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P ROGETTARE PER L ’ ABITARE : STRATEGIA E TATTICHE PER AFFRONTARE IL MUTAMENTO

ANTINOMIE DEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO

1.8 P ROGETTARE PER L ’ ABITARE : STRATEGIA E TATTICHE PER AFFRONTARE IL MUTAMENTO

Massimo Perriccioli, Elisabetta Ginelli∗∗

Progettare per l’abitare. La strategia, le tattiche.

L’agire progettuale per gli spazi dell’abitare muove dal dovere di generare qua- lità. La qualità, da individuarsi mediante l’analisi di compositi bisogni, si fa si- stemica nel momento in cui permette il soddisfacimento di esigenze collettive nell’intreccio con esigenze soggettive. Le esigenze a loro volta sono declinate, metodologicamente, collocandole in un contesto fisico, funzionale, ambientale, economico, sociale, tecnico-produttivo, culturale ma anzitutto temporale. Tut- tavia la contemporaneità, che possiede un nesso profondo con l’idea di com- plessità (Bocchi e Ceruti 1987; Morin, 1990), incorpora e simultaneamente tra- scende il significato tradizionale del contesto temporale in quanto momento storico, per assimilare il concetto di tempo che, come afferma Heidegger, sussi- ste soltanto in conseguenza degli eventi che vi si svolgono.

Tale concetto, per esemplificare, si presenta equivalente alla coscienza del “viaggiare” e non del semplice “arrivare”, azione che richiede di affrontare l’inaspettato, il rischio e l’incertezza, per raggiungere una singolare, ricca e po- sitiva dinamica. La trasformazione, il mutamento è quindi nel tempo e nella consapevolezza dell’“esserci” (Heidegger, 1924).

Come tale, il mutamento è ingrediente del progetto tant’è che «nel senso

corrente, [il progetto] è proiezione in avanti, nel futuro, attraverso una strate- gia d’azione, di un’idea-simbolo, originale e unica in quanto immagine di una struttura significativa, e, insieme, processo delle tramutazioni della stessa sino a costituirsi come oggetto reale. […] Il progetto è sostanzialmente una strate- gia volta a realizzare una meta, inizialmente intravista, di consistenze materiali e di esperienze umane da vivere, verso la quale esso procede aleatoriamente alla ricerca di equilibri sistemici sempre raggiunti e sempre sfuggenti, perché aperti verso il futuro» (Ciribini, 1984). Il progetto, nella cultura tecnologica, è

inteso quindi come un sistema complesso aperto e dinamico e, come tale, ne deriva che anche la sua risultante sussuma il “ruolo costruttivo del contingen-

Massimo Perriccioli è professore ordinario di Tecnologia dell’architettura presso il Dipartimen-

to di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

∗∗ Elisabetta Ginelli è professore associato di Tecnologia dell’architettura presso il Dipartimento

te”, metafora della resilienza.

Il concetto di resilienza rimanda all’idea dell’andare oltre, al pensare a un assetto futuro; in sostanza suggerisce un’idea nuova di progettualità in termini di processo rigenerativo che evolve, riconoscendo e trasformando le risorse di- sponibili. Coglie una fase di transizione del progetto nel passaggio tra uno stato di partenza e uno in divenire. In questi termini è possibile definire la resilienza, intesa come capacità di un sistema di adattarsi e reagire (in termini ecologici, sociali, spaziali, economici, tecnologici, ecc.) al divenire, come un sottosistema della complessità e, come tale, considerarla non una soluzione ma una condi- zione epistemologica incorporata nel progetto per affrontare e sostenere le di- mensioni della sostenibilità, quale strategia per avvalersi al meglio e continua- tivamente delle risorse disponibili.

A latere della strategia, che significa conoscenza consapevole del luogo teo- rico di riferimento, esistono le tattiche, che rappresentano principi/strumenti per azioni pragmatiche e sperimentali con le quali affrontare la scarsità di risorse in cui opera il progetto, in “un’abile interpretazione del tempo”.

Michel de Certeau, per chiarire il concetto di strategia in relazione ai modi di produzione e di azione delle strutture socio-culturali, introduce il termine tat- tica ed enfatizza le mutue relazioni tra le due voci. Strategia e tattica rappresen- tano i percorsi di operazioni che formulano regole e codici per la produzione e l’azione. «Le strategie possono produrre, disporre ed imporre gli spazi nei

quali esse operano, laddove le tattiche possono solo usare, manipolare e devia- re tali spazi» (de Certeau, 1990). La strategia è principalmente un indice dei

principi di governo del processo e definisce “ciò che facciamo”, laddove le tat- tiche sono azioni della logica operazionale (la strategia) e definisce “come rea- lizzare quello che deve essere fatto”. Queste relazioni mutue, diacroniche e in- terattive tra strategia e tattiche costruiscono il meccanismo di un modo strategi- co di progettare che produce, manipola e controlla gli strumenti operazionali per confrontarsi con la programmatica indeterminatezza e instabilità dei conte- sti urbani e architettonici.

Il progetto per l’abitare resiliente è quindi una strategia che incorpora flui- damente l’incertezza e il mutamento, con manifeste influenze sulle scelte del processo costruttivo e gestionale della sua risultante lungo il proprio ciclo di vita, per affrontare traiettorie indeterminabili a priori. Dal punto di vista seman- tico significa pertanto caratterizzare in maniera decisa il progetto come predit- tivo, non del fenomeno, in quanto stato fisico, ma del cambiamento, integrando l’anticipazione della possibile trasformazione e giungere a una risultante pro- gettuale sistemica adattiva e reattiva al fenomeno trasformativo. In questo sen- so, l’idea di resilienza ridefinisce alcuni caratteri peculiari del progetto dell’abitare, facendo progredire la staticità della costruzione verso una dimen- sione spaziale dinamica, ad “assetto variabile”, assecondata da un sistema edili- zio articolato, aperto, molteplice, con un elevato livello di variabilità dei suoi elementi tecnologici e ambientali, che assume il carattere di “meccanismo”.

Un siffatto approccio introduce nuovi poli della riflessione progettuale quali la temporaneità, la leggerezza la flessibilità, accanto a quelli della permanenza, della stabilità, della determinazione. Lo spazio dell’abitare diviene uno spazio “potenziale”, evolutivo e incrementale, capace di assecondare flessibilmente e adattivamente l’indeterminatezza della fase di transizione da una configurazio- ne di partenza a una nuova e di consentire modificazioni spaziali e costruttive che si spingono fino al limite della reversibilità, della convertibilità o della dis- soluzione dell’organismo edilizio. La resilienza colloca la progettazione dello spazio dell’abitare in una prospettiva di compatibilità ecologica, esaltando le capacità di adattamento dell’organismo edilizio ai ritmi biologici dell’uomo e alle tattiche quotidiane degli abitanti.

Temporaneità e indeterminatezza. Caratteri del progetto dell’abitare adattivo

Il concetto di resilienza, nell’accezione che riguarda il progetto dell’abitare, in- terfaccia con i concetti di temporaneità e di indeterminatezza. Il primo, para- digma di assoluta attualità, deve essere inteso non solo nel senso di breve dura- ta e di tempo determinato (come risposta ad un’emergenza), ma come «capaci-

tà di spazi e strutture di essere flessibili, di adattarsi nel tempo al mutare delle esigenze e del contesto d'uso» (Campioli, 2004).

Il concetto di temporaneità pervade a tutti i livelli la cultura contemporanea e si manifesta nello spazio della città con nuovi scenari che fanno dell’eterogeneità, della discontinuità, della mobilità, della molteplicità, dell’intercambiabilità, della fragilità, del dinamismo, nuovi valori su cui fonda- re la riflessione teorica e progettuale. Una riflessione che, prendendo atto dell’indeterminatezza e dell’accelerazione dei tempi di trasformazione delle condizioni spaziali e sociali della città contemporanea, si spinge fino all’elaborazione di congetture e di strategie che possano individuare il mutevole confine tra ciò che è stabile e ciò che è provvisorio, tra ciò che è permanente e ciò che è variabile (Formaggio, 1990).

La temporaneità, intesa come caratteristica dell’architettura a durare per un “certo tempo” e a modificarsi “nel tempo” per adattarsi al mutare delle esigenze funzionali, costituisce un carattere peculiare del progetto contemporaneo, ren- dendo evidente come l’architettura non aspiri più alla lunga durata e come sia tramontato il mito del costruire per l’eternità. A una concezione caratterizzata dalla stratificazione, dalla lentezza, dalla ricerca di una relazione stabile con il suolo, da una teoria tettonica legata all’idea di firmitas come unico strumento di legittimazione sociale dell’atto costruttivo, si va sostituendo un’idea del co- struire legata ai valori della “temporaneità” e della “leggerezza” che si propone, da un lato di interpretare le dinamiche abitative in atto nella città contempora- nea e, dall’altro, di fornire risposte più consapevoli sotto il profilo della soste- nibilità ambientale delle trasformazioni fisiche operate dall’architettura (Ban-

ham, 1965, Perriccioli, 2004).

Il paradigma della temporaneità asseconda la condizione di “indetermina- tezza” e di “incertezza” che contraddistinguono il mondo contemporaneo a cau- sa dell’instabilità dei programmi, degli obiettivi e degli strumenti che caratte- rizzano a tutti i livelli le politiche, i processi e le strategie di intervento sull’ambiente costruito (Corbellini, 2007). L’indeterminatezza, intesa come im- prevedibilità, in ambito progettuale sollecita l’impiego di strategie aperte, tem- poranee e partecipate, capaci di dispiegare le potenzialità dei sistemi architetto- nici e di adattarsi organicamente ai cambiamenti, producendo processi in luogo di progetti e ridefinendo il concetto stesso di “forma”, non più considerata una categoria assoluta dell’architettura.

Il concetto di abitare, per ragioni sociali, economiche e culturali, si trasfor- ma ed evolve verso nuovi modelli insediativi e abitativi sempre più improntati alla flessibilità e all’adattabilità dello spazio, che poco o nulla hanno a che fare con le soluzioni tipologiche e funzionali standardizzate proposte dalla cultura architettonica moderna e acriticamente reiterate nel corso degli ultimi decenni. Le importanti trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro, la progressiva so- vrapposizione della sfera abitativa a quella lavorativa, la crescente importanza di uno stile di vita improntato alla mobilità, la dissoluzione di modelli familiari preordinati, l’emergere di nuovi profili d’utenza, spingono il progetto architet- tonico a ricercare nuove opzioni per l’abitare meno dipendenti da schemi fissi e da localizzazioni predeterminate (Burkhardt,1999).

In virtù della sempre maggiore influenza dell’informatica sui modi di vivere contemporanei, anche il rapporto tra il progetto di architettura (inteso come messaggio) e la realtà (intesa come mezzo) tende a modificarsi: l’architettura della casa perde il suo significato “oggettuale” per assumere quello di “mecca- nismo operativo” che prefigura e persegue una strategia di continuo adegua- mento nel tempo ai cambiamenti degli utenti. Una strategia che presuppone un processo creativo sempre aperto, non lineare, interattivo, influenzabile da fatto- ri esterni e da programmi funzionali ibridi, basati sull'assoluta individualità del- le scelte di vita, in cui convivono esigenze e desideri diversi nell’ambito dello stesso spazio (Schwartz-Clauss and von Vegesack, 2002).

Un siffatto processo adattivo rende sempre più difficile pensare lo spazio abitativo in relazione alla forma dell'architettura ed alla sua percezione, spo- stando l’attenzione progettuale sul rapporto spazio-forma-informazione. La ca- sa perde il suo aspetto “rituale” e domestico per diventare artefatto meccanico, dispositivo interattivo, attento alle sollecitazioni esterne (Gausa, 1998).

Sicuramente la ricerca architettonica incentrata sulla temporaneità dell’abitare, che punta all’incremento delle qualità dinamiche dello spazio abi- tativo attraverso la flessibilità e l’adattabilità degli elementi che lo compongono e alla reversibilità dei processi costruttivi che lo generano, si sviluppa inevita- bilmente su un terreno incerto e scivoloso al confine tra la precarietà, l’effimericità e l’atopia. Il rischio presente in questo tipo di ricerca può essere

eluso identificando la flessibilità con l’idea di polivalenza e di versatilità dello spazio e sostituendo alla libertà senza vincoli l’indeterminatezza spaziale, attra- verso la realizzazione di spazi resi “isotropici” e “isomorfi” da una progettazio- ne che coinvolge, secondo modalità sperimentali, tutti gli aspetti, materiali ed immateriali, del fare architettonico (Vittoria, 1988).

La flessibilità tecno-tipologica per l’adattività e la reattività. Una possibile tat- tica

Se la sfida del progetto resiliente equivale a un processo rigenerativo ricono- sciuto come strategia da perseguire attraverso principi di temporaneità e inde- terminatezza, si ritiene che la flessibilità sia la tattica che permette di produrre innovazione e affrontare la sostenibilità nella sua articolazione interdipendente tra aspetti ambientali, sociali ed economici.

Delicado e Marcos, nel 2012, dichiarano che considerando gli attuali para- metri ecologico-ambientali e la precaria congiuntura economica è evidente che il riutilizzo o la cosiddetta “postproduzione” dell’esistente è obiettivo primario. Questo vale per lo sviluppo futuro degli spazi per l’abitare nella promozione della facilitazione di interventi insediativi e abitativi in grado di concretizzare principi di diversificazione funzionale, appartenenza, mixitè funzionale e socia- le, identità, economicità e salvaguardia ambientale. Mehaffy e Salìngaros nel 2015 affermano che «l’autentica modernità consiste nell’accettare nuovi mo-

delli di crescita che includono processi di tipo evolutivo e morfogenesi adatta-

tiva» (Mehaffy e Salìngaros, 2015).

Ferrier nel 2008 già sosteneva che «les gens habitent dans des logements

troglodytes» e che la «légèreté est suspecte», testimoniando il peggior difetto

del progetto per l’abitare: la staticità. Ciò a fronte di una coscienza culturale in cui la flessibilità è considerata come la capacità di uno spazio di essere “perfet- tibile” (Paricio, 2001), una forza che tramuta lo spazio da “vissuto” in spazio da “vivere” per dare risposta, in senso funzionale e temporale, al mondo in muta- zione.

Riteniamo che per conseguire tale risultato occorre prima di tutto convertire il progetto in processo, precisarlo in predittivo, adattivo e reattivo e riconoscere come invariante progettuale l’agevolazione della trasformazione valorizzativa, sinonimo di architecture et bâtiment durable, il cui valore è determinato dalla capacità di trasformarsi velocemente a costo contenuto (Jourda, 2005). La ri- cerca internazionale si dirige attualmente sull’aggettivo reattivo: cioè quella capacità di agevolare non solo l’adattamento materiale e funzionale a nuove circostanze, ma sfruttando i cambiamenti in opportunità per incrementarne le prestazioni. In una recentissima esperienza francese si propone il programma

Construire Réversible (Canal architecture, 2017) in cui si avvalora come la re-

ciando il ruolo frenante dell’apparato istituzionale.

Metamorfosi alias reversibilità, mutabilità, evolutività, riconfigurabilità rappresentano il risultato della flessibilità e la multifunzionalità ne sintetizza il significato, producendo un capovolgimento di paradigma nella definizione delle condizioni di qualità progettuale e costruttiva, spaziale e funzionale.

La flessibilità è traducibile nella capacità reattiva del sistema a modificarsi in funzione degli stimoli, interni ed esterni, che lo coinvolgono con prestazioni di miglioramento continuativo (Ginelli, 2010; Ginelli et al., 2013), implicando anche strumenti e modelli partecipativi per la trasformazione. È una condizione secondo cui il progetto si tramuta in processo, riscritto non specificando il comportamento atteso ma creando le condizioni per cui il comportamento stes- so è probabile che si venga a generare, e che presuppone una “cultura della progettualità” tesa a una rigorosa ricerca interpretativa del rapporto tra sistema tecnologico e sistema spaziale.

La flessibilità nasce dalla ricerca di non-permanenza e non-immutabilità e richiede soluzioni progettuali che si concedono alla modificazione, trasforma- zione, riqualificazione e riuso del patrimonio edilizio costruito per incremen- tarne il valore d’uso. Tuttavia è bene precisare che «la flessibilità non è

l’anticipazione esaustiva di tutte le trasformazioni possibili. Molte sono impre- vedibili. La flessibilità è la creazione di una capacità di ampio margine, un grado di libertà, che permette differenti e opposte trasformazioni e usi» (Koo-

lhaas, 1995). Con questa interpretazione essa compartecipa alla qualità dell’abitare perché in grado di esprimere qualità spaziale continuativa che si concretizza attraverso la qualità tecnologica e tecnica in quanto espressione di un insieme articolato di proprietà dell’organismo edilizio e di sue parti che con- feriscono a essi la capacità di garantire prestazioni rigenerative. La flessibilità, non più genericamente intesa, si caratterizza quindi come “tecno-tipologica” in quanto “rivelativa” dell’inscindibile e biunivoca relazione esistente tra presta- zioni spaziali e prestazioni tecnologiche, per cui le une non possono essere ga- rantite senza le altre, per una durabilità del bene. L’assioma considerato è pre- ciso: non c’è spazio vivibile senza componente tecnologica e tecnica.

Tale accorgimento ammette, senza scadere nella mera neutralità, l’“ambiguità” spaziale (Venturi, 1966) quale carattere qualitativo per un risulta- to a “rendimento ambientale”. Come indicatore di adattabilità e reattività, la flessibilità annette la condizione di variazione diacronica quali-quantitativa de- gli spazi garantendo la fruibilità, l’attivazione di ibridazioni funzionali diffe- renziate per caratteristiche e per tempi di svolgimento e nuove fusioni di attività tra loro compatibili spazialmente o temporalmente, all’interno di definite o de- finibili forme, dimensioni, organizzazioni e distribuzioni spaziali.

La flessibilità si presenta quindi come una tattica dell’agire progettuale e della pratica costruttiva che interseca variabili economiche, produttive e sociali

vs l’atteggiamento miope dell’ordinarietà dominante che evita il rischio del

stenza che comporta il massimo rischio per la società» (Lawrence, 2010).

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