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I limiti della neutralità americana

Nel documento For God'sake! Lift the embargo to Spain (pagine 113-115)

(QUESTIONE SINO-GIAPPONESE MOLTO COPERTA IN QUESTI NUMERI)

Con l’aggravarsi della crisi sino-giapponese, nell’estate 1937, aveva nel frattempo ripreso vigore il dibattito sul Neutrality Act. Il rischio che l’applicazione del provvedimento in Estremo Oriente avrebbe potuto nuocere alla Cina, ragione delle forti perplessità di parte dell’opinione pubblica americana, aveva infatti rinfocolato un confronto al quale The New Republic contribuì con un editoriale, il 22 settembre, intitolato «The cost of the Neutrality». Il settimanale pur avendo invocato fin dall’inizio del conflitto l’applicazione del Neutrality Act non poteva non constatarne i limiti; il provvedimento infatti, veniva annotato, «should have been made much stronger, and enforcement should have begun automatically with the opening of hostilities without reference to whether war is declared or not».

Contrariamente a quanto comunemente ritenuto secondo uno studio di William W. Lockwood, dell’Institute of Pacific Relations, l’applicazione del Neutrality Act avrebbe aiutato la causa cinese. Né la Cina né tantomeno il Giappone «can pay for such exports, and neither is a sufficiently good risk to justify sales on credit». Il modo migliore per servire «the cause of civilization», non era quindi provare a fermare l’aggressione giapponese «by moral suasion», quanto adottare «the best measures available to keep out of the holocaust». Il Neutrality Act pertanto non essendo stato rinforzato alcune settimane prima, come auspicato, andava rinforzato quantomeno adesso.482

submarines which the whole world knows belong to Mussolini and do his bidding». Rubrica, «The Week», 29 settembre 1937.

480

Editoriale, «The Spanish pawn», 27 ottobre 1937.

481 Rubrica, «The Week», «Britain in Spain», 1 dicembre 1937. 482 Editoriale, «The cost of the Neutrality», 22 settembre 1937.

In assoluta sintonia col resto della stampa americana fu il commento di The New Republic al celebre discorso della «Quarantine» di Roosevelt a Chicago. Il «The Week» del 13 ottobre lo definì «one of the most important speeches of his career»; il Presidente Roosevelt, secondo il settimanale, aveva infatti definitivamente voltato le spalle alla politica di neutralità e aveva fatto proprie le tesi della «“collective security”». Il discorso, veniva annotato, era stato quindi interpretato dal mondo diplomatico come un segnale, alla Società delle Nazioni o a Francia e Inghilterra, affinchè si desse vita ad una politica di sanzioni in Europa e Asia. Il fervore moralistico del discorso, «its tone of anger against treaty- breakers and disturbers of the peace», ricordavano «Woodrow Wilson at his most effective». A questo punto, secondo il settimanale, molto sarebbe dipeso dal significato attribuito al concetto di «“quarantine”», cionondimeno era ormai probabile che gli Stati Uniti sarebbero stati coinvolti in una nuova guerra mondiale.483

Il 27 ottobre The New Republic pubblicò un nuovo editoriale sul tema della neutralità: «Positive neutrality». In un periodo di incertezza internazionale, si rilevava, la posizione di coloro i quali ritenevano indispensabile astenersi dalla guerra, «and from course likely to lead to war», scontava uno svantaggio psicologico dal momento che appariva egoista e spregevole. Se i suoi sostenitori venivano raffigurati come degli isolazionisti cui poco importava di quanto accadeva «to the human race outside the borders of the United States», di converso «the movement to participate forcibly in world affairs» veniva presentato come un espressione «of mature self-respect resting on a broad view and humane emotions».

La nuova legislazione di «neutrality» non poteva tuttavia essere considerata come una politica «of inaction or isolation in the true sense»: si trattava infatti di un «conditional isolation» contro la tendenza al coinvolgimento in guerra. La legge diceva infatti: «If you fight, we do not intend to take up arms with you, and shall in that event limit our trade and financial relations sufficiently to make sure that we stay out»; ma non diceva: «If you remain at peace, we shall have nothing to do with you». Al contrario, lasciava la porta spalancata a tutte le azioni internazionali che non avessero comportato per gli Stati Uniti l’uso «of armed force or threats of using it». Sostenere invece che questa opzione equivalesse a non fare nulla implicava che niente poteva essere fatto «except to rattle the saber». La guerra infatti andava prevenuta prima che potesse scoppiare: le uniche misure valide in questo senso costituivano anche il miglior modo per costruire la pace essendo volte al «improvement of trade relations» e al «settlement of international monetary problems».

Il Neutrality Act significava quindi «non-cooperation in war», senza essere però «antagonistic to cooperation in peace». Il fascismo, secondo il settimanale, non poteva essere sconfitto «by defeating fascist nations in war»: «nothing is more likely than that the United States would go fascist through the very process of organizing to defeat the fascist nations». «Victory for civilization – in conlusione - is too complex an achievement to be won by drilling soldiers and dropping aerial bombs».484

La pubblicazione in dicembre di un lungo studio della National Economic and Social Planning Association sui costi derivanti, nell’ottica statunitense, dalla mancata partecipazione alla guerra e sugli accorgimenti tecnici per preservare il paese da questo rischio, sembrarono avvalorare il convincimento del settimanale che non era né opportuno né conveniente partecipare a qualsiasi futura guerra. Secondo questo studio, cui fece riferimento il «The Week» del 15 dicembre, era «possible to stay out of war if we want to take the necessary measures, that these measures are difficult and costly, but that they are far less difficult and costly, and certainly less dangerous politically, than participation in war would be». Il vero ostacolo, osservò il settimanale, era un altro: i costi della neutralità dovevano essere calcolati in anticipo e con cautela, mentre i costi della guerra non potevano essere stimati fintantoché la guerra non fosse finita.485

Al dibattito parlamentare sull’emendamento Ludlow The New Republic dedicò l’editoriale del 29 dicembre «An Amendment against war?». Se era vero, come riconosciuto dallo stesso settimanale,

483

Rubrica, «The Week», «The President torpedoes Neutrality», 13 ottobre 1937.

484 Editoriale, «Positive neutrality», 27 ottobre 1937.

che l’approvazione dell’emendamento rischiava di indebolire il potere deterrente del governo nell’opera di tutela dei cittadini e degli interessi economici americani all’estero era altrettanto vero che la partecipazione degli Stati Uniti alla prima guerra mondiale era stata un errore che aveva causato inestimabili perdite «without winning what we were assured it was being fought for». I costi e le miserie della guerra moderna inoltre erano talmente grandi che non ci poteva essere una buona ragione per combattere se non la difesa del proprio paese contro un’invasione. Secondo l’editoriale in definitiva all’uomo comune che sarebbe andato a combattere e soffrire andava quantomeno lasciata la possibilità di decidere, nel caso specifico, «whether any other reason is good enough». I proponimenti della risoluzione Ludlow, a giudizio del settimanale, erano quindi validi.486

Il 12 febbraio 1938 la United Press rese pubblico lo scambio di lettere tra Cordell Hull e Louis Ludlow circa l’emendamento presentato da quest’ultimo. A stretto giro giunse il relativo commento di The New Republic nell’editoriale «Mr. Hull’s Foreign Policy». Per il settimanale l’opinione espressa dal Segretario di Stato circa la legge di neutralità, quale miglior metodo per evitare ogni possibile coinvolgimento degli Stati Uniti in una guerra, non era condivisa «by a majority of the American people because it involves a genuine danger of war». Il problema, veniva annotato, era piuttosto quello di capire quanto gli Stati Uniti fossero disposti a pagare per la pace. Il programma navale in discussione al Congresso in quel momento, secondo il settimanale, rappresentava infatti «the logical result of failure to apply the Neutrality Act». Un siffatto programma sembrava infatti più appropriato per un intervento in una guerra straniera tosto che per la difesa del territorio nordamericano. Di una flotta americana attiva in Estremo Oriente, veniva osservato, avrebbe certamente beneficiato l’impero inglese, i cui interessi in Asia erano ben superiori a quelli americani, ma non gli Stati Uniti «if we interpret our security as lack entanglement in war». «It is better to stop floods in the Mississippi Valley than to have super-dreadnaughts plowing through the China Sea». In ultima istanza a giudizio del settimanale la politica diplomatica enunciata da Hull conduceva il paese «closer to war».487

Nel documento For God'sake! Lift the embargo to Spain (pagine 113-115)