Lo specifi co linguistico dell’Economia
Un aspetto problematico, relativo alla sperimentazione CLIL Inglese - Economia, riguarda l’acquisizione del linguaggio specialistico da parte degli studenti, problema sentito anche in L1, vista la specifi cità della lingua dell’Economia.
Se, in una prima fase, gli studi in questo settore sembravano ritenere che le uni-che diff erenze tra i linguaggi specialistici e la lingua comune riguardassero il lessi-co, successivamente, l’attenzione dei ricercatori si è spostata da un approccio di tipo statistico – quantitativo ad uno di carattere “qualitativo” (Gotti 1991, p. 3). In altre parole, tali linguaggi non sono stati più considerati unicamente in base alla frequenza d’uso dei termini specialistici nei vari testi tecnici, ma sono stati esaminati nella loro globalità.
Prima di considerare le loro caratteristiche generali, in particolare quelle della lingua dell’Economia, oggetto del presente lavoro, è forse opportuno aff rontare la questione terminologica. Non esiste, infatti, univocità nella denominazione, in italia-no, di questi linguaggi.
Quelle che Sobrero chiama, insieme a Berruto, “lingue speciali” (Sobrero 1993), per altri sono “linguaggi specialistici” (Gotti 1991), mentre per altri ancora sono
“microlingue” (Balboni 1989) e “microlingue tecnico-scientifi che” (Balboni 2000).
Sembrano non esistere termini corretti o sbagliati, ma le diverse defi nizioni nascono dal desiderio di evidenziare aspetti diversi del fenomeno. Ad esempio, lingua o lin-guaggio speciale o specialistico sottolineano l’impiego della varietà da parte di esper-ti; microlingua può essere utilizzato sia come sinonimo di questi termini, sia come iponimo che indica la lingua di un sottosettore di una disciplina ad alto grado di specializzazione. La lingua speciale dell’Economia, include, ad esempio, la microlin-gua della borsa (Musacchio 2002, pp. 98-99).
In inglese esiste l’acronimo “LSP”, diff usosi rapidamente dopo il convegno del Bri-tish Council del 1968, in cui si parlò di “Languages for Special Purposes”. In seguito, come riferisce Balboni (Balboni, 2000, pp. 7-8), l’aggettivo “Special” venne sostituito da “Specifi c”, accentuando l’attenzione ai bisogni dello studente. Tale designazione non soddisfa Balboni, il quale aff erma che “La dimensione pragmatica, che defi nisce
gli scopi speciali o specifi ci, è condizione necessaria ma non suffi ciente ad identifi care le microlingue scientifi co professionali” (Balboni 2000, p. 8).
Le lingue speciali, oltre a possedere varie caratteristiche che le diff erenziano dal-la lingua comune, presentano al loro interno delle diff erenziazioni legate all’ambito disciplinare, che infl uiscono anche su scelte di carattere morfosintattico, testuale e pragmatico (Gotti 1991, p. 9). Esistono, inoltre, casi di intersezione o sovrapposizione con altre lingue speciali sia a livello lessicale che stilistico. L’Economia, ad esempio, utilizza ”mezzi e metodi propri della matematica, della psicologia e della statistica, appropriandosi anche del linguaggio di queste discipline “ (Musacchio 1995, p. 7).
Sobrero individua, tra gli elementi caratterizzanti le lingue speciali, le strutture testuali, il lessico e la morfosintassi (Sobrero 1993, pp. 244-251).
Egli aff erma che la struttura dei testi scientifi ci è piuttosto rigida, poiché è abba-stanza frequente la sequenza: introduzione, problema, soluzione e conclusione. Tale schema, riferito all’Economia - qualora venga eff ettuata la diagnosi di una determinata congiuntura - diventa: analisi, previsione, proposta. Ovviamente, se le fi nalità dell’eco-nomista sono di tipo diverso, è possibile cambiare la struttura testuale, utilizzando strutture argomentative anche di scienze parallele come la statistica e la ragioneria.
Il lessico, da sempre indicato come l’elemento che distingue le lingue speciali dalla lin-gua comune, è caratterizzato da neologismi, da termini che già esistono nella linlin-gua comu-ne o tratti da altre lingue speciali. Come aff erma Sobrero (Sobrero 1993, p. 255), la lingua dell’Economia accoglie termini ed espressioni dai sottocodici giuridico, fi scale, politico e sindacale. Si rileva, inoltre, la presenza di acronimi, sigle, simboli e parole straniere.
L‘inglese è la lingua dalla quale derivano la maggior parte dei prestiti nelle altre lingue europee, mentre nei vari linguaggi in inglese, come ad esempio il linguaggio dell’Econo-mia, non si riscontra un numero di termini stranieri molto elevato. In ambito economi-co è possibile trovare qualche prestito dal francese, economi-come nel caso di “entrepreneur”.
Il lessico specialistico è, inoltre, caratterizzato dalla monoreferenzialità, ovvero ogni termine deve avere un referente unico, quindi un unico signifi cato. A diff erenza della lingua comune, perciò, viene evitata sia la sinonimia che la polisemia, al fi ne di eliminare ogni possibile ambiguità. La ripetizione è, perciò, la conseguenza dell’as-senza o dell’elusione dei sinonimi. Per quanto concerne la lingua dell’Economia, non è possibile trovare una rigida applicazione di questo criterio, che vale per le scienze esatte. L’Economia, infatti “si colloca a metà strada tra le scienze esatte e quelle sociali e utilizza i metodi di entrambe le categorie, oltre a sfruttare strumenti tipici delle scienze umanistiche” (Musacchio 1995, p. 43).
Per questo, talvolta, gli specialisti rifi utano la monoreferenzialità, preferendo un uso più libero e personale della lingua. Come riferisce Gotti (Gotti 1991, p. 31), è que-sta la posizione di diversi economisti, contrari all’adozione di un linguaggio rigido,
incapace di descrivere in modo completo fenomeni complessi come quelli economi-ci. A questo proposito, Gotti cita J. M. Keynes, il quale sostiene che il linguaggio di tipo monoreferenziale ai fi ni argomentativi della teoria economica è inadeguato ad evidenziare le complessità ed interconnessioni dell’intero sistema economico. Egli invece ritiene più appropriato l’uso di un linguaggio di tipo ordinario per l’Economia, che rientra tra le scienze morali, mentre accusa i linguaggi simbolici, come quello matematico, di essere fonte di confusione in quanto tipici delle scienze positive.
A suo avviso Gotti, pur riconoscendo a Keynes un uso magistrale della polisemia del linguaggio ordinario, osserva, (Gotti 1991, p. 35) che, percorrendo tale strada, si corre il rischio di aumentare l’ambiguità del testo. Keynes, infatti, è stato spesso cri-ticato per l’uso del lessema “investment” nella sua opera “General Th eory”, ove è stato utilizzato dall’economista per riferirsi a diverse accezioni di questo concetto.
Un’altra caratteristica del lessico economico è la non-emotività, ovvero i termini hanno un valore unicamente denotativo. Ciò non è, comunque, generalizzabile nel-la lingua dell’Economia, ma si può riscontrare quando, ad esempio, l’economista ha l’obiettivo di informare (funzione referenziale); fa, invece, uso di connotazioni emo-tive quando vuole convincere il lettore della validità della propria teoria (funzione conativa) (Musacchio 1995, p. 45).
A livello morfosintattico le lingue speciali sono caratterizzate dalla particolare fre-quenza di certi fenomeni. Viene fatto ampio uso della nominalizzazione, che consiste nell’impiego di sintagmi nominali anziché verbali. I testi scientifi ci hanno, infatti, un’alta densità semantica poiché gli elementi lessicali sono in percentuale maggiore rispetto che nei testi in lingua comune. Di conseguenza, il verbo perde d’importanza e viene fatto un uso minore di tempi, modi e persone verbali. Prevalgono le forme impersonali, il passivo e l’indicativo presente alla terza persona. La forma passiva vie-ne di norma preferita al fi vie-ne di focalizzare l’attenziovie-ne sul processo, il fatto o l’aziovie-ne e non sugli agenti. Nei testi di Economia gli economisti ricorrono a forme impersonali per riferire opinioni in modo obiettivo e per convincere il lettore della validità delle proprie tesi, presentandole come opinioni di più persone.
Th us private-capital infl ows are seen as driving the current-account defi cit, ra-ther than the ora-ther way round.
(Th e Economist, August 30th 2003)
A livello sintattico il linguaggio economico inglese si caratterizza, inoltre, per l’uso ri-dotto di frasi relative ricorrendo alla forma in -ing, ad un aggettivo o al participio passa-to in funzione aggettivale. Questi elementi, in inglese, precedono di norma il sostantivo evidenziando la tendenza dell’inglese alla premodifi cazione, collocando dei modifi catori a sinistra del sostantivo, aumentando la lunghezza e la complessità dei sintagmi nominali.
Th e spending frenzy must be controlled and the tax-cutting momentum slowed, perhaps even reversed.
(Th e Economist, September 20th 2003)
Poorly-funded states might lack expertise to regulate properly, and patchwork of states by states regulation might heap costs on doing business nationally ….
(Th e Economist, September 06th 2003)
Come si è detto, nelle lingue speciali vi è, rispetto alla lingua comune, un uso diff eren-ziato dei tempi verbali. Prevale il presente indicativo, che è reso necessario dalle funzioni comunicative ricorrenti nei testi specialistici (testi espositivi). Presentano esempi di im-perativi i testi che contengono istruzioni, mentre prevale il passato nelle relazioni (Gotti 1991). Relativamente ai testi economici, vista la sequenza tipica del discorso economico, che consta di analisi, previsione e proposta, si può spiegare facilmente il ricorso al futuro con “will” per la previsione, mentre per l’analisi ci si può attendere l’uso del presente o del passato. L’uso di “will” può, talvolta, essere accompagnato da modifi catori come “possibly”,
“certainly”, “probably”, che aumentano o riducono il grado di certezza. Nelle previsioni appaiono anche altri modali come “should”, usato quando il locutore prevede ragionevol-mente il verifi carsi di un evento, oppure “may” e “might”, quando il locutore non esclude il verifi carsi di eventi di segno opposto. In italiano, a diff erenza dell’inglese, l’uso dei modali, non è così ampio. Si ricorre solo a “potere” e “dovere” nell’ambito delle previsioni.
…America’s healthcare programme for the elderly, to include prescription drugs, will supposedly cost $ 400 billion over the next decade.
If it can crank out some policy proposals of its own, the business group might gain a greater say in the debate. If things go really well, it might even regain enough infl uence to spark a scandal or two.
(Th e Economist, September 20th 2003)
A booming economy, and the extra tax receipts that come with it, should allow Th ailand to balance its budget next year, four years ahead of schedule.
(Th e Economist, September 6th 2003)
Come osserva Sobrero (Sobrero 1993, p. 253), il settore dell’economia è stato og-getto, negli ultimi anni, di un’attenzione sistematica sia da parte della televisione che da parte della stampa non specializzata.
Conseguentemente, il livello specialistico, limitato alla cerchia degli addetti ai la-vori, è stato affi ancato dal livello divulgativo. Cambiando il destinatario, sono venute
meno alcune caratteristiche tipiche della lingua specialistica tecnico-scientifi ca, che si ritrovano, invece, negli studi e nelle ricerche di scienze economiche e commerciali.
Facendo riferimento alla realtà italiana, Sobrero aff erma che il progressivo allar-garsi della cerchia degli operatori e degli interessati, dovuto all’aumento della scolarità e all’andamento alterno della nostra economia, ha portato ad una diff usione di ter-mini tecnici propri delle scienze economiche (Sobrero 1993, p. 256). A suo avviso, comunque, il livello divulgativo presenta delle caratteristiche piuttosto insolite per una lingua speciale; ad esempio il linguaggio fi gurato è piuttosto frequente nei quo-tidiani e nelle riviste.
A livello divulgativo, in misura maggiore che a livello specialistico, si incontrano eufemismi, metafore e similitudini, che hanno una funzione esemplifi cativa, stabilen-do paralleli con concetti e fenomeni familiari al lettore. Si parla, infatti, di “elasticità”
della domanda, di “depressione economica”, di “concorrenza” tra le imprese (Gotti 1991, p. 48), di “soff erenza” per il credito diffi cilmente esigibile di una banca, di “ri-sveglio e fl essione della valuta”, ecc (Sobrero 1993, p. 257).
Molte di queste metafore sono ormai talmente diff use che il loro valore metaforico è scarsamente sentito, raggiungendo lo stato di “metafore morte” (Gotti, p. 48).
China, as this survey as argued, must break the paralysis on its exchange rate and gradually move towards greater fl exibility.
…Germany and Japan remain the most likely back-up motors for the global eco-nomy…
… in recent year, both have also suff ered from extraordinarily incompetent ma-croeconomic policies.
(Th e Economist, September 20th 2003)
Sobrero conclude che la convergente azione di queste fenomenologie compor-ta la perdicompor-ta o, quanto meno, la riduzione della monoreferenzialità, una delle carat-teristiche fondamentali di una lingua specialistica. In questa variante della lingua dell’Economia viene meno, perciò, il requisito della precisione e, conseguentemente, si riducono fenomeni come la nominalizzazione, l’uso del passivo e delle forme im-personali. Il cambio di destinatario ha conseguenze sull’organizzazione del testo, che perde la rigidità del ragionamento scientifi co. Prevalgono la funzione descrittiva e la funzione argomentativa.
È frequente l’appello diretto al lettore in cui si tende a presentare la materia in modo da coinvolgerlo.
Dopo aver considerato gli aspetti caratterizzanti la lingua dell’Economia e le dif-fi coltà ad essi collegate, si pone il problema, in ambito didattico, della scelta dei ma-teriali. In un percorso CLIL sono sicuramente da privilegiare materiali autentici, che devono essere selezionati ad hoc e, se necessario, didattizzati dai docenti, tenendo conto delle conoscenze linguistiche e disciplinari degli allievi.
Tra i vari elementi di un testo economico inglese che possono essere fonte di dif-fi coltà per uno studente, anche di madrelingua, Hewings (Hewings 1990, p. 29) indi-vidua la tendenza degli autori di testi di economia di passare dal mondo reale ad un mondo ipotetico o idealizzato. Mason (Mason 1990, pp. 16-27), facendo riferimento all’esperienza della lettura di testi economici, parla di “dancing on air”, cioè di una netta prevalenza di termini astratti nel discorso economico. Come aff erma Hewings (Hewings 1990, p. 29), gli economisti non possono eff ettuare esperimenti controllati e riproducibili per testare le loro teorie. A suo avviso, il metodo scientifi co, carat-terizzato dall’oggettività e dalla precisione matematica, si è rivelato inadeguato per l’Economia, che ricorre all’uso di metafore e analogie, come avviene nei testi lette-rari. Alla base del discorso economico vi sono, le “assumptions”, che sostituiscono gli esperimenti delle scienze esatte. Quindi, le diffi coltà che gli studenti di Economia incontrano nella lettura di testi specialistici sono ascrivibili a due fattori: il continuo passaggio dal mondo reale al modo ideale e l’insieme delle conoscenze che l’autore si aspetta dal lettore. Il passaggio dal mondo reale a quello ideale è segnalato dalla presenza ricorrente di verbi all’imperativo come “assume”, “suppose”, “consider”, in-sieme all’uso di condizionali e modali. È importante, perciò, in ambito didattico, far comprendere il ruolo della costruzione di modelli all’interno della disciplina, basati sulla mescolanza di elementi reali ed ipotetici per illustrare verità economiche. Ciò è possibile, secondo Hewings, attraverso la lettura guidata di brevi brani, che porti all’individuazione di tali elementi.
Fisher (Fisher 1990, p. 91) evidenzia le diffi coltà che possono incontrare sia stu-denti di madrelingua che non, relativamente alle abilità numeriche (numeracy skills), perché essi sono, di norma, abituati a trovare esemplifi cazioni e chiarimenti nei gra-fi ci e nelle tavole. Ciò non è sempre così nei testi di Economia, dove possono essere utilizzati per presentare un problema o illustrare situazioni.
Un potenziale problema, che riguarda gli studenti la cui prima lingua non è l’in-glese, è legato a riferimenti nei testi economici a concetti che esulano dalle loro co-noscenze.
Fisher (Fisher 1990, p. 84) ritiene che possano risultare più effi caci i materiali pre-parati (selezionati o prodotti) congiuntamente dal docente di microlingua e dal “su-bject specialist” (in ambito CLIL si può parlare di docente di disciplina), poiché i testi disponibili di norma non tengono conto del fatto che gli studenti non di madrelingua
possono avere una scarsa comprensione di esempi legati ad una cultura diversa dalla loro. Comunque, testi esistenti di English for Economics possono costituire un buon punto di partenza per la preparazione di materiale supplementare, frutto della ricerca congiunta dei due docenti. Ciò, secondo Fisher, aiuta nella comprensione dei conte-nuti ed accresce la motivazione, in particolare quando i discenti non sono persone adulte.
Nel percorso CLIL si è scelto di fare uso di libri di testo inglesi ed americani per studenti di madrelingua. Non è stato facile reperire materiali che possano risultare equivalenti a quelli disponibili in L1, anche perché i sistemi scolastici non trovano una esatta corrispondenza tra loro.
Ad esempio, la disciplina Economia viene aff rontata in Gran Bretagna solo a livello di A levels (AS e A2) quindi, dopo la conclusione della scuola secondaria, come scelta facoltativa e spesso in caso di prosecuzione degli studi universitari. Negli U.S.A., in-vece, rientra tra le discipline curricolari delle High School.
Il tipo di rapporto esistente tra autore-lettore infl uisce sulla scelta del registro che nei testi inglesi e americani è decisamente diverso rispetto a quello proposto dagli autori italiani. Questi ultimi tendono a preferire un rapporto autore-lettore formale e distaccato, a meno che non si tratti di opere estremamente divulgative. Nei testi in-glesi si ricorre spesso al discorso diretto o all’uso di espressioni di registro informale e colloquiale al fi ne di accorciare la distanza autore-lettore, oltre che di rendere più comprensibile l’input.
Tale approccio è ancor più comune nei testi di Economia americani, sia accade-mici che non. Inoltre, è tipico degli scrittori tecnico-scientifi ci di lingua inglese fare ricorso alla ridondanza, includendo ripetizioni e spiegazioni, anche se il testo è desti-nato ad “addetti ai lavori”. L’“orientamento al lettore” (Musacchio 1995, p. 120), tipico della tradizione britannica, non si ritrova, invece, nei testi italiani, dove viene data per scontata la conoscenza di determinati concetti, nel timore che le ripetizioni possano risultare noiose al lettore. Risultano, perciò, particolarmente utili ai fi ni didattici i testi prodotti nella tradizione anglosassone, che mirano ad avvicinare il lettore all’ar-gomento attraverso riferimenti a elementi familiari, riducendo la distanza autore-let-tore attraverso l’uso di forme dirette come “you”, “we” o il ricorso alla ridondanza.
In un percorso CLIL si presenta, comunque, nella maggior parte dei casi, il pro-blema della didattizzazione dei testi, viste le diffi coltà degli studenti a livello lingui-stico e culturale. È talvolta necessario, infatti, procedere all’adattamento culturale, quando i testi presentano esempi relativi alla realtà britannica o americana, facendo riferimento a istituzioni o aspetti della vita italiana familiari agli studenti.
Per quanto concerne le diffi coltà di carattere linguistico, è indispensabile un la-voro sul lessico (evidenziando termini sconosciuti, proponendo esercizi di matching,
cloze, riutilizzando i vocaboli in altri contesti, ecc.) e sulla grammatica (eventuali strutture nuove devono essere spiegate agli studenti nelle ore di L2). Un altro aspetto problematico può riguardare l’organizzazione del discorso (le unità didattiche propo-ste possono essere troppo lunghe, presentare testi densi di informazioni, che vanno divisi in blocchi ed analizzati in modo graduale). Le unità didattiche che vengono presentate nella parte 4 del presente studio, sono perciò il frutto del lavoro congiun-to dei docenti di Inglese e di Economia nell’obiettivo comune di far apprendere la materia, di far acquisire una competenza nella lingua specifi ca (obiettivo peraltro trasversale anche in L1) - con le diffi coltà che ciò comporta viste le particolarità della disciplina Economia - ma anche di mettere in grado gli studenti di svolgere delle at-tività cognitive tipiche della disciplina usando la L2.
Dalla tesi “Percorso CLIL Inglese-Economia. Problematiche ed itinerari didattici”
di Fabrizia Passerella e Massimo Ghion, prodotta all’interno del progetto sperimentale “Apprendo in L2” realizzato congiuntamente dalla Direzione Regionale del Veneto, dall’Università di Ca’ Foscari e dall’IRRE del Veneto.
Allegato n. 2