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Lingue configurazionali e lingue non–configurazionali.

Morfosintassi e Pragmatica

2.19. Lingue configurazionali e lingue non–configurazionali.

Hale (1978) propone di dividere le lingue in due grandi categorie: (I) lingue confi- gurazionali vs. lingue non configurazionali. Le prime mostrerebbero una gamma di confi- gurazioni sintattiche non riscontrabili nelle seconde, che diversamente hanno un ordine dei costituenti più libero, nessuna categoria vuota e conseguentemente nessuna regola di tra- sformazione in sintassi secondo la teoria delle tracce, ecc. Un esempio spesso citato è quello dell'arabo classico in cui la categoria VP è “discontinua” – nei termini di Aoun (1979). Ciò che viene generalmente assunto è che nelle lingue non configurazionali non sono presenti alcune categorie, lessicali e funzionali, ad esempio la categoria VP nel sistema X–barra permette di definire le funzioni grammaticali in termini di configurazioni strutturali, e ciò non è riscontrabile nelle lingue non configurazionali.

2.19.1. No Move(ment) non configurazionale.

Per Chomsky (1981) la dicotomia di Hale (1978) in (I) è il riflesso del fatto che non tutte le lingue hanno funzioni grammaticali (GF) determinate dalle configurazioni dei livelli di struttura–D, e tramite trasformazioni nel livello di struttura–S. Ciò è spiegabile assumendo che nelle lingue non configurazionali manca l'operazione trasformazionale del “movimento”. Vediamo la proposta di Noam Chomsky in ciò che segue, sui dati del giap- ponese.

La regola di base del giapponese, dice Chomsky, è una sequenza, con notazione W*, di zero o più categorie SN, S ed una testa lessicale: SX → W* X. Una esemplifica- zione di frase astratta sarebbe [S SN1 SN2 … SN n V] – assumendo che una frase è anche un

sintagma verbale S''=S=SV. Nell'ipotesi che il lessico è universale, le funzioni grammati- cali devono essere le stesse delle lingue configurazionali, ad es. l'italiano o l'inglese. Un soggetto è [SN, S], un oggetto [SN, SV], un complemento frasale [S, SV], ecc. Ciò che distingue il giapponese dall'inglese è che le configurazioni che determinano le funzioni grammaticali non sono rappresentate in sintassi nel sistema X–barra in struttura–D e strut- tura–S. In essenza, la differenza consiste nel tipo di “conversione” tra le due strutture. Il confronto è tra eat / tabe nelle due lingue, con diversa struttura profonda in (146):

(146) a. [S SN1 [SV eat SN2]]

b. [ S SNi SNj tabe] (i=1 e j=2, o viceversa)

inglese secondo i vari sotto componenti del sistema GB e i sottosistemi di principi . ma, in giapponese no. Per concretezza, SN1 = [SN, S] (un soggetto) e SN2 = [SN, SV] (un

oggetto). L'assegnazione del Caso è la solita secondo gli standard GB, caso nominativo al primo SN e caso accusativo al secondo SN; anche i ruoli tematici sono assegnati nel modo convenzionale, per non violare il criterio-theta. La trasformazione è determinata dall'opera- zione Move–alpha in lingue configurazionali, dove SN in (1a) è il function chain e il secondo elemento S, o SV determina i ruoli–theta alla forma logica. Mentre nelle lingue non configurazionali l'operazione di “trasformazione” è qualcosa del tipo assume a GF che assegna a SN il ruolo di function chain (GF*, GF1, …, GFn) per (GF1, …, GFn) la funzione

di catena che SN ha in concreto, e GF* una funzione grammaticale arbitraria senza ruolo tematico che serve per assegnare il Caso a SN: (GF*, [SN, SV]). Su queste basi seguono le strutture del passivo, e le causative – che tralasciamo. La differenza quindi di base tra lin- gue configurazionali e lingue non configurazionali è compresa nella nozione di trasforma- zione tramite l'operazione di movimento, che è assente nelle secondo. Per Chomsky (1981), ciò permette anche di “rilassare” il principio di proiezione estesa EPP che vuole che in una frase un soggetto sia espresso in questo tipo di lingue (ib. 131). In definitiva, le funzioni grammaticali non sono rappresentate nei livelli di struttura (D, e S) nelle lingue non configurazionali in termini di strutture formali, ma sono assegnate in modo casuale a livello profondo e realizzate in superficie tramite l'operazione “assegnazione di GF” vista in precedenza. In altre parole, la struttura superficiale nei due tipi di lingue è la stessa, mentre la struttura profonda è in qualche modo “appiattita” nelle lingue tipo il giapponese.

2.19.2 L'assenza del nodo T.

Per Bošković (2008, 2009) la dicotomia classica tra lingue configurazionali vs. lin- gue non configurazionali è riducibile alla presenza/assenza di alcune categorie “funzionali” che non può essere ridotta soltanto alla realizzazione fonologica (overt vs. covert). In altre parole, non è ipotizzabile che certi nodi siano presenti ma inerti. In particolare, Bošković osserva che le lingue senza articoli (es. serbo–croato) sono prive della categoria D, rispetto a lingue con gli articoli (es. inglese), e ciò comporta tutta una serie di differenze strutturali a livello frasale. La generalizzazione di Bošković è che la mancanza di D implica la man- canza del corrispondente frasale T, cioè il nodo della flessione INFL (per T=INFL o IP nella notazione inglese). Una lingua priva di DP/TP è il serbo–croato, che non è però affatto priva di morfologia nominale sul verbo – cioè, i tratti–phi nei termini chomskyiani.

Secondo Bošković, l'interpretazione temporale è derivabile dall'aspetto e dal modo – anche il turco sembra confermare la natura aspettuale del riferimento temporale (cfr. Giorgi e Pia- nesi 1997; Slobin e Asku 1982). Oppure il giapponese, oggetto della discussione di Chom- sky, che secondo gli studi di Fukui (1986, 1988) e Fukui e Sakai (2003) è una lingua che non ha marcatori di tempo ed è priva del nodo ST. Un'altra lingua il cui statuto rispetto al nodo ST è controverso è il coreano, v. Shon et al. (1996). Secondo Osawa (1999) una divi- sione possibile tra le lingue è tra quelle che ammettono T e quelle che ne sono prive. Assu- mendo che i verbi hanno una posizione argomentale eventiva che deve essere saturata (Higginbotham 1985, e succ.), nelle lingue con marcatori espliciti di tempo il legamento operatore/variabile è lessicalizzato. Nelle lingue che sono prive della posizione ST, il lega- mento è possibile tramite affissi di tempo/aspettuali sul verbo. Il discorso è molto “abboz- zato” e non è supportato da solide conclusioni, ad ogni modo, alcuni effetti legati alla pre- senza di ST sono stati osservati: (i) movimento del soggetto in Spec, ST; (ii) movimento verso un'altra proiezione diversa da ST; (iii) i soggetti espletivi; (iv) asimmetrie di estra- zione tra soggetto e oggetto legate alla località. Anche la giustificazione di assegnazione del Caso nominativo per T viene meno, se si accetta che il Caso è un sottoinsieme di pro- prietà legate all'accordo di tratti nominali tra elementi lessicali, in particolare tra verbi e nomi (cfr. Chomsky 2000). Un altro test possibile è quello della consecutio temporum o

sequence of tense (SOT) che sembra essere assente in lingue prive di articoli e prive del

nodo T: russo, polacco, serbo croato, sloveno, ebraico, giapponese, koreano, indi, turco. Mentre è possibile (o necessaria) in lingue come inglese, olandese, greco moderno, spa- gnolo, francese, italiano, cioè lingue con articoli e con T.

Possiamo esemplificare con i dati del turco secondo Bošković (2008) “The Turkish

case actually turns out to be quite controversial. A number of authors have argued that what has been traditionally considered to be tense markers in Turkish are in fact aspect and/or modal markers” (ib. 26)

In particolare, vediamo l'alternanza tra il morfema {-DI} che viene trattato come un marcatore modale ed aspettuale in Taylan (1988, 1996, 1997); oppure il caso di {-miş} che è considerato un marcatore evidenziale, cioè ambiguo tra modo e aspetto in Slobin e Aksu (1982) e Enç (1987, 2004), dati citati in Enç (2004):

(i) Gel –DI –k turco

arrivare PST 1PL

(ii) Gel –MIÇ turco

arrivare PAST(evidenziale)

“Forse è arrivato/a”

(iii) Ayçe er –de –MIÇ turco

Ayçe casa LOC evidenziale

“Forse, Ayçe è a casa”

Per Enç (2004) {-DI-} ha uno shift opzionale, l'es. in (i) mostra l'opzione “passato” senza spostamento interpretativo. Tuttavia, è il caso in di {-MIÇ-} che ci interessa più da vicino, Il contrasto tra (ii) e (iii) mostra la reale proprietà costante del marcatore, cioè evi- denziale – in ultima analisi modale. Se fosse un genuino marcatore di tempo, lo shift sarebbe su tempi e non sulla modalità e/o aspettualità. In tutti i casi, il morfema è visibile alla forma logica ed è interpretabile. Il parallelo con il morfema –ba del creolo è davvero evidente per non azzardare che entrambi i morfemi, BA e MIÇ condividono proprietà costanti di tipo modale (e aspettuale). In altre parole, questi morfemi marcano la modalità e l'aspetto non il tempo. Le indicazioni più generali di Bošković permettono di buttare lì l'i- potesi che in queste lingue ciò che manca è proprio una morfologia di tempo (nel senso di marcatori che introducono un riferimento di tempo nelle strutture). Da qui la gamma varia- bile di interpretazioni, shifting temporali sulla base di proprietà costanti di tipo modale e aspettuale.