.

130 Cfr. il classico T. Knock, To End All Wars. Woodrow Wilson and the Quest for a New World Order, Oxford

University Press, Oxford-New York, 1992.

131 Il testo della lettera è riportato in J. Hennesey, American Catholics cit., p. 225. 132

Riportato in T. McAvoy, A History of the Catholic Church in the United States, University of Notre Dame Press, Notre Dame-London, 1969, p. 364.

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Venuta meno l’indispensabile condizione di neutralità statunitense, e, con essa, ogni ragionevole possibilità di ottenere la salvaguardia dell’integrità territoriale austro-tedesca contestualmente alla soluzione della “questione romana”, la Santa Sede agì nel disperato tentativo di riabilitarsi agli occhi dell’Intesa provando a salvare, essenzialmente, l’autorità morale del papa e l’imparzialità vaticana. Di qui la scelta di nominare, nel maggio 1917, Eugenio Pacelli Nunzio Apostolico in Baviera, affidandogli il delicato compito di sondare con precisione le reali intenzioni a trattare degli Imperi Centrali133. Alla Germania, dal cui atteggiamento si credeva dipendesse la possibilità di giungere ad un negoziato di pace, la Santa Sede chiedeva di esprimersi favorevolmente circa una diminuzione degli armamenti, la restituzione dell’Alsazia-Lorena e l’indipendenza del Belgio. Nonostante l’ottimismo di Pacelli dopo i primi colloqui col cancelliere Bethmann-Hollweg (28 giugno), Guglielmo II (29 giugno) e Carlo I d’Austria (30 giugno), le aperture dei governi di Berlino e Vienna si sarebbero rivelate largamente illusorie. Nel luglio, infatti, dopo che il Nunzio ebbe inoltrato ai vertici dell’esecutivo la richiesta di pronunciarsi sulle proposte vaticane riguardanti, tra l’altro, la libertà dei mari, il disarmo, l’arbitrato internazionale e l’evacuazione dei territori francesi e belgi, la situazione politica interna alla Germania si complicò tanto da rendere praticamente impossibili ulteriori azioni distensive. Subito dopo la caduta del governo Bethmann-Hollwegg, il Reichstag bocciò la mozione di pace proposta del partito cattolico di Centro riaffermando la necessità di proseguire la guerra per conservare l’integrità territoriale tedesca; la nomina di Hindenburg e Ludendorff ai vertici del Comando supremo dell’esercito, poi, sancì l’assoluta supremazia dei militari sul Parlamento e sullo stesso Imperatore. Pur considerando il nuovo cancelliere Michaelis un «uomo molto serio ed animato dalle migliori intenzioni di giungere […] ad una cristiana ed umanitaria soluzione delle questioni internazionali»134, fu proprio Pacelli a temere che le richieste avanzate in precedenza dalla Santa Sede – e per le quali non v’era stata ancora alcuna risposta ufficiale – venissero ulteriormente ridimensionate dal governo. A detta del suo principale interlocutore, il leader del Centro cattolico Matthias Erzberger, il momento propizio per un’iniziativa ufficiale di pace del pontefice sarebbe stato l’inizio dell’autunno. L’intransigenza tedesca, tuttavia, indusse la Santa Sede ad agire più rapidamente e a rendere noto il suo piano prima ancora di aver ricevuto la risposta definitiva da Berlino sui punti già esposti da Pacelli. In tal modo, Benedetto XV poteva smentire l’illazione di un suo accordo preliminare con la Germania

133 Per una dettagliata ricostruzione dell’operato della Nunziatura Apostolica di Pacelli in Baviera durante la

Prima Guerra mondiale, cfr. E. Fattorini, Germania e Santa Sede cit., pp. 45-92.

134

ASV, AES, Stati Ecclesiastici (d’ora in poi SE), III Periodo (1903-1922), Vol. III, pos. 470, Pacelli a Gasparri, Monaco 27 luglio 1917.

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sfruttando il fatto che, il 2 agosto, le potenze dell’Intesa si sarebbero riunite a Londra e, in quell’occasione, avrebbero potuto discutere il documento pontificio.

L’1 agosto 1917 Benedetto XV promulgò la sua “Nota ai capi dei popoli belligeranti”. Essa si proponeva di concretizzare un processo di riavvicinamento su alcuni dei punti fondamentali del conflitto in atto. Com’è noto, infatti, il documento ribadiva la priorità della forza morale del diritto su quella materiale delle armi; ciò, concretamente, avrebbe dovuto significare: diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti, istituzione dell’arbitrato internazionale e libertà delle comunicazioni e, soprattutto, dei mari. Quanto alle questioni territoriali pendenti – specie quelle tra Italia e Austria, e tra Germania e Francia – il papa non esitava, rompendo con le posizioni dei suoi predecessori, a seguire il criterio delle aspirazioni dei popoli come base della futura riorganizzazione politica del continente. Le speranze di una risposta positiva da parte dei governi belligeranti, tuttavia, sarebbero state presto deluse135.

Mentre, in Germania, dopo l’acceso dibattito fra le varie forze politiche, il governo ritardava nel prendere posizione limitandosi ad una generica e poco compromettente manifestazione di simpatia per i punti esposti dal pontefice, la Segreteria di Stato vaticana si rivolse nuovamente a James Gibbons. Nonostante le precedenti riserve nei confronti del cardinale, infatti, la Santa Sede continuò ed usarlo come intermediario con Wilson anche dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Del resto, non v’erano alternative. A Giovanni Bonzano – al quale il contenuto della Nota era stato trasmesso il 10 agosto136 – spettò, nuovamente, il compito di smistare le indicazioni di Gasparri. «The purpose of communicating these proposals to Your Eminence – precisò il Delegato in una missiva del 15 agosto indirizzata a Gibbons – is that you may endeavor […] to exert your influence either directly or indirectly towards favorable disposing the government of the United States»137. Accolta l’esortazione, il cardinale si astenne da qualsiasi esternazione pubblica riguardo all’iniziativa papale, ma promise «to use to the utmost whatever power I may possess to influence the people and the Government of the United States toward favorable consideration of the proposals»138; si disse, altresì, convinto «that the President’s forthcoming reply to the Holy Father’s letter will be expressed in a courteous and benevolent language which will exercise a sobering influence on the Press of this country as well as on the allied contending Powers»139.

135 Sulla Nota pontificia dell’agosto 1917, cfr., tra gli altri, A. Martini, La Nota di Benedetto XV alle potenze

belligeranti nell’agosto 1917, in Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale. Atti del Convegno di studi (Spoleto, settembre 1963), a cura di G. Rossini, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1963, pp. 363 ss; A. Scottà, Benedetto XV, la pace e la Conferenza di Parigi, in La Conferenza di Pace di Parigi cit., pp. 441-2.

136 ASV, DASU, titolo V, pos. 63 b/1, f. 40, Gasparri a Bonzano, Vaticano 10 agosto 1917. 137 Ivi, f. 41, Bonzano a Gibbons, Washington 14 agosto 1917.

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Ivi, f. 43, Gibbons a Bonzano, Baltimora 17 agosto 1917.

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Evidentemente, però, la pressoché totale mancanza di contatti degli ultimi mesi impediva a Gibbons di conoscere a fondo le reali posizioni del governo. Egli, soprattutto, pareva essere allo scuro del fatto che, già in una lettera a Wilson del 13 agosto, Robert Lansing fosse dell’idea per cui la Nota «emanates from Austria-Hungary and is probably sanctioned by the German Government»140. I rappresentati dei Paesi alleati, invece, erano sicuramente meglio informati. Con l’ambasciatore italiano, Macchi di Cellere, ad esempio, Lansing non seppe «dissimulare la sua irritazione», né «trattenersi dal confidare che la proposta del Vaticano non poteva cadere in questo momento più inopportuna»141. Da una più attenta analisi della proposta pontificia – e, in particolar modo dall’assenza di riparazioni per il Belgio, il Montenegro e la Francia –, infatti, il Segretario di Stato trasse la conclusione «that it practically goes no further than the German peace proposal of last December»142. D’altronde, anche la scelta di esporsi nel momento in cui «the military tide of the Central Powers is at the flood» e «the power of the United States is just beginning to be exerted»143, dimostrava come la Nota fosse in realtà animata dall’«earnest wish to preserve the Dual Empire which has been the main support of the Vatican for half a century, and has been always faithful to the doctrine of temporal power»144.

Che il Dipartimento di Stato, diversamente da quanto creduto da Gibbons e dalla Santa Sede, avesse accolto negativamente il documento pontificio era, dunque, piuttosto chiaro. Invece, circa l’ipotesi di risposta ad esso – notava ancora Macchi di Cellere – Lansing «obbediva evidentemente alla consegna di non pronunziarsi in alcun modo raccogliendo se mai le impressioni altrui»145; pertanto gli parve già molto che si fosse sbilanciato dicendo che «sarebbe stato ad ogni modo puerile affrettarsi a rispondere e che conveniva lasciare parlare anzitutto gli Imperi Centrali per prendere norma del loro atteggiamento»146. Da quelle indiscrezioni, il diplomatico italiano trasse l’impressione – poi suffragata dai fatti – «che Wilson risponderà alla nota pontificia e vi risponderà separatamente degli altri»147. Il non rispondere, del resto, gli sarebbe stato precluso «per valide ragioni interne della imponente forza di questo partito cattolico che è in mano di irlandesi fanatici ed intransigenti già

140 FRUS, The Lansing Papers 1914-1920 (d’ora in poi LP), Vol. II, United States Government Printing Office,

Washington, 1940, p. 43, The Secretary of State (Lansing) to President Wilson, Washington 13 agosto 1917. Il testo della Nota fu consegnato a Lansing la sera dell’11 agosto dall’ambasciatore britannico Cecil Spring Rice.

141 ASMAE, APOG, b. 177, Macchi di Cellere a Sonnino, Washington 14 agosto 1917.

142 FRUS, LP, Vol. II, p. 44, The Secretary of State (Lansing) to President Wilson, Washington 20 agosto 1917. 143

Ivi, p. 45.

144 Lansing Desk Diary, 21 agosto 1917, riportato in D. Zivojinovic, The United States and the Vatican cit., p.

86.

145 ASMAE, APOG, b. 177, Macchi di Cellere a Sonnino, Washington 21 agosto 1917. 146

Ibidem.

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virtualmente alleati della Germania ed anche dal fatto che fu egli stesso l’autore di una non desiderata iniziativa di pace cui venne da parte altrui fornita la risposta più deferente»148. Il 27 agosto Wilson, senza più attendere le mosse degli Imperi Centrali, prese posizione a nome dei governi alleati inviando, tramite la diplomazia inglese, una risposta ufficiale alla Santa Sede. Pur riconoscendo «the dignity and force of the humane and the generous motives»149 che ne avevano ispirato la realizzazione, il Presidente accusava la Nota pontificia di mirare ad una sostanziale riaffermazione dello status quo ante bellum, senza, però, far cenno al fatto che «the intolerable wrongs done by the furious and brutal power of the Imperial German Government ought to be repaired»150. Ciò sarebbe stato del tutto insufficiente a garantire una pace giusta e duratura, mentre lo scopo del conflitto – e dell’intervento statunitense in particolare – era «to deliver the free peoples of the world from the menace and the actual power of a vast military establishment controlled by an irresponsible government»151. Un regime, quello tedesco, che, in sostanza, non poteva essere considerato come un interlocutore credibile per una futura trattativa di pace e che, per questo, andava abbattuto. Per Wilson, contrario a priori all’intromissione di un leader spirituale negli affari internazionali, il messaggio di Benedetto XV suonava più come una richiesta di “armistizio”, che come un mezzo per smuovere le coscienze europee ed indurle a combattere il dispotismo. Riaffermando l’inconciliabilità tra i presupposti stessi dell’iniziativa papale e le ragioni della guerra condotta dai governi alleati, quindi, le parole del Presidente statunitense posero una seria ipoteca sull’esclusione della Santa Sede dai negoziati di pace.

La risposta di Wilson alla Nota pontificia incontrò subito un vastissimo successo nei Paesi in guerra contro gli Imperi Centrali. Sebbene meno espliciti nei dettagli, gli orientamenti dei governi alleati – preventivamente sondati dalla diplomazia statunitense152 – concordarono sul fatto che la proposta del papa fosse sin troppo favorevole alla Germania. A Londra, fatta eccezione per il discorso con cui il Presidente aveva chiesto al Congresso di dichiarare guerra alla Germania, le parole di Wilson furono accolte più entusiasticamente di qualsiasi altra precedente dichiarazione153; da Parigi, si disse che la posizione degli Stati Uniti rispecchiava totalmente quella di tutte le altre potenze alleate154; altrettanto favorevole fu il responso del

148

Ibidem.

149 FRUS, 1917, The World War, Suppl. 2, Vol. I, The Secretary of State (Lansing) to the Ambassador in Great

Britain (Page), Washington 27 agosto 1917, p. 178.

150 Ivi, p. 179. 151

Ivi, p. 178.

152 Ivi, The Secretary of State (Lansing) to the Diplomatic Representatives in Allied Countries, Washington 18

agosto 1917, p. 165.

153 Ivi, The Ambassador in Great Britain (Page) to the Secretary of State (Lansing), Londra 30 agosto 1917, p.

181.

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governo italiano, tra i primi, con il ministro degli Esteri Sonnino e l’ambasciatore Macchi di Cellere, ad aver auspicato una pronta presa di posizione di Wilson155. Così come, d’altra parte, è da notarsi che, oltre ai “veti incrociati” dei vertici delle potenze dell’Intesa, alla Santa Sede mancò il supporto di quei Paesi sui quali, invece, la diplomazia vaticana credeva di poter contare. Contestualmente al prolungato silenzio austro-tedesco, infatti, anche Madrid, giustificandosi col fatto di aver ricevuto tardi il testo della Nota e di non essere inserita nei dialoghi tra le cancellerie, si limitò a riconoscere il «cuore paterno della S. Sede», aggiungendo, però, di non poterne appoggiare la causa e che, in modo velleitario, «avrebbe voluto trovare una formula che in uno spirito di giustizia portasse al mondo il beneficio della pace»156.

Altrettanto negativi furono i commenti alla Nota da parte della stampa statunitense. Su tutti, in agosto, il “New York Times” pubblicò una serie di editoriali che, facendo da eco alle parole di Wilson, accusavano il pontefice di aver lasciato assolutamente irrisolti, d’accordo con gli Imperi Centrali, i reali problemi del conflitto, proponendo una intollerabile forma di armistizio che equiparava le responsabilità morali di tutti i paesi belligeranti157.

Oltre ad inasprire un’opinione pubblica già di per sé tendenzialmente anti-papista, l’iniziativa di Benedetto XV rese la posizione della gerarchia ecclesiastica statunitense ancor più problematica. Sostanzialmente estromesso, come detto, dalle discussioni che avevano preceduto la decisione di promulgare la Nota, l’episcopato si trovò a doverne gestire le conseguenze. Pur senza ottenere risultati apprezzabili, infatti, i vescovi si erano adoperati per difendere i cittadini cattolici dalle accuse di infedeltà al Paese durante la guerra; consapevoli di quanto fosse invisa all’opinione pubblica locale l’idea che il papa potesse esercitare la sua

leadership anche negli affari internazionali, essi erano altresì convinti che il modo migliore

per smorzare i toni della diffamatoria campagna nei confronti del Santo Padre era di non contestare le posizioni ufficiali del governo. E in tale direzione si erano mossi fino a quel punto. La reazione alla pubblicazione della Nota, al contrario, non fu unanime. In un discorso tenuto dinanzi alla Federation of Catholic Societies, ad esempio, l’arcivescovo di San Francisco, Edward Hanna, dichiarò che «there can be no permanent peace on hearth until

155 Il Chargé d’affaires statunitense a Roma, Jay, aveva fatto sapere al Dipartimento di Stato che per Sonnino «a

good firm reply drawn up by the President sent in advance of the other Allied replies would greatly impress public opinion», FRUS, 1917, The World War, Suppl. 2, Vol. I, The Chargé in Italy (Jay) to the Secretary of State (Lansing), Roma 21 agosto 1917, p. 167; due giorni più tardi, a colloquio con Lansing, l’ambasciatore italiano a Washington disse che «il meglio da desiderarsi parrebbe che egli [Wilson] si limitasse ad una risposta negativa breve e possibilmente sollecita», ASMAE, APOG, b. 177, Macchi di Cellere a Sonnino cit.

156 ASMAE, APOG, b. 177, Comunicazione verbale dell’Ambasciatore in Spagna, trascritta da Sonnino il 13

settembre 1917.