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Lo sviluppo del contatto culturale nell’antropologia sociale britannica

Abbiamo visto come le dissertazioni degli antropologi europei nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, rispetto alla diversità culturale e all’identificazione etnica delle

società tribali, furono indotte da una modalità di osservazione immersiva e partecipante alla

quotidianità delle comunità da parte dell’etnografo-antropologo. Il permanere dell’antropologo e del suo entourage presso le comunità diventava sempre più lungo e protratto, tanto che, nel momento di massimo sviluppo delle spedizioni coloniali, esso consentì di elaborare delle riflessioni germinali, sulle trasformazioni endogene ed esogene che si innescavano nel reciproco contatto prolungato sia tra i nativi e i gruppi degli studiosi occidentali che tra i diversi gruppi locali, considerato che le aree di interesse coloniale diventavano sempre più vaste. Questa trasformazione ulteriore nella metodologia etnografica è efficacemente descritta da Carla Bianco, di cui cito testualmente un passaggio, riproposto da Francesco Pompeo:

<<Visto il permanere di forti diversità dei gruppi, l’obiettivo divenne quello di studiarli, sia singolarmente, come micro culture autonome e da prospettive di tipo funzionalistico, e sia nel gioco dei loro contatti reciproci (gli inter-ethnic       

52 F. Pompeo, 2007, op cit., p. 83.  53 U. Fabietti, 2001, op. cit., p.103 

 

contacts), donde l’articolato filone di studi sui modelli e sulle identità delle varie “comunità”>>.54

Il contestuale riconoscimento dell’unità culturale delle società tradizionali, della loro

esaustività funzionale e coerenza strutturale, si apriva, per la prima volta, anche

all’interpretazione degli effetti derivanti dal contatto culturale tra i gruppi locali e i coloni bianchi, anche al netto anche di una iniziale “crisi di certezze”55, da parte della stessa cultura egemone, determinata dal tramonto delle teorie evoluzionistiche. A questo proposito è esemplificativo quanto scrive Fabietti nella sua storia dell’Antropologia:

<<L’antropologia, nella quale il pensiero positivista ed evoluzionista aveva visto un mezzo di conoscenza della mente primitiva, riconosceva ora tracce di primitività nello stesso pensiero occidentale, razionale e positivo>>.56

L’oggettività etnografica data dalla dimensione relazionale delle identità culturali, che anche allo sguardo dell’osservatore non apparivano più come isolati etnici e culturali, cominciava a riflettere la necessità epistemica di superare la logica della superiorità culturale dell’occidente con le sue assunzioni teoriche derivanti da uno sguardo dall’alto delle altre formazioni culturali, immobilizzandole in un’oggettività funzionale a se stessa, pre-sociale e fuori-tempo. Bronislaw Malinowski, che proprio di tale oggettività funzionale fu il massimo portavoce, dopo aver pubblicato “Argonauti nel Pacifico occidentale” nel 1922, cominciò ad interessarsi anche allo studio delle dinamiche del cambiamento culturale nei contesti interetnici; interesse che maturò nella seconda metà degli anni Trenta, dopo aver compiuto un viaggio nel continente Africano (1934) e dopo aver fatto la conoscenza di Fernando Ortiz (1881-1969), studioso innovatore del contesto Afrocubano. Il sodalizio intellettuale tra questi due autori si materializzò in un volume pubblicato postumo, nel 1945: “The dynamics of cultural change:

an inquiry into race relations in Africa”, edito da Phyllis M. Kaberry, un antropologo che       

54 C. Bianco, 1980, Etnicismo e culturologia, l’identità culturale dei gruppi regionali e immigrati, in “la Critica

Sociologica”, n.54; citato da F. Pompeo, 2002, op cit. p. 54. 

55 U. Fabietti, 2002, op.cit. , p. 87  56 Ibid., p. 87 

 

ebbe la fortuna di lavorare insieme a Malinowski. Questo testo, formato da 13 articoli, rappresenta uno dei primi progetti di antropologia applicata, e se vogliamo il modello antesignano dell’approccio Dinamista57che caratterizzò l’antropologia francese tra gli anni Cinquanta e Settanta. In questo documento Malinowski, avendo compiuto ricerche tra diversi gruppi etnici del Sudafrica e avendo constatato sia la presenza di conflitti tra le società Indigene e i coloni Europei, sia le conflittualità interne alle società tribali in fase di cambiamento indotto, arrivava alla conclusione che il contatto tra due sistemi culturali differenti produceva una terza cultura: il “Three coloumn approach”, <<[…] non riducibile

alla somma delle due precedenti, ma che risponde alle dinamiche relative alla terza fase: a situazioni di conflitto, di cooperazione e/o di compromesso>>. 58

Secondo Marvin Harris, noto rappresentante della prospettiva materialistica-culturalistica americana degli anni Settanta-Ottanta e autore di una efficace opera di ricostruzione del pensiero antropologico, <<il nocciolo della teoria di Malinowski consiste nel dimostrare che

Europei e Africani tendono a stabilire un rapporto di dare e avere destinato ad equilibrarsi

[...]>>59. Naturalmente l’opinione di Harris verso l’opera di Malinowski è critica; egli gli

imputa la responsabilità di aver ridotto troppo semplicisticamente le relazioni tra coloni e popolazioni indigene in un’omeostasi funzionale, palesemente etnocentrica; un approccio, secondo Harris, teso esclusivamente a rendere la coerenza strutturale delle teorie funzionaliste di Malinowski. D’altronde, come sostiene Harris, la storia ha dimostrato che tra Europei e popoli colonizzati non si è verificato alcun compromesso, anzi al contrario si sono verificate delle polarizzazioni degli interessi che in modo, spesso conflittuale, hanno sovvertito gli

      

57 L’approccio Dinamista fu inaugurato da G. Balandier e da R. Bastide, con l’intento di studiare le dinamiche di

quelle società coinvolte in fenomeni di forte e prolungato contatto culturale, enfatizzando le dinamiche del

conflitto. 

58 B. Malinowski, The dynamics of cultural change: an inquiry into race relations in Africa, edited by P. M.

Kaberry, 1945, New Haven Yale university press. “L’approccio della terza colonna” è il metodo che M. usa nell’organizzare i dati, nel poi rintracciare tre fasi del contatto tra “la cultura intrusiva, con le sue istituzioni, intenzioni e le tradizioni, i costumi e i modi di vivere degli interessi indigeni”; testo intero pubblicato su www.jstor.org; la traduz. dal testo è mia.

 

equilibri geopolitici e prodotto nuove impreviste realtà etniche, con nuove pretese di

universalità.

Nonostante il contrappunto di Harris, il “Three coloumn approach” di Malinowski rappresenta sicuramente un’alternativa alla teoria dell’acculturazione proposta da Herskowitz negli Stati Uniti, e, in linea con quanto sostiene Pompeo, mostra straordinarie affinità con le riflessioni di Fernando Ortiz sui fenomeni di scambio culturale nel contesto caraibico, confluenti nel concetto di “transculturazione”; concetto, che verrà riutilizzato più volte da Malinowski per definire le dinamiche del contatto culturale. Nel tentativo di spiegare tale concetto, Ortiz scriveva:

<<[…] Crediamo che il vocabolo transculturazione esprima meglio le differenti fasi del processo transitivo da una cultura all’altra, poiché questo non consiste semplicemente nell’acquisizione di una distinta cultura, che è quello di rigore che indica la voce Angloamericana Acculturazione, bensì il processo implica necessariamente la perdita di una cultura precedente, che potrebbe definirsi come una parziale deculturazione nonché la conseguente creazione di nuovi fenomeni culturali che potrebbero dirsi neoculturazione. Infine come sostiene la scuola di Malinowski, in tutti gli incontri tra culture accade la stessa cosa che si verifica nella riproduzione genetica tra individui: il nuovo nato ha sempre qualcosa di entrambi i genitori e tuttavia rimane sempre diverso rispetto a ciascuno dei due […]>>.60

Questa dissertazione, che sotto diversi aspetti anticipa lo studio delle identità culturali nella loro dimensione dinamica relazionale, conferma la validità delle teorie sul cambiamento culturale teorizzate da Malinowski e, contemporaneamente, invalida la teoria Americana dell’Acculturazione, imputandole un “semplicistico meccanicismo”61, volendo usare le stesse parole che Harris ha utilizzato nella sua analisi postuma del Funzionalismo Britannico.

      

60 F. Ortiz, 1963, Contrapunteo cubano del tabaco y el acuzar, nuova ed, La Habana, Consejo Nacional de

cultura. L’introduzione a questo lavoro fu scritta da Malinowski nel 1940, proprio a dimostrazione della comune visione tra i due autori. Testo citato da F. Pompeo, 2002, op cit. a p. 56.  

 

Decenni dopo Malinowski, Fredrik Barth, ideatore di un nuovo paradigma dell’etnicità, in un articolo del 196762, passa in rassegna le differenti prospettive antropologiche sui fenomeni di

contatto culturale, arrivando a invalidare entrambi i paradigmi teorici, sia quello americano

che quello britannico, perché, secondo l’autore, non si sono tradotti in una elaborazione organica del processo e della dinamica del cambiamento culturale, malgrado il tentativo più pertinente fatto dagli studi Americani63. Secondo Barth, la debolezza statutaria dei due paradigmi, si è pienamente manifestata quando, dopo la Seconda Guerra mondiale, i contatti tra gruppi etnici e culture differenti hanno raggiunto una complessità e una forza rigenerativa tale da non essere sicuramente riconducibile solo ai modelli previsti dal Memorandum per lo

studio sull’Acculturazione, proposto dalla Scuola Americana e tantomeno riducibile

all’approccio della “Terza Colonna”64, elaborato da Malinowski.

Malgrado i limiti teorici delle prime trattazioni sulle dinamiche innescate dal contatto culturale tra gruppi differenti, accompagnati anche dalle pionieristiche missioni a scopo etnografico focalizzate su queste dinamiche, è doveroso concordare al polo culturalista Statunitense e a quello Sociologico Europeo, il merito di aver tracciato un nuovo corso per la ricerca antropologica che ha voluto perseguire un rigore scientifico nell’osservare e valutare i caratteri distintivi, culturali, etnici, religiosi delle società elementari, effettuando in questo il superamento definitivo del sistema evoluzionistico e lo spostamento epistemico propenso alle analisi delle culture e dei popoli al plurale, avendo assunto come principio fondante la loro legittimità culturale ed identitaria. Tuttavia, come nelle “due facce della stessa medaglia”, proprio quell’incommensurabilità, quell’esaustività culturale e omogeneità strutturale tanto ricercata ed etnograficamente rinvenuta nelle strutture e nelle funzioni delle società tribali, diventa il punto di partenza per lo sviluppo del pensiero antropologico a partire dagli anni’50, che riconoscendo i limiti della reificazione delle culture, indotte dall’approccio

      

62 F. Barth, 1967, On the study of social change, in American Antroplogist, LXIX, pp. 661-669.  63 Qui Barth si riferisce ai risultati programmatici del Memorandum per lo studio dell’acculturazione di

Herskowitz, Redfield e Linton. 

 

funzionalistico, focalizzerà la propria attenzione sullo studio dei mutamenti sociali e culturali

istigati dalle pressioni esercitate proprio da quello sguardo antropologico occidentale che si proponeva di essere neutrale e oggettivante.

1.5 LO SVILUPPO DI ALCUNE TEORIZZAZIONI DELL’ETHNOS NEL PANORAMA