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O LTRE IL CONTROLLO DEL CICLO DI VITA DELL ’ EDIFICIO

P RINCIPI DI RESILIENZA NELLA C ULTURA TECNOLOGICA DELLA PROGETTAZIONE : References

2.2 S CALE E STRATEGIE DEL PROGETTARE RESILIENTE

2.2.2 O LTRE IL CONTROLLO DEL CICLO DI VITA DELL ’ EDIFICIO

D

AL PRODOTTO ALL

ORGANISMO EDILIZIO

Marta Calzolari, Anna Dalla Valle∗∗, Valentina Frighi∗∗∗, Caterina C. Musarella∗∗∗∗

L’estensione del concetto di Life Cycle Thinking applicato alla Tecnologia dell’architettura

Il settore delle costruzioni è sempre più caratterizzato e condizionato da feno-

meni di crescente complessità e incertezza1 (Deamer and Bernstein, 2010; Wit-

thoeft et al., 2017). In tale contesto, la fase di progettazione rappresenta un momento cruciale e determinante per la gestione dei suddetti fenomeni, non so- lo per raggiungere una maggiore qualità dei sistemi edilizi ma anche per la vita dei loro abitanti. Le strategie adottate, infatti, incidono profondamente su edifi- ci e utenti, coinvolgendo l’intero ciclo di vita degli stessi con evidenti ripercus- sioni a livello economico, ambientale e sociale. Per questo il controllo del ciclo di vita risulta essere di fondamentale importanza nell’attività progettuale, così come diviene strategica la sua integrazione a partire dalle prime fasi del proces- so edilizio, al fine di perseguire e garantire concretamente uno sviluppo soste- nibile. La sua inclusione, però, induce a un cambiamento di paradigma all’interno del complesso di regole metodologiche sottese al processo costrutti-

vo, determinando non solo un ampliamento di prospettiva da parte dei progetti-

sti, ma anche dell’intero processo edilizio. Infatti, a differenza del processo tra- dizionale, finalizzato alla pura realizzazione dei manufatti, questo nuovo scena-

Marta Calzolari è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di

Ferrara.

∗∗ Anna Dalla Valle è dottoranda di ricerca di presso il Dipartimento di Architettura, Ingegneria

delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano.

∗∗∗ Valentina Frighi è dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università

di Ferrara.

∗∗∗∗ Caterina Claudia Musarella è dottore di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Territo-

rio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

1 La complessità è intrinseca nella natura stessa dei sistemi edilizi: organismi unici e sito-

specifici, derivati dalla composizione di molteplici prodotti, dalla frammentazione del processo edilizio, dalla specializzazione dei suoi attori, dalla globalizzazione del mercato, dal raggiun- gimento di stringenti requisiti e dal loro uso da parte di differenti tipologie di utenti. L’incertezza, invece, è propria delle scelte tecnico-politiche, dei riferimenti legislativi ma an- che degli effetti degli eventi naturali, sempre più frequenti e disastrosi a causa del cambiamen- to climatico.

rio richiede di allargare i confini dell’attività progettuale, includendo fasi pre-

cedenti e successive alla costruzione, al fine di valutarne l’intero ciclo di vita2.

Innumerevoli questioni aggiuntive vengono così prese in considerazione duran- te il processo decisionale, aumentando ulteriormente la complessità progettuale

dell’ambiente costruito3.

Seppur non ancora giunto a un livello di maturità tale da venire assimilato, normato e applicato a livello progettuale, il controllo del ciclo di vita - definito

life cycle thinking - è stato affiancato dal più recente concetto di “resilienza”, di

altrettanta rilevanza per il settore delle costruzioni. Entrambi assumono una vi- sione olistica del processo edilizio ma con una differenza sostanziale: il primo esamina gli impatti distribuiti nelle diverse fasi che si verificheranno quasi cer- tamente (ad esempio, le attività di manutenzione), mentre la resilienza analizza gli impatti dei danni soggetti a bassa probabilità di verificarsi ma con conse-

guenze potenzialmente elevate4. Il primo implica l’elaborazione di analisi sta-

zionarie, mentre il secondo richiede lo sviluppo di analisi dinamiche al fine di

considerare le capacità di adattamento dei sistemi5 (Fiksel, 2006).

I due concetti sembrano quindi divergere per obiettivi e scala di applicazio- ne. Il primo mira a ridurre gli impatti sull’ambiente e il consumo di risorse, mentre il secondo mira a raggiungere la robustezza e il rapido recupero dei si- stemi. La valutazione del ciclo di vita viene generalmente effettuata a livello di singola struttura, considerando le interazioni tra edificio e ambiente circostante, mentre la valutazione della resilienza viene eseguita principalmente a livello comunitario e di rete. Di conseguenza, il primo nasce su piccola scala, ora in espansione, mentre il secondo viene applicata su una scala spaziale più ampia.

I due concetti, apparentemente contrastanti, sono però da intendersi com- plementari in fase di progettazione, dove diventa sempre più indispensabile controllare simultaneamente il ciclo di vita dell’edificio e la sua capacità di re- silienza, combinando tali aspetti attraverso una visione probabilistica. La resi-

2 Per ciclo di vita si intendono tutte quelle fasi che caratterizzano l’esistenza dei manufatti: i) la

fase di produzione, con l’estrazione delle materie prime, il loro trasporto e la loro fabbricazio- ne; ii) la fase di costruzione, con il trasporto e il processo di installazione in cantiere; iii) la fase d’uso, con le attività di manutenzione, riparazione, sostituzione e restauro ma anche di gestione di energia ed acqua; iv) la fase di fine vita, con il processo di decostruzione e demolizione, il trasporto e il processo di trattamento e smaltimento dei rifiuti.

3 Si parla pertanto di progettazione del ciclo di vita, attività ritenuta necessaria a fronte dei cam-

biamenti in atto e condivisa dagli esperti del settore e dai principali stakeholder.

4 Questi ultimi impatti, infatti, sono rari e probabilmente non accadranno mai durante la vita utile

del manufatto. Tuttavia, a causa della loro magnitudine, se uno di loro si verifica, è probabile che l’impatto scaturito superi quello cumulativo stimato durante l’intero ciclo di vita.

5 Per quanto riguarda i principi fondanti della sostenibilità, essi vengono adoperati in entrambi

gli aspetti ma con diversi gradi di incidenza. Il life cycle thinking è originariamente più correla- to agli aspetti ambientali ed economici ed è stato, solo di recente, applicato alla dimensione so- ciale (Sala et al., 2015). Alla base del progetto per la resilienza vi sono, invece, le categorie so- ciali ed economiche, al pari degli aspetti ambientali.

lienza potrebbe essere dunque considerata come una nuova forma di controllo del ciclo di vita riferita a una nuova dimensione temporale: quella dell’incertezza, finalizzata al controllo delle fasi relative a eventi imprevedibili e dirompenti. Emergono così forti somiglianze con un terzo concetto, quello di rischio, la cui applicazione potrebbe portare alla loro solida e sistematica unifi- cazione.

A fronte dell’intensità e frequenza degli eventi calamitosi, oggi è infatti in- dispensabile considerare la capacità di resilienza come prerogativa dell’ambiente costruito, integrandola all’interno del processo decisionale. A tal fine, risulta più che mai urgente formulare una definizione del concetto stesso

di “resilienza”6, condiviso sul piano legislativo sia a livello nazionale sia, au-

spicabilmente, in termini comunitari.

I principali filoni di ricerca si sono di recente concentrati sullo sviluppo di forme evolute di mitigazione degli impatti del cambiamento climatico. Si parla, a ragione, di adattamento a questi mutamenti attraverso strategie di efficienta- mento energetico, che hanno in gran parte influenzato il modo di progettare e costruire le città e gli edifici di oggi (Antonini e Tucci, 2017). I cambiamenti climatici, la crescente urbanizzazione, la rivoluzione sociale e culturale enfatiz- zata dai fenomeni migratori, sono solo alcuni degli eventi emergenziali che hanno il potere di minare l’instabile resistenza della città. Essi esasperano le debolezze delle strutture urbane, sottolineandone l’incapacità dei suoi edifici di adattarsi al cambiamento e rendendo sempre più difficile ristabilire la situazio- ne di normalità.

Secondo la definizione di Friedman e Tessa (2017), per resilienza si intende «la capacità delle persone, delle comunità, delle istituzioni, delle imprese e dei

sistemi all'interno di una città di sopravvivere, adattare e crescere qualsiasi tipo di stress ricorrente e shock intensi essi sperimentino». Questa necessità di

adattamento, pertanto, deve tradursi nella capacità degli edifici e di chi li vive e gestisce di rispondere a requisiti prestazionali che stanno evolvendo insieme ai cambiamenti degli ultimi anni. A differenza del passato, però, l’aderenza ai nuovi requisiti diventa strategica durante la fase d’uso dei fabbricati, in partico- lare quando gli edifici sono chiamati a rispondere a esigenze funzionali e pre- stazionali diverse da quelle iniziali. Non si tratta di progettare e costruire neces- sariamente secondo modalità differenti, basti pensare all’architettura vernacola- re, esempio di progetto resiliente in quanto capace di adattarsi ai mutamenti sto- rici sopravvivendo alle rivoluzioni tecnologiche, culturali e sociali intercorse nei secoli. Questo è avvenuto grazie a un meccanismo di “riepilogo adattivo” (Mehaffy and Salingaros, 2013), secondo cui i processi evolutivi sintetizzano le soluzioni precedenti, dal momento che molti problemi si ripetono comunemen-

6 Nel corso degli anni numerosi autori hanno proposto nuove definizioni, allargandone il campo

d’indagine e sottolineandone alcuni aspetti piuttosto che altri. In riferimento alle comunità ur- bane e alle infrastrutture, interessante è la descrizione fornita da Bruneau et al. (2003) che rap- presenta la resilienza secondo undici aspetti diversi.

te e quindi le soluzioni adattative possono essere le stesse.

Tuttavia, a fronte dei cambiamenti e della complessità in atto, oggi si ri- chiedono nuovi modelli di gestione per operare attraverso strategie e politiche, da una parte, di mitigazione, per agire sulle cause, e, dall’altra, di adattamento, per limitare gli effetti. Mehaffy e Salingaros (2013) propongono pertanto di combinare i diversi elementi, mettendoli a sistema gli uni con gli altri. Essi spiegano che le città, per essere resilienti, devono avere reti interconnesse di percorsi e relazioni, non segregate in categorie di uso, tipo o percorso, diversità e ridondanza di attività, tipi, obiettivi e popolazione e un’ampia distribuzione di strutture scalari, dai più ampi strumenti di pianificazione regionale fino alla de- finizione di specifici dettagli tecnologici. Questi elementi possono poi adattarsi e organizzarsi in risposta alle mutevoli esigenze su diverse scale spaziali e tem- porali.

Parlando del concetto di resilienza alle differenti scale, infatti, non si può non parlare di adattività che introduce una nuova visione del progettare pensan- do al futuro e offre una opportunità davanti all’incertezza sia essa ambientale, culturale e/o economica.

«Non basta dunque assumere un atteggiamento esclusivamente difensivo, come quello della “urbanistica della sicurezza”, ma occorre un ripensamento delle strategie pianificatorie e progettuali perché esse siano adattive (per esempio, ai cambiamenti climatici)» (Gasparrini, 2015).

Alla scala dell’edificio, l’adattività non deve essere soltanto la capacità dell’edificio di adattarsi alle esigenze differenti, ma tale carattere «influisce sui

livelli di resilienza sia rispetto alla fase del ciclo di vita dell’edificio (es. se uso o costruzione), sia agli elementi dell’organismo edilizio (es. materiali, struttu- ra, ecc.)» (Lucarelli et al., 2017).

Gli investimenti sulla resilienza possono assumere infatti molte configura- zioni, dalla progettazione di nuovi edifici performanti, all’analisi dei rischi, all’adeguamento e ripristino di edifici esistenti. Per questo è fondamentale ave- re una visione olistica e costruttiva del problema, un approccio interdisciplinare e uno strumento di analisi e progettazione della resilienza che permetta di spa- ziare all’interno di queste reti interconnesse.

Da un’analisi degli strumenti esistenti, invece, si evince che gli standard ri- feriti all’intero ciclo di vita degli edifici tengono maggiormente in considera- zione le fasi di progettazione e realizzazione rispetto a quelle di manutenzione e gestione. Nell’attuale contesto socio-economico è dunque stringente la necessi- tà di introdurre nuovi processi per operare un controllo sulla progettazione ar- chitettonica ed esecutiva del costruito, in tutte le sue fasi. Essi devono essere definiti per indirizzare l’azione degli attori coinvolti verso l’adozione di mate- riali, componenti e sistemi per la “architettura resiliente” e, soprattutto, l’introduzione di norme per la verifica e la gestione degli edifici in fase di eser- cizio.

invece che limitarsi a soluzioni standardizzate, sia a livello di processo sia di prodotto, come spesso si è fatto negli ultimi anni.

Scendendo dunque alla scala edilizia, oggetto specifico del presente contri-

buto, appare rilevante l’analogia tra i concetti di “resilienza” e “durabilità”7,

ovvero la capacità di opere, prodotti e materiali, di mantenere nel tempo livelli prestazionali e caratteristiche funzionali superiori o uguali ai limiti di accettabi- lità. Tale concetto, al centro del dibattito architettonico e tecnologico già dal secondo dopoguerra, è infatti ancora straordinariamente attuale se considerato in relazione alla maggior parte degli interventi messi in atto oggi.

Gli strumenti operativi esistenti per una architettura “adattiva”

Nuova sfida dell’attività progettuale è pertanto progettare edifici ponendo parti- colare attenzione alle attività di controllo che vadano oltre il ciclo di vita degli stessi, puntando alla loro capacità di resilienza.

In tale direzione, raggiungere alte prestazioni significa quindi fornire ai ma- nufatti elevata capacità di resilienza, riducendo al minimo gli impatti ambienta- li, economici e sociali scaturiti nell’intero ciclo di vita.

Nel corso degli anni, molti autori hanno proposto e sviluppato nuovi metodi volti all’integrazione tra sistemi resilienti e analisi del ciclo di vita, promuo- vendone una possibile applicazione durante il processo di progettazione. Per quanto riguarda gli impatti ambientali, alcuni autori sono partiti dalla metodo- logia LCA (Life Cycle Assessment), in quanto la più diffusa e affermata per va- lutare il ciclo di vita, includendo al suo interno le strategie di sviluppo sosteni- bile e di mitigazione delle catastrofi. In questo modo, nella fase d’uso, vengono tenute in considerazione non solo le attività di manutenzione ordinaria ma an- che la riparazione e la sostituzione di componenti danneggiati a seguito di eventi naturali (Plumblee and Klotz, 2014). Altri ancora hanno lavorato per in- corporare i principi di resilienza all’interno dei sistemi di certificazione a pun- teggio, sviluppando ad esempio i criteri LEED v.4 esistenti (Champagne and Aktas, 2016). Altri hanno adottato una posizione inversa, valutando a partire dai sistemi di resilienza i criteri e le strategie in termini di sostenibilità e di ci- clo di vita. Da qui si evince come la maggior parte delle strategie di resilienza, tra cui il contenimento dei rischi (risk avoidance), la sopravvivenza passiva (passive survivability) e il tempo di risposta e ripristino (response and recove-

ry), abbiano un effetto positivo. Al contrario, le strategie resilienti, che si con-

centrano sulla durata e la longevità (durability and longevity) e sui sistemi ri-

7 Il primo, come sopra richiamato, si riferisce a un organismo edilizio capace di adattarsi alle

sollecitazioni esterne, riducendo eventuali vulnerabilità presenti nel sistema. Il secondo è defi- nito come la “capacità di un edificio o delle sue parti di svolgere le funzioni richieste durante un periodo di tempo specificato, sotto l’influenza degli agenti previsti in servizio (UNI 11156:2006 “Valutazione della durabilità dei componenti edilizi”).

dondanti (redundant systems), includono una percentuale più consistente di strategie contrastanti (Phillips et al., 2017) se non gestite in una logica di siste- ma.

Questo processo di formalizzazione semantica e quantificazione del concet- to di resilienza non serve solo nella fase di progettazione di nuovi organismi edilizi o di recupero di quelli preesistenti, ma anche nella fase d’uso, al fine di innescare processi di certificazione della stessa associati a premialità e forme di incentivazione, come è avvenuto per l’efficienza energetica.

A partire dalla seconda metà degli anni 80, infatti, si è prestata maggiore at- tenzione alle problematiche ambientali e sono stati sviluppati nuovi metodi di certificazione, volontaria e non, tenendo in considerazione, ad esempio, i cam- biamenti climatici, l’inquinamento di aria e acqua, la qualità dell’ambiente ur- bano, la produzione e lo smaltimento dei rifiuti.

Di fronte a queste nuove sfide non basta solo assumere un atteggiamento di- fensivo che ci permetta di determinare le cause e le possibili azioni correttive,

bensì è necessario individuare interventi preventivi resilienti, adattabili8 ai pro-

cessi di cambiamento, sia esterni che interni, attraverso strumenti in grado di prevenire i rischi.

Negli ultimi decenni è così emerso il concetto di resilienza da sviluppare al- le diverse scale: dal prodotto, all’organismo edilizio, alla città.

La Commissione Europea, infatti, ha adottato nell’aprile 2013 la “Strategia

europea di adattamento ai cambiamenti climatici9” che si pone come obiettivo

principale quello di rafforzare il livello e la capacità di resilienza sugli impatti derivati dai cambiamenti climatici sia a livello europeo sia a livello nazionale, regionale e locale, attraverso azioni sinergiche e di adattamento cost effective

meno onerose10. Nel 2016, la stessa Commissione ha poi avviato una valuta-

zione della strategia di adattamento dell’UE per esaminarne l'effettiva messa in

atto e il conseguimento di quanto previsto11.

8 L’adattabilità al cambiamento è anche obiettivo chiave nel governo della resilienza socio-

ecologica che intende sviluppare sistemi complessi adattivi (Wilkinson, 2011).

9 “EU Adaptation Strategy”, disponibile al sito: http://bit.ly/EU_adapt_docs (13/9/2017). 10 La Strategia Europea di adattamento individua tre obiettivi specifici: il primo promuove azioni

efficaci sull’adattamento rivolte agli Stati Membri, in particolare esortandoli ad adottare strate- gie e piani di adattamento nazionali e regionali attraverso fondi specifici (Programma Life 2014-2020) e impegni su base volontaria per l’adattamento urbano sul modello del Patto dei sindaci. Il secondo obiettivo mira a rafforzare le conoscenze disponibili, colmare le lacune e rendere accessibili le informazioni raccolte, in particolare attraverso un potenziamento della piattaforma europea Climate-Adapt (disponibile al sito: http://climate-adapt.eea.europa.eu). Il terzo obiettivo è rivolto ad integrare le misure di adattamento nelle politiche e misure dell’UE affinché divengano climate proofing, in particolare in riferimento ai settori dell’agricoltura e della pesca e relativamente alle politiche di coesione. Il rispetto di tali obiettivi permetterebbe all’Europa di disporre di infrastrutture più resilienti e di accedere così a nuovi strumenti assicu- rativi a tutela delle catastrofi di origine naturale e antropica.

11 In riferimento al quadro standard per la valutazione delle politiche dell’UE vengono esamina-

Parallelamente al processo normativo, inoltre, enti certificatori hanno svi-

luppato metodologie di analisi e valutazione volontarie12, che certificano il rag-

giungimento di standard di qualità elevati. Tali strumenti - che includono certi- ficazioni, sistemi di benchmarking, quadri di pianificazione e principi di pro- gettazione - hanno come obiettivo principale quello di incoraggiare l’avvicinamento alla resilienza, al fine di favorire la progettazione di strutture più sostenibili.

Gli enti certificatori, tuttavia, presentano differenti griglie di valutazione, distinguibili in sistemi “a punteggio” e “a soglia”. Nelle valutazioni “a punteg- gio” viene attribuito all’edificio/prodotto un voto, derivato dalla sommatoria dei punteggi ottenuti per ogni singolo criterio, e l’edificio/prodotto stesso viene classificato in relazione al risultato totale ottenuto. Nelle valutazioni “a soglia”, invece, si individua un valore limite per la classificazione, al di sotto/sopra del quale l’edificio non può essere certificato. Differenza fondamentale tra le sud- dette metodologie di valutazione è la tipologia di parametri considerati: nel primo caso si valutano sia i parametri quantitativi che qualitativi, i quali per- mettono di verificare anche le strategie adottate per la progettazione; il secondo caso, invece, si basa nello specifico su parametri quantitativi ben definiti e ne- cessari per il raggiungimento del valore soglia minimo/massimo da rispettare.

La progettazione resiliente, tuttavia, richiede un diverso approccio al ciclo di vita dell’edificio che guardi verso una nuova funzionalità e rinnovate presta- zioni, attraverso un opportuno adattamento alle condizioni climatiche del con- testo. Occorrono, quindi, nuove politiche e standard di riferimento che identifi- chino i requisiti minimi per valutare la resilienza.

Un primo tentativo, fatto negli USA, è la certificazione RELi13, sviluppata

incorporando le due certificazioni più utilizzate: LEED ed ISI Envision pro-

gram. Essa fornisce ai progettisti uno strumento, su base volontaria, in grado di

valutare la resilienza di un edificio/prodotto puntando sulla flessibilità e

la valutazione e sulle domande specifiche di valutazione possono essere trovate nella tabella di valutazione provvisoria della ricerca, il cui completamento è previsto nel 2018.

12 Uno dei principali sistemi di certificazione per eccellenza è Ecolabel, introdotto dalla Comuni-

tà Europea con l’obiettivo di incoraggiare le aziende ad adottare processi produttivi sostenibili. Esso nasce dalla necessità di rispondere al Regolamento 1980/2000, che considera gli impatti ambientali di un bene o servizio lungo tutto il suo ciclo di vita, rappresentando in questo modo uno strumento di controllo dei carichi ambientali, soprattutto dal punto di vista energetico.

13 La certificazione RELi si compone di un elenco completo di criteri di progettazione resiliente e

quantifica il valore tangibile e ricavabile da investimenti sulla resilienza rivolti alla riduzione dei costi del capitale, come accade nel sistema LEED del Green Building Council. Il program-